Nella I guerra punica, che si protraeva da otto lunghi anni tra Romani e Cartaginesi, le forze finivano quasi sempre, tra vittorie e sconfitte, per equivalersi. Roma e Cartagine pertanto potenziarono le loro flotte, ma Roma voleva spostare lo scontro verso Cartagine alleggerendo la pressione sulla Sicilia, mentre i cartaginesi volevano un maggiore controllo del mare intorno all’isola per meglio supportare le truppe di terra che non reggevano l'urto delle legioni romane e che stavano perdendo territori che avevano impiegato secoli a conquistare. Polibio chiamava la Guerra Punica "la guerra per la Sicilia".
Nell’estate del 256 a.c., narra Polibio "i romani salparono con trecentosessanta navi lunghe coperte e approdarono a Messana" (Messina). Salpati da lì, navigavano avendo la Sicilia a destra e, doppiato il Pachino (odierno Capo Passero), si spinsero fino all’Ecnomo, per il fatto che anche l’esercito di terra si trovava in quegli stessi luoghi.
I Cartaginesi, salpati con trecentocinquanta navi coperte, si accostarono a Lilibeo (attuale Marsala), e da lì approdarono a Heraclea Minoa (presso Agrigento). Ogni nave romana portava trecento rematori e centoventi soldati di marina, per un complesso di 140.000 uomini. I Cartaginesi potevano contare su circa 150.000 uomini. Si stavano affrontando oltre settecento navi e quasi trecentomila uomini.
Nell'estate del 256 a.c. i Romani,come narra Polibio:
«...salparono con trecentosessanta navi lunghe coperte e approdarono a Messana. Salpati da lì, navigavano avendo la Sicilia a destra e, doppiato il Pachino, si spinsero fino all'Ecnomo, per il fatto che anche l'esercito di terra si trovava in quegli stessi luoghi. I Cartaginesi, salpati con trecentocinquanta navi coperte, si accostarono a Lilibeo, e da lì approdarono a Heraclea Minoa.»
(Polibio, Storie, I)
«...salparono con trecentosessanta navi lunghe coperte e approdarono a Messana. Salpati da lì, navigavano avendo la Sicilia a destra e, doppiato il Pachino, si spinsero fino all'Ecnomo, per il fatto che anche l'esercito di terra si trovava in quegli stessi luoghi. I Cartaginesi, salpati con trecentocinquanta navi coperte, si accostarono a Lilibeo, e da lì approdarono a Heraclea Minoa.»
(Polibio, Storie, I)
La battaglia di Capo Ecnomo, oggi Poggio Sant'Angelo (Licata), è stata una delle più grandi battaglie navali dell'antichità. Polibio, storico greco vicino al Circolo degli Scipioni, ma pure esperto di arte militare, la definisce "la più grande battaglia navale" dell'antichità.
Formazione romana:
La formazione dei romani prevedeva le due navi a sei ordini di remi, con un console a bordo di ciascuna: Lucio Manlio Vulsone Longo e Marco Atilio Regolo (consoli del 256 a.c.) che sostituiva Quinto Cedicio morto in carica.
Affiancate sulla punta del cuneo erano poste altre due linee di navi in successione e una terza linea a chiudere la base del triangolo. Questa terza squadra doveva trainare e proteggere le navi da trasporto con i cavalli e l'equipaggiamento per l'invasione del territorio cartaginese. Una quarta linea di navi, più estesa della base del triangolo chiudeva la formazione con compiti di retroguardia.
La formazione cartaginese aveva invece tre quarti delle navi su una sola linea spingendo l'ala destra in mare aperto, il restante quarto, piegato ad angolo, formava l'ala sinistra dello schieramento che così veniva ancorato alla terraferma e protetto da attacchi navali da quel lato. Questa ala era comandata da Amilcare (già sconfitto a Tindari), mentre il comando delle navi più potenti e veloci, poste all'estrema ala sinistra che doveva accerchiare la formazione romana, era affidato ad Annone (già sconfitto ad Agrigento).
La formazione dei romani prevedeva le due navi a sei ordini di remi, con un console a bordo di ciascuna: Lucio Manlio Vulsone Longo e Marco Atilio Regolo (consoli del 256 a.c.) che sostituiva Quinto Cedicio morto in carica.
Affiancate sulla punta del cuneo erano poste altre due linee di navi in successione e una terza linea a chiudere la base del triangolo. Questa terza squadra doveva trainare e proteggere le navi da trasporto con i cavalli e l'equipaggiamento per l'invasione del territorio cartaginese. Una quarta linea di navi, più estesa della base del triangolo chiudeva la formazione con compiti di retroguardia.
Formazione cartaginese
La formazione cartaginese aveva invece tre quarti delle navi su una sola linea spingendo l'ala destra in mare aperto, il restante quarto, piegato ad angolo, formava l'ala sinistra dello schieramento che così veniva ancorato alla terraferma e protetto da attacchi navali da quel lato. Questa ala era comandata da Amilcare (già sconfitto a Tindari), mentre il comando delle navi più potenti e veloci, poste all'estrema ala sinistra che doveva accerchiare la formazione romana, era affidato ad Annone (già sconfitto ad Agrigento).
LA BATTAGLIA DI ECNOMUS
I romani puntano con la prima e la seconda squadra a sfondare lo schieramento nemico in un punto per poi aggirare alle spalle, i punici fanno cedere la linea e impegnano una parte della flotta in una finta fuga, il tutto per attirare quelle romane e scompaginare la loro formazione. Però solo le navi di punta romane si lanciarono all'inseguimento mentre le navi trasporto e la linea di retroguardia mantennero la formazione pur avanzando lentamente.
Su queste ultime navi, si avventarono le navi cartaginesi dell'ala sinistra quando le videro a debita distanza dalle navi inseguitrici. Ora le navi cartaginesi erano più veloci di quelle romane che però utilizzavano ancora il corvo per immobilizzare quelle nemiche e permettere l'abbordaggio.
L'ala destra punica, che si era spinta in avanti, tentò di completare l'accerchiamento e l'ala sinistra attaccò le navi che trainavano i trasporti, che dovettero lasciare i cavi di traino e iniziare il combattimento.
I romani tentano l'abbordaggio con i corvi, per non essere agganciati i cartaginesi tentano di speronare le navi romani, se non vi riescono si allontanano velocemente.
I romani puntano con la prima e la seconda squadra a sfondare lo schieramento nemico in un punto per poi aggirare alle spalle, i punici fanno cedere la linea e impegnano una parte della flotta in una finta fuga, il tutto per attirare quelle romane e scompaginare la loro formazione. Però solo le navi di punta romane si lanciarono all'inseguimento mentre le navi trasporto e la linea di retroguardia mantennero la formazione pur avanzando lentamente.
Su queste ultime navi, si avventarono le navi cartaginesi dell'ala sinistra quando le videro a debita distanza dalle navi inseguitrici. Ora le navi cartaginesi erano più veloci di quelle romane che però utilizzavano ancora il corvo per immobilizzare quelle nemiche e permettere l'abbordaggio.
L'ala destra punica, che si era spinta in avanti, tentò di completare l'accerchiamento e l'ala sinistra attaccò le navi che trainavano i trasporti, che dovettero lasciare i cavi di traino e iniziare il combattimento.
I romani tentano l'abbordaggio con i corvi, per non essere agganciati i cartaginesi tentano di speronare le navi romani, se non vi riescono si allontanano velocemente.
Infine i vascelli di Amilcare, ricacciati indietro, si dettero davvero alla fuga e Lucio Manlio Vulsone tornò alla flotta romana portando al traino le navi catturate. Intanto Marco Atilio e i suoi corsero al soccorso dei colleghi dell'ultima linea, che già soccombevano all'attacco di Annone.
Così i Cartaginesi per non venire circondati abbandonarono la battaglia fuggendo in mare aperto. Le due squadre dei consoli soccorsero dei marinai in pericolo che riuscivano a resistere solo per il timore che i punici avevano dei "corvi" e del corpo a corpo coi romani.
I Cartaginesi circondati lasciarono cinquanta navi in mano ai romani e solo poche riuscirono a fuggire, secondo Polibio invece i Romani persero ventiquattro navi ma nessuna venne catturata, mentre catturarono sessantaquattro le navi cartaginesi.
Al ritorno i Romani celebrarono la vittoria con premiazioni agli equipaggi e ripararono le navi catturate aggregandole alla loro flotta. I Cartaginesi abbandonano la Sicilia, come i romani avevano sperato.
Al ritorno i Romani celebrarono la vittoria con premiazioni agli equipaggi e ripararono le navi catturate aggregandole alla loro flotta. I Cartaginesi abbandonano la Sicilia, come i romani avevano sperato.
Ora il controllo del mare di Sicilia passa in mano ai romani e il fronte dello scontro diventa l’Africa. Con un nuovo rifornimento di vettovaglie, i romani salparono alla volta dell'Africa. Toccarono terra presso la città chiamata Aspide (Kelibia), ribattezzata poi dai romani come Clupea.
BIBLIO
Polibio, Storie