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CASA DEL LARARIO DI ACHILLE - CASA DEL SACELLO ILIACO

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Detta anche Casa del Sacello Iliaco, affrescata nel Secondo stile, risale all'incirca all'80-20 a.c.
Si accede da Via dell'Abbondanza, con ingresso a destra.

L'ingresso alla casa conserva ancora l'architrave con cornice a dentelli, risalente a una antica fase decorativa del I Stile, di cui sono testimonianza anche i pavimenti in cocciopesto, conservati fino al momento dell'eruzione nel corridoio a lato del tablino e nella stanza (e).
 
Nonostante lo stato di incompiutezza in cui ci sono giunti, gli ambienti affacciati sull'atrio conservano ampie parti della decorazione di IV Stile. 

Nel grande triclinio (c), piccoli quadretti raffiguranti nature morte erano inseriti al centro delle pareti ovest e nord, mentre di grande interesse è la parte superiore della decorazione, conservata nel piccolo ambiente posto a fianco del tablino (e). 

Nella stanza va probabilmente riconosciuto il sacrarium della casa, dove avevano luogo le cerimonie collegate al culto privato. 

Questo si comprende, oltre che dall'angustia dell'ambiente, dal bellissimo ciclo decorativo riprodotto nella lunetta.

Qui Selene, nel medaglione al centro della volta compie la sua visita a Endimione. Apollonio Rodio, come tanti poeti, narra che Selene si innamorò perdutamente di questo bellissimo mortale, tanto dai chiedere al padre degli Dèi di concedergli un'eterna giovinezza di modo che lei non sarebbe mai stata costretta a smettere d'amarlo. 

Secondo un'altra narrazione invece, osservando l'amato con commossa ammirazione mentre egli dormiva inconsapevole all'interno di una grotta nei pressi della città di Mileto, Selene pregò ardentemente Zeus di mantenerlo eternamente in quello stato.

Come che sia, in entrambi i casi il desiderio venne esaudito e Endimione sprofondò in un sonno ed una giovinezza eterna. Ogni notte Selene scendeva dall'alto dei cieli per fargli visita, là ove egli continuava a dormire; ma non si sa come Selene durante questo sonno ottenne una certa collaborazione dall'amato, perchè da lui ebbe ben 50 figlie.

IL LARARIO
Queste cinquanta figlie vengono però da alcuni studiosi equiparate ai 50 mesi che debbono trascorrere da un'edizione dei giochi olimpici antichi all'altra, ma cinquanta erano pure le nereidi e così via.
Altra scena raffigurata nel larario è il Ratto di Ganimede, il principe troiano fanciullo che Omero descrive come il più bello di tutti i mortali del suo tempo. Nel mito viene rapito da Zeus in forma di Aquila divina per poter servire come coppiere sull'Olimpo.

Ma la storia riguarda il discutibile costume sociale della pederastia greca, visto il rapporto, di natura anche erotica, istituzionalmente accettato tra un uomo adulto e un ragazzo. In latino era detto Catamitus, il giovinetto che assumeva il ruolo di partner sessuale passivo-ricettivo.

DETTAGLI DEL LARARIO
Alcune scene del ciclo troiano del fregio in stucco della zona superiore mostrano il duello mortale fra Achille ed Ettore, con la tragica fine di quest'ultimo. Secondo alcuni le raffigurazioni indicherebbero che il proprietario della dimora desiderava eroicizzare le origini della propria famiglia, ricollegandole con quelle di Roma.

A noi la tesi sembra un po' azzardata perchè vantare antenati troiani fu ambizione da un lato della familia Iulia, attraverso però origini divine (Venere e Anchise), da un lato di tutto il popolo romano. I romani quando non si sentivano figli di Marte si sentivano figli dei troiani. 

La scoperta di una serie di piccole colombe in alabastro testimonia che il sacrarium era anche destinato al culto di Venere. Ma Venere fu la genitrice di Enea, non a caso Cesare le dedicò un tempio come Venere Genitrix. Vantarsi di una simile discendenza non era pertanto una distinzione, in quanto appannaggio di tutti i romani.

Viene da pensare invece che il proprietario dell'abitazione fosse persona molto colta, e qualsiasi buona educazione culturale non poteva prescindere da Omero.

Un grande impegno decorativo era stato riservato durante la fase tardo-repubblicana agli ambienti affacciati sul loggiato prospiciente il giardino, l'oecus (p) e il cubicolo (q), che mostrano una stretta 
affinità d'impianto con settori riservati allo studio e alla lettura presenti in alcune residenze di lusso costruite in quegli stessi anni a cavallo delle mura, quali la Casa con Biblioteca (VI, 17, 42).

DETTAGLI DEL LARARIO
II primo ambiente, noto come «Sala degli Elefanti», pavimentato con un elaborato mosaico diviso in due parti da una soglia con decorazione a tralci vegetali, mostra su tre pareti resti di una megalografia; sul lato di fronte all'ingresso erano due giganteschi elefanti disposti araldicamente ai lati di un candelabro e guidati da due Amorini che usavano come redini rami di mirto, la pianta sacra
a Venere. 

La casa prende nome da un sacello, o larario che si ispira al mito troiano di Achille, sacello che è posto all'angolo sud - ovest dell'atrio. Particolare del sacello, dccorato finemente a stucchi bianchi, su un fondo con colori di azzurro, rosso, blu, grigio e giallo.

Il soggetto è da interpretare come un'allegoria della potenza della divinità. Nella parte che decora la parete settentrionale, giuntaci purtroppo in pessimo stato di conservazione, è raffigurato un momento di vita intellettuale: due personaggi ammantati, seduti su seggi, sono profondamente assorti ai lati del globo celeste alla presenza di una Musa identificata con Urania.

LA SALA DEGLI ELEFANTI
In essi possono essere identificati Arato, l'autore dei Fenomeni, la cui opera, ripetutamente tradotta in Iatino, era molto apprezzata nel periodo di esecuzione della pittura,e lo stesso proprietario della casa, ritratto come astronomo. 

La parete occidentale della sala, di minore lunghezza perché interrotta da due ingressi, era occupata da un dipinto raffigurante una Musa seduta con un rotolo in mano, in cui va riconosciuta Clio, la protettrice degli studi storici. 

La ricca decorazione pavimentale a esagoni rossi e le pareti a grandi pannelli dello stesso colore indicano che il piccolo cubicolo (q), comunicante con la sala tramite una stretta porta, era l'ambiente di riposo più importante della casa; agli incontri amorosi che in esso dovevano svolgersi alludono esplicitamente le due scenette dionisiache di carattere erotico che decorano la parte superiore dell'alcova all'altezza dei piedi del Ietto. 

Ci sono anche prove che oltre ai santuari domestici alcune case contenevano sacrarie dedicate (stanze del santuario) collegate a specifiche forme di culto. Secondo Fabrizio Pesando, la casa del Santuario di Ilion utilizzava dipinti e stucchi nel sacrario per mettere in chiaro "riferimenti alla pietà dell'occupante, all'esaltazione delle loro presunte origini e alla celebrazione dello spirituale". 

PAVIMENTO DELLA SALA DEGLI ELEFANTI
Nell'apice del soffitto a volta del santuario Iliaco dove troneggia il medaglione raffigurante il rapimento di Ganimede, vine interpretata come un'immagine mitologica associata all'apoteosi e all'immortalità. 

Le rappresentazioni di questo tema erano comunemente poste al soffitto e la sua presenza qui è coerente con l'opinione di Pesanado secondo cui il sacrario era usato per il culto, forse in riferimento alle origini Troiane o familiare dei Troiani. 

Questa vista è sostenuta da pitture murali e pannelli in rilievo in stucco che raffigurano racconti omerici venerando Ettore, che è anche pensato per essere l'eroe-protettore divinizzato della casa.



LA FINTA PORTA

"La casa come santuario ha generato sicurezza tra i suoi abitanti e rispettosa osservanza tra coloro che l'hanno visitata. Ciò è stato possibile grazie ad un complesso mix di motivi apotropaici e catartici che iniziava all'ingresso con immagini come tondi di leone, pitture murali di vittorie alate e mosaici pavimentali che rappresentavano immagini come cani da guardia o ancore di navi. 

Altre metafore dei santuari sono state inserite in santuari interni (lararia), immagini ancestrali (imagines clipeatae), sale dedicate ai santuari (sacraria), giardini murati (paradeisoi), acquasantiere (ninfeo), e, la più prolifica di tutte, sale contenenti affreschi raffiguranti divinità, miti e santuari. 

Questo ambiente altamente feticista fungeva da porta d'accesso ad un mondo metafisico abitato da un'impressionante schiera di divinità, divinità, eroi e antenati di famiglia, tutti regolarmente chiamati, attraverso atti votivi, a proteggere e sostenere la casa e i suoi occupanti. 

Mentre la funzione apotropaica ed escatologica di quanto sopra è parzialmente compresa, l'uso della pittura murale per svolgere una funzione simile in un contesto domestico è passato in gran parte inosservato. 

Ciò è attribuibile alla loro designazione post-scoperta che collegava quasi interamente i dipinti al concetto di decorazione, nonché ad atteggiamenti post-cristiani che favorivano la chiesa e non la casa come luogo di culto primario. 

Il suo inverso nella cultura pagana richiedeva che la casa fosse un ambiente spiritualmente carico e quindi sia una dimora catartica che sicura. Nel caso della casa romana, ciò è stato realizzato principalmente attraverso alcune delle tecniche pittoriche più sofisticate che siano mai esistite. 

Gli artisti che li hanno sviluppati hanno realizzato una transizione psicologicamente perfetta tra spazio architettonico e spazio illusionistico, il cui aspetto simile non è stato eguagliato fino all'avvento della realtà virtuale generata al computer duemila anni dopo.


Negli ultimi anni si è scritto molto sulle case romane di proprietà dell'élite politica o mercantile. La maggior parte di questi testi si è concentrata sul modo in cui questo strato della società ha utilizzato le proprie case sia in contesti pubblici che privati. 

Per "pubblico" in questo caso si intende di solito una qualche forma di transazione commerciale, di impegno politico o di mecenatismo pubblico, mentre per "privato" si intendono quelle parti della casa che incorniciano le relazioni condotte tra familiari, amici intimi o eguali sociali. 

Questa doppia lettura della casa romana deriva in gran parte da testi antichi. 

Il suo impatto sulla percezione della pittura murale romana, in particolare per quanto riguarda lo status sociale e culturale, è esaminato in "The House and its Double", e criticato sotto la voce che il suo uso quasi esclusivo di materiale testuale ha distorto altre forme di evidenza materiale. 

Il risultato finale di questa distorsione era che i dipinti collocati in aree "pubbliche" sembravano essere sinonimo di ambizione politica ed economica, mentre quelli in spazi "privati" si concedevano ad un'esposizione edonistica. 

L'esposizione, al contrario dell'impegno concettuale o estetico, è alla base di gran parte della letteratura che ha sostenuto, per alcuni teorici, la mera presenza della pittura murale come indice di lusso e il tentativo di acquisire uno status. 

Questo approccio evita approfonditi studi iconologici che mettono in discussione questa visione prevalentemente di derivazione letteraria dei dipinti murali. 
Questo capitolo capovolge questo pregiudizio ed esamina da vicino l'iconologia, per vedere cosa ci dice di coloro che hanno commissionato i dipinti murali e che hanno vissuto tra di loro."


LE ISCRIZIONI

Come riferisce Della Corte, 4 graffiti vennero trovati sulle parete est del largo salone scritti ad altezza d'uomo sopra una parete pitturata di rosso/cinnamon dell'estremo sud:

Idibus Martia(s!) / in sumptum sumpsi [CIL IV 8013]

Sembra essere la data di un contratto debitorio per far fronte ad alcune spese (in sumptum).

XI XV Ka(lendas) Maias [CIL IV 8014]
Solo una data.

VII Idus Novem(bres) asseres(!) IIII / Tertius [CIL IV 8015]

Il terzo, invece, allude a quattro piccole travi o pali (asseres), di cui un servo (?) Tertius, tiene il conto.

XI K(alendas) Iulias / man() [CIL IV 8016]
E' vago ad eccezione della data.

Sulla stessa parete, ma in cima allo zoccolo, sotto la raffigurazione dei due grandi elefanti, c'era un graffito che Della Corte riproduceva in facsimile.


Venustus is fu[3]in[3] Vibrio(?) lone(?)[3] [CIL IV 8017]
Il nome Venustus, all'inizio dell'iscrizione è abbastanza chiaro, mentre il resto è piuttosto dubbio.
A noi fa venire in mente la lotta di un gladiatore con una belva nel circo.




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