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BATTAGLIA DI TALAMONE (225 a.c.)

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"(I Celti) molto arditi e bramosi di gloria, gettato ogni altro indumento, si disposero primi dell'esercito, nudi con le soli armi, ritenendo di poter essere così liberi nei movimenti… terribili erano inoltre l'aspetto e i movimenti degli uomini nudi schierati innanzi agli altri, tutti nel pieno vigore delle forze adorni di collane e braccialetti d'oro". (Polibio, Storie, 2.28; 2.29)

Dalla metà del III secolo le bellicose tribù di Belgi dall'Europa settentrionale raggiunsero, dopo aver attraversato il Reno, i territori di quella che sarebbe divenuta la Gallia belgica; a causa di queste vaste trasmigrazioni, altre popolazioni celtiche della Gallia si misero in movimento verso sud e i cosiddetti Gesati stanziati nella valle superiore del Rodano iniziarono a trasferirsi nell'Italia settentrionale.

Dopo l'espansione romana nel territorio gallo-piceno fino a Rimini e Ravenna, le popolazioni celtiche ancora indipendenti occupavano il territorio compreso tra Ravenna e le Alpi. A sud del Po si trovavano i Boi, a occidente gli Anari, a oriente i Longoni, mentre a nord del fiume vivevano a oriente i Veneti, e a occidente i Cenomani e gli Insubri. 

Roma temeva la possibile alleanza dei Galli con Cartagine per cui volle anticipare le azioni avversarie e nel 226 a.c. infatti, un anno prima dell'invasione celtica, emissari romani si recarono in Iberia per chiarire le intenzioni di Asdrubale e frenarne le mire aggressive. 

Venne quindi concluso il cosiddetto trattato dell'Ebro che assegnava al predominio cartaginese il territorio iberico a sud di quel fiume e che doveva garantire il disinteresse di Asdrubale per le vicende italiche evitando un'alleanza con i popoli celtici della Gallia cisalpina.

Già la I Guerra Punica era costata moltissimo in termini di uomini e danaro, e comunque Roma fece della Sicilia divenne la prima provincia romana; poi, nel 238 a.c. occupo' anche la Sardegna e la Corsica trasformandole in province nel 231 a.c. Poi n nel 233 a.c. il console Quinto Fabio Massimo marciò contro i Liguri che sotto la pressione di migrazioni di popolazioni galliche, si erano spinti verso sud, raggiungendo l'Arno e occupando Pisa. 

Il console costrinse i Liguri alla ritirata, occupò Lucca e continuò ad avanzare lungo la costa fino a raggiungere Genova con cui Roma concluse un importante trattato di amicizia. I Liguri si ritirarono sulle montagne appenniniche ma restarono valorosi e feroci oppositori all'ulteriore espansione romana.

Nel 232 a.c. si procedette alla distribuzione di terre lungo la costa adriatica nel territorio piceno e gallico da Ancona a Rimini conquistato dal pretore Manio Curio Dentato nel 284 a.c. dopo aver sconfitto i Galli Senoni. Fu una lotta tra le fazioni popolari di Gaio Flaminio e le fazioni aristocratiche di Quinto Fabio Massimo. Alla fine il progetto di Gaio Flaminio venne approvato dai comizi tributi; vennero distribuite le terre e a sud di Rimini venne fondata a protezione la colonia veterana di Sena Gallica.

Nel 229 a.c. Roma estese la sua influenza alle coste orientali del Mare Adriatico minacciate dalla pirateria Illirica della regina Teuta, a loro volta spinti a sud da nuove migrazioni galliche in movimento nei Balcani. Una imponente flotta romana costrinse la regina Teuta ad abbandonare i territori occupati nell'Epiro e nelle isole dell'Adriatico. Il console Lucio Postumio Albino concluse alleanze con alcuni popoli balcanici, mentre le città di Apollonia, Corcira ed Epidamno entrarono a far parte dell'alleanza romana.

Intanto le popolazioni celtiche stanziate in Italia occupavano il territorio compreso tra Ravenna e le Alpi. A sud del Po si trovavano i Boi e gli Anari a occidente e i Longoni a oriente, mentre a nord del fiume vivevano a oriente i Veneti, popolazioni di origine illirica, e a occidente i Cenomani e gli Insubri, la popolazione celtica italica più numerosa e potente, tutti possibili nemici di Roma.

Dopo la vittoria nella lunga e dura I guerra punica la Repubblica romana aveva assunto un ruolo di predominio nel Mediterraneo centrale, ma il pericolo veniva ora dal nord sopra la penisola abitata dai Galli, popolazioni tribali diverse fra loro, anche nelle vesti, Polibio ricorda i Boi vestiti con ampi calzoni e giubbe, mentre i Gesati combattevano praticamente nudi ma ornati da pesanti monili.

I Galli facevano parte delle popolazioni celtiche e abitavano anche sul suolo italico, con Milano come capitale e Senigallia come centro importante, e tutti mossi  dall'odio verso la raffinata e potente Roma. Erano passati secoli dal sacco di Roma quando tentarono una nuova incursione nell'urbe, per saccheggiarla e darla alle fiamme. Ora i Galli, scesi nella penisola, avevano combattuto e vinto contro gli eserciti romani nell’Italia centrale e avanzavano verso Roma mirando alle porte della capitale.
Le popolazioni celtiche italiche venivano incitate dai Cartaginesi ad attaccare Roma, promettendo i suoi guerrieri in aiuto. Le bellicose tribù di Belgi dell'Europa settentrionale invasero la futura Gallia belgica e i Gesati stanziati nella valle superiore del Rodano iniziarono a trasferirsi nell'Italia settentrionale.

Roma temeva infatti l'alleanza dei Galli con Cartagine la cui espansione in Spagna stava divenendo minacciosa, così nel 226 a.c. i romani conclusero con Asdrubale il "trattato dell'Ebro" che assegnava a Cartagine il territorio iberico evitando l'alleanza dei cartaginesi con i popoli celtici della Gallia cisalpina. Ma tutto ciò non evitò l'invasione del suolo italico per abbattere Roma.

I ROMANI

Siamo nel 225 a.c., tra la I e la II guerra Punica, la battaglia si svolge tra i Romani, insieme ad Etruschi ed Umbri, anch'essi minacciati dall'invasione gallica, contro un'alleanza di popolazioni celtiche della Cisalpina, presso Talamone, località Campo Regio, nella pianura costiera fra i fiumi Osa a nord e Albegna a sud, a circa 20 km a sud di Grosseto, (vicino a Fonteblanda, frazione del comune di Orbetello).

Il pericolo era grave, la lega gallica non era animata soltanto da un desiderio di terre e di ricchezza, aveva un preciso obiettivo: “Prima di muovere alla volta di Roma, i capi prescelti prestarono solenne giuramento di fronte all’esercito schierato dichiarando la loro ferma intenzione di portare a termine l’impresa e deporre le armi non prima di essere giunti vittoriosi sul Campidoglio” (Della Monaca).


LE FORZE IN CAMPO

ALLEANZA CELTICA

Ora giunti nei dintorni di Chiusi, i Galli ebbero notizia dell’avanzata di un potente esercito proveniente da Roma, e decisero la ritirata in direzione della costa da dove era possibile raggiungere la Gallia Cisalpina attraverso i più facili valichi delle Alpi Apuane. I Galli attraversarono quindi il territorio etrusco e giunsero nei pressi di Talamone.

Polibio, la fonte principale per questa battaglia, narra che per l'invasione del territorio romano-italico i celti costituirono la più grande coalizione mai realizzata contro i romani; ai Boi, si unirono gli Insubri, i Taurini e i Gesati. A capo della coalizione i generali Aneroesto e Concolitano.
Come già nel 299 a.c. e nel 236 a.c. ai celti si associarono i Gesati, famosi perché combattevano completamente nudi con il solo torque al collo. Pertanto l'alleanza comprende: i Gesati, i Boi, gli Insubri, i Taurisci e i Taurini, in tutto 50.000 fanti e 25.000 cavalieri. L'esercito alleato era molto superiore di numero a quello romano.

Vennero appoggiati dai Liguri con aiuti di vettovagliamenti I Gesati, scesi in Italia, si ricongiunsero con le truppe dei celti cisalpini sul Po. I comandanti dell'esercito celtico, i re Concolitano e Aneroesto, diedero l'ordine di marciare verso Roma passando per il territorio etrusco. Gli Etruschi li lasciarono passare indenni.

Totale. 75.000 uomini circa.


ALLEANZA ROMANA

I Romani posero in campo quattro legioni (circa 24000 armati) agli ordini di Gaio Atilio Regolo, incaricato di sedare una rivolta in Sardegna, cosa che fece rapidamente, correndo poi in aiuto del collega, e Lucio Emilio Papo, che pose il proprio comando ad Ariminum (Rimini), mentre un secondo esercito romano, sotto il comando di un pretore, fu posto a presidiare l'Etruria.
I veneti sono considerati troiani da Plinio il Vecchio e celti da Strabone, i Cenomani erano un popolo gallico della Gallia cisalpina. come alleati avevano due corpi d'armata, uno sabino-etrusco (visto che parte degli etruschi erano contro i Galli) ed un altro veneto-cenòmane (i Cenomani erano un popolo della Gallia cisalpina, compreso tra gli Insubri a ovest e i Veneti ad est, che rimasero fedeli a Roma anche quando Annibale discese le Alpi). 

Totale: 45.000 uomini circa.

I GALLI
I Gesati, guidati dai loro due re Concolitano e Aneroesto, riuscirono a sconfiggere i Romani presso Fiesole, ma durante il ripiegamento verso le loro basi furono intercettati dal console Gaio Atilio Regolo, che era stato richiamato dalla Sardegna, che li sconfisse.

I Galli, scesi nella penisola, avevano combattuto vittoriosamente contro gli eserciti romani nell'Italia centrale e avevano continuato la loro avanzata verso Roma sempre con successo. Si dirigevano verso le porte di Roma, quando, presso Chiusi, appreso di un potente esercito proveniente da Roma, si ritirarono verso la costa del Mar Tirreno, all'Argentario, forse per uno sbarco di Cartaginesi alleati, che però non giunsero mai, perché attaccati dalle legioni romane vicino Talamone.

I Romani decisero infatti di attestarsi in un luogo da cui poter imbottigliare il grande esercito celtico e Attilio Regolo aveva individuato il luogo presso Talamone (attuale Poggio di Talamonaccio), dove su una collina ad est dove si poteva controllare il transito gallico, aveva appostato la sua cavalleria.

I Galli si resero conto immediatamente dell’importanza strategica del colle e predisposero le truppe per conquistare il presidio nemico, ma la cavalleria romana riuscì a contrastarne l’attacco. Intanto l’esercito romano, inviato da Roma, al comando del console Emilio, li stava inseguendo da est con la possibilità di raggiungerli in poco tempo.

I Galli si resero conto del pericoloso accerchiamento e si schierarono in formazione di battaglia, nei pressi della foce del fiume Osa, con un fronte verso il colle dove stanziava l’esercito di Attilio e l’altro rivolto contro l’esercito di Emilio che avanzava da sud, in attesa dell'attacco dell'romano.


LA BATTAGLIA

L'esercito celtico si diresse verso l'Argentario (prov. di Grosseto), presumibilmente in vista di uno sbarco di Cartaginesi in appoggio come promesso; ma i celti non arrivarono al luogo d'incontro, perché furono attaccati dalle legioni romane presso Talamone.
Intanto l'altro esercito romano, proveniente da nord al comando di Attilio Regolo, aveva raggiunto la città e appostato la cavalleria su un'altura ad est da dove si poteva controllare la zona costiera e il percorso dei Galli verso la litoranea. 
Questi si resero conto dell'importanza strategica di quel colle e cercarono di conquistarlo, respinti però dalla cavalleria romana. Intanto l'esercito del console Emilio li stava inseguendo da est per accerchiarli e i Galli, ormai scopertisi in trappola, si schierarono in formazione di battaglia nei pressi della foce del fiume Osa, schiena a schiena, con un fronte verso il colle dove stanziava l'esercito di Attilio e l'altro rivolto contro l'esercito di Emilio che avanzava da sud. Lo scontro fu cruento per i galli.

Attaccato su due fronti opposti dai due eserciti consolari, l'esercito celtico, per quanto notevolmente più numeroso di quello romano, venne distrutto in una battaglia campale, dove morirono oltre quarantamila soldati celti. Dei due re celti uno fu preso prigioniero mentre l'altro si suicidò a seguito della sconfitta. Anche il console Gaio Atilio Regolo morì durante la battaglia.



POLIBIO
« I Celti si erano preparati proteggendo le retroguardie, da cui si aspettavano un attacco di Emilio (Lucio Emilio Papo), provenendo i Gesati dalle Alpi e dietro di loro gli Insubri; di fronte a loro in direzione opposta, pronti a respingere l'attacco delle legioni di Gaio (Gaio Atilio Regolo), misero i Taurisci (secondo Plinio il Vecchio erano i Norici) ed i Boi sulla riva destra del Po

I loro carri stazionavano all'estremità di una delle ali, mentre raccolsero il bottino su una delle colline circostanti con una forza tutta intorno a protezione. Questo ordine delle forze dei Celti, poste su due fronti, non solo si presentava con un aspetto formidabile, ma si adeguava alle esigenze della situazione. 

Gli Insubri ed i Boi indossavano dei pantaloni e dei lucenti mantelli, mentre i Gesati avevano evitato di indossare questi indumenti per orgoglio e fiducia in se stessi, tanto da rimanere nudi di fronte all'esercito (nemico), con indosso nient'altro che le armi, pensando che così sarebbero risultati più efficienti, visto che il terreno era coperto di rovi che potevano impigliarsi nei loro vestiti e impedire l'uso delle loro armi. 

In un primo momento la battaglia fu limitata alla sola zona collinare, dove tutti gli eserciti si erano rivolti. Tanto grande era il numero di cavalieri da ogni parte che la lotta risultò confusa. In questa azione il console Caio cadde, combattendo con estremo coraggio, e la sua testa fu portata al capo dei Celti, ma la cavalleria romana, dopo una lotta senza sosta, alla fine prevalse sul nemico e riuscì a occupare la collina. 

Le fanterie erano ormai vicine, le une alle altre, e lo spettacolo appariva strano e meraviglioso, non solo a quelli effettivamente presenti alla battaglia, ma a tutti coloro che in seguito ebbero la rappresentazione dei fatti raccontati. In primo luogo, la battaglia si sviluppò tra tre eserciti. È evidente che l'aspetto dei movimenti delle forze schierate una contro l'altra, doveva apparire soprattutto strano e insolito... 

...i Celti, con il nemico che avanzava su di loro da entrambi i lati, erano in posizione assai pericolosa ma anche, al contrario, avevano uno schieramento più efficace, dal momento che nello stesso tempo essi combattevano sia contro i loro nemici, sia proteggevano entrambi nelle loro retrovie; vero anche che non avevano alcuna possibilità per una ritirata o qualsiasi altre prospettiva di fuga in caso di sconfitta, a causa della formazione adottata su due fronti. 

I Romani, tuttavia, erano stati da un lato incoraggiati, avendo stretto il nemico tra i due (loro) eserciti, ma dall'altra erano terrorizzati per la fine del loro comandante, oltreché dal terribile frastuono dei Celti, che avevano numerosi suonatori di corno e trombettieri, e contemporaneamente tutto l'esercito alzava alto il grido di guerra

C'era un tale rimbombo di suoni che sembrava che non solo le trombe ed i soldati, ma tutto il paese intorno alzasse le proprie grida. Molto terrificanti erano anche l'aspetto e i gesti dei guerrieri celti, nudi davanti ai Romani, tutti nel vigore fisico della vita, dove i loro capi apparivano riccamente ornati con torques e bracciali d'oro. La loro vista lasciò davvero sgomenti i Romani, ma al tempo stesso la prospettiva di ottenere questi oggetti come bottino, li rese due volte più forti nella lotta. 

E quando gli hastati avanzarono, come è consuetudine, e dai ranghi delle legioni romane cominciarono a lanciare i loro giavellotti in modo adeguato, i Celti delle retroguardie risultavano ben protetti dai loro pantaloni e mantelli, ma il fatto che cadessero lontano non era stato previsto dalle loro prime file, dove erano presenti i guerrieri nudi, i quali si trovavano così in una situazione molto difficile e indifesa. 

E poiché gli scudi dei Galli non proteggevano l'intero corpo, ciò si trasformò in uno svantaggio, e più erano grossi e più rischiavano di essere colpiti. Alla fine, incapaci di evitare la pioggia di giavellotti a causa della distanza ravvicinata, ridotto al massimo il disagio con grande perplessità, alcuni di loro, nella loro rabbia impotente, si lanciarono selvaggiamente sul nemico, sacrificando le loro vite, mentre altri, ritirandosi passo dopo passo verso le file dei loro compagni, provocarono un grande disordine per la loro codardia. 

Allora fu lo spirito combattivo dei Gesati ad avanzare verso gli hastati romani, ma il corpo principale degli Insubri, Boi e Taurisci, una volta che gli hastati si erano ritirati nei ranghi, furono attaccati dai manipoli romani, in un terribile combattimento "corpo a corpo". Infatti, pur essendo stati fatti quasi a pezzi, riuscivano a mantenere la posizione contro il nemico, grazie ad una forza pari al loro coraggio, inferiore solo nel combattimento individuale per le loro armi. 

Gli scudi romani, va aggiunto, erano molto più utili per la difesa e le loro spade per l'attacco, mentre la spada gallica va bene solo di taglio, non invece di punta. Alla fine, attaccati da una vicina collina sul loro fianco dalla cavalleria romana, guidata alla carica in modo assai vigoroso, la fanteria celtica fu fatta a pezzi dove si trovava, mentre la cavalleria fu messa in fuga. »

(Polibio, Storie, II, 28-30.)

La battaglia fu molto cruenta, con oltre 40.000 morti solo dalla parte gallica, ed almeno 10.000 fatti prigionieri, tra i quali il loro re Concolitano e i Romani persero in battaglia il loro valoroso comandante Attilio Regolo e molti altri. L'altro re, Aneroesto, riuscì a fuggire con pochi seguaci in un luogo remoto dove si suicidò con i suoi compagni. 

Il console rimasto, Lucio Emilio Papo, raccolto il bottino, lo inviò a Roma, restituendo il bottino dei Galli ai legittimi proprietari. Infine i romani vincitori offrirono in onore delle vittime numerosi ex-voto nel Tempio sul colle dell’odierna Talamonaccio.



LA BATTAGLIA CONTRO I BOI

Quindi le sue legioni, attraversata la Liguria, invase il territorio dei Boi, da dove, dopo aver consentito ai suoi uomini il loro saccheggio, tornò dopo un paio di giorni a Roma. Inviò, quindi, quale trofeo sul Campidoglio, le collane d'oro dei Galli, mentre il resto del bottino e dei prigionieri fu usato per il suo ingresso in Roma e il suo trionfo.

Così furono distrutti i Celti, che con la loro invasione, la più grave fino ad allora, avevano minacciato i popoli italici ed i Romani. Il successo incoraggiò i Romani, tanto da credere fosse possibile cacciare completamente i Celti dalla pianura del Po. 

Così finirono i Celti, che con la loro invasione, la più massiccia mai organizzata, avevano minacciato l'esistenza di Roma e di tutti i popoli italici. Spronato dal successo il senato inviò l'anno successivo i consoli Quinto Fulvio e Tito Manlio alla testa di un esercito contro i Boi che chiesero la pace, ma non si ebbero altri successi, a causa delle piogge torrenziali e di una violenta epidemia.

La battaglia di Talamone è stata considerata dallo storico francese Charles Rollin (1661 – 1741) "una delle battaglie più celebri e più straordinarie di cui si parli nella storia romana". Dal punto di vista tattico lo scontro fu importante anche per lo schieramento difensivo dei galli, spalla contro spalla, per fronteggiare i due eserciti consolari convergenti da nord e da sud. Molti ex-voto vennero posti a ringraziamento dai romani nel Tempio sul colle dell'odierna Talamonaccio.


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