DIANA NEMORENSIS DAL SANTUARIO DI NEMI |
Doveva essere giovane e vigoroso, fattore indispensabile per la sua carica: il rex Nemorensis, infatti, doveva sempre stare in guardia armato di spada, poiché avrebbe perduto il sacerdozio e la vita, se un avversario più forte fosse riuscito a ucciderlo dopo avere strappato un ramo da un albero sacro alla Dea.
Com’è facile immaginare, un simile sacerdozio non era ambito, tant’è vero che ormai rischiavano la vita solo gli schiavi fuggitivi, pronti a tutto pur di evitare la punizione dei loro padroni. La carica veniva comunque perpetuata per lo scrupolo religioso tipico dei Romani che non dovevano mai trascurare i propri Dei nè le vecchie tradizioni, pena la rottura della Pax Deorum, quella che aveva, nell'immaginario collettivo, reso grande Roma.
LE MANI DELLA DEA (NAVI DI CALIGOLA A NEMI) |
Comunque per volere del re Servio Tullio i Latini istituirono un santuario federale in onore di Diana anche sull’Aventino, affinchè Roma non avesse niente da invidiare alla Lega. Di certo il culto comune sul monte Albano non venne abbandonato, ma ora il santuario albano aveva un pericoloso concorrente che acquistava sempre importanza maggiore.
Tarquinio il Superbo, di certo pessimo re, fu però ottimo generale dell'esercito e avrebbe convocato e presieduto un’assemblea generale dei Latini, "ad lucum Ferentinae", nel bosco sacro della Dea Ferentina, in cui, riferisce Livio, riuscì alla fine a sottometterli riuscendo a farsi nominare “rex nominis Latini” (o “rex Latinorum”).
SANTUARIO DI NEMI |
Dopo la battaglia del Lago Regillo, e poi dopo la morte del re Tarquinio, i Latini credettero bene di riorganizzarsi in una lega creando un dictator e un rex sacrorum, uno per i doveri civili e uno per quelli religiosi.
Per queste decisioni la Lega scelse un luogo estremamente sacro e pure extraurbano, dove era molto pericoloso tradire i patti perchè era la Dea Diana a custodirli, e il luogo fu il Nemus Aricinum. Qui le otto città latine elessero quale "dictator latinus" il tuscolano Egerio Bebio e insieme crearono il loro primo rex Nemorensis, con un rito del tutto latino e per niente romano, colui che da sè doveva difendere il suo ruolo sacrale e la sua vita.
In pratica la paura della sopraffazione romana aveva risvegliato i riti antichi e barbari dei latini che nel momento del pericolo ricorrevano ai sacrifici umani per placare la Dea potente e assetata di sangue che aveva loro voltato le spalle.
IL LAGO DI NEMI |
IL MITO DI IPPOLITO
La versione più nota è quella della tragedia di Euripide dell'Ippolito Coronato che racconta di un giovane orgoglioso della propria verginità che scelse di vivere casto e di dedicarsi esclusivamente al culto di Artemide ed alla caccia. La scelta offese Afrodite che lo punì facendo innamorare di lui la sua matrigna Fedra, la quale, rifiutata, si suicidò lasciando al marito (Teseo, padre di Ippolito) un biglietto dove lo accusava di averla violentata.
Teseo non credette al figlio e lo fece esiliare dalla città ma mentre questi usciva dalla città, un toro fece spaventare i suoi cavalli che, imbizzarriti, lo fecero cadere, lo trascinarono e lo sbatterono contro le rocce. Ippolito fu portato agonizzante a Trezene, città dell'Argolide, ed Artemide comparve a Teseo rivelandogli la verità su Fedra, ottenendo così, prima di morire, il perdono dal padre, perdono però ingiustificato visto che era innocente, semmai era Teseo che avrebbe dovuto ottenere il perdono del figlio.
Comunque Artemide la pietosa, conscia di ciò, fece resuscitare Ippolito da Esculapio, ma Ippolito rifiutò di perdonare il padre (e si può capire) e si trasferì nel Latium nei pressi di Aricia dove vi portò il culto di Artemide e ne divenne il re. Artemide cambió poi il suo nome in Virbio, ma in altri miti fu il figlio di Ippolito.
In età monarchica il primo re di Nemi fu secondo la tradizione Ippolito figlio di Teseo, quello che aveva ucciso il minotauro con l'aiuto del filo di Arianna, re di Atene. Si ha notizia poi che ci fu anche Virbio come Rex Nemorensis figlio di Teseo e Aricia.
Frazer in proposito scrisse "Il ramo d'oro", un celeberrimo libro di antropologia tradotto in tutte le lingue, dove definisce d’oro il ramo di Nemi, pensa erroneamente di riconoscere l’albero sacro con una quercia, da un passo virgiliano, mentre il ramo d’oro sarebbe stato del vischio che cresceva abbarbicato ad essa, un ramo che sembra dorato per le sue bacche gialle.
Insomma si trattava di un ramo di un certo albero ma non si sa quale. a parte che nei lucus, cioè nei boschi sacri, era proibito per chiunque tagliare e perfino raccogliere rami. Solo il sacerdote poteva farlo in vista di certe festività.
ARTEMIDE TAURICA
Il mito fa pensare a un capo tribale che mantiene il suo ruolo finchè un altro campione non lo sfidi e lo vinca. Nel contesto il pretendente avrebbe tentato di sposare la regina per ereditare il trono, fallito il colpo va a fondare con i suoi seguaci un'altra città.
Servio narra di come il rito fosse percepito remoto e barbaro dai romani, facendolo derivare dai cruenti sacrifici offerti ad Artemide Taurica, descritti nella tragedia di Euripide, l’Ifigenia in Tauride, ovvero la figlia di Agamennone e Clitennestra sacrificata dal padre poco paterno a Nettuno per placare una tempesta.
Secondo il mito Oreste, colpevole di matricidio, forse commesso per sbaglio, aveva condotto nel bosco aricino la statua di Artemide dal Chersoneso, o Artemide Taurica, con il suo culto, appunto, cruento e straniero, divenendo il primo rex nemorensis. I seguaci della Dea nel Chersoneso (penisola di Crimea) avrebbero infatti ucciso e immolato alla Dea qualsiasi straniero fosse approdato in quella terra.
Praticamente un condannato che sfugge alla sua pena rifugiandosi nel bosco sacro per salvare la vita, finché altri non lo sfidi. Secondo alcune tradizioni il re poteva venire sfidato ogni cinque anni, durante i quali egli era inviolabile, e sembra una tradizione attendibile.
Nelle Argonautiche di Valerio Flacco, Oreste narra esplicitamente di essere fuggito dalla crudele Diana Taurica, divenendo il re di Aricia e del bosco di Egeria, quindi un rex nemorensis. Con la differenza che là doveva uccidere gli intrusi mentre qua doveva difendersi dall'aspirante re.
EMISSARIO ROMANO DEL LAGO DI NEMI |
POCO SACERDOTE E POCO RE
Strabone, che si riferisce anch'egli alla storia di Oreste fuggiasco e inseguito dalle Furie, sottolinea l’elemento “barbaro” percepito nel cruento rituale di successione del rex e nel fatto che questi si muovesse sempre armato all’interno del santuario, caratteristica che lo rendeva del tutto anomalo agli occhi dei contemporanei, sia come sacerdote che come re, in quanto ambedue inviolabili per le leggi romane.
Sembra peraltro che Caligola tifasse per un nuovo pretendente al rex del Nemus affinchè abbattesse il precedente rex, in carica, a suo dire, da troppo tempo: "Nullus denique tam abiectae condicionis tamque extremae sortis fuit, cuius non commodis [Caligula] obtrectaret: Nemorensi regi, quod multos iam annos potiretur sacerdotio, validiorem adversarium subornavit."
Non sappiamo chi abbia vinto ma conosciamo la follia di Caligola, anche se forse esagerata dalle cronache cristiane. Comunque in era imperiale, la successione al seggio Nemorensis avveniva in un modo ormai incomprensibile per i romani, disavvezzi a tali culti vagamente tribali. In effetti, le origini del sacerdozio dovevano risalire all’età regia, e il mondo romano da allora era molto cambiato. .