I MARMORARI ROMANI DI DARIO DEL BUFALO
(Fonte)
Abbiamo una certa idea della bellezza dei marmi romani entrando nel Panteon di Roma. Il suo pavimento è simile ad una scacchiera (da cui probabilmente presero spunto Kandinky e Mondrian) composta da una serie di fasce parallele e perpendicolari che formano quadrati in cui sono inscritti quadrati più piccoli, alternati a dei tondi.
"Nonostante l’ostilità dei più fedeli assertori della genuina "virtus" romana, l’uso dei marmi colorati si affermò sempre di più nelle lussuose case e negli edifici pubblici dell’antica Urbe.
Le conquiste di Cartagine, della Grecia (146 a.c.), del regno di Pergamo e la caduta definitiva dell’Egitto (31 a.c.), oltre a permettere lo sfruttamento diretto delle cave collocate in queste regioni, diffusero un modello largamente adottato dai monarchi ellenistici, che vedeva l’impiego di marmi policromi come una sorta sostegno e ostentazione del potere politico.
Iniziò per la città eterna così la meravigliosa storia dell’arte del marmo, che ha attraversato i secoli in un esempio di continuità spazio-temporale unico al mondo. Con il declino e la fine dell’Impero si procedette al reimpiego dei materiali antichi, pratica assai diffusa nel Medioevo, che ha permesso alla Roma cristiana di creare un linguaggio formalmente nuovo e adeguato ai valori liturgici della religione, attraverso l’utilizzo di vecchi elementi appartenenti alla classicità. Non un barbaro saccheggio, quindi, ma – come nel caso dei Marmorari Romani – una prosecuzione della antica tradizione lapicida."
PAVIMENTO DELLA CURIA |
IL BARBARO SACCHEGGIO
I quadrati sono costituiti da una cornice di porfido rosso e da quadrati piccoli in pavonazzetto bianco con venature azzurro-viola; i pannelli con i tondi hanno, invece, una cornice di marmo giallo ed il tondo di granito egiziano grigio scuro o di porfido rosso.
Ora nessuno può negare la bellezza di un pavimento cosmatesco, ma se improvvisamente vi dicessero che si sia deciso di frantumare i bellissimi e preziosissimi marmi del Panteon per rifare un pavimento cosmatesco tutti grideremmo al crimine e all'orrore.
RODOLFO LANCIANI
"Un giorno non molto tempo fa, mi ero seduto all'estremità meridionale del Palatino...ero giunto alla conclusione che proprio in questo luogo era sparito un palazzo lungo 150 metri, largo 118, alto 50...Chi ha raso al suolo questo colosso?....
PAVIMENTO DEL PANTHEON |
Ebbene si, a Roma non solo avvenne il barbaro saccheggio, ma prima ancora la barbara distruzione per cancellare ogni memoria del mondo pagano, essendo il clero cristiano terrorizzato dalla diffusissima religione pagana che sopravviveva in ogni villaggio del suolo italico.
Dopo aver fatto a pezzi statue, bassorilievi, ornamenti, colonne, balaustre e così via, si adoperarono per seppellire tutto ciò nella terra, ricavandone distese incommensurabili di vigne. Roma era tutta una vigna.
Successivamente vi fu il recupero dei marmi e per rivendere le statue e per ricavare marmi per i nuovi palazzi.
Così enormi e splendidi monumenti che nessuno potrà o saprà rifare vennero distrutti, e le statue abbattute vennero prima deturpate e mutilate con un odio che nulla dovrebbe avere a che fare col cristianesimo. Roma non fu distrutta dai barbari ma dai Papi.
"Roma appare oggi nel colore terreo degli splendidi mattoni e laterizi dei suoi resti archeologici. Ma all’epoca dell’impero romano la visione sarebbe stata di un bianco splendente: quello dei marmi dei monumenti, degli edifici e dei colori accesi delle decorazioni.
Che fine hanno fatto? Distrutti nei secoli, saccheggiati, riutilizzati in costruzioni di epoche successive o, peggio, sbriciolati per farne calce.
Ad ottobre torna in libreria, per i tipi di Edizioni Intra Moenia il prezioso volume “La distruzione dell’antica Roma”in cui il celebre archeologo Rodolfo Lanciani, vissuto tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, ripercorre la storia di questa “distruzione”, facendo rivivere al lettore l’emozione e il dolore di un patrimonio monumentale purtroppo andato in gran parte disperso."
Ad ottobre torna in libreria, per i tipi di Edizioni Intra Moenia il prezioso volume “La distruzione dell’antica Roma”in cui il celebre archeologo Rodolfo Lanciani, vissuto tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, ripercorre la storia di questa “distruzione”, facendo rivivere al lettore l’emozione e il dolore di un patrimonio monumentale purtroppo andato in gran parte disperso."
RODOLFO LANCIANI
"Un giorno non molto tempo fa, mi ero seduto all'estremità meridionale del Palatino...ero giunto alla conclusione che proprio in questo luogo era sparito un palazzo lungo 150 metri, largo 118, alto 50...Chi ha raso al suolo questo colosso?....
Dei settantacinque chilometri di banchi di marmo del Circo Massimo non rimane nemmeno un frammento. Come ha potuto scomparire una tale massa di pietra? Mistero."
Conviene prima di ogni altra cosa distinguere le officine dei tempi classici da quelle posteriori alla rovina della città, e proprie dei marmorarii romani dei sec. XII-XIIL
Conviene prima di ogni altra cosa distinguere le officine dei tempi classici da quelle posteriori alla rovina della città, e proprie dei marmorarii romani dei sec. XII-XIIL
- Le classiche, come è facile intendere, stanno sempre al piano della città antica, sepolte sotto quello stesso strato di macerie che ricopre i grandi edifizii dell' impero.
- In secondo luogo non contengono marmi di seconda mano da adattarsi a nuovi usi, ma marmii grezzi con sigle di cava, e date consolari, pur ora acquistati dalla « ratio marmorum ».
- In terzo luogo vi si trovano busti e statue appena abbozzate di martellina (simile al martello impiegato in scultura e in falegnameria) insieme a quelle già condotte a pulimento e pronte per la vendita.
- La quarta caratteristica è più singolare. In queste botteghe si trovano spesso figure, mezze figure, busti, teste di Daci prigioni, scolpite in pavonazzetto:
- cosi in quella scoperta nel luglio 1841 in via de Coronari n. 211,
- in quella scoperta nel 1859 in via del Governo vecchio n. 46-47,
- in una terza trovata nel 1870, circa, sotto la casa Massoli in via dei Coronari,
- in una quarta trovata sotto Clemente X accanto la casa Odam nel vicolo del governo Vecchio, e così via discorrendo.
- L'ultimo argomento è quello del sito. Queste botteghe stanno aggruppate nel lembo settentrionale della pianura cistiberina, fra l'Agone e Ponte, ossia fra la « Statio » dell'Amministrazione dei marmi presso s. Apollinare, ed il molo di sbarco alla Torre di Nona, descritto dal Marchetti nel Bull, cora., tomo XVIII, a. 1891, p. 45 sg. Affatto diverse sono le caratteristiche delle officine del medio evo e dei primi anni del rinascimento.
I OFFICINA
Nell'ultimo quarto del cinquecento scavandosi nella vigna dei Vittori presso l'antica porta Portese, nel sito dei giardini di Cesare, fu trovata un' officina marmoraria ricavata alla meglio da due stanzoni antichi. Era piena di statue e di teste di filosofi e imperatori « che furono divise tra l' antiquario de' Vittorj e quello del card. Farnese. "
Vi si trovarono ancora alcuni strumenti da scultori, che sembra vi fossero portati per rassettare o sterpire da qualche materiale scultore, e poi per repentino bando papale fossero ricoperte » Vacca, Mem. 96.
II OFFICINA
Negli scavi del giardino delle Mendicanti, dell'anno 1776 al 1780, parve agli archeologi presenti di riconoscere in un' angolo di quella vaga fabbrica « lo studio di uno scultore addetto al servizio imperiale; le molte teste e busti d' imperatori non terminati di restaurare, i frammenti di mani con globo, non ancora compiti, fecero formare tale idea di questo luogo » Venuti R. A., tomo I, p. 60.
Dalle notizie che pubblicherò intorno questi scavi famosi nel volume III risulta trattarsi invece dell'officina degli scultori che restauravano busti e statue per conto o di Eurialo Silvestri, o del cardinale Alessandro De Medici arcivescovo di Firenze, i giardini dei quali si estendevano dalle Mendicanti sino al Colosseo.
III OFFICINA
Nel 1823, fondandosi la casa situata nella via dei Quattro Cantoni ai n. 46-48, appartenente a Giovanni Batt. Frontoni, fu trovata una altra officina costrutta a maniera di capannone. Le servivano di recinto alcune pareti antiche di mediocre cortina. rivestite di marmo, ma nel mezzo dell' ambiente si vedeva una fila di massi di travertino con un foro nel quale era piantata la trave verticale destinata a sostenere le incavallature del tetto. In questo ed in un vicino ambiente furono scoperte:
- sei statue marmoree spezzate ab antico a colpi di mazza sulle gambe, perchè restassero più facilmente atterrate
- alcuni frammenti di antica scultura, e varie parti di cattivo restauro, preparate per ricomporre le statue, come dita, braccia, mani, piedi (Bart, Meni. G8-70 ; Bull. coni. 1891, p. 32 sgg. 10)
- martellino di ferro, dei soliti adoperati dagli scultori
- un grosso mucchio di arena da segatore
- una colonnina di marmo bianco incominciata a segare
- marmi grezzi,
- due pezzi di colonne di bigio,
- capitelli corinzii abbozzati.
Delle sei statue, acquistate da Ignazio Vescovali:
- la prima era copia in pentelico del Fauno di Prassitele. Aveva il naso e l'estremità del piede sin. preparati per il restauro: che anzi fu pur trovato rifatto, ma non posto a luogo, il pezzo del piede mancante: e perchè questo era riuscito più basso della misura richiesta, perchè combaciasse, si era incominciato a limare il piede antico per adattarlo a questo bel risarcimento.
- La seconda statua, pure di Fauno o Satiro, mostrava nella sin. il pedo di mediocre restauro.
- La terza, copia della precedente, aveva preparata al restauro l' attaccatura del braccio destro e di varie dita, e già racconciato il pube come nella prima.
- La quarta è il Marsia di Mirone del museo Lateranense (Helbig, voi. I, p. 486, n. 661):
- le due ultime rappresentano Ninfe che si tengono una conca dinnanzi con ambe le mani, ignudo dal mezzo in su, figure che nella prima metà del corrente secolo sole- vano dirsi Appiadi, quasi che tutte la sola acqua appia versassero.
- Si ritrovò pure la metà superiore di un Bacco ed altri frammenti di minor conto. Vedi P. E. Visconti in Atti Accad. pontif. Arch. tomo II, p. 643.
IV OFFICINA
Il 10 marzo del 1874 scavandosi sul confine della villa Altieri, a poca distanza dal sito nel quale l'anno 1583 furono scoperti i simulacri dei Niobidi e dei Lottatori, si trovò un piano coperto di arena da segatore sul quale giacevano molti marmi grezzi e operati. Il più notevole è quel blocco di porfido vergato di colpi di sega, che si vede nel cortile del museo Capitolino. Misura mq. 2,44 ed è grosso in media m. 0,19.
V OFFICINA
L'anno 1886, il 24 maggio, discoperta una quarta bottega da marmorario negli scavi del palazzo della Banca d' Italia, nell' orto già Mercurelli in via Mazarino. L" officina comprendeva almeno due ambienti, già appartenuti ad una " domus " patrizia forse di Giulio Frugi, forse di Poblicio Nicerote.
- Nel primo ambiente stava diritto in piedi, con la schiena appoggiata alla parete di fondo, il bel simulacro di Antinoo illustrato dal Visconti nel Bull. com. 1886, p. 209 sg., tav. VII. Il plinto posava, non sul pavimento della stanza, ma sopra uno strato di rottami, alto m. 1,75. La statua è stata dunque collocata in quella postura, quando 1' edificio classico era già sepolto sotto un banco di calcinacci grosso quasi due metri.
La statua inoltre non è indigena, ma viene forse dall'ottavo miglio della Nomentana, tenuta delle Vittorie, quarto di Valle Valente: e siccome era stata trovata per quelle campagne nel fondo di un fosso, le cui acque sature di carbonato 1' avevano coperta di incrostazioni calcari, pare che gli scopritori abbiano cercato raschiarla, e restituirle il pulimento, come dice il Vacca essere avvenuto degli ermi degli orti di Cesare. (Fabroni, Diss. sulle statue appartenenti alla favola della Niobe. Firenze, 1779, p. 20. (2) Bull. com. 1886, p. 184 sgg. (^j Ivi, 1887, p. 18, n. 1704).
- Il secondo ambiente fu trovato pieno di marmi, spoglie di antiche fabbriche già cadute in rovina. Vi erano fusti di colonne di giallo, e di africano, blocchi di caristio e di travertino, i quali mostravano fino a tre o quattro colpi di sega. L'anno seguente furono ritrovati quattro blocchi di pavonazzetto sui quali era scritto, in caratteri attribuiti al secolo settimo od ottavo. "Urani trib. et noi".
VI OFFICINA
Il giorno 15 nov. 1890, cavandosi nel nuovo Macello Comunale al Testaccio, fu scoperto 1' atrio di una casa romana con peristilio di colonne di tufa rivestite d' intonaco monocromo, occupata in epoca assai tarda da uno scalpellino.
L' industria del quale sembra essere stata quella di raccogliere marmi di vecchie fabbriche abbandonate per adattarli a nuova forma a seconda dell' occasione del giorno. In uno spazio di pochi metri quadrati si trovarono diciotto fusti di colonne disposti parallelamente con un certo ordine, e poi rocchi, basi, capitelli, e scaglioni di varia specie.
VII OFFICINA
E qui occorre ricordare che quando si scavava il cosidetto Emporio Tiberino per la cloaca della via Gustavo Bianchi si riconobbe che gli antichi ambulacri e i voltoni rappresentati nella tav. V, p. 157 della terza dissertazione " de Aquis " del Fabretti, avevano servito per molti anni di cantiere ad una colonia di marmorarii: che questa colonia lavorava quasi esclusivamente quattro specie di marmi, il porfido, il serpentino, il giallo, il pavonazzetto, in quantità spaventevole: e finalmente che produceva opere assai minute, perchè i massi da lavorare cubano pochi decimetri, e le scaglie dei piccoli blocchi già lavorati sono assai minute.
VIII OFFICINA
Un ottavo cantiere pieno di marmi per uso di chiese e di chiostri fu trovato nel 1885 quando si tagliava l'orto dei Passionisti alla Scala Santa per lo sbocco del viale Emmanuele Filiberto in piazza di s. Giovanni. E delineato nella tav. XXII della Forma Urbis.
IX OFFICINA
Il nono appartiene alla basilica Giulia, ove, nei primi scavi del 1871, si trovò il pavimento antico coperto da un sottile strato di terriccio, e su questo un banco di scaglie minute di travertino grosso circa m. 1.50. (Vedi Bull. List. 1871, p. 243.)
X OFFICINA
Il decimo fu scoperto l'anno 1878 nella casa augnstana sul Palatino. Anche qui il piano era coperto da uno strato di scaglie di marmo statuario e di arena da segatore grosso m. 1,25. Su questo strato, sostenuta da due baggioli o cuscini di pietra, giaceva la bella statua di Hera del museo Nazionale (Helbig, Guide, tomo IL p. 195, n. 974).
XI OFFICINA
Il più notevole fra questi cantieri di recente scoperta è quello dei marmorarii di Raffaele Riario card. di s. Giorgio, il costruttore del palazzo della Cancelleria. Si sa che il nipote di Sisto IV mise a contribuzione parecchie petraie, e contribuì alla distruzione del tempio del Sole di un ignoto edifizio vicino a s. Eusebio del Colosseo (?) e sopratutto dell'arco creduto di Gordiano al Castro pretorio. Per ridurre ai nuovi usi i marmi di quest'ultimo, si costruì una tettoia in un punto che oggi corrisponde a metà di via Gaeta, lungo e sotto il muro di cinta della villa della Somaglia.
Qui l'officina fu ritrovata il 21 ottobre 1871, e se ne ha un cenno dal Vespignani nel Bull. com. tomo I, p. 103 sgg. tav. II (cf. p. 234, tav. II). I massi del cornicione e le sculture figurate dell'arco giacevano, non sul piano antico profondo sei metri, ma sopra un piano di scarico, dai 2 ai 3 metri sotto il marciapiede di via Gaeta: e non erano ammassati e confusi insieme come se precipitati dall'alto, ma regolarmente adagiati sopra conci di pietra, nel modo stesso col quale i nostri scalpellini sogliono collocare i massi da sottoporre alla sega.
Gli artefici del card, di s. Giorgio e l'architetto della Cancelleria, Antonio da Sangallo il vecchio (0 hanno dunque scelto un sito non molto discosto da quello dell'arco per lavorarne i marmi architettonici, i bassorilievi, e le iscrizioni, a fine di risparmiare il trasporto alla Cancelleria stessa delle parti non opportune alla nuova destinazione. Questa officina è dell'anno 1485 o 1486: ma quale sarà la data delle altre?
XII OFFICINA
P. E. Visconti, descrivendo le scoperte del 1823 ai Quattro Cantoni, crede che la bottega appartenesse a restauratori di statue « di tempi più ai nostri che agli antichi vicini» e «che sia andata a male nelle luttuose calamità che afflissero Roma nel secolo XVI » cioè nel sacco del 1527.
Che cosa abbian da fare le luttuose calamità di quei tempi con le sei statue scoperte agli Otto Cantoni è difficile di indagare: ma è giusto ricordare a sostegno dell' opinione del Visconti che, a poca distanza dal sito di quella bottega, il card. di s. Angelo, Giuliano Cesarini, aveva inaugurato il 20 maggio 1500, il primo museo-giardino statuario aperto al pubblico in Eoma. (Vedi il cod. angelic. 1729, e. 12 e la « lei hortorum » elegantissima ap. Schrader, e. 217').
XIII OFFICINA
Anche lo studio di restauro scoperto nel 1776 alle Mendicanti è legato, come dissi poc'anzi, col museo- giardino Silvestri-De Medici.
XIV OFFICINA
Il cantiere della scala santa può avere relazione coi lavori del Vassalletto nel chiostro Lateranense del 1230 circa, o con quelli di Nicolao di Angelo di Paolo nel portico della stessa basilica del 1175 circa.
(Per il caso della basilica Giulia, si può pensare invece alla società per la produzione della calce quivi stabilitasi nel 1426).
XV OFFICINA
Per l'interpretazione degli altri casi conviene ricorrere, a mio giudizio, a una notizia rimasta per tanti anni negletta negli scritti del Winckelmann, e che il Marucchi ed io abbiamo dì nuovo pubblicata. Il Winckelmann descrive una statua della raccolta Verospi rappresentante Esculapio, sul plinto della quale era inciso il nome di uno degli illustri Vassalletti che fiorirono nella seconda metà del secolo XII nella prima del XIII.
Questa statua di Esculapio è stata certamente in piedi nello studio dei Vassalletti, come 1' Antinoo della Banca d' Italia è stato in piedi nello studio di qualche altro artefice. Al quale proposito ricordo che fra i marmi del chiostro lateranense v'è una serie di squisite figurine d'alto rilievo, che credo provenire dal ciborio di s. Matteo in Merulana.
La testa della figura di s. Giovanni Battista è certamente modellata su quella di un Antinoo. (Lanciarli, Arcliiv. S. R. S. P. tomo VI, p. 227; Gnoli, Archivio Stor. dell'Arte, Anno V 1892, fase. Ili, p. 17G s<;g. Winckelmann, Storia deirarto, ediz. Fea, tomo II, p. 1-14 ; Lanciani, Pagan and Chr. Rome, p. 240 sgg. De Rossi, Bull, crist. 1891, p. 93.)
Che poi i due Vassalletti, architetti e scultori ornatisti del detto chiostro, coltivassero lo studio dell'arte antica lo dimostrano le sfingi quivi scolpite a sostegno dell'archetto d' ingresso dalla parte di ponente. Anche la porta di s. Antonio all' Esquilino (a. 1269) ha sfingi che sostengono colonnette.
Si è voluto attribuire l'ispirazione di queste opere ai racconti dei pellegrini di Terrasanta o dei Crociati: ma non c'era necessità di ricorrere ai monumenti dell'Egitto, quando Roma stessa offriva ai proprii artisti modelli eccellenti nel dromos dell'Iseo Campense, e nel recinto della Isis Metellina della III regione, posto a pochi passi di distanza dal Laterano e da s. Antonio.
XVI OFFICINA
L' Esculapio Verospi non è la sola opera d'arte antica proveniente dalle botteghe dei marmorarii romani del secolo XII e XIII.
A destra dell' ingresso attuale di s. Stefano Rotondo sta una cattedra balneare marmorea, sulla quale vuole la tradizione che s. Gregorio recitasse alcuna delle sue omelie. E molto più probabile che sia stata messa in quel luogo al tempo d'Innocenzo II (1130-1143) costruttore del vicino portichetto. Nel suppedaneo della cattedra è inciso il nome di un M.\Gisler IOH«/?/egS che l'ha posseduta, e forse ripulita e acconciata.
XVII OFFICINA
Ricordando in ultimo luogo le circostanze che accompagnarono la scoperta sopracitata del cantiere all' Emporio tornano subito al pensiero i pavimenti, gli amboni, i ciborii, i mausolei, incrostati di tasselli di porfido e di serpentino, opere caratteristiche della scuola romana che si dice ordinariamente Cosmatesca, ma che comprende invero quattro grandi famiglie:
- quella « filiorum Pauli " fiorita nella metà del secolo XII:
- quella detta di Lorenzo, o dei Cosmati che fiorì per cinque generazioni, dalla fine del secolo XII alla fine del XIV:
- quella dei tre forse quattro Vassalletti che fiorì dal 1153 alla seconda metà del mille dugento:
- quella di Ranuccio Romano, dei suoi figliuoli (Petrus, Nicolao) nipoti (Giovanni, Guit- tone) e pronepote (Giovanni), che fiorì dal 1143 al 1209 (3).
L'ARTE CHE UCCIDE L'ARTE
La sola notizia eh' io possa aggiungere a quanto è stato scritto finora intorno questi precursori del Rinascimento, concerne il sito dello studio o bottega dei Cosmati. In una carta del 22 settembre 1372, in atti di Paolo Serromani prot. 649 e. 14, A. S. C. madonna Oddolina vedova di Corraduccio Mastrone, dichiara al giudice palatino di avere ereditato, fra molti stabili « unam domum positam in regione pinee inter hos fines. ab uno latere tenet Coluccia marmorarius, et heredes Gosmati marmorarii, ab alio latere tenet domina (sic) a duobus lateribus sunt vie publice » .
Un altro atto contemporaneo del notare Gianpaolo Goiolo, prot. 849 e. 325 A. S. con la data data del 14 decembre 1412, parla di una vigna degli eredi stessi in via Ardeatiua. e fornisce notizie biografiche sul Coluccia marmorarius. « In presentia mej notarij pauliis cole gratianj dictus alias paulus talgialoiito marmorarius de Regione pinee preseutibiilt; diìa angela uxore sua et colutio filio ipsius pauli et diete dtie angele veudidit bartolomeo guillelmj de Sicilia. Idest duas petias vince ipsius pauli plus vel initius quante sunt cum parte vasce vascalis et tinj esistente in eis et cum candele existenti » (Bull. com. 1887, p. 99; De Rossi. Bull, crist. 1891, p. 91 segs C, Cf. Stevenson, Mostra di Roma. p. 173. Bull, crist. 1875. p. 122. 14)
SCAVI DEI MARMORARII
« in eis et cum parte cisterne existentis in eis que vinea posita est extra portam apie in loco qui dicitur la torre de perolj in proprietate dae andree uxoris condam barthellutij de marrance (Tor Marrancia!) inter hos fines ab uno latere tenet paulus thome verallj ab alio latere tenent heredes quondam gosmati marmorarij ante est via publica. Hanc autem venditionem fecit dictus paulus eidem bartholomeo emptori predicto prò pretio octo florenorum » .
Le opere dei marmorarii di Roma e delle province si collegano alla storia degli scavi per tre motivi. In primo luogo essi « prescelsero per le fasce ed i meandri dell'opus tessellatum dei pavimenti, degli amboni e d'ogni altra marmorea decorazione, le pietre cemeteriali, e ne fecero lo sciupo e la strage che nelle romane basiliche tuttora vediamo. La varia sottigliezza di quelle lastre e la loro forma oblunga assai si prestavano all'uopo dell' opera predetta. Così alle romane catacombe in tanti modi spogliate e devastate toccò anche la sventura d' essere ai marmorarii romani quasi miniera di lastre » (De Rossi, Bull, crisi 1875, p. 130).