PUBLIO CLODIO PULCRO |
Nome: Publius Clodius Pulcher
Nascita: Roma 93-92 a.c.
Morte: Bovillae 52 a.c.
Professione: Politico
Publio Clodio Pulcro (ovvero Publius Clodius Pulcher) nacque a Roma il 93 o 92 a.c. e morì a Bovillae nel 52 a.c. e fu un dibattutissimo politico romano.
- 73 a.c. - Il re del Ponto, Mitridate VI.
Nel 73 a.c. il re del Ponto Mitridate VI, alleato con il genero Tigrane II, invase la provincia romana di Bitinia, e successivamente quella d'Asia. Il comando delle legioni fu affidato a Lucio Licinio Lucullo, cognato di Clodio, che guidò con successo una controffensiva in Bitinia e Galazia e sconfisse Tigrane nel 69 a.c.
Tuttavia i legionari, temendo di doversi addentrare nel territorio asiatico, si ammutinarono per ben due volte, costringendo Lucullo a ritirarsi verso sud. Clodio, che partecipando alla spedizione saliva il primo gradino del cursus honorum, ebbe in quel frangente modo di fomentare il malcontento che covava tra i legionari e contribuire al loro definitivo ammutinamento,che permise a Mitridate e Tigrane di riconquistare le terre che Lucullo aveva loro strappato.
« Allora [Clodio] prestava servizio militare con Lucullo, senza essere tenuto - così credeva - in tanto onore quanto meritasse. Riteneva di essere il primo fra tutti, ma poiché per il suo carattere era lasciato dietro a molti, cominciò a metter su i soldati già appartenenti all'esercito di Fimbria e a incitarli contro Lucullo, diffondendo cattivi discorsi a uomini che non erano né mal disposti né disabituati a lasciarsi trascinare dalle arti della demagogia.... Colpito nel morale [dai discorsi di Clodio], l'esercito di Lucullo si rifiutò di seguirlo contro Tigrane e contro Mitridate. »
(Plutarco, Vite parallele. Lucullo)
La figura di Lucullo stava già subendo, all'epoca, un forte declino: il senato non ne tollerava l'arbitrarietà, i populares i trascorsi sillani, mentre gli equites lo accusavano di star prolungando la guerra in Oriente. Le province dell'Asia Minore furono riassegnate ad altri magistrati, in modo tale da diminuire sempre il territorio della giurisdizione di Lucullo.
- 67 a.c. - La guerra ai pirati
Nel 67 a.c. il tribuno Aulo Gabinio propose, per contrastare il fenomeno dei pirati, una legge straordinaria che assegnasse a Gneo Pompeo l'imperium su tutta l'area mediterranea. Le pressioni del popolo, sobillato dal giovane Gaio Giulio Cesare, costrinsero il senato ad approvare la proposta, e Pompeo poté debellare i pirati in pochi mesi. Il tribuno Gaio Manilio, dunque, propose nel 66 a.c. una nuova legge con la quale fece assegnare allo stesso Pompeo il comando della guerra mitridatica.
L'azione di Clodio, che aveva favorito il fallimento di Lucullo (anche fomentando una ribellione tra le sue truppe durante l'assedio di Nisibis), assecondava, dunque, quelli che erano gli interessi di Pompeo e della classe politica romana. Il giovane, tuttavia, per evitare la probabile vendetta legale di Lucullo, nel 67 a.c. decise di rifugiarsi nella provincia di Cilicia, che era stata assegnata al cognato Quinto Marcio Re.
Marcio Re, che doveva anche a Clodio la sua nomina a governatore provinciale, confidando forse nelle doti militari del giovane, lo pose a capo di una flotta. Mentre si trovava in viaggio per mare, Clodio fu catturato da alcuni pirati, che lo tennero in prigionia fino alla vittoria di Pompeo.
Per ottenere la libertà, il giovane chiese al re di Cipro Tolomeo XII di pagare il riscatto che i pirati chiedevano, ma questi offrì soltanto due talenti, suscitando lo sdegno di Clodio. Secondo Cicerone, il giovane fu costretto, durante la prigionia, a soddisfare i desideri sessuali dei suoi carcerieri. Tornato in libertà, Clodio si recò in Siria ad Antiochia dove, nel tentativo di favorire l'ascesa del protetto di Marcio Re, Filippo II, cercò di sobillare la popolazione contro gli Arabi che appoggiavano il rivale Antioco XIII; la sua iniziativa, tuttavia, non ebbe successo, e Clodio rischiò anche di rimanere ucciso.
- 66 - 63 - Il divorzio
Rientrato in patria ed evitata la vendetta di Lucullo, non poté far altro che divorziare da Clodia.
- 65 a.c. - Processo a Catilina
Clodio fece il suo esordio nel mondo forense nel 65 a.c. Il nobile decaduto Lucio Sergio Catilina, che aveva presentato la sua candidatura per il consolato del 64 a.c., era stato accusato di concussione: prima che la sua candidatura potesse essere accolta, dunque, era necessario che venisse dichiarato innocente del reato di cui era accusato.
Ad assumere il ruolo di accusatore in quel frangente fu proprio Clodio: era infatti uso comune che i giovani delle famiglie nobili esordissero nella vita pubblica della città nei processi a cittadini piuttosto in vista.
Ad assumere il ruolo di accusatore in quel frangente fu proprio Clodio: era infatti uso comune che i giovani delle famiglie nobili esordissero nella vita pubblica della città nei processi a cittadini piuttosto in vista.
La presenza di una personalità ambigua come Clodio nel ruolo di accusatore, tuttavia, fece pensare al grande oratore Marco Tullio Cicerone di assumere la difesa di Catilina: sembrava dunque facile corrompere l'accusatore in modo tale che l'imputato uscisse assolto dal procedimento.
Per motivi personali, Cicerone abbandonò poi il proposito di difendere Catilina, ma questi fu comunque assolto grazie all'aiuto del ricco Marco Licinio Crasso.
- 63 a.c. - La Congiura di Catilina
Esponente dell'importante gens aristocratica dei Claudii, che vantava fra gli antenati Appio Claudio Cieco, si avvicinò alla fazione dei populares, naturalmente accusato dagli optimates di sovversione e corruzione. In occasione della congiura di Catilina, nel 63 a.c., collaborò con Cicerone, che tuttavia ebbe la memoria corta e testimoniò contro di lui nel 61 a.c., durante il processo per lo scandalo della Bona Dea, processo nel quale fu tuttavia assolto perché i giurati furono corrotti da Crasso e Cesare non si pose tra gli accusatori.
La permanenza nella provincia, tuttavia, permise a Clodio di stringere una solida amicizia con Murena, che gli affidò probabilmente il ruolo di sequester per la sua campagna elettorale per il consolato, nel 63 a.c. Grazie anche alla corruzione dell'elettorato, Murena riuscì vincitore nelle elezioni, e fu sottoposto anch'egli ad un processo dal quale, tuttavia, uscì indenne.
Risulta tuttavia poco chiaro il ruolo di Clodio nella vicenda, che, secondo Cicerone, si sarebbe appropriato delle somme destinate alla corruzione del popolo. A occupare la scena politica nel 63 a.c. fu comunque la congiura di Catilina: questi, che non aveva potuto presentare la candidatura al consolato nel 65 a.c. a causa del processo che lo vedeva accusato, non era stato eletto neppure nelle elezioni dell'anno successivo.
- 62 a.c. - Matrimonio con Fulvia
Nel 62 o nel 61 a.c., Clodio sposò Fulvia. Ella, sebbene di lontane ascendenze plebee, era stata adottata dal console del 62 a.c., Lucio Licinio Murena e possedeva un discreto patrimonio.
Dotata di un carattere autoritario ed irruente, Fulvia riuscì a sottomettere a sé Clodio, ma non gli fece mai mancare il suo sostegno durante tutta la sua vicenda politica, e gli rimase sempre fedele.
I due generarono due figli: un maschio, Publio Claudio, che raggiunse la pretura attorno al 30 a.c. e che morì poi ancora in giovane età a causa degli stravizi, e una femmina, Clodia Pulcra, che attorno al 43 a.c. divenne moglie di Ottaviano. Rimane sconosciuto il percorso educativo di Clodio, assieme al suo carattere e al suo aspetto: non se ne ha infatti nessuna rappresentazione.
Ripresentò la propria candidatura anche per il 62 a.c., ma venne sconfitto, mentre risultò eletto, nonostante l'accusa di corruzione, Murena. Catilina, dunque, iniziò ad organizzare un complotto, che probabilmente godeva anche dell'appoggio iniziale di Cesare e Crasso, con il fine di impadronirsi del potere e cancellare il predominio dell'oligarchia senatoria.
Nel suo programma proponeva provvedimenti rivoluzionari a favore del popolo, tra cui l'abolizione dei debiti e una radicale riforma agraria. Grazie all'intervento del console Cicerone, tuttavia, Catilina fu costretto a lasciare Roma, mentre i suoi complici rimasti nell'Urbe furono arrestati il 3 dicembre.
- 62 a.c. - Lo scandalo della Bona Dea.
Nel 62 a.c., Clodio fu eletto questore per il 61 a.c., e alla fine dell'anno era dunque in attesa di ricevere l'incarico di amministratore delle finanze in una provincia. La notte tra il 4 e il 5 dicembre, si festeggiavano, in onore della Bona Dea, i Damia: i riti, che quell'anno si svolgevano nella casa di Cesare, pontefice massimo e neoeletto pretore, erano interdetti agli uomini e officiati dalle sole donne.
Clodio, che era amante della moglie di Cesare, Pompea, decise di intrufolarsi nella casa mentre erano in corso i preparativi per la festa: travestitosi da flautista per mantenere nascosta la propria identità, fu accolto da un'ancella di Pompea, di nome Abra, che era al corrente della relazione. Tuttavia, quando Abra si allontanò per avvisare Pompea dell'arrivo dell'amante, Clodio fu scoperto da un'altra ancella: al suo grido, accorsero le altre donne presenti in casa, e la madre di Cesare Aurelia Cotta, che coordinava i preparativi, scacciò Clodio.
Non sono chiare le motivazioni che indussero Clodio a compiere un simile atto: non sembra sufficiente il semplice ricorso alla relazione amorosa con Pompea, ma si pensa piuttosto ad una bravata giovanile o ad un atto di sfida contro il console Cicerone, cui l'anno prima era stato rivolto, secondo le vestali, un auspicio favorevole dalla Bona Dea.
La vicenda non ebbe, in principio, grandi conseguenze; lo stesso Cicerone, anzi, ne parlava così in una lettera all'amico Tito Pomponio Attico: « Publio Clodio, figlio di Appio, è stato colto in casa di Gaio Cesare mentre si compiva il sacrificio rituale per il popolo, in abito da donna, ed è riuscito a fuggire via solo per l'aiuto di una servetta; grave scandalo; sono sicuro che anche tu ne sarai indignato. »
(Cicerone, Lettere ad Attico)
Processo ai congiurati di Catilina
Cesare propose che i congiurati venissero semplicemente condannati al confino e alla confisca dei beni, ma ad avere la meglio fu Marco Porcio Catone, che sosteneva la necessità di una condanna a morte. A dover ratificare la condanna a morte fu lo stesso Cicerone, che evitò di concedere ai catilinari la provocatio ad populum, ovvero l'appello al popolo cui tutti i cittadini romani condannati a morte avevano diritto.
Prima ancora che Catilina, nei primi giorni del 62 a.c. venisse sconfitto e ucciso a Pistoia, a Cicerone furono rivolte le prime accuse, destinate a rimanere senza alcun esito al momento, riguardo al suo comportamento. Durante tutta la vicenda della congiura, Clodio, profondamente legato a Murena, si mantenne fedele a Cicerone, di cui fu convinto collaboratore e guardia del corpo, allontanandosi da Catilina.
Tutta la famiglia di Clodio aveva buoni rapporti con il console: il fratello maggiore, Appio, che rivestiva il ruolo di augure, previde nel 63 a.c. una guerra intestina che avrebbe sconvolto in quello stesso anno Roma, conquistandosi così le simpatie di Cicerone, e rivestì alcuni ruoli ufficiali durante il processo dei catilinari.
Quando, più tardi, i rapporti fra Clodio e Cicerone si incrinarono, questi accusò il suo ex collaboratore di aver partecipato attivamente alla congiura e di essere stato vicino a Catilina fino al momento in cui egli fuggì da Roma.
CERIMONIA DELLA BONA DEA |
- 61 a.c. - Processo per il reato contro la Bona Dea
Il 1º gennaio 61 a.c. il cesariano Quinto Cornificio segnalò davanti al senato la vicenda, e fu dunque necessario istituire un processo contro Clodio, mentre le vestali e i pontefici ordinarono che si officiassero nuovamente i Damia.
L'accusa mossa a Clodio era quella di incestus, e i consoli dovettero dunque far approvare da un'assemblea popolare una legge che stabilisse la composizione della giuria che avrebbe giudicato il reo. Il senato desiderava che si affidasse l'inchiesta ad un pretore urbano, per evitare che il popolo approvasse una lista di candidati tra cui sarebbero poi stati scelti i giudici.
Per favorire Clodio, il console Marco Pupio Pisone Frugi Calpurniano presentò una legge che proponeva la selezione di una giuria; sapeva che non l'avrebbero approvata, ma avrebbe causato disordine e magari salvare salvare Clodio. Pompeo, tornato in patria non intervenne in favore di Clodio, visto che era nemico sia di Lucullo che di Catone.
Infatti la proposta fu respinta proposta, ma i seguaci di Clodio, guidati dall'amico Curione, scatenarono gravi disordini nella città. Il senato allora accellerò il processo di Clodio, che venne aperto alla metà di aprile: le testimonianze contro Clodio furono schiaccianti, e molti ricordavano il suo pessimo comportamento passato. Clodio fu costretto ad allontanare parte dei suoi servi dall'Italia per evitare che si decidesse di interrogarli sotto tortura, ma a confermare la sua colpevolezza furono soprattutto la madre e la sorella di Cesare.
Cesare, invece, decise di non testimoniare contro Clodio, desiderando probabilmente di ottenere l'amicizia di un uomo che godeva ampiamente del favore della plebe e di una personalità autorevole come Pompeo. Il pontefice massimo ripudiò tuttavia la moglie Pompea, sostenendo che sembrasse opportuno che della sua moralità non si dovesse neppure sospettare. Pompea, che appariva complice del reato, non fu infatti neppure chiamata a testimoniare.
Di fronte a tante testimonianze, la difesa di Clodio decise di respingere le accuse avvalendosi di false testimonianze e sostenendo che il giovane durante i Damia si fosse in realtà trovato ben lontano da Roma. Tuttavia, per motivi politici o per prudenza, Cicerone, che era con Clodio in ottimi rapporti, testimoniò di aver incontrato Clodio a Roma poche ore prima che si intrufolasse nella casa di Cesare.
La testimonianza suscitò meraviglia e stupore, scatenando nuovi disordini. Cicerone si giustificò così: « Constatato quanti pezzenti erano tra i giudici, ammainai le vele e nella mia testimonianza mi limitai a deporre quello che, essendo di dominio pubblico, non si poteva passare sotto silenzio. »
(Cicerone, Lettere ad Attico)
I sostenitori di Clodio, che ora rischiava la condanna a morte o l'esilio, assediarono il tribunale, e il pretore che gestiva l'inchiesta fu costretto ad assegnare una scorta armata ai giudici e a rinviare di due giorni la sentenza.
Grazie all'aiuto finanziario di Crasso, tuttavia, Clodio riuscì a corrompere la maggior parte dei giurati, e pochi giorni più tardi fu assolto per trentuno voti a venticinque. I voti in favore dell'assoluzione furono espressi in prevalenza da equites e tribuni dell'Erario, mentre i senatori votarono per la condanna.
Cicerone fu poi chiamato a relazionare sulla vicenda, e, paragonando Clodio a Catilina rinunciò all'amicizia con Clodio, che invece fu inviato ad esercitare la questura in Sicilia, dove si recò attorno alla metà di maggio per fare ritorno a Roma dopo un solo anno.
Nell'Urbe, intanto, Catone spinse il senato a punire i cavalieri che avevano permesso l'assoluzione di Clodio: quando questi fecero però bloccare il processo che li vedeva indagati, il senato tolse loro l'appalto per la riscossione delle imposte nella provincia d'Asia, che costituiva per loro una delle maggiori fonti di reddito.
- 60 a.c. - Da patrizio a Plebeo
A distanza di soli due anni dagli episodi della Bona Dea, decise di disconoscere le proprie origini patrizie per farsi adottare da una famiglia plebea e poter ambire al tribunato della plebe piuttosto che all'edilità. Clodio aveva fatto proporre, da altri tribuni a lui fedeli, una legge che permettesse anche ai patrizi l'accesso al tribunato, ma un tribuno della plebe pose il veto.
Allora Clodio, al suo ritorno a Roma dalla questura in Sicilia pronunciò il 24 maggio del 60 a.c. la "sacrorum detestatio", con cui disconosceva le proprie origini patrizie, un atto grave e difficile, che che richiedeva il consenso dei sacerdoti.
Clodio portò a termine la complessa cerimonia, ma gli optimati gli impedirono la candidatura al tribunato. L'anno successivo però Cesare fu eletto console e si impegnò a soddisfare le richieste dei suoi alleati, Crasso e Pompeo. Permise dunque ai cavalieri di riscuotere nuovamente le imposte in Asia e concesse ai veterani di Pompeo le consuete assegnazioni di ager publicus.
Entrò poi in contrasto coi triunviri rifiutando l'incarico diplomatico in Armenia, per cui a loro volta gli negarono l'accesso alla commissione delle leggi agrarie cesariane.
I triumviri negarono la liceità della transitio di Clodio, mentre questi avanzò la sua candidatura al tribunato per annullare i provvedimenti di Cesare, attirandosi così la simpatia di numerosi optimates. Ben presto, anche il popolo iniziò a dimostrare per Clodio una simpatia maggiore di quella che provava per lo stesso Cesare, che per rappresaglia minacciò la sospensione delle distribuzioni gratuite di frumento. Cesare tentò pure di attirare dalla sua parte Cicerone che però rifiutò.
La "transitio ad plebem" fruttò a Clodio, che già beneficiava dell'appoggio del popolo, una immagine di grande leader. Tutti lo amavano e idolatravano. Per Cicerone invece, il giovane Clodio, dopo la morte di suo padre, si sarebbe lasciato andare a relazioni incestuose con le sorelle e a scandalosi rapporti con vecchi lussuriosi; ma il giudizio di Cicerone sembra poco attendibile. Anche se Clodio, assieme alla sorella maggiore, seppe radunare con sé un folto gruppo di amici, dissoluti eredi delle grandi famiglie aristocratiche, intavolando particolari rapporti con Gaio Scribonio Curione, Marco Antonio e Gaio Licinio Calvo.
- 59 a.c. - Il tribunato
Clodio entrò in carica come tribuno, assieme ai suoi nove colleghi, il 10 dicembre del 59 a.c. (per il 58), e presentò immediatamente quattro disegni di legge con i quali sperava di ottenere l'appoggio di plebei, cavalieri e senatori.
Avrebbe così disposto di un'ampia fascia di sostenitori, la cui consistenza avrebbe a sua volta dissuaso i suoi colleghi tribuni dall'utilizzare il diritto di veto contro i suoi provvedimenti. In agosto, una presunta congiura contro Pompeo, ricompattò i triumviri, che permisero dunque che Clodio potesse essere eletto tribuno della plebe per il 58 a.c.
- 58 a.c. - I Plebisciti
Per intraprendere la sua carriera come populares, Clodio si era fatto adottare da una famiglia plebea e così poté essere eletto tribuno della plebe per il 58 a.c. Qui promosse un'attività legislativa molto intensa, riuscendo a far approvare una serie di plebisciti che indebolirono il senato rafforzando le assemblee popolari, stabilendo tra l'altro l'esilio di Cicerone da Roma.
Grazie all'appoggio popolare, Cesare era riuscito a porre in secondo piano il suo collega nel consolato, Marco Calpurnio Bibulo, agendo liberamente come gli aggradava. Cicerone, nel corso di un processo in cui difendeva il suo collega nel consolato, Gaio Antonio Ibrida, pronunciò alcune dichiarazioni contro Cesare che per questo gradì l'appoggio di Publio contro Cicerone.
Inoltre, godendo del ruolo di pontefice massimo, decise di consentire a Clodio la transitio ad plebem. Con l'assenso dell'augure Pompeo, Clodio fu adottato dal senatore plebeo Publio Fonteio, in realtà più giovane, pur senza ricadere sotto la patria potestas di Fonteio.
- 58 a.c. - Il Velocissimo Legislatore
Il 1º gennaio del 58 a.c. entrarono in carica i consoli Lucio Calpurnio Pisone Cesonino e Aulo Gabinio, fedeli alleati dei triumviri, che gestivano ormai l'attività politica dell'Urbe. Grazie alla ristabilita amicizia con Cesare, anche Clodio poté dedicarsi ad un'intensissima attività legislativa, che lo portò a far approvare dodici o tredici plebisciti in soli cinque mesi, evitando l'opposizione del senato inerme. I risultati che il tribuno ottenne furono notevolissimi, e paragonabili a quelli riscontrati solo nel biennio di attività di Gaio Gracco.
Poiché la fonte principale sull'operato di Clodio è costituita dalle opere del nemico Cicerone, non si hanno giuste informazioni politico. Le prime quattro proposte furono votate, dopo circa venticinque giorni dal momento in cui Clodio le aveva avanzate, il 4 gennaio del 58 a.c.
LE LEGGI DI CLODIO
Lex de collegiis I collegia compitalicia
erano organizzazioni cultuali, con individui di ogni classe sociale, istituite dal re Numa Pompilio per celebrare i riti dei lares compitales, le divinità che sorvegliavano i crocicchi, erano stati sciolti con una legge nel 64 a.c. in quanto considerati fonti di idee sovversive.
La legge prevedeva non solo che i collegia fossero nuovamente istituiti, ma che ne venissero istituiti di nuovi, che fruttarono a Clodio una gran parte dei suoi sostenitori. Pochi giorni prima del voto, Clodio, con l'appoggio del console Pisone, fece celebrare di sua iniziativa i ludi Compitalicii, i festeggiamenti annuali organizzati dai collegia compitalicia, che non si tenevano dal 64 a.c.
Stranamente nemmeno Cicerone si oppose alla proposta di legge.
Lex frumentaria
La seconda proposta avanzata e fatta approvare da Clodio il 4 gennaio fu quella di una lex frumentaria. Dai tempi dei Gracchi c'era a Roma una periodica distribuzione di grano a prezzo politico per le famiglie meno abbienti. Clodio però propose distribuzioni completamente gratuite senza limitare il numero dei beneficiari. Per giunta affidò la cura dell'annona ad un liberto, Sesto Clelio. Fu un colpo per l'erario. Per finanziarlo risultò necessaria la spesa annuale di un quinto delle entrate che Roma riceveva dalle imposte, per 64 milioni di sesterzi.
Le spese, tuttavia, dovevano essere compensate dalle nuove entrate previste a seguito della legge sull'annessione di Cipro, e garantivano a Clodio l'appoggio incondizionato della plebe urbana. A seguito della lex frumentaria, vi fu un netto aumento nelle emancipazioni, poiché i nuovi liberti potevano essere iscritti alle liste dei beneficiari delle distribuzioni.
Così Clodio tentò anche di ostacolare le riforme dell'anno precedente dal console Cesare, che aveva minacciato la cessazione delle distribuzioni di grano. In questo modo il tribuno della plebe sperava di poter acquisire il ruolo di capofazione dei populares, sostituendosi allo stesso Cesare. Quando questi, più tardi, rivestì la dittatura, infatti, dovette tempestivamente ridurre il numero dei beneficiari delle distribuzioni frumentarie.
Legge sull'ostruzionismo
La terza proposta di legge di Clodio liberava l'attività politica dalle costrizioni di carattere religioso cui essa era sottoposta. La legge impediva che, da quel momento in poi, si potessero rinviare le sedute delle assemblee in base agli auspici, e permetteva invece che le sedute si tenessero anche in quei giorni in cui, sempre secondo le antiche consuetudini religiose, non era stato fino ad allora possibile convocarle. La legge impedì agli optimates di bloccare le decisioni delle assemblee popolari.
Legge sul potere dei censori
L'ultima delle proposte avanzate da Clodio il 4 gennaio fu una legge con il compito di regolamentare i poteri dei censori. I provvedimenti proposti furono accolti, e rimasero in vigore fino al 52 a.c.
Fin dal 312 a.c. ai censori spettava la redazione della lectio senatus, la lista di coloro che erano degni di prendere parte all'assemblea. I censori si occupavano inoltre della suddivisione dei cittadini in più categorie secondo il censo di ognuno. La decisione di uno dei due censori non poteva essere contestata, se non con un'onerosa opposizione del collega.
Con questa legge le decisioni dei censori venivano vagliate da un giudizio collegiale, evitando che alcuni entrati di recente nel senato, rischiassero di esserne espulsi per indegnità.
PROCESSO A VATINIO
Dopo i primi successi come tribuno, Clodio si assunse l'incarico di difendere un tribuno filocesariano dell'anno precedente, Publio Vatinio, accusato di aver commesso irregolarità nella sua attività legislativa. Il processo contro Vatinio era un attacco a Cesare, e Clodio poté, difendendo il tribuno sotto accusa, ribadire la sua fedeltà al leader popolare. Clodio si servì dei propri sostenitori e di quelli di Vatinio per esercitare pressioni su coloro che erano incaricati di celebrare il processo.
Annessione di Cipro
Tra febbraio e marzo, Clodio promosse altri tre plebisciti che decretarono l'annessione di Cipro allo Stato romano, il rimpatrio di alcuni esuli a Bisanzio e infine l'allontanamento di Catone da Roma perché sovrintendesse all'esecuzione dei precedenti decreti.
Clodio riuscì a far prevalere, attraverso il volere della plebe, le sue intenzioni su quelle degli aristocratici. Alla sua morte, nell'87 a.c., il re d'Egitto Tolomeo X aveva lasciato il suo regno in eredità a Roma, ma l'Urbe non l'aveva annesso, e nel 59 a.c., anzi, aveva riconosciuto come suo legittimo successore il re Tolomeo XII Aulete, dopo che questi aveva dato ai triumviri 140 milioni di sesterzi.
Clodio, dunque, decise di proporre l'annessione di Cipro, il cui re era fratello minore di Tolomeo XII, per finanziare i provvedimenti conseguenti alla sua lex frumentaria e per risanare il bilancio pubblico: alla proposta seguirono le reazioni favorevoli della plebe e dei cavalieri, che vedevano come un'ulteriore possibilità di arricchimento quella di aggiudicarsi i diritti per l'esazione delle tasse.
Rimpatrio degli esuli di Bisanzio
Dopo l'approvazione della legge sull'annessione di Cipro, Clodio riuscì senza problemi a far approvare un'altra legge che prevedeva il rimpatrio di alcuni esuli nella città autonoma di Bisanzio, da cui erano probabilmente stati espulsi a seguito di qualche avvenimento dell'epoca delle guerre mitridatiche.
Clodio, infine, fece approvare un terzo ed ultimo provvedimento che incaricava Catone di accompagnare gli esuli durante il loro ritorno a Bisanzio e, in seguito, di impossessarsi nel nome di Roma dei beni del re di Cipro, suicidatosi dopo l'approvazione del primo plebiscito clodiano.
Pare che lo stesso Cesare si sia congratulato con Clodio per aver eliminato Catone momentaneamente dalla politica.
Leggi sulle Province Consolari
Clodio decise di determinare per legge le province in cui i consoli in carica si sarebbero recati come proconsoli l'anno seguente. Furono votate, tra marzo e maggio, due leggi sull'argomento: con il primo provvedimento, a Pisone fu affidata la Macedonia, a Gabinio la Cilicia. Qui i proconsoli avrebbero potuto reclutare uomini per l'esercito e nominare i legati, amministrare i fondi pubblici e imporre il proprio volere anche su genti libere.
Lex de capite civis Romani
Nel marzo, Clodio propose una legge per garantire i "diritti costituzionali" del cittadino, limitando il potere del senato e degli ottimati nel corso dei processi: si metteva in discussione la liceità dei senatus consulta ultima, i provvedimenti che il senato poteva adottare in caso di estrema necessità per garantire l'incolumità dello Stato.
Si doveva concedere ai condannati la facoltà di appello al popolo, la provocatio ad populum: sanzionando retroattivamente il comportamento di Cicerone, che nel 63 a.c. aveva permesso la condanna dei Catilinari senza appello al popolo. Cesare fu d'accordo anche per togliersi di torno Cicerone per un pezzo.
Lex de exilio Ciceronis
Molti manifestarono in favore di Cicerone: i cavalieri, appoggiati da buona parte delle popolazioni italiche, si vestirono a lutto e assediarono pacificamente il Campidoglio, ma furono poi costretti a cedere.
Poco tempo dopo alla lex de exilio Ciceronis fu aggiunta una clausola che impediva a Cicerone di avvicinarsi a 400 o 500 miglia dai confini dell'Italia, per cui non poteva rifugiarsi presso i suoi clientes siciliani, e chiunque lo avesse ospitato mentre si trovava all'interno della zona proibitagli avrebbe rischiato la confisca dei beni e la condanna a morte.
Clodio fece vendere, in vantaggio del popolo, gli schiavi e i terreni di Cicerone, e fece abbattere le sue proprietà a Roma, Tusculum e Formia. Lo stesso Clodio si impadronì di parte del terreno su cui sorgeva la casa di Cicerone sul Palatino allargando le sue proprietà.
Il tribuno ordinò inoltre la costruzione, sui suoli appartenuti a Cicerone, di un tempio intitolato alla Libertà, cui fu anche dedicata una statua. I provvedimenti contro Cicerone colpirono anche i suoi familiari: la moglie Terenzia fu più volte vittima di aggressioni, e il fratello Quinto, governatore d'Asia, fu costretto a tornare a Roma per sottostare a un processo per concussione, dal quale uscì però assolto.
Il culto della Grande Madre
Clodio propose entro la metà di maggio un nuovo plebiscito che riguardava l'assetto della Galazia, confermava il titolo di re all'alleato di Pompeo, Deiotaro, riconosciuto da Roma l'anno precedente, ma gli affiancava il genero Brogitaro, a cui veniva attribuita la stessa dignità. A Brogitaro, inoltre, veniva affidato il controllo del santuario di Pessinunte, dedicato alla Grande Madre, che fino ad allora era stato amministrato da Deiotaro. Probabilmente Clodio voleva reimpossessarsi del culto della Grande Madre, che era stato introdotto in Roma dalla sua gens.
Allo stesso tempo, il tribuno colpiva gli interessi di Pompeo nell'area dell'Asia Minore, ponendo i presupposti per il conflitto che di lì a poco lo avrebbe contrapposto al triumviro e ai suoi uomini. Inoltre Brogitaro avrebbe sborzato a Clodio ingenti somme di denaro, ospitalità e aiuto.
CONTRO POMPEO
Approvata la legge sulla Galazia, Clodio, forse sobillato da Cesare, diede inizio all' opposizione nei confronti di Pompeo. Nel mese di maggio, infatti, forte dell'inviolabilità garantitagli dalla carica tribunizia, rapì il principe Tigrane, figlio dell'omonimo sovrano d'Armenia, mentre si trovava in Roma.
Gli uomini di Clodio, sbarcati ad Anzio, si scontrarono con alcuni seguaci di Pompeo ma i Clodiani riuscirono ugualmente a portare a termine la loro missione, riaccompagnando Tigrane in patria.
Le bande armate dei seguaci di Clodio attaccarono i littori del console pompeiano Gabinio, rompendo i loro fasces.
Il 1º giugno, dunque, mentre Clodio era fuori Roma, un tribuno degli optimates, Quadrato, propose una legge che consentisse il ritorno a Roma di Cicerone, ma il provvedimento, approvato all'unanimità, fu reso nullo dal veto di un altro tribuno, Elio Ligure.
Clodio decise di andare contro le leggi approvate dallo stesso Cesare durante il suo consolato dell'anno precedente: convocata l'assemblea, chiamò l'ex console Bibulo, collega di Cesare, a testimoniare che le leggi approvate nel 59 a.c. erano passate in modo illegale, senza gli auspici. Lo stesso Bibulo, tuttavia, in un'altra assemblea dichiarò che l'adozione di Clodio era in realtà nulla, e che dunque altrettanto nulla doveva considerarsi l'opera del tribuno.
Il 29 ottobre l'intero collegio tribunizio, a eccezione di Clodio e di Ligure, propose una legge che prevedeva la riassegnazione a Cicerone dei diritti civili e delle dignità di senatore che possedeva prima di essere esiliato, senza che tuttavia si facesse menzione di eventuali risarcimenti materiali per compensare la perdita delle numerose proprietà. La proposta fu però ritirata.
- Lex Clodia de iniuriis publicis
riguardava le pene da infliggere a chi si fosse reso colpevole di atti oltraggiosi, per abolire le severe normative sillane..
- Lex Clodia de scribis questoriis
che vietava agli scribi dei questori la pratica del commercio.
PATRIZI E PLEBEI |
IL RITORNO DI CICERONE
L'aristocrazia senatoria voleva il ritorno di Cicerone dall'esilio, per per cui l'intero collegio tribunizio presentò il 23 gennaio alla plebe una legge che segnasse la fine del suo esilio. Alla vigilia dell'assemblea, Clodio, assieme ai suoi compagni e ad alcuni gladiatori, occupò il Foro, scatenò gravissimi disordini che costrinsero a rinviare l'assemblea della plebe. Le bande di Clodio poi assediarono la casa del tribuno Milone, ma questi riuscì ad arrestare i gladiatori di Clodio, e tentò inutilmente di ottenere la loro condanna.
Clodio continuò a minacciare, mediante le sue bande, Milone e Sestio: questi tentarono di portarlo in tribunale, ma, per proteggerlo, il console Nepote arrivò a interrompere ogni attività pubblica. Milone e Sestio decisero quindi di assoldare a loro volta bande di gladiatori per contrastare la violenza di Clodio.
Pompeo allora fece approvare in maggio una proposta di Lentulo che consentiva ai governatori provinciali di accogliere Cicerone, invitando a recarsi a Roma tutti coloro che volevano il suo ritorno.
Si dichiarò nemico pubblico chi avesse tentato di impedire il ritorno dell'esule.
Ottenendo anche la restituzione delle proprietà e dei beni confiscati, Cicerone fece ritorno e il 4 settembre fu trionfalmente accolto in Roma presso la porta Capena, e di lì fu condotto nel Foro e sul Campidoglio. Qui pronunciò l'"Oratio cum populo gratias egit" e l'"Oratio cum senatui gratias egit", accusando i consoli Gabinio e Pisone di aver appoggiato per interesse personale la politica di Clodio.
- 57 a.c. - LA CARESTIA
A causa degli scarsi raccolti e delle politiche economiche delle provinciae frumentariae, gli approvvigionamenti di grano calarono, e si paventò una carestia. Il 6 o il 7 settembre in occasione dei ludi Romani, la folla si radunò presso il Campidoglio, dov'era riunito il senato, e accusò Cicerone come responsabile della scarsità di cibo.
A Pompeo venne affidata per cinque anni la cura annonae, cui Clodio aveva proposto Sesto Clelio: alla fine di settembre il prezzo del grano tornò equo, ma la lex frumentaria, con cui Clodio aveva guadagnato il favore della popolazione dell'Urbe, era stata fortemente modificata con la concessione di pieni poteri per l'annona a Pompeo.
LA DOMUS DI CICERONE SUL PALATINO
Il 29 settembre il collegio dei pontefici si riunì, su richiesta di Marco Calpurnio Bibulo, per deliberare sul terreno di Cicerone sul Palatino, dove Clodio, dopo l'esilio dell'oratore, aveva fatto costruire un tempio alla Libertà. Cicerone pronunziò l'orazione De domo sua, in cui dichiarava irregolare la lex de exilio, perché non autorizzata, la consacrazione del suo terreno alla Libertà.
Il senato, nonostante l'ostruzionismo di Clodio, approvò per legge la ricostruzione della dimora di Cicerone, donandogli 2 milioni e 750.000 sesterzi per le spese di ricostruzione della domus sul Palatino e delle ville di Tusculo e Formia.
Clodio il 3 novembre assaltò il cantiere della casa di Cicerone, e tentò di incendiare anche l'abitazione di suo fratello Quinto. L'11 novembre Cicerone in persona fu aggredito assieme alla sua scorta sulla via Sacra, mentre il giorno successivo, Clodio e i suoi uomini presero d'assalto la casa di Milone, ma i suoi sostenitori uccisero molti dei Clodiani e arrivarono quasi a uccidere lo stesso Clodio.
ELEZIONI DA EDILE
Il 14 novembre il senato decise di processare tutti i responsabili. Clodio si era intanto candidato all'edilità curule e, se fosse stato eletto, avrebbe ottenuto per l'intera durata della carica l'immunità dai processi giudiziari.
Se però fosse stato processato e condannato prima della data delle elezioni, la sua candidatura non sarebbe più stata valida. Milone decise di ostacolare le elezioni perché il processo a Clodio potesse svolgersi prima di esse: dichiarò infatti che avrebbe costantemente scrutato il cielo per ricevere auspici. Clodio, tuttavia, lo costrinse a prendere gli auspici in pubblico, nel Campo Marzio, dove si sarebbero dovute svolgere le elezioni. Clodio fu eletto edile attorno al 20 gennaio del 56 a.c. per l'anno in corso.
- 56 a.c. - CLODIO EDILE
Dopo l'annessione di Cipro, il faraone Tolomeo Aulete era stato scacciato dall'Egitto e costretto a rifugiarsi in Italia, presso Pompeo.
Milone era stato accusato di aver causato violenti disordini nell'anno precedente, ma in sua difesa intervenne, il 7 febbraio, Pompeo, che accusò Clodio. Nuovi disordini e il processo fu rinviato.
Il giorno dopo il senato attribuì ai sostenitori di Milone i disordini alle udienze, ed emanò contro Pompeo un decreto con cui gli proibiva di occuparsi della questione egiziana.
Per porre fine allo squadrismo di Clodio, dichiarò illegali tutte le associazioni segrete, e Clodio accusò di corruzione e violenza il tribuno degli optimates Publio Sestio, che venne però assolto, in particolare per l'orazione "Pro Sestio" di Cicerone, in cui questi criticò aspramente Clodio.
Clodio portò un ulteriore attacco a Pompeo tramite lo scriba Sesto Clelio, che dette alle fiamme il tempio delle Ninfe contenente il censimento di Clodio sui beneficiari delle distribuzioni frumentarie. Così Pompeo non potè modificare la lista dei beneficiari, tra essi erano inclusi numerosi liberti, che mantennero i diritti della lex frumentaria.
Intanto gli ambasciatori egiziani chiesero ai Romani di non restaurare Tolomeo sul trono, ma subirono attacchi da uomini vicini a Pompeo, che però vennero assolti grazie a Crasso e Cicerone.
Clodio fu incaricato di organizzare, in quanto edile, i ludi megalesi in onore della Grande Madre. Durante le celebrazioni egli fece entrare centinaia di schiavi in teatro insieme alla popolazione di Roma, per togliere alla nobilitas il monopolio del culto della Grande Madre.
La legge agraria approvata da Cesare durante il suo consolato ledeva gli interessi della nobiltà terriera, per cui Cicerone si pronunciò contro le assegnazioni. A Lucca Cesare, Pompeo e Crasso rinnovarono la loro alleanza politica e prolungare di altri cinque anni il proconsolato di Cesare nella Gallie, decidendo la candidatura di Pompeo e Crasso al consolato per il 55 a.c.
A Lucca venne anche il fratello di Clodio, Appio, che riappacificò Clodio e Pompeo. Cicerone pensò di abbandonare la politica anticesariana ma non si placarono, invece, i contrasti fra Clodio e Cicerone. Quest'ultimo prese le difese dei publicani fortemente osteggiati dal proconsole di Siria, Gabinio, eletto tramite il plebiscito clodiano. Clodio accusò Cicerone di aver suscitato, con la sua condotta empia, la collera divina. Nei giorni precedenti si erano succeduti, infatti, una serie di presagi, che l'edile attribuì alla ricostruzione della dimora palatina di Cicerone sull'area impiegata per costruire il tempio alla Libertà.
L'oratore pronunciò allora la "De haruspicum responsis", in cui l'ira divina l'avrebbe prodotta Clodio, e poi, recandosi di notte al Campidoglio con i suoi sostenitori, Cicerone trafugò le tavole di bronzo che recavano scritti i testi dei plebisciti clodiani del 58 a.c. In difesa di Clodio si schierò, tuttavia, Catone che interessato a mantenere i privilegi dell'incarico a Cipro, sostenne la liceità dei provvedimenti del tribuno, alienandosi però molti optimates.
Clodio, invece di mostrare gratitudine a Catone, su richiesta di Cesare, richiese che coloro che erano stati ridotti in schiavitù a Cipro fossero chiamati Clodii. Catone si oppose e ottenne che fossero denominati semplicemente Ciprii..
Clodio intervenne a favore dell'elezione di Pompeo e Crasso al consolato, cui si opponevano numerosi senatori, che speravano invece nell'elezione di Lucio Domizio Enobarbo. Clodio espresse pubblicamente il suo appoggio all'elezione dei triumviri: Pompeo e Crasso, grazie all'ulteriore sostegno dei soldati di Cesare, furono eletti al consolato.
VILLA DI CICERONE A FORMIA |
- 55 - 54 a.c. - LA MISSIONE A BISANZIO
Terminato il mandato, Clodio non partecipò alla discussione del provvedimento con cui ai consoli Pompeo e Crasso furono assegnati il proconsolato quinquennale in Spagna e in Siria, a partire dal 54 a.c. Partì da Roma nell'inverno per recarsi in Oriente, in missione a Bisanzio, probabilmente ricompensato con molto denaro per l'approvazione della legge sul rimpatrio degli esuli. Tornò a Roma nell'estate, e poté finanziare, con il denaro ricevuto, la campagna elettorale del fratello Appio, candidatosi al consolato.
Questi fu dunque eletto per il 54 a.c. assieme a Lucio Domizio Enobarbo. Fu proprio il successo del fratello che spinse Clodio a considerare l'idea di una candidatura alla pretura per il 53 a.c.; i comizi elettorali, tuttavia, furono più volte rimandati, e, secondo Cicerone, Clodio preferì per questo motivo evitare di presentarsi.
Si pensa invece che Clodio abbia posticipato la candidatura per motivi politici: il triumvirato, dopo la partenza di Crasso per l'Oriente e la morte della figlia di Cesare, Giulia, moglie di Pompeo, si indeboliva, e Clodio sperava di poter approfittare del vuoto di potere e dei disordini conseguenti.
Suo fratello Appio si accordò con il collega e con due candidati consoli per il 53 a.c. per ottenere illegalmente l'assegnazione di una provincia in Oriente, onde arricchirsi indebitamente, ma fu scoperto, e non se ne fece nulla. Invece Appio Claudio accusò Marco Emilio Scauro, rivale elettorale del fratello Gaio Claudio, per concussione, ma fu assolto con la difesa di Cicerone, cui si unì stranamente nella difesa lo stesso Clodio.
- 53 a.c. - LA PRETURA
Clodio intraprese la campagna elettorale per la pretura e Milone avanzò la propria candidatura al consolato. Seguirono molti scontri tra i partigiani di Clodio e quelli di Milone, dove entrambi rischiarono la vita. A causa di ciò i comizi elettorali furono rinviati al gennaio del 52 a.c., e soffrirono le finanze di Milone, investite grandi somme in spettacoli per attirarsi le simpatie del popolo. Clodio, invece, acquistò, per 14 milioni e 800.000 sesterzi, un'enorme abitazione sul Palatino.
Clodio nel suo programma proponeva una legge che distribuiva i liberti in tutte le tribù dei comizi, e voleva cambiare l'ordinamento sui liberti affrancati, liberandoli probabilmente dal controllo del loro patronus. La lex frumentaria approvata dallo stesso Clodio, che aveva aumentato i beneficiari delle distribuzioni di grano, aveva causato un sensibile aumento del numero dei liberti, suoi sostenitori.
- 52 a.c. - LA MORTE
Il 17 gennaio del 52 a.c., Clodio si allontanò da Roma per recarsi ad Ariccia, come patronus del municipio. Accompagnato da due amici e da trenta schiavi armati, pernottò fuori Roma, e il giorno successivo, di ritorno verso l'Urbe, si fermò nella sua villa a Bovillae. Lo stesso giorno anche Milone si allontanò da Roma per recarsi a Lanuvium, dove doveva presiedere all'elezione di un sacerdote: viaggiava su di un carro assieme alla moglie, scortato da numerosi schiavi e gladiatori armati, tra cui Eudamo e Birria.
I due gruppi si incrociarono, nel pomeriggio, presso il tempio della Bona Dea di Bovillae, e i gladiatori che componevano le retroguardie diedero allora inizio ad un feroce scontro. Clodio, che si trovava in testa al suo corteo, tornò indietro verso il luogo dove si era scatenata la zuffa, ma fu gravemente ferito alla spalla da Birria. Si rifugiò in una vicina osteria ma Milone ordinò di trascinare Clodio fuori in strada, lo massacrarono e lo abbandonarono lì.
La versione di Cicerone nell'orazione "Pro Milone"è molto diversa, ma falsa:
« Accadde che Milone si imbatté in Clodio verso le cinque del pomeriggio. Subito, da un'altura, molti uomini in armi si lanciarono contro di lui, e alcuni, attaccando di fronte, uccisero il cocchiere.
Milone, allora, toltosi il mantello, scese giù dal carro e si difese alacremente; gli uomini che si trovavano con Clodio, dunque, sguainate le spade, tornarono verso il carro per attaccare Milone alle spalle, mentre gli altri, pensando che Milone fosse già morto, si diedero a ucciderne gli schiavi.
Tra questi, che dimostrarono grande coraggio e fedeltà al padrone, alcuni furono uccisi, mentre altri, vedendo che si era scatenata una zuffa attorno al carro, non riuscendo a soccorrere Milone e credendo anzi che, come avevano sentito dire dallo stesso Clodio, fosse morto, senza che il padrone lo ordinasse, senza che lo sapesse o che fosse presente, fecero quanto ciascuno avrebbe desiderato che i propri uomini facessero in una simile circostanza. »
(Cicerone, Pro Milone)
Fu il senatore Sesto Teidio, di passaggio a Bovillae, a raccogliere il cadavere di Clodio e a farlo trasportare su una lettiga fino a Roma. La salma giunse in città la sera del 18 gennaio, e fu deposta nella dimora di Clodio sul Palatino. Alla vista del corpo straziato del loro leader, le masse popolari scatenarono violenti tumulti, e la mattina del 19 gennaio trasportarono il cadavere nel Foro e lo deposero nella Curia Hostilia.
Qui il cadavere fu cremato, e le fiamme della pira finirono per bruciare l'intero edificio, simbolo del senato e del potere repubblicano, danneggiando l'intera zona circostante. La folla, fomentata da Sesto Clelio e da alcuni tribuni della plebe che mostravano il testo delle leggi che Clodio, eletto pretore, avrebbe voluto proporre, si diresse prima verso la domus dell'interrex, poi verso quella di Milone. Infine, depositò i fasci del tempio di Libitina presso la dimora di Pompeo, come l'unico in grado di prendere il controllo dell'Urbe.
POMPEO CONSOLE
I senatori votarono un nuovo "senatusconsultum ultimum", il primo dall'epoca della congiura di Catilina, con cui incaricavano Pompeo di reclutare truppe sull'intero territorio italiano. Pochi giorni più dopo lo nominarono console sine collega, e riportò l'ordine nella città.
Nell'aprile si tenne il processo contro Milone per la morte di Clodio, affidando la presidenza della corte a Lucio Domizio Enobarbo, e si scelsero giurati di indubbia moralità.
Il clima era teso, Cicerone, atterrito dalla folla che circondava i rostra e dai soldati di Pompeo che presidiavano in armi il foro, non riuscì a pronunciare la sua orazione:
« ....Uscito dalla lettiga, quando vide Pompeo che presidiava il foro, in alto, come in un accampamento, e tutto in giro le armi che splendevano, si confuse, e diede inizio a fatica al suo intervento, tremando da capo a piedi e con la voce alterata, mentre Milone assisteva al dibattimento con audacia e sfrontatezza.... »
(Plutarco, Vite parallele. Cicerone).
Milone venne condannato per i voti di 12 senatori su 18, 13 equites su 17 e 16 tribuni dell'erario su 19, e si ritirò in esilio a Marsiglia.
I FATTI SECONDO CICERONE (Pro Milone)
- Clodio va incontro a Milone, a cavallo, senza carrozza, senza impedimenti, senza compagni greci, come era solito; senza moglie, cosa che non avveniva mai: Milone, veniva accusato da costoro che lui avesse preparato ogni cosa per uccidere Clodio, con la moglie era trasportato in carrozza, con un mantello, con una grande e impacciata scorta di fanciulle e di fanciulli. Venne incontro a Clodio prima del suo campo, all'undicesima ora non molto più tardi.
CICERONE |
Immediatamente da un luogo superiore molti uomini assalgono Milone con le frecce: quelli che stavano di fronte uccidono il conducente della carrozza. Essendo pertanto Milone sceso dalla carrozza, dopo essersi tolto il mantello, difendendosi con molto coraggio, quelli che erano con Clodio, estratte le spade, in parte incominciano a correre dietro il carro per assalire Milone alle spalle, in parte, poichè credevano che questo fosse stato ormai ucciso, incominciano a uccidere i suoi servi, che erano indietro. E così i servi che erano stati fedeli e presenti verso il padrone, furono in parte uccisi. -
(Cicero parla in I persona) - «Clodio non ha mai fatto nulla con la violenza, Milone, al contrario, se ne è sempre servito per tutto!». Cosa? Quando nel cordoglio generale, giudici, mi sono allontanato dalla città ho avuto forse paura di un processo? O di schiavi, di armi, di reazioni violente? Quale giusto motivo per farmi tornare si sarebbe trovato, se quello della mia espulsione non fosse stato ingiusto?
- Lui, credo, mi aveva fissato il giorno, mi aveva inflitto una multa, aveva intentato un processo di alto tradimento e io avrei dovuto temere il processo in una causa così malvagia o fatta apposta per me, e non illustre e diretta a tutti voi!
Non volli che al posto mio i miei concittadini, salvati con pericolo dai miei consigli, fossero esposti alle armi di schiavi, di miserabili, di scellerati. Io ho visto, ho visto davanti a me Quinto Ortensio qui presente, faro e onore dello stato, che a momenti veniva trucidato da una schiera di servi, perché prendeva le mie parti; in quella confusione il senatore Caio Vibieno, ottimo uomo, dato che si trovava con lui fu conciato talmente male che morì.
Quando dunque, dopo di allora si riposò quel suo pugnale, che aveva ereditato da Catilina? Contro di me fu puntato, - ma non ho permesso che veniste coinvolti voi al posto mio -, fu rivolto contro Pompeo, macchiò di sangue con la strage di Papirio questa famosa via Appia, ricordo del nome di Clodio, infine, dopo un lungo intervallo di tempo, fu di nuovo puntato contro la mia persona; recentemente quasi mi uccise, come sapete, nei pressi della reggia.
- Si può dire lo stesso di Milone? Lui ha speso sempre ogni energia per impedire a Publio Clodio di tenere questa città schiacciata con la violenza, visto che non lo si poteva trarre in giudizio. Ma se avesse voluto ucciderlo, quali e quante splendide occasioni ci sarebbero state! Forse non avrebbe potuto a buon diritto vendicarsi, nel tentativo di difendere la sua casa e gli dei penati, quella volta in cui Clodio fece irruzione in casa sua?
Non avrebbe potuto farlo quando fu ferito un cittadino illustre e uomo fortissimo, il suo collega Publio Sestio? E la volta in cui Quinto Fabrizio, persona irreprensibile, fu cacciato durante una ferocissima rissa nel foro, poiché proponeva una legge circa il mio ritorno? E quando fu assalita la casa di Lucio Cecilio, valorosissimo e integerrimo pretore?
Non avrebbe potuto farlo nel giorno in cui fu presentata la legge relativa al mio rientro, quando la gente, accorsa da ogni parte d'Italia, spinta dalla volontà di salvarmi, avrebbe appreso con gioia la notizia di tale azione, al punto che tutta la cittadinanza, se anche l'avesse fatto Milone, avrebbe rivendicato come sua quella gloria? -
(Cicerone - Pro Milone)
POMPEO DITTATORE
Nel 60 a.c., il I Triumvirato permise ai tre uomini più potenti di Roma (Giulio Cesare, Marco Licinio Crasso e Gneo Pompeo Magno) di porsi al di sopra delle istituzioni repubblicane e di prendere importanti decisioni che gli ottimati non ebbero più la forza di contrastare.
Il denaro di Crasso e Pompeo, unito all'abilità politica di Cesare e al suo carisma nei confronti delle masse popolari, potevano tutto. L'accordo venne rinforzato 4 anni più tardi (56 a.c.), con un incontro a Lucca, dove venne decisa un'ulteriore spartizione di incarichi. L'alleanza tra Cesare e Pompeo era stata poi cementata da un legame di carattere familiare: Giulia la figlia di Giulio Cesare era andata infatti in sposa a Pompeo Magno.
POMPEO |
Pompeo contrappose Tito Annio Milone a Codio, scatenando ulteriori violenze. Il 52 a.c. iniziò senza magistrati, un vuoto di potere assoluto, dato che Pompeo aveva impedito si nominasse un interrè in loro vece. Il 1° gennaio venne ucciso Clodio e la sera stessa, sua moglie espose il suo cadavere provocando l'ira del popolo romano. La mattina dopo il corpo di Clodio venne portato in Senato e lì venne cremato, con la Curia trasformata in una grande pira.
I senatori riunitisi in una sede straordinaria attribuirono la carica di interrex a Marco Emilio Lepido che avrebbe esercitato poteri speciali insieme ai tribuni e al proconsole Pompeo a cui Giulio Cesare concesse di arruolare truppe nella Gallia Cisalpina, in cambio dell'impegno a combattere Milone e le sue bande. Il 26 febbraio del 52 a.c gli ottimati convocarono i comizi e fecero eleggere Pompeo console unico, cioè la carica di dittatore, pur con parvenza di legalità repubblicana.
Inizialmente Pompeo mantenne fede all'accordo con Cesare e fece condannare a morte Milone, che però era già fuggito a Marsiglia. Nel 48 a.c., Milone, venne ucciso colpito da un sasso mentre assediava il forte di Conza in Lucania, come testimoniano Plinio Velleio Patercolo e Plutarco.
CESARE
CESARE |
Al suo posto a Roma rimase Clodio, cui Pompeo contrappone Milone.
Tra il 58 ed il 56 a.c. Cesare conquista di tutta la Gallia. Pompeo e Crasso, allarmati per l'enorme potere e favore popolare di Cesare, si incontrano con lui a Lucca nel 56 a.c..
Accordatisi Pompeo si recò in Spagna, Cesare in Gallia, dove tra il 54 ed il 52 a.c. sconfisse Vercingetorige nell'assedio di Alesia, e Crasso partì per la Siria, dove nel 53 a.c. trova la morte assieme alle sue legioni per mano dei Parti, che ne catturarono le insegne militari. Per Roma una grande onta.
Nel 52 a.c. Clodio viene ucciso da Milone. Pompeo ed il senato, di comune accordo, ordinarono a Cesare di cedere la provincia della Gallia ad un successore ed a congedare il proprio esercito.
Cesare, dopo aver respinto la proposta, nel 49 a.c. varcò il Rubicone, che segnava il confine dell'Italia con la Gallia Cisalpina, e marciò su Roma.
PUBLIO CLODIO
Cicerone lo rimandò alla storia come un uomo crudele e corrotto, ma egli aveva un notevole disprezzo per la plebe a cui non volle mai accordare un sollievo alla miseria. Fu Cicerone che consigliò ad un amico di vendere i propri schiavi quando cominciavano a invecchiare, affinchè non gli rimanessero sulle spese mentre non potevano più lavorare. Ora l'aristocrazia senatoria cercò di cancellarne le leggi a favore del popolo.
Gli autori antichi descrissero Clodio in maniera negativa, rappresentato da Cicerone, nelle sue orazioni, come simbolo di corruzione e sovversione. Il giudizio del celebre oratore è tuttavia falsato e poco attendibile, perché fortemente condizionato dai fatti collegati alla lex de exilio.
Nella "Pro Sestio", Cicerone descrive Clodio come una bestia infuriata, accusandolo delle peggiori nefandezze e imputandogli una totale immoralità:
« Il console [Cesare] improvvisamente liberò, con una legge curiata, questa belva abominevole, tuttavia vincolata agli auspici, legata al costume degli antenati, costretta tra le catene delle sacre leggi. Sia che lo abbia fatto, come credo, piegato dalle sue insistenze, sia, come alcuni ritenevano, per ira nei miei confronti, agì ignaro e senza prevedere le infamie e i delitti di cui quegli si sarebbe macchiato.
Quella specie di tribuno ha ottenuto di mettere a soqquadro lo stato non con le proprie forze, ma grazie alla fortuna; ed infatti quale forza d'animo poteva risiedere in chi vive in quella maniera, depravato per le turpitudini commesse assieme al fratello, per l'incesto con la sorella e per ogni altri genere di disumana libidine?»
(Cicerone, Pro Sestio)
Nel giudizio di Cicerone, Clodio, depravato e corrotto, assommava in sé ogni vizio, avvicinandosi alla figura di Catilina, cui Cicerone lo paragonò apertamente nelle orazioni Filippiche. Scarsi i riferimenti concreti agli atti politici di Clodio nelle opere di Cicerone, perchè sarebbero andati a favore di Clodio.
Nel 64 a.c. Clodio fu inviato nella Gallia Narbonense, dove era governatore il suo futuro suocero Murena. Non si sa quali furono gli incarichi ufficiali che Clodio svolse in Gallia, ma secondo Cicerone anche in quel frangente si comportò in modo immorale falsificando documenti ufficiali e macchiandosi di omicidi e altri crimini. Però nulla dimostra che quanto asserito da Cicerone su Clodio fosse vero.
Uguale giudizio diedero di Clodio gli storiografi antichi, per i quali le orazioni di Cicerone rappresentavano l'unica fonte esauriente disponibile sul personaggio.
« Ovunque, nelle strade, [a Cicerone] si opponeva Clodio, con uomini violenti e audaci, che facevano dello spirito insolente e canzonatorio sul suo atteggiamento, e spesso impedivano le sue petizioni al popolo lanciandogli contro dei sassi.» (Plutarco, Cicerone)
Lo storico tedesco Theodor Mommsen, nella sua Storia di Roma antica:
« I condottieri delle bande avevano un colore solo in quanto perseguitavano inesorabilmente i loro nemici personali; così Clodio perseguitò Cicerone, Milone il suo nemico Clodio, per cui la loro posizione di partito in queste contese personali serviva come una mossa scacchistica. Il protagonista su questo teatro politico di mascalzoni era Publio Clodio.
Abbandonato a se stesso, questo partigiano influente, capace, energico, e, nel suo mestiere veramente esemplare, seguì durante il suo tribunato del popolo una politica ultrademocratica... se inoltre la legge che Clodio aveva già pronta e come pretore del 52 a.c. pensava di far adottare, accordava ai liberti e agli schiavi che erano liberi di fatto gli stessi diritti politici dei nati liberi, l'autore di queste energiche riforme costituzionali poteva ben dire di aver portato al colmo la sua opera e, come novello Numa della libertà e dell'uguaglianza, invitare la dolce plebe della capitale ad assistere al solenne sacrificio nel tempio della libertà, eretto sul Palatino, su qualche teatro dei suoi incendi, per inaugurare gli allori dell'era democratica.
Questi sforzi di libertà non escludevano il traffico che naturalmente si faceva delle leggi comiziali; come Cesare, così anche la scimmia di Cesare concedeva per danaro ai suoi concittadini luogotenenze e altri posti e posticini, e ai re vassalli e alle città suddite i diritti sovrani dello stato. »
(Theodor Mommsen, Storia di Roma antica)
Mommsen, dunque, raffigura Clodio come un individuo corrotto ma abile, in grado di radunare attorno a sé le masse popolari, ma il suo piano politico appare ideato esclusivamente da Cesare: la scimmia di Cesare, esegue gli ordini di chi lo manovra, creando i presupposti per l'affermazione del potere imperiale.
LA REALTA' SU CLODIO PULCRO
La gens Claudia ebbe sempre un comportamento altezzoso e violento nei confronti della plebe, ma Clodio fu decisamente a favore del popolo. A chi obietta che lo facesse solo per ambizione si può rispondere che avrebbe potuto benissimo fare fortuna tra i patrizi, essendo patrizio egli stesso e per giunta di nobile e gloriosa famiglia.
Seppe imporre, tramite le assemblee popolari, il suo volere su questioni religiose, amministrative e riguardanti la politica interna, provinciale ed estera. Intelligente e ambizioso, ricorse all'uso della violenza per raggiungere gli obiettivi, ma fu comunque autore di un progetto politico che avrebbe cambiato la società romana rendendola molto più democratica.
Non è difficile diventare violenti di fronte a un nemico violento, anzi violentissimo, ricordiamoci che impedire l'attuazione della legge Agraria per sei legislatori che la proposero vennero assassinati dagli ottimati. Solo Cesare vi riuscì e ne rimase indenne.