"ROMA VOCAT!" |
(Giuseppe Flavio - discorso ai suoi soldati)
IL CARATTERE DEL LEGIONARIO
I legionari venivano estremamente caricati dai loro istruttori e i mezzi per attuarlo erano questi:
2) Il Tirocinio,
Pesantissimo, dove si affrontavano fatiche improbe perchè il legionario doveva essere molto forte e resistente, e se non reggeva alle fatiche veniva scartato subito. Un romano doveva valere quanto 10 barbari perchè molto spesso si sarebbe trovato a combattere contro eserciti superiori al suo.
3) Il Tatuaggio
Finito il tirocinio se il tiro aveva superato la prova veniva dichiarato miles, e veniva segnato col marchio militare, un vero e proprio tatuaggio, che riguardava l'essere "civis romanus", sintetizzato con l'S.P.Q.R con cui si indicava il senato e il popolo di Roma, o il nome della legione, o il comandante della legione o l'imperatore. Avere marchiata sulla pelle la propria appartenenza a un gruppo aveva un certo effetto psicologico, rafforzava l'unione tra i partecipanti.
IL SILENZIO PRIMA DELLA BATTAGLIA
Si dice però che prima della battaglia i romani stessero in assoluto silenzio, battendo ritmicamente le spade sugli scudi, il che era abbastanza terrorizzante, perchè riuscivano a battere come un sol uomo.
Nel tardo impero, cioè dal IV secolo, si usava anche il barrito dell'elefante, che i romani avevano appreso dai germani. Vero è che nel IV secolo le legioni erano formate perlopiù da germani, una delle cause della caduta dell'impero romano.
Dunque, i romani avanzavano senza un grido, ma col fragore ritmico delle spade sugli scudi (modalità copiata oggi dalle squadre di polizia antisommossa) mentre i nemici si dimenavano urlando e saltando ognuno per suo conto come era usanza tra i barbari occidentali (in oriente i costumi variavano da paese a paese).
Si dice che non gridassero per udire meglio gli ordini in battaglia, ma non è così perchè gli ordini in quel frangente erano uditivi e visivi, uditivi per i suoni delle varie trombe, con suoni diversi a seconda del comando di avanzare, di ritirare, di compattarsi, di coprirsi ecc., visivi perchè per maggior sicurezza venivano sventolati dei vessilli che segnalavano gli ordini di cui sopra, per essere certi che i legionari avessero compreso.
In alcune epoche e zone venivano usati anche i fischietti. Un primo fischio per lanciare i giavellotti, un secondo fischio per coprirsi con gli scudi e sguainare il gladio, e così via per lasciare il posto alle fila posteriori per un ricambio delle forze che erano così sempre fresche. Naturalmente poi c'erano i centurioni a ribadire gli ordini per essere certi che tutti avessero compreso.
Dunque il fragore delle armi sugli scudi o dei barriti che venivano eseguiti dietro gli scudi in modo che questi agissero come cassa di risonanza non erano da meno delle urla. Il tacere aveva un significato diverso. Anzitutto dimostravano al nemico che le loro minacce non li intimorivano per cui non rispondevano alle provocazioni. In effetti, per i barbari, abituati alle battaglie fra tribù dove tutti urlavano e si dimenavano, il comportamento minaccioso ma ordinatissimo delle fila romane era un po' destabilizzante.
Peraltro l'urlo di guerra stabilito dal comandante rafforzava l'unione degli intenti, la fedeltà al generale e la disciplina nella coesione perfetta: un urlo poderosissimo si, ma voluto dal generale e gridato come fossero un sol uomo.
Dunque, dopo essere arrivati a distanza di tiro di un pilum nel più assoluto silenzio, ma battendo le spade sullo scudo, veniva lanciato il pilum, si avanzava ancora di qualche metro e poi si caricava. Per evitare di perdere compattezza la carica doveva essere fatta il più tardi possibile, ed è a questo punto, che si lanciava il fatidico urlo di battaglia, che era lo stesso per tutti, scelto ogni volta dal proprio comandante per quel giorno e per quella battaglia.
L'URLO DI BATTAGLIA
Nella battaglia di Farsalo Cesare trasmise ai romani come urlo di battaglia
- "Venus Victrix!" - (Venere Vincitrice!)
MOTTI D'AUTORE
- Nec spe nec metu (Né speranza né paura).
Tratto dall'Orazione di Cicerone "Post reditum in senatu" (57 a.c.) ma usato in battaglia.
- Male vivunt, qui se semper victuros putant (Vivono male quelli che pensano di vivere per sempre.)
Motto di Sicilius ripetuto a volte dai legionari prima della battaglia.
- Audaces fortuna iuvat (La fortuna aiuta gli audaci).
Di Virgilio, in realtà il motto originario era "Audentis fortuna iuvat" (la fortuna giova a chi osa)
- Flectar ne frangar (Mi piego, ma non mi spezzo).
Ispirato da un passo di Orazio.
- Ad astra per aspera (Attraverso aspre vie fino alle stelle) Oppure: Per aspera sic itur ad astra (attraverso aspre vie così si giunge alle stelle)
Citato da: Cicerone, Virgilio, Seneca, Sallustio e Orazio, ma pure nell'esercito romano.
- Mors est dulcis et honesta si accipiatur pro patria, Roma (la morte è dolce e onesta se si muore per la patria, Roma). Oppure Dulce et decorum est pro patria mori. (la morte è dolce e dignitosa se si muore per la patria).
(Orazio)
- Amor patriae nostra lex.
L’amore della patria è la nostra legge.
(Orazio)
- Qui non timet mortem non morietur.
Chi non teme la morte non muore.
(Seneca)
IL CARATTERE DEL LEGIONARIO
I legionari venivano estremamente caricati dai loro istruttori e i mezzi per attuarlo erano questi:
1) Il Giuramento
Il legionario al suo reclutamento pronunciava un giuramento solenne, detto SACRAMENTUM (da cui la chiesa cattolica ha copiato i termini Sacramenti, come impegni solenni a far parte dell'esercito di Cristo).
Il legionario al suo reclutamento pronunciava un giuramento solenne, detto SACRAMENTUM (da cui la chiesa cattolica ha copiato i termini Sacramenti, come impegni solenni a far parte dell'esercito di Cristo).
Questo giuramento non si faceva una volta per tutte ma si ripeteva ogni anno, esattamente il I gennaio, per cui il primo anno capitava magari di ripeterlo due volte. Si eseguiva da parte dell'intera legione, giurando fedeltà, ai consoli nella repubblica, all'imperatore, ma pure ai generali e al senato, e successivamente col cristianesimo su Dio, Cristo e lo Spirito Santo, accanto alla maestà dell'imperatore, "che il genere umano deve amare e onorare subito dopo Dio", ma in quell'epoca lo spirito di corpo s'era già perso parecchio.
Pesantissimo, dove si affrontavano fatiche improbe perchè il legionario doveva essere molto forte e resistente, e se non reggeva alle fatiche veniva scartato subito. Un romano doveva valere quanto 10 barbari perchè molto spesso si sarebbe trovato a combattere contro eserciti superiori al suo.
Le legioni, rese da Augusto permanenti e rinnovabili parzialmente ogni anno anche a rischio di una dilatazione eccessiva dei tempi di mantenimento in servizio, si costituivano sulla base dell'adesione volontaria da parte dei tirones, cioè di coloro che per arruolarsi chiedevano di fare il tiro (tirocinio).
3) Il Tatuaggio
Finito il tirocinio se il tiro aveva superato la prova veniva dichiarato miles, e veniva segnato col marchio militare, un vero e proprio tatuaggio, che riguardava l'essere "civis romanus", sintetizzato con l'S.P.Q.R con cui si indicava il senato e il popolo di Roma, o il nome della legione, o il comandante della legione o l'imperatore. Avere marchiata sulla pelle la propria appartenenza a un gruppo aveva un certo effetto psicologico, rafforzava l'unione tra i partecipanti.
4) L'addestramento
Durante l'addestramento gli allenatori li incitavano anche con maniere forti, insultandoli e magari picchiandoli, ma dando forti riconoscimenti ai risultati conseguiti. Gli si raccontava che i legionari erano il terrore dei nemici, che erano superiori a tutti i militari del mondo, e che se non lo erano dovevano diventarlo, si sarebbero infatti allenati ogni giorno, con le armi, con le zappe, con le asce e con le pale.
Durante l'addestramento gli allenatori li incitavano anche con maniere forti, insultandoli e magari picchiandoli, ma dando forti riconoscimenti ai risultati conseguiti. Gli si raccontava che i legionari erano il terrore dei nemici, che erano superiori a tutti i militari del mondo, e che se non lo erano dovevano diventarlo, si sarebbero infatti allenati ogni giorno, con le armi, con le zappe, con le asce e con le pale.
Il legionario sapeva fare di tutto e faceva tutto. Montava e smontava accampamenti fortificati a tempo di record, edificava strade, ponti, torri, accampamenti stabili, edifici sacri e profani come le terme, in più marciava a velocità maggiore di qualsiasi esercito e con un carico personale maggiore di qualsiasi esercito, dai 30 ai 35 kg sulle spalle.
5) Il Sermo
I legionari avevano un sermo militaris (il gergo militaresco) che serviva a non farsi capire dall'esterno se volevano, ed era un gergo sintetico, ironico, sboccato, enfatico, ma soprattutto piuttosto criptico, il che diventava una specie di lingua riservata a loro, che li univa ancor di più come corpo militare.
6) L'iniziazione di Mitra
Avevano nel campo un'ara dedicata a un Dio particolare, ma soprattutto erano seguaci del Sol Invictus, cioè Mitra. Quando tornavano in patria, o nella città che li ospitava, frequentavano i Sacri Misteri di Mitra che creava un nuovo e più forte legame tra gli adepti, e li faceva sentire unici e particolari,
I legionari avevano un sermo militaris (il gergo militaresco) che serviva a non farsi capire dall'esterno se volevano, ed era un gergo sintetico, ironico, sboccato, enfatico, ma soprattutto piuttosto criptico, il che diventava una specie di lingua riservata a loro, che li univa ancor di più come corpo militare.
6) L'iniziazione di Mitra
Avevano nel campo un'ara dedicata a un Dio particolare, ma soprattutto erano seguaci del Sol Invictus, cioè Mitra. Quando tornavano in patria, o nella città che li ospitava, frequentavano i Sacri Misteri di Mitra che creava un nuovo e più forte legame tra gli adepti, e li faceva sentire unici e particolari,
- perchè erano soldati di Roma e Roma era la caput mundi,
- e loro erano i migliori combattenti del mondo
- e tutti gli altri erano barbari e incapaci di disciplina e organizzazione
- e la folla li adorava, o almeno quando vincevano, ma vincevano spesso.
Insomma venivano costantemente incoraggiati fino a sentirsi onnipotenti, ma questa eccitazione dava forza e coraggio, e spesso le grida di guerra contribuivano a questa esaltazione.
IL SILENZIO PRIMA DELLA BATTAGLIA
Si dice però che prima della battaglia i romani stessero in assoluto silenzio, battendo ritmicamente le spade sugli scudi, il che era abbastanza terrorizzante, perchè riuscivano a battere come un sol uomo.
Nel tardo impero, cioè dal IV secolo, si usava anche il barrito dell'elefante, che i romani avevano appreso dai germani. Vero è che nel IV secolo le legioni erano formate perlopiù da germani, una delle cause della caduta dell'impero romano.
Dunque, i romani avanzavano senza un grido, ma col fragore ritmico delle spade sugli scudi (modalità copiata oggi dalle squadre di polizia antisommossa) mentre i nemici si dimenavano urlando e saltando ognuno per suo conto come era usanza tra i barbari occidentali (in oriente i costumi variavano da paese a paese).
Si dice che non gridassero per udire meglio gli ordini in battaglia, ma non è così perchè gli ordini in quel frangente erano uditivi e visivi, uditivi per i suoni delle varie trombe, con suoni diversi a seconda del comando di avanzare, di ritirare, di compattarsi, di coprirsi ecc., visivi perchè per maggior sicurezza venivano sventolati dei vessilli che segnalavano gli ordini di cui sopra, per essere certi che i legionari avessero compreso.
In alcune epoche e zone venivano usati anche i fischietti. Un primo fischio per lanciare i giavellotti, un secondo fischio per coprirsi con gli scudi e sguainare il gladio, e così via per lasciare il posto alle fila posteriori per un ricambio delle forze che erano così sempre fresche. Naturalmente poi c'erano i centurioni a ribadire gli ordini per essere certi che tutti avessero compreso.
Dunque il fragore delle armi sugli scudi o dei barriti che venivano eseguiti dietro gli scudi in modo che questi agissero come cassa di risonanza non erano da meno delle urla. Il tacere aveva un significato diverso. Anzitutto dimostravano al nemico che le loro minacce non li intimorivano per cui non rispondevano alle provocazioni. In effetti, per i barbari, abituati alle battaglie fra tribù dove tutti urlavano e si dimenavano, il comportamento minaccioso ma ordinatissimo delle fila romane era un po' destabilizzante.
Peraltro l'urlo di guerra stabilito dal comandante rafforzava l'unione degli intenti, la fedeltà al generale e la disciplina nella coesione perfetta: un urlo poderosissimo si, ma voluto dal generale e gridato come fossero un sol uomo.
Dunque, dopo essere arrivati a distanza di tiro di un pilum nel più assoluto silenzio, ma battendo le spade sullo scudo, veniva lanciato il pilum, si avanzava ancora di qualche metro e poi si caricava. Per evitare di perdere compattezza la carica doveva essere fatta il più tardi possibile, ed è a questo punto, che si lanciava il fatidico urlo di battaglia, che era lo stesso per tutti, scelto ogni volta dal proprio comandante per quel giorno e per quella battaglia.
"USQUE AD FINEM!" |
L'URLO DI BATTAGLIA
Nella battaglia di Farsalo Cesare trasmise ai romani come urlo di battaglia
- "Venus Victrix!" - (Venere Vincitrice!)
Gli altri urli di battaglia erano in genere anch'essi molto brevi e spesso erano invocazioni agli Dei, talvolta agli imperatori:
- Exurge Mars!- (Sorgi Marte!)
- Mars Ultor!- (Marte vendicatore!)
- Roma Regina! - (Roma Regina!)
- Roma et Imperator! - (Per Roma e per l'imperatore! In genere si diceva il nome dell'imperatore senza il termine imperator, tipo: Roma et Augustus!)
- Sol Invictus! - (Sole Invitto!)
- Roma Victrix! - (Roma vincitrice!)
- Ad imperatorem! - (Per l'imperatore!)
- Victoria regnat! - (Regna la Dea Vittoria!)
- Finem hostium! - (Per la morte dei nemici!)
- Iovis optimo maximo! - (Per Giove Ottimo e massimo!) oppure:
- Iuppiter optimo maximo! - (Per Padre Giove ottimo e massimo!)
Se però durante la battaglia un generale o il re nemico cadeva o fuggiva o moriva, i legionari interrompevano il silenzio e urlavano per sottolineare la cosa ai loro per incoraggiarli ma pure ai nemici che potevano sbandare o fuggire. Nell'Eneide, Virgilio narra che quando Enea fa cadere da cavallo Mezenzio, capo dei nemici Etruschi, i Troiani gridarono di trionfo. Altrettanto doveva accadere ai tempi dell'autore.
I MOTTI E LE GRIDA DI BATTAGLIA
- Signa inferre! (Avanti le insegne!)
Era uno dei gridi di battaglia per l'avanzamento dell'esercito contro il nemico.
- Semper fidelis (Sempre fedeli)
Era il motto dei senatori al popolo e all'Imperatore alla fine di ogni sessione senatoria che poi divenne il motto delle legioni al richiamo del generale o dell'Imperatore.
- Fideliter excubat (Vigila fedelmente)
Motto delle vedette legionarie poi usato dallo stemma di Gallipoli.
- Usque ad finem! (Fino alla fine!)
Usato dai legionari ma spesso anche dai gladiatori prima di un combattimento.
- Nobiscum Deus! (Dio è con noi!)
Motto dei cavalieri Bizantini prima della carica.
- Hic sunt leones (Qui ci sono i leoni)
Usato per indicare il luogo dove erano reperibili i leoni per i circhi, e poi usato argutamente dai legionari.
- Sursum corda (In alto i cuori)
Usato nei brindisi, traeva origine dalle adlocutio del generale ai soldati prima della battaglia.
- Hic manebimus optime (Qui rimarremo benissimo)
Dopo il sacco di Roma ad opera dei Galli Senoni del 390 a.c. i romani dibattevano se restare a Roma semidistrutta o trasferirsi a Veio. La frase occasionale di un centurione delle coorti in ordine di marcia di ritorno dal presidio: "Pianta l'insegna qui, signifero; qui staremo benissimo!" fu accettato come volere divino e si decise di rafforzare e difendere Roma. Veniva usata parte della frase: Hic manebimus optime, soprattutto quando si doveva mantenere un presidio o resistere a un attacco.
- Fortes Fortuna adiuvat! (la Dea Fortuna aiuta i forti!)
Motto irruento.
- Heb Hep Hierusalem!
(Attribuito ad alcune unità romane dopo la distruzione di Gerusalemme).
- Hodie rudit leo (Oggi ruggisce il leone).
Grido che incita alla vittoria
- Lupae filii sumus! (Siamo figli della lupa!)
Grido di sprone in battaglia.
- Oppure Romani, sumus filii Lupae Capitolinae! (Romani, siamo figli della lupa capitolina!)
In genere nell'adlocutio.
- Ad augusta per angusta! (A grandi mete per anguste vie)
Le fatiche per la vittoria.
- Honos et Virtus! (Onore e virtù!)
Grido di battaglia ai tempi di Augusto.
- Vivere est militare! (La vita stessa è una guerra!)
Prima della battaglia.
- Omnia hostes mori debent! (Tutti i nemici devono morire)
Grido di battaglia.
- Ad maiora (A successi più grandi).
Usato in guerra ma anche in tempi di pace, anche nei brindisi.
- Roma vocat! (Roma chiama!)
Usato nella chiamata alle armi ma pure in battaglia.
- Aut Caesar aut nihil! (O Cesare o niente!)
Non era il motto di Cesare, come alcuni hanno inferito, ma dei soldati di Cesare nel passaggio del Rubicone. Equivalente del "Alea iacta est" di Cesare. Adottato poi da Cesare Borgia (1475-1507).
- Viribus unitis! (a forze unite!)
Oggi si direbbe: uniamo le forze!
- Ad unum! (fino all'ultimo uomo!)
Grido di battaglia.
- In albo segnanda lapillo! (sarà un giorno fortunato!)
Prima della battaglia, un giorno da segnare con un sassolino bianco (il giorno sfortunato aveva il sassolino nero).
- Exurge Mars!- (Sorgi Marte!)
- Mars Ultor!- (Marte vendicatore!)
- Roma Regina! - (Roma Regina!)
- Roma et Imperator! - (Per Roma e per l'imperatore! In genere si diceva il nome dell'imperatore senza il termine imperator, tipo: Roma et Augustus!)
- Sol Invictus! - (Sole Invitto!)
- Roma Victrix! - (Roma vincitrice!)
- Ad imperatorem! - (Per l'imperatore!)
- Victoria regnat! - (Regna la Dea Vittoria!)
- Finem hostium! - (Per la morte dei nemici!)
- Iovis optimo maximo! - (Per Giove Ottimo e massimo!) oppure:
- Iuppiter optimo maximo! - (Per Padre Giove ottimo e massimo!)
Se però durante la battaglia un generale o il re nemico cadeva o fuggiva o moriva, i legionari interrompevano il silenzio e urlavano per sottolineare la cosa ai loro per incoraggiarli ma pure ai nemici che potevano sbandare o fuggire. Nell'Eneide, Virgilio narra che quando Enea fa cadere da cavallo Mezenzio, capo dei nemici Etruschi, i Troiani gridarono di trionfo. Altrettanto doveva accadere ai tempi dell'autore.
I MOTTI E LE GRIDA DI BATTAGLIA
- Signa inferre! (Avanti le insegne!)
Era uno dei gridi di battaglia per l'avanzamento dell'esercito contro il nemico.
- Semper fidelis (Sempre fedeli)
Era il motto dei senatori al popolo e all'Imperatore alla fine di ogni sessione senatoria che poi divenne il motto delle legioni al richiamo del generale o dell'Imperatore.
- Fideliter excubat (Vigila fedelmente)
Motto delle vedette legionarie poi usato dallo stemma di Gallipoli.
- Usque ad finem! (Fino alla fine!)
Usato dai legionari ma spesso anche dai gladiatori prima di un combattimento.
- Nobiscum Deus! (Dio è con noi!)
Motto dei cavalieri Bizantini prima della carica.
- Hic sunt leones (Qui ci sono i leoni)
Usato per indicare il luogo dove erano reperibili i leoni per i circhi, e poi usato argutamente dai legionari.
- Sursum corda (In alto i cuori)
Usato nei brindisi, traeva origine dalle adlocutio del generale ai soldati prima della battaglia.
- Hic manebimus optime (Qui rimarremo benissimo)
Dopo il sacco di Roma ad opera dei Galli Senoni del 390 a.c. i romani dibattevano se restare a Roma semidistrutta o trasferirsi a Veio. La frase occasionale di un centurione delle coorti in ordine di marcia di ritorno dal presidio: "Pianta l'insegna qui, signifero; qui staremo benissimo!" fu accettato come volere divino e si decise di rafforzare e difendere Roma. Veniva usata parte della frase: Hic manebimus optime, soprattutto quando si doveva mantenere un presidio o resistere a un attacco.
- Fortes Fortuna adiuvat! (la Dea Fortuna aiuta i forti!)
Motto irruento.
- Heb Hep Hierusalem!
(Attribuito ad alcune unità romane dopo la distruzione di Gerusalemme).
- Hodie rudit leo (Oggi ruggisce il leone).
Grido che incita alla vittoria
- Lupae filii sumus! (Siamo figli della lupa!)
Grido di sprone in battaglia.
- Oppure Romani, sumus filii Lupae Capitolinae! (Romani, siamo figli della lupa capitolina!)
In genere nell'adlocutio.
- Ad augusta per angusta! (A grandi mete per anguste vie)
Le fatiche per la vittoria.
- Honos et Virtus! (Onore e virtù!)
Grido di battaglia ai tempi di Augusto.
- Vivere est militare! (La vita stessa è una guerra!)
Prima della battaglia.
- Omnia hostes mori debent! (Tutti i nemici devono morire)
Grido di battaglia.
- Ad maiora (A successi più grandi).
Usato in guerra ma anche in tempi di pace, anche nei brindisi.
- Roma vocat! (Roma chiama!)
Usato nella chiamata alle armi ma pure in battaglia.
- Aut Caesar aut nihil! (O Cesare o niente!)
Non era il motto di Cesare, come alcuni hanno inferito, ma dei soldati di Cesare nel passaggio del Rubicone. Equivalente del "Alea iacta est" di Cesare. Adottato poi da Cesare Borgia (1475-1507).
- Viribus unitis! (a forze unite!)
Oggi si direbbe: uniamo le forze!
- Ad unum! (fino all'ultimo uomo!)
Grido di battaglia.
- In albo segnanda lapillo! (sarà un giorno fortunato!)
Prima della battaglia, un giorno da segnare con un sassolino bianco (il giorno sfortunato aveva il sassolino nero).
MOTTI D'AUTORE
- Nec spe nec metu (Né speranza né paura).
Tratto dall'Orazione di Cicerone "Post reditum in senatu" (57 a.c.) ma usato in battaglia.
- Male vivunt, qui se semper victuros putant (Vivono male quelli che pensano di vivere per sempre.)
Motto di Sicilius ripetuto a volte dai legionari prima della battaglia.
- Audaces fortuna iuvat (La fortuna aiuta gli audaci).
Di Virgilio, in realtà il motto originario era "Audentis fortuna iuvat" (la fortuna giova a chi osa)
- Flectar ne frangar (Mi piego, ma non mi spezzo).
Ispirato da un passo di Orazio.
- Ad astra per aspera (Attraverso aspre vie fino alle stelle) Oppure: Per aspera sic itur ad astra (attraverso aspre vie così si giunge alle stelle)
Citato da: Cicerone, Virgilio, Seneca, Sallustio e Orazio, ma pure nell'esercito romano.
- Mors est dulcis et honesta si accipiatur pro patria, Roma (la morte è dolce e onesta se si muore per la patria, Roma). Oppure Dulce et decorum est pro patria mori. (la morte è dolce e dignitosa se si muore per la patria).
(Orazio)
- Amor patriae nostra lex.
L’amore della patria è la nostra legge.
(Orazio)
- Qui non timet mortem non morietur.
Chi non teme la morte non muore.
(Seneca)