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L'ANEMOSCOPIO ROMANO

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I VENTI ROMANI

LODOVICO POLLAK

Ludwig Pollak, nato a Praga nel 1868, morì nel 1943 nel campo di concentramento di Auschwitz. Fu un archeologo classico austriaco-cecoslovacco e un commerciante d'arte che visse a lungo a Roma.

Dopo aver studiato archeologia classica e storia dell'arte viaggiò in Grecia e in Italia con una borsa di studio austriaca e nel 1895 si stabilì come studioso privato e commerciante d'arte a Roma.

ANEMOSCOPIO DI LEONARDO DA VINCI
Nel 1904 divenne custode onorario del nuovo Museo Romano d'Arte Antica Museo Barracco. A Roma, Pollak individuò il braccio mancante del Laocoonte nel bacino di marmo di un laboratorio di pietra a scalpello nel 1905. Pollak fu nominato Commendatore dell'Ordine Pontificio di Gregorio.

Durante la I guerra mondiale Pollak dovette lasciare l'Italia nel maggio 1915 e tornare nel maggio 1919. Nel 1934 il Reich ribattezzò la Bibliotheca Hertziana per ragioni antisemitiche e Leo Bruhns, il nuovo reggente direttore negò l'accesso a Pollak dal 1935 in poi.

All'arresto degli ebrei romani il 16 ottobre 1943 Ludwig Pollak fu arrestato con tutta la famiglia. Benché gli venisse offerto rifugio dal Vaticano attraverso l'invio di amici tedeschi, si rifiutò di accettare il destino del suo popolo. Il destino di Pollak e quello della sua famiglia dopo la deportazione degli ebrei romani non è noto, morì comunque nel campo di concentramento di Auschwitz.

L'eredità di arte di Pollak, libri di 2000 e collezione di autografi è stata donata dalla sua cognata Margarete Süssmann Nicod († 1966) nel 1951 e nel 1958 alla città di Roma ed è ora conservata nella biblioteca del Museo Barracco.



ANEMOSCOPIO DI SAN LAZZARO
di LODOVICO POLLAK 

Purtroppo nella notte dopo la scoperta questa rosa dei venti sparì misteriosamente. Un caso felice rese possibile per mera combinazione al sottoscritto di ritrovarla sette mesi più tardi presso un privato, il quale, appena saputane la vera provenienza, si affrettò, seguendo il mio consiglio, a restituirla al legittimo proprietario, il Governatorato di Roma, per cura del quale fu collocata nella prima sala dell'Antiquarium sul Celio.

Il disco, di marmo greco a grana grossa di colore leggermente azzurro è alto 17 cm. e si restringe un po verso il piano superiore. Il diametro del piano inferiore è 65 cm., quello del piano superiore 59 cm. La circonferenza media misura 1 m. 85 cm. Tutti e due i piani sono lasciati ruvidi e sono lavorati col subbiolo. Nel mezzo del piano superiore è visibile un buco tondo di 9 cm. di diametro e 16 cm. profondo. Il buco è da sopra in giù un po' obliquo. Dal buco corre verso l'orlo del piano superiore ma non fin al bordo un canale di 20 cm. di lunghezza, 2 cm. di profondità e 3 cm. di larghezza. 

Non si vedono resti del piombo col quale era ivi fissata l'asta metallica - un dettaglio importante, di cui si parlerà più in giù. Il giro del disco è da semplici costole diviso in sedici riparti che si restringono un po' in alto. Ogni riparto porta una erma veduta di faccia. Le teste di queste erme sono assai rozze. Soltanto due di esse sono barbute. Tutte le teste sono fra loro differenti nel lavoro dei capelli, nella formazione dei visi e nella espressione delle bocche, qui dritte, là storte.

Queste sedici erme, di cui sono appena accennate le spalle, ed in alcune poche addirittura soppresse, sono divise in quattro sene di tre erme ognuna portanti delle iscrizioni. Ognuna di queste quattro sene è poi divisa, non si sa perchè, dalla seguente da una erma senza iscrizione. Il rilievo è rotto nella parte inferiore per circa 35 cm. di lunghezza. Visibili sono pure delle piccole abrasioni. Queste mancanze non sono da attribuirsi agli scopritori, ma esse sono già antiche, perchè la vecchia patina copre pure le rotture. I venti sono:

L'ANEMOSCOPIO

I. - BOREAS.
I capelli piuttosto corti sono divisi - e questo vale per tutti ι sedici venti — in tre parti. Nel mezzo della fronte essi si rizzano in tante strisele, mentre ai lati ricadono agitati dal soffio. Il collo non è visibile e la testa è semplicemente messa sull'erma. Il viso è tondo, le guance paiono soffiare. Gli occhi a globo sporgente sono senza indicazione di pupille. Gli angoli della bocca vanno melanconicamente in giù.

II. - Erma senza iscrizione. La parte inferiore manca, ma si vede che non portava un nome

III. - Erma che portava certamente una iscrizione, ma questa parte ora manca. Testa paffuta, guance piene, la bocca soffia.

IV. - CIRCI(V)S.
Erma barbata. Occhi assai sporgenti, le ciglia sono indicate, le guance pienissime, l'orecchio sinistro
è rozzamente accennato, bocca aperta, barbetta a pizzo.

V. - CHORVS.
Mento molto accentuato.

VI. - Erma senza iscrizione. Forse la più brutta fra le brutte. Essa ricorda quella del Circius. Le guance sono assai gonfie, la bocca è semiaperta. Sul mento pochi colpi di scalpello per indicare una barbetta.

VII. - EAONIVS
erroneamente invece di Favonius. La testa pare giovanile. Collo relativamente alto. Bocca storta ed aperta.

VIII. - AFRICVS.
Collo basso. La testa è un po' inclinata verso la sua sinistra. Sopracciglia. L'occhio destro è più alto dell occhio sinistro.

IX. - AUSTROF(ICV)S
invece di Austroafricus. Si vedono tanti piccoli colpi che indicano una barba che copre tutto il viso. Bocca stretta.



X. - Erma senza iscrizione. Guance piene, bocca stretta.

XI. - AVSTER.
Naso rotto. Rughe e sopracciglia. Nella bocca stretta un piccolo buco non profondo.

XII. - EVRVS.
Viso annoiato, naso sottile, bocca un po' storta.

XIII. - Simile al precedente ma col collo più alto. L'iscrizione è di diffìcile lettura e mancante VVLIV forse Vulturnusì = Volturnus, ma Volturnus è identico colR /V YEurusgik personificato nel η. XII. L'iscrizione pare intenzionalmente ο per sbaglio deteriorata.

XIV. - Erma senza iscrizione.

XV. - SOLANVS.
Faccia tonda e « fresca ». La più regolare e più simpatica fra tutte. Ombra di ingenuità.

XVI. - AQVILONICE.
La parte superiore della testa è brasa. Bocca storta.

Gli anemoscopi antichi finora conosciuti sono ι seguenti sette:

1) La celebre torre dei Venti ad Atene (Daremberg e Saglio, dict. V, pag. 720, fig. 7380). Mostra otto venti.

2) Quello del Vaticano nel Museo Pio dementino. Amelung Katalog II, pag. 32, n. 9-a (senza illustrazione). Colagrossi, L'anfiteatro Flavio 1913, pag. 92 e 94, fig. 5-a. Fu trovato nel 1779 presso San Pietro in Vincoli, poi si trovava nella Villa Albani, da dove passò al Vaticano. Pistoiesi, Il Vaticano, IV, tav. 83,2. C. I. Gr. Ili 6180 = Kaibel Inscript., n. 1308. Dodici venti sono elencati. Secondo l Hiilsen tutte le iscrizioni latine sono false e perciò non furono incluse nel sesto volume del Corpus. Ma un esame più accurato mi convinse della loro autenticità.

3) Quello di Gaeta. Ora sparito. Kaibel, /. c. 906. L'anemoscopio in parte inserito in un muro mostrava nelle parti visibili sette venti. Completo ne contava certamente dodici.

4) Il più grande trovato da L. Poinssot nel 1905 a Dugga (Tunisi). Bulletin des antiquaires, 1906, pag. 368 sg. C. I. L. Vili , pag. 2646, n. 26652. Dodici venti. Non va perfettamente d'accordo con b e c. e)

5) Quello trovato ad Aquileia. Gregorutti Bull. Ist. 1879, pag. 28. Mitt. der Zentralcommission 1880 pag. 7. fig. 7 (riprodotto dal Rehm, Sitzungsberichte der bayr. Akademie 1916 pag. 68. Fig. 10) Conta otto venti. L'artista si è firmato: M. Antist Euporus fecit.

6) L'anemoscopio " Boscovich" trovato nel 1759 «extra portam Capenam», poi sparito. Pubbl. dal Paciaudi, Mon. Peloponnesiaca, I, pag. 115 sg. e da questa incisione riprodotto dal Rehm, l. c., pag. 66. Manca nel C. I. L. Anche questo anemoscopio è firmato: Eutropius fecit. Elenca dodici venti.

7) Già da Lodovico Pollale a Roma. Pubbl. Bull. Com. 1928, pag. 303, fig. 10. Cfr. Biedl. Philologus, 1930, pag. 199 Sg. Elencati erano otto venti, di cui soltanto ι nomi di due (Ζέφυρος ed Έργάστης) sono conservati.



A questi sette va adesso aggiunto come ottavo il nostro anemoscopio.

Esso è certamente fra tutti il più recente ed ha col più antico, cioè colla Torre dei venti in comunanza la rappresentazione dei venti stessi. Ma purtroppo, mentre ι rilievi della torre appartengono alle sculture più belle del I sec. d.c., le sculture dell anemoscopio dell'arco di San Lazzaro sono di infima inaudita qualità.

Dove rimangono le gentili e nobili facce della torre, dove le giovanili muscolose figure dei venti personificati sulla base di Carnuntum? (Arch. epig. Mitt., 1895, pag. 184 sg.). Visi contorti, capelli irti, facce mostruose vediamo qui. L arte delle proporzioni è addirittura straniera allo scalpellino del nostro anemoscopio, che per sua fortuna è rimasto anonimo. Possiamo, malgrado le iscrizioni latine, vedendo la insuperabile bruttezza e brutalità delle teste, che collima con caricature non volute, pronunziare ancora la sacrosanta parola di antichità classica ?

Le iscrizioni non prive di scorrettezze, ι caratteri davvero non belli di esse rivelano subito una epoca bassissima. L'esame più accurato di esse ci porta,

A questi vanno aggiunti tre altri, dì cui ognuno mostra 12 venti, conservatici su mappe del mondo (vedi Bull, des Antiquaires, 1906, pag. 368 sg.). Il più vecchio data dall'VIII o X sec. d.c.., gli altri due datano dal XIII sec.

Essi hanno certamente la loro origine in originali di antichità classica e vanno d'accordo coi nomi dei venti riferiti da Seneca e Plinio e pure coll'anemoscopio di Dugga. Cfr. pure la rosa dei venti moderna (verso la fine del Settecento) sulla Casina destra della Piazza di Siena della Villa Borghese a Roma, che certamente è ispirata da prototipi classici. Essa elenca otto venti. 

Confrontandole con iscrizioni datate (Cfr. Diehls, Inscriptiones tab. 35) al V sec. d.c.. Si tratta certamente di un lavoro fatto a Roma stessa. Per ragioni a noi sconosciute - forse contribuiva la sfaldatura già rimarcata del marmo - è rimasto incompiuto. La superficie superiore della lastra non mostra le linee indispensabili per constatare la direzione dei venti e pure la mancanza assoluta dell'impiombatura per un asta corrobora questa ipotesi.

Vorrei quasi supporre che giustamente nel punto del ritrovamento cioè alle falde nord-ovest dell Aventino esisteva uno studio, nel quale furono scolpiti questi anemoscopi. Il sito è vicinissimo all'Emporium, dove furono caricati sui bastimenti questi anemoscopi per provvederne le province.

Scolpire e specialmente mettere a posto un anemoscopio era ed è tuttora un mestiere non facile e ben a ragione ι fabbricanti di questi strumenti delicati erano orgogliosi del loro lavoro. Su otto di questi anemoscopi non meno di due portano ι nomi degli artisti, mentre i molti orologi solari antichi non portano mai le iscrizioni dei maestri. Tutti gli anemoscopi antichi conservatici non vanno con nostra massima meraviglia mai perfettamente d'accordo, anzi differiscono spesso assai.



Vedi il quadro sinottico più giù. Pare, che secondo i luoghi anche i nomi dei venti cambiassero e che certe regioni del vasto Impero Romano avessero certe predilezioni per questi od altri nomi dei venti, che dominavano presso di loro. Stilisticamente le teste del nostro anemoscopio rappresentano il punto più basso di tutta la scultura romana.

Esse sono veramente la « barbarisirte Antike » e non trovo paragoni per questo record di bruttezza. Quanto più belli sono per esempio i rilievi dell'obelisco di Teodosio a Costantinopoli scolpiti verso il 390, dunque poco anteriori! Non possiamo, dato il ritrovamento dell'anemoscopio a Roma stessa, nemmeno parlare di arte soldatesca, qualche volta una facile e gratuita scusa per mascherare deficienze artistiche.

Noi dobbiamo avere il coraggio di constatare senz altro la decadenza infima dell'arte romana di quell'epoca e di deplorarla. Non posso partecipare al convegno di quei scienziati futuristi che erigono un altare al « volere » nell'arte e che mettono questo cosidetto " volere " perfino sopra 1'arte stessa. Io, convinto passatista, vedo in queste sculture il punto più basso toccato mai dall'arte romana. In questo senso esse sono veramente insuperabili e pure assai istruttive.

È quasi incredibile che questi mostri provengano dalla stessa " Urbs " che vide nascere i miracoli dell'Ara Pacis ο ι rilievi traianei dell arco di Costantino. Siamo con queste teste dell' anemoscopio dell' arco di San Lazzaro ad una svolta assai importante nella storia dell'arte. Non si può andare più in giù. Dopo tanto regresso deve per eterno destino delle cose venire il progresso, progresso lento ma evidente e continuo. Già per esempio le figure dell'arte longobarda mostrano questi lenti progressi.

Si confrontino la lastra d'oro di Agilulfo (Preuss. Jahrb., 1903, pag. 208, fig. 1) conservata nel Bargello e le transenne della badia di Pietro e Paolo a Ferentillo (Toesca, storia I, pag.279, fig. 171) ed i rilievi dell'altare di Pemmone a Cividale (Fogolari, Cividale, pag. 47 sg.). L'arte ha già ripreso e porta più tardi al romanticismo dell'arte romanica, al primo cauto e prudente rinascimento dei Pisani ed infine al definitivo divino e glorioso rinascimento toscano del Quattrocento.


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