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I GRANDI LUPANARI DEL CELIO

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IL MORALISMO

Nell’antica Roma la prostituzione, come lo sfruttamento, erano considerati atti legali. Oggi sono illegali entrambi ma sembra molto ingiusto equiparare la prostituzione allo sfruttamento. Chi si prostituisce volontariamente non fa male a nessuno, chi sfrutta la prostituzione è invece un criminale. Infatti spesso ricatta, obbliga, sequestra e maltratta le donne per spremerle economicamente al massimo. All'epoca c'erano le schiave da sfruttare fino allo sfinimento, come fossero animali.

Per il resto è stato il cattolicesimo a condannare la prostituzione come peccato, ignorando che ognuno dovrebbe essere libero di usare il proprio corpo come crede, in piena libertà. La condanna della prostituzione non è moralità ma moralismo, mentre lo sfruttamento della prostituzione è profondamente immorale.

Oggi ci scandalizziamo del fatto che lo Stato romano si preoccupasse solo di far pagare le tasse, per cui c'era l’obbligo di iscrizione ad un registro, ma era anche accettato un nome fittizio o d’arte, per cui chiunque sfruttasse le prostitute, o i prostituti, perchè a Roma si prostituivano anche i maschi, doveva avere un numero di dipendenti pari a quello denunciato. Un altro vincolo era quello di praticare la professione nelle ore notturne e non di giorno. 

LA FRECCIA INDICA LA STRUTTURA DEI GRANDI LUPANARI

I LUPANARI

I luoghi operativi, i postriboli, erano chiamati “Lupanari”, dal nome della “Lupa” colei che allattò i fatidici gemelli, poi mistificata per una prostituta. In realtà trattavasi dell'antica Dea Lupa le cui sacerdotesse si prostituivano donando il ricavato al tempio. Esse usavano fare il verso del lupo per richiamare i passanti, per cui esse stesse erano chiamate Lupe., da cui Lupanare. In genere questi monasteri stavano attaccati ai templi ed erano posti in un trivio, da cui è derivato, coll'avvento del cristianesimo, il termine spregiativo "triviale".

Diverse zone preposte alla prostituzione rappresentavano veri e propri quartieri a luci rosse, e sembra che a Roma molti lupanari erano nella zona del Celio accanto alle caserme degli equites singulares, corpo militare a cavallo dell’impero romano. L’alta frequentazione avveniva anche in seguito ai prezzi bassi che le prostitute chiedevano e nella cultura maschile degli antichi romani, il frequentare un lupanare non solo non era disdicevole, ma era comunque una tappa obbligatoria a cui tutti i ragazzi dovevano sottostare per guadagnarsi la virilità. Questo avvenne però fino ad almeno la metà del '900 in molte aree del suolo italiano.

All'entrata del lupanare si potevano acquistare i profilattici usati poi dai clienti. Erano fatti con intestini essiccati di pecora, che pur non essendo un’invenzione dei Romani devono a questi il loro perfezionamento e la loro ampia diffusione. Il preservativo, infatti, faceva parte della dotazione di base del soldato romano che dopo l’uso lo lavava e poi lo riutilizzava. Il suo uso era finalizzato soprattutto ad evitare che una campagna militare venisse ostacolata da epidemie imputabili
a malattie veneree capaci di decimare interi eserciti.

MUSEO ARCHEOLOGICO DI NAPOLI

 LA REGIONE CELIMONTANA

Quella delle caserme e dei complessi collegati con la vita dei militari costituirà a lungo una nota caratteristica per la regione Celimontana, in quanto comporterà l'esistenza di particolari strutture ed esercizi quali: stabilimenti termali, case da gioco, lupanari e bettole (thermopolia), le cui attività non dovevano essere gradite agli abitanti della zona residenziale. 

L'ingente numero di postriboli o lupanari che vediamo concentrati al Celio erano evidentemente frequentati massimamente dai soldati in servizio presso le varie caserme. I bordelli erano ben riconoscibili perché erano tutti personalizzati da una particolare lanterna e dagli organi maschili scolpiti, ben visibili, non ci si poteva sbagliare.

I Cataloghi Regionari del IV secolo sembrano raggruppare tutti i postriboli della città, 45 o 46, nella sola regione Celimontana, un numero incredibile, si suppone che da ogni angolo dell'Urbe gli uomini si recassero in quest'area dove c'era scelta e i prezzi erano bassi per l'enorme concorrenza.

Gli accampamenti più noti nella zona del Celio (i cosiddetti Castra Caelimontana) ove oggi sorge il Policlinico Militare di Roma furono principalmente:
- I castra aequitum singularium che ospitavano un corpo scelto di cavalleria al servizio personale dell’Imperatore (area della Basilica di S. Giovanni);
- I castra peregrinorum che erano una specie di caserma di soldati provinciali impiegati in Roma per funzioni particolari (area di via S.S. Rotondo);
- La statio cohortis V vigilum, una sorta di coorte di pompieri o polizia urbana (di cui furono trovate incisioni nel 1882 presso l’ingresso dell’Ospedale).

Si può capire che con tanti militari, uomini spesso non sposati o lontani dalla terra natia, e comunque avvezzi al pericolo e al rischio il gioco d'azzardo e i lupanari avessero un discreto lavoro. I lupanari del Celio erano abbondantemente situati lungo le pendici meridionali del colle, verso le valli di Porta Capena e di San Sisto, e comunque al margine delle zone residenziali. 

Secondo i Cataloghi Regionari i lupanari si erano concentrati sul Regio II Caelimontium, una delle 14 regioni di Roma augustea ed in particolare nella suburra che rasentava le mura cittadine, tra le Carinae e la valle tra il colle Celio e l'Esquilino.  Si trattava della suburra, un vasto e popoloso quartiere dell'antica Roma situato sulle pendici dei colli Quirinale e Viminale fino alle propaggini dell'Esquilino (Oppio, Cispio e Fagutal). 

La popolazione della parte bassa del quartiere era costituita da sottoproletariato urbano che viveva in condizioni miserabili, nella parte alta viveva gente con maggiori possibilità, ma i ricchi la snobbavano. Qui nacque Giulio Cesare, di famiglia nobile ma non ricca.

Basti pensare che il grande mercato (Macellym Magnum) si trovava all'interno di questo popoloso quartiere, insieme a molti negozi di alimentari e bancarelle, barbieri, artigiani, l'ufficio del boia, oltre alla caserma per i soldati stranieri acquartierati a Roma. Il Regio II è stata una delle zone più frequentate e densamente popolate dell'urbe, una posizione ideale per il proprietario di un bordello; l'affitto procurato da un bordello era una legittima fonte di reddito.



LA PROSTITUTA INDIPENDENTE

Anche se erano sia le donne sia gli uomini a praticare la prostituzione, la prostituzione femminile era maggiore. Una prostituta poteva in certi casi essere autonoma e affittare una camera per il lavoro.

Una "ragazza" (puella) poteva convivere con una ruffiana o Lena (da cui deriva lenocinio), oppure mettersi in affari sotto la gestione di sua madre, in ogni caso donne nate libere ma in uno stato di grande bisogno finanziario. La maggior parte delle prostitute erano schiave o ex schiave.

Le prostitute potevano però anche lavorare fuori di casa in un bordello o taverna per un magnaccia (leno) il quale aveva il compito di procurare la clientela.

Si presumeva che anche gli attori e i ballerini fossero disponibili per fornire prestazioni sessuali a pagamento, e le cortigiane i cui nomi sono sopravvissuti nel ricordo storico a volte erano del tutto indistinguibili dalle attrici e da altri tipi di artisti. 

Alcune prostitute professionali però potevano essere buone imprenditrici di se stesse e magari diventare abbastanza ricche in poco tempo. Si suppone che il dittatore Lucio Cornelio Silla abbia costruito la sua intera fortuna sulla ricchezza lasciatagli da una prostituta nel proprio testamento.



L'ETERISMO

C'erano dunque prostitute di vari tipo e ceto sociale. Al tempo di Marco Tullio Cicerone la cortigiana Citeride era un'ospite assai gradita per le cene al più alto livello della società romana. Si trattava di donne colte, intelligenti e raffinate, donne belle e affascinanti, a volte con spiccate doti artistiche, con cui era molto piacevole intrattenersi, donne che potevano scegliere i loro clienti e non darsi a tutti.

Queste donne hanno fatto sognare gli uomini, un po' come le etere greche, molti le invitavano e le corteggiavano, talvolta se ne innamoravano, dando luogo ad un nuovo rapporto romantico uomo-donna, che Ovidio e altri poeti dell'età augustea descrivono e apprezzano nelle opere poetiche di elegia erotica.



IL PALUDAMENTO

Le prostitute erano le uniche donne romane che portavano la toga, un capo esclusivo dei maschi. Anzi, che erano obbligate a indossarla, forse per scongiurare abiti troppo osè che potessero troppo colpire la tranquillità pubblica. Strano perchè le romane giravano spesso con vesti trasparenti tanto da apparire nude, come fa notare scandalizzato Plinio il Vecchio. In privato invece indossavano poi costosi abiti di seta, di damasco e di veli. 

Sembra invece che alcune prostitute di più bassa estrazione si mostrassero per lo più nude al cliente di turno, in genere si trattava di schiave. Un passaggio di Lucio Anneo Seneca descrive la condizione di prostituta come quella di una schiava pronta per la vendita: 
"Nuda si trovava sulla riva, a piacere dell'acquirente; ogni parte del suo corpo è stato esaminato e soppesato. Vuoi ascoltare il risultato della vendita? Il pirata ha venduto; il protettore acquistato, che lui la possa utilizzare come una prostituta."

Nel Satyricon il narratore racconta come egli "vide alcuni uomini aggirarsi furtivamente tra le file delle prostitute nude." 

L'autore satirico Decimo Giunio Giovenale descrive invece una prostituta come ritta in piedi e nuda "con capezzoli dorati" all'ingresso sua camera. L'aggettivo nudus, però, può anche significare "a vista" o spogliato del proprio solito abbigliamento esterno, e le pitture murali erotiche di Pompei ed Ercolano mostrano donne e presunte prostitute che indossano l'equivalente romano di un reggiseno, anche mentre è in corso il rapporto sessuale.



LUPANARI POPOLARI E DI LUSSO

I lupanare erano essenzialmente di due tipi: 
- quelli di proprietà e gestiti da un magnaccia-leno o da una signora-lena 
- quelli in cui questi ultimi erano solo degli agenti che riscuotevano l'affitto delle camere messe a disposizione oltre ad agire come fornitori per gli affittuari. 

Nel primo caso il proprietario teneva un segretario (villicus puellarum) o un sorvegliante per le ragazze; questo responsabile, assegnato il nome alla donna ne fissava i prezzi, riceveva il denaro e la riforniva di abbigliamento ed altre necessità. Il villicus faceva anche da contabile, per tenere conto di quanto ogni ragazza aveva guadagnato, e a seconda dei conti del bordello ne applicava la tassa.

I bordelli regolari erano soprattutto popolari, in genere descritti come sporchi, maleodoranti, poco ventilati e invasi dal fumo delle lampade. Ma questo ovviamente dipendeva dal livello del lupanare.
Le decorazioni murali erano in sintonia con l'attività erotica. Sopra la porta di ogni cubiculum si trovava un titulus indicante il nome della risiedente con il suo prezzo; il rovescio portava la parola "occupata" e veniva girato durante i periodi di servizio. 

Nel cubiculum si poneva una lampada (di bronzo o, nei casi più infimi, di argilla) e un lettino con cuscino su cui veniva stesa una trapunta simile a una coperta. C'era poi un catino per lavarsi munito di asciugamano, con una brocca e un bicchiere. Le tasse registrate a Pompei andavano dai 2 ai 20 assi, moneta di rame o bronzo di valore relativamente basso

Alcuni bordelli di lusso invece disponevano di parrucchieri per donna per rimettere in ordine i capelli dopo i rapporti amorosi, mentre i ragazzi dell'acqua (acquarioli) attendevano all'ingresso con ciotole per lavare i pavimenti e cambiare il letto. Questo era di legno decorato con pellicce e coperte di pregio, guarnito di più cuscini. C'era anche un tavolinetto con bottiglia e bicchieri per offrire un boccale di vino all'avventore di riguardo. La lampada era ad olio e d'inverno si usava i braciere. Le donne si presentavano vestite con abiti di lusso e provocanti, ben truccate e profumate, e la stanza odorava di resine e di profumi.

Le prostitute erano suddivise in caste:
- le delicatæ e le famosæ, erano ragazze colte, capaci di intrattenere i clienti più raffinati;
- le lupae, un retaggio delle antiche sacerdotesse, attiravano i clienti con una specie di ululato;
- le bustuariæ, esercitavano la professione nei pressi dei monumenti funebri;
- le scorta erratica,  erano le passeggiatrici vaganti, che, lavorando per strada, indossavano la toga, 
si tingevano i capelli di rosso oppure portavano una parrucca rossa, compivano il mestiere negli angoli bui;
- le blitidæ, erano prostitute da osteria e prendevano il nome da una bevanda di basso costo venduta in quei posti;
- le gallinæ, erano così denominate le ladruncole;
- le forarie, esercitavano lungo le strade di campagna e s'infrattavano nei cespugli;
- le fornices, si prostituivano sotto le volte (fornices) di archi, ponti, ippodromi;
- le quadrantariae, erano coloro che si accontentavano di un quarto di asse a prestazione.
- le diabolaiæ erano l’ultimo gradino di questa scala sociale, quelle da due soldi che esercitavano il loro mestiere nei quartieri accomunati dal forte degrado e dalla miseria più assoluta. 

Oltre che nei lupanari, o per strada, la prostituzione si esercitava anche nelle terme, nei teatri ed in molte case private, dove le famiglie facevano esercitare le proprie schiave (o schiavi, visto che la prostituzione era anche maschile).

MONETA DA LUPANARE

LA MONETA DEL LUPANARE

Intorno al I secolo d.c., come conseguenza del divieto d’introdurre
all’interno dei lupanari monete con l’effige imperiale,
furono battute apposite monete che presero il nome di spintria;
erano più precisamente tesserae eroticae,
con le quali era possibile pagare le prestazioni sessuali alle prostitute.
Su di un lato, usualmente c'era la rappresentazione di scene
delle 15 diverse forme di rapporto sessuale e
sull'altro i numeri da I a XVI.
Davanti ai numeri II, IIII e VIII si trova a volte la lettera "A".
Si suppone che i numeri indichino il costo delle prestazioni in assi
che spiegherebbe la lettera "A".
Il numero XVI corrisponderebbe quindi a un denario.
Erano di norma coniati in ottone o bronzo
ed avevano circa le dimensioni di una moneta da 50 centesimi di euro.




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