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LUPIAE - LECCE (Puglia)

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RICOSTRUZIONE GRAFICA - ITLAB (http://itlab.ibam.cnr.it)

I MITI

Le prime attestazioni della civiltà messapica risalgono all'VIII secolo a.c., ma delle sue leggende mitologiche greche si rifanno al mito di Paride, alla storia di Odisseo e a quella di Ifigenia. La leggenda tramanda che già prima della guerra di Troia esistesse una città fondata da Malennio, 1211 anni prima della nascita di Cristo. Dopo la distruzione di Troia, fu occupata da Lictio Idomeneo che, oltre a darle il nome, ne introdusse la cultura greca.

MASCHERONE DEL TEATRO
Il mito narra che Idomeneo, re di Creta, figlio di Deucalione e nipote di Minosse, risolse una disputa sorta tra Teti e Medea su chi fosse la più bella, decidendo in favore di Teti. Medea, irritata, maledisse lui e la sua stirpe e condannò i Cretesi a non dire mai più la verità. Da qui il detto secondo cui «I Cretesi sono tutti bugiardi».

Benché avanti negli anni, ma ancora bellissimo, Idomeneo aspirò alla mano della bella Elena, che amò con passione e per cui soffrì molto quando fu destinata a Menelao.Gli ambasciatori cretesi annunciarono che il loro re Idomeneo avrebbe guidato cento navi a Troia se Agamennone avesse acconsentito a condividere con lui il comando della spedizione e il re acheo accettò.

Nell'Iliade si narra che Idomeneo si distinse in numerose imprese, uccidendo vari eroi troiani e difese le navi greche contro gli assalti di Deifobo ed Enea. Inoltre fu tra gli eroi che, nascosti nel cavallo di legno, penetrarono nella città e fu tra i giudici che attribuirono le armi di Achille ad Odisseo.

Secondo alcune tradizioni, Idomeneo venne ucciso da Ettore nella guerra di Troia, ma secondo altri, partì per la sua terra con la sua nave, trovando il suo trono usurpato da Leuco, al quale Idomeneo aveva lasciato la guardia della casa in sua assenza, con cui sua moglie Meda aveva avuto una relazione.

Partì nuovamente per l'Italia e si stabilì definitivamente in Calabria (nome antico del Salento, la parte più meridionale della Puglia), dove fondò una nuova città. Una variante afferma che fu costretto a lasciare la patria per una sommossa dei suoi sudditi, avendo egli ordinato il sacrificio di suo figlio Idamante per mantenere fede a un voto fatto mentre ritornava dalla guerra di Troia: i Cretesi interruppero la cerimonia provocando così la fuga del re.

RICOSTRUZIONE GRAFICA - ITLAB (http://itlab.ibam.cnr.it)

LA NASCITA DI LECCE

A Lecce il primo insediamento di tipo urbano, avviene verso la fine del IV secolo a.c., con potenti mura difensive, lunghe 3 km e spesse 5 metri; (individuati i tratti presso Porta Napoli, via Adua, Viale Lo Re e via Manifattura Tabacchi) eseguite a grandi blocchi di calcare, per un'area di circa 50 ettari. 

Il tessuto abitativo era discontinuo, con assi viari non rettilinei, alternati con spazi agricoli, luoghi di culto e necropoli. Il passaggio dalla città messapica a quella romana non sembra sia avvenuto in modo traumatico o violento, perchè non c'è traccia di abbattimenti o distruzioni, ma avviene invece gradualmente nel corso del I secolo a.c., modificando pian piano il tessuto urbano messapico con le strutture tipiche della città romana. 



IL NOME

Lecce divenne così romana assumendo il nome di Lupiae che qualcuno ha associato a Lupus = lupo, altri a Lupu = Lep = roccia, rupe, in latino " Lapis "= roccia. Oppure, e ci sembra più accettabile, proviene da alluvies (piena), tanto è vero che in provincia di Venezia esiste Campagna Lupia, derivata da luvia, cioè zona alluvionata o alluvionabile.

L'ANFITEATRO

IL MUNICIPIO

Fu dopo il 272 a.c. che la città messapica rientrò nell'area di controllo di Roma, trasformandosi poi in vero territorio romano, pur mantenendo in parte caratteristiche proprie. Quando poi Ottaviano sbarcò nel porto di Lupiae, ebbe abboccamenti con i governatori locali saggiando l’amicizia e la fedeltà degli esponenti dell’aristocrazia locale per il defunto dittatore e pertanto per il suo figlio adottivo.

Ottenuta questa rassicurazione Ottaviano progettò un'ulteriore e più profonda trasformazione della città, motivata dalla sua decisione di assegnare a Lupiae un ruolo eminente rispetto alle altre città messapiche, all’interno di un progetto più ampio di riorganizzazione territoriale del Salento.

Più tardi la città, dopo la Guerra Sociale (89 a.c.) passò da statio militum a municipium (con l’iscrizione dei nuovi cittadini alla tribù Camilia) retto da Quattuorviri con potestà giusdicente. 

L'applicazione delle leggi municipali, dettste dalle leggi romane, ed in particolare il divieto di seppellire all'interno dell'abitato, impose l'abbandono delle aree funerarie poste all'interno delle mura, permettendo invece una continuità d'uso di quelle esterne consentendo la formazione di nuove necropoli. 

IPOGEO PALMIERI

IPOGEO PALMIERI

Le necropoli, secondo l'uso Messapico, si articolavano sia dentro che fuori la città, alternandosi alle abitazioni. Le tombe venivano scavate nella roccia o in fosse rettangolari o come ampie camere ipogee con decorazioni tanto più ricche tanto più alto è il rango sociale del defunto. Tra le poche tombe a camera rinvenute nell'area del centro storico emergono l'Ipogeo Palmieri, nel giardino di Palazzo Guarini, e quella nei sotterranei della Banca d'Italia.

Quando Lupiae divenne municipio romano, le necropoli vennero spostate all’esterno della cinta muraria, come tipico delle consuetudini romane e venne introdotto il rito dell’incinerazione. Il mondo dei vivi si separava così dal mondo dei morti. Successivamente ottenne la promozione a colonia guidata da duumviri.

PORTA NAPOLI CON TRATTI DELLE MURA

LA RICOSTRUZIONE ROMANA

È però in età augustea che avviene la grande trasformazione urbanistica della città che si riforma a scacchiera con le due vie ortogonali.  Si racconta che Ottaviano, di ritorno dall’Oriente dopo la morte di Cesare, sia arrivato a Lecce nel 44 a.c. e qui accolto come nuovo Cesare.

Vennero in quest'epoca costruiti il teatro e l’anfiteatro e, nell’area dell’attuale Piazza Duomo, il foro della città. posto all’incrocio del cardo e del decumano massimi. Il primo Duomo viene costruito in età paleocristiana sostituendo lo spazio civile della Basilica con quello religioso della chiesa.

Secondo alcuni studiosi però al posto del Duomo non vi era una basilica ma bensì un grande tempio, posizionato tra la piazza del Duomo e il teatro romano.

RICOSTRUZIONE GRAFICA DEL TEATRO - ITLAB (http://itlab.ibam.cnr.it)

IL TEATRO

Dimenticato da secoli nel sottosuolo dell’antica Lupiae, il Teatro Romano di Lecce riemerse per caso dal passato dopo secoli di dimenticanza, e di Lupiae e di tutte le bellezze degli antichi romani, nel 1929. Naturalmente avvenne per caso,  a seguito della ristrutturazione dei giardini di due palazzi nobiliari posti nel centro storico. 

Così nei primi del '900 partirono gli scavi archeologici che fecero riemergere anzitutto la cavea del monumento, larga esternamente 40 metri, ed interiormente circa 19 metri, scavata direttamente nella roccia, secondo l'uso greco.

Il restauro non solo portò alla luce ma risistemò in parte l’antico rivestimento di pietra. Dodici gradoni si alternano alle scalette d’accesso per gli spettatori, che secondo le stime degli studiosi dovevano assommare a oltre 5000.

SEZIONE DEL TEATRO (http://itlab.ibam.cnr.it)
Il teatro, ricavato in un banco di roccia, fu rivestito in opus quadratum. Il teatro è pertanto in parte scavato nella roccia sottostante, da cui è ricavata la scena ancora in luce, e in parte edificato. Essa è divisa in sei cunei da cinque scalette radiali dei cui gradini ogni coppia corrisponde ad uno di quelli riservati agli spettatori. 

Ogni cuneo è costituito da dodici gradoni dell'altezza di 0,35 metri e di una profondità di 0,75 metri circa, molti dei quali sono stati già restaurati.

Davanti all'orchestra, conservata nella sua originale pavimentazione a lastre rettangolari di calcare bianco, si notano tre larghi gradini che girano a semicerchio sui quali venivano collocati dei seggi particolari e mobili riservati ai notabili. 

IL TEATRO OGGI
Dietro i gradini è presente un muretto e, dietro l’orchestra, oltre al canale destinato a raccogliere il sipario, è presente la scena, in cui l'altezza dal piano dell’orchestra è di metri 0,70; la profondità di 7,70 metri e la larghezza di 30 metri.

Ma erano presenti anche molti incavi, probabilmente utilizzati per le impalcature degli scenari in legno. I romani sapevano creare le scene scolpendole e dipingendole, e pure macchinari che potessero trasportare velocemente le scene a volte semplicemente facendole ruotare.

L'ANTICO BASOLATO
Il monumento è datato al periodo augusteo, al quale apparterrebbero alcuni frammenti della decorazione fittile del balteus, mentre all’età degli Antonini si vuole risalgano le statue marmoree che adornavano il teatro. 

La scaenae frons doveva essere decorata da nicchie con lesene e ornamenti vari, e con statue riproducenti prototipi di età classica o ellenistica; spesso si trattava di copie romane di statue greche, molto apprezzate dai romani che adoravano l'arte ellenica.

Infatti sono stati rinvenuti in loco frammenti delle statue di Ares, di Artemide, di Amazzone, di Athena, di Zeus, e pure un clipeo con l’immagine della Dea Roma, probabilmente accompagnata da una statua di Augusto, collocata al centro del frontescena. 

I reperti di cui sopra, provenienti dallo scavo sono conservati attualmente al Museo Provinciale "Sigismondo Castromediano" di Lecce. Il complesso architettonico del teatro è stato utilizzato per un lungo tempo, rappresentando sia tragedie che commedie.

IL TEATRO (http://itlab.ibam.cnr.it)

L'OLEIFICIO

In Piazzetta Castromediano sono venuti alla luce, durante la ristrutturazione della piazza, alcune strutture connesse con varie fasi della storia della città. Ad età romana vanno ascritti i resti di alcune strutture produttive pertinenti alla lavorazione dell’olio (frantoio e cisterna), del II-I secolo a.c. Questo rinvenimento permette di collocare in quest’area il quartiere artigianale della città romana.

I resti del trapetum del I secolo a.c. sono visibili nella vetrina ad est. Vediamo un vasto ambiente con pavimento in cocciopesto con presse per la spremitura. L’olio era convogliato tramite canali nel lacus olearius (rivestito in cocciopesto con scaletta di accesso e pozzetto sul fondo, in cui si sedimentavano i depositi dell’olio spremuto).

Oltre a queste strutture negli ultimi anni sono venute alla luce le Terme Pubbliche, nell’area prospiciente la Chiesa di Santa Chiara, una struttura templare, forse dedicata ad Iside, nella zona del teatro, sotto Palazzo Vernazza, e un’area artigianale in Piazzetta Castromediano, con il suddetto oleificio.

L'ANFITEATRO DI LECCE

L'ANFITEATRO

Sono ancora visibili i resti dell’Anfiteatro di Lecce, il massimo edificio teatrale conservato in Puglia. È datato ad età augustea con rifacimenti voluti dall'imperatore Adriano. Venne messo alla luce negli anni Trenta del Novecento, nell’ambito della valorizzazione dell’Impero Romano in era fascista. 

Solo un terzo della struttura venne scavato in quanto il resto era collocato sotto la Chiesa di Santa Maria delle Grazie e pertanto intoccabile. L’anfiteatro era collocato come si usava all'epoca, aldifuori delle mura della città, in una posizione intermedia tra l’abitato e il territorio.

SEZIONE DELL'ANFITEATRO - ITLAB (http://itlab.ibam.cnr.it)
Ciò aveva i vantaggi di attirare anche forestieri dall'esterno senza che questo ingombrasse la città, e che in caso di risse o scontri, che non erano rari soprattutto nella tifoseria delle corse dei cavalli, questi tafferugli non invadessero la città.

L'anfiteatro, come il teatro, in parte venne scavato nel banco roccioso sottostante, in modo da reimpiegare nella costruzione le pietre cavate. A tutt'oggi dell'anfiteatro resta solo la ima cavea. Sotto alla cavea passavano due corridoi, uno centrale anulare per gli spettatori, con numerosi accessi dal porticato, ed un’altro di servizio.

Il podium, muro che divide l’area dalla cavea, era decorato da rilievi in marmo che rappresentano le venationes che avvenivano al’interno della struttura. Troviamo rappresentati cacciatori, gladiatori, bestie e animali di varia natura: cani, lepri, tori, cervi, lupi, cinghiali, pantere, leoni, orsi, e perfino un elefante e un rinoceronte.

IL SECONDO ANFITEATRO, IERI ED OGGI

IL SECONDO ANFITEATRO

Oggi è tornato alla luce (grazie al prof Francesco d’Andria e al lavoro dell’Università del Salento e della Soprintendenza) anche l’anfiteatro di Rudiae. Lecce è l’unica città al mondo che possa vantare due anfiteatri romani, anche se duemila anni fa lo spazio urbanistico attuale non esisteva, e Lupiae e Rudiae erano due città distinte, che forse proprio per antagonismo si vollero dotare entrambe di un simile e importante monumento.

RESTI TEMPIO DI ISIDE

IL TEMPIO DI ISIDE

Il palazzo Castromediano-Vernazza ospita nei suoi sotterranei i resti del tempio di Iside. Si sa che a Lupiae, da quanto riportano diverse fonti: molti mercanti venivano qui per portare un tributo alla Dea della fecondità e della maternità. Questi doni erano monete e iscrizioni. 

In una di queste si legge "Tiberinius Isidi" (Tiberio dedica ad Iside) ed è stata trovata durante gli scavi nel palazzo, insieme alla testa di una statua della Dea che, come d'ordinario, doveva essere conservata nella cella del tempio dedicata alla divinità.
Nel piano inferiore del palazzo è stato rinvenuto il "purgatorium", un battistero pagano, al quale si accedeva tramite una gradinata scavata nella roccia, che portava in un piccola fossa, all’interno della quale il fedele compiva il "lavacrum" per potersi purificare prima di entrare nel tempio. Mediante i suoi resti ne è stata effettuata una ricostruzione, con una vasca a pianta rettangolare e nicchia sul fondo in cui era conservata l' acqua sacra del Nilo. 

"Nel purgatorium si svolgeva il rito della purificazione: l'immersione nell'acqua, attraverso una scaletta in parte tagliata nella roccia, permetteva al fedele di liberarsi dalle passioni e dai desideri terreni prima di accedere all'area sacra." 
(Apuleio, Metamorfosi Xl, 23, 9).

Dal santuario sono emerse sculture in marmo di etå imperiale, chiaramente egizie. Degli "oscilla" (lastrine di marmo) erano appesi alle ghirlande tra le colonne del portico di cui uno circolare recante una maschera teatrale.

Altri due "oscilla", rettangolari, rappresentano il Dio Anubis con testa di sciacallo ed Iside con crescente lunare sulla testa, sistro (lo strumento musicale) nella mano sinistra e situla nella mano destra (secchiello per l' acqua da cui deriva quello cattolico delle aspersioni) utilizzato appunto nelle aspersioni rituali isiache.

Dal santuario provengono anche dei bacini lustrali tra cui un labrum in breccia corallina con iscrizione ad Iside da parte di Memmius Cinyps Tiberinus ed alcune sculture tra cui una statua di  Afrodite. 

LA COLONNA DI S. ORONZO

SANTO ORONZO

La leggenda vuole che un giorno san Paolo consegnasse una lettera a Giusto per recapitarla a Roma, ma Giusto naufragò presso Lecce, ove fu salvato e curato da Publio e suo nipote Fortunato. Giusto parlò a Publio dell'unico Dio, e questi subito si convertì e si fece battezzare insieme a suo nipote, cambiando il nome in Oronzo, cioè "risorto". 

Giusto e Oronzo cominciarono a predicare e furono denunciati al pretore romano, che li fece frustare e carcerare. Scarcerato, Giusto invitò Oronzo e Fortunato da san Paolo che consacrò Oronzo Vescovo di Lecce e della Japigia (Puglia). Tornati nel Salento, predicarono e convertirono la popolazione, ma vennero trovati dai legionari, ricondotti a Lecce, e qui giustiziati per decapitazione.



COLONNA DI SANT'ORONZO

COLONNA DI BRINDISI
E' famosa a Lecce la colonna, peraltro romana, che oggi sostiene la statua di Sant’Oronzo. Originariamente si trovava a Brindisi, accanto ad un’altra colonna che, per lungo tempo si è creduto essere il terminale della Via Appia, ma oggi si hanno dei dubbi.

Il 20 novembre 1528 una delle colonne crollò (per incuria) e i vari pezzi marmorei rimasero a terra per oltre un secolo (sempre per incuria). Nel frattempo nel 1657 la peste seminò morte nel sud Italia, ma non toccò il Salento, per cui a Lecce si credette ad un’intercessione del santo patrono per cui Dio non aveva sterminato anche loro.

Così il popolo riconoscente volle realizzare un monumento al santo patrono e l’allora sindaco di Brindisi decise di offrire i pezzi della colonna caduta, danneggiati e in stato di abbandono.

Il lavoro di rastrematura che ne fece l’architetto Zimbalo l’hanno resa molto più snella ma molto più lontana dall’originale, e altrettanto il capitello. La vera immagine originale si può vedere oggi solo a Brindisi.



SOTTERRANEI DI LECCE

Il tracciato di vico dei Sotterranei è occupato da una serie di mosaici pavimentali attribuibili a una ricca domus del V secolo. Inoltre si è rinvenuto un tratto di strada basolata di età imperiale, il cui tracciato nordest-sudovest non si inserisce nella maglia ortogonale proposta da alcuni studiosi. Sembra che il tracciato delle vie fosse rimasto in parte messapico e in parte romano.

Nel Vico dei Sotterranei, un luogo posto oggi sotto il livello stradale, si conservano una serie di mosaici pavimentali appartenenti alle domus romanr del V secolo. Il sottosuolo di Lecce è ancora tutto da scavare per fornire nuove sorprese.

IL PORTO

IL PORTO

In'età imperiale, soprattutto nel II secolo, Lupiae diventa il centro più importante del Salento, accanto alla colonia latina di Brindisi. Traiano decide allora di collegare Lupiae all'ultimo tratto della Via Traiana (Via Traiana Calabra) che conduce da Brindisi a Otranto, il nuovo porto di collegamento con l'oriente. 

L'imperatore Adriano fece di più, perchè  dotò Lupiae anche di un porto nella vicina rada di San Cataldo. Chi però ampliò e abbellì ancor più lupiae fu Marco Aurelio Antonino (161-180) di origini salentine, che si riteneva discendente di Malennio, per cui la città gli era particolarmente cara. 

Questo ruolo di egemone ricchezza dura fino al V-VI secolo quando anche a Lupiae, come in tutto il mondo antico, si assiste alla ridefinizione funzionale del centro urbano, in parte legata alla diffusione del Cristianesimo con conseguente edificazione degli edifici di culto cristiani e demolizione di quelli pagani.

Da secoli dimenticato, il porto romano di Lecce (antica Lupiae), fatto ricostruire dall’imperatore Adriano, lentamente sta ritornando alla luce grazie ad una campagna di scavi che ne ha riportato in vista i tratti visibili sottraendoli alle sterpaglie. Pausania, scrittore, viaggiatore e geografo greco del II secolo d.c. lo citava nelle sue opere. Qui sbarcò Ottaviano, dopo aver appreso della morte di Cesare.

Un sito strategico, posto fra le città portuali di Brindisi e Otranto, svolgendo importante ruolo di scalo o rifornimento. Sotto ne vediamo, studiando la fotografia aerea, il disegno dell’antico impianto oggi ormai sott’acqua. Dopo la fine dell’Impero cadde nella totale dimenticanza, come tutta la zona del litorale, occupata da paludi e boschi. Soltanto nel XVI secolo qualche viaggiatore appunta l’esistenza di questa struttura muraria.

I RESTI DEL MOLO
Il bastione si inoltra in mare per circa 150 metri, ma la parte centrale è crollata distrutta dalle mareggiate senza che nessuno mai intervenisse. Fra il 2004 e il 2008 l’intera struttura è stata almeno  studiata, per ottenerne un progetto. Si è scoperto che dai suoi tempi c'è stata una variazione del livello marino è di circa 3 metri, rispetto al livello attuale.

Molti dei grossi conci presentano ancora le tracce lasciate dagli attrezzi utilizzati per la messa informa (ascia martello e scalpello a taglio liscio). Nelle fonti d’archivio ottocentesche si fa riferimento alla presenza di “barre di ferro” utilizzate per rendere solida la struttura. Del sistema di fissaggio restano sei grappe a doppia T e a pi greco.

L’architettura del molo si riscontra in numerose strutture del bacino mediterraneo di diverse epoche. Qui giungeva la strada che arrivava da Lupiae, in alcuni tratti (dei circa 10 km di campagne attraversate) ancora visibili.

Si sono riscontrate analogie strutturali tra il molo di San Cataldo e l’anfiteatro di Lecce, datato tra l’età repubblicana e la metà del II secolo d.c. per cui si è ipotizzata una datazione simile, anche se la presenza di pozzolana d’importazione nel nucleo dell’opera cementizia dell’edificio leccese, risulta  assente nel molo. Non si può pertanto essere certi che i due edifici siano coevi.
La soluzione edilizia adoperata a San Cataldo deve essere stata fortemente condizionata dall’ampia disponibilità di pietra da taglio e alla facilità di estrazione del materiale lapideo, reperito in zone assai vicine. Delle colonne di marmo bianco che in origine si allineavano lungo tutto il molo, ne resta solo un moncone.

Comunque in età imperiale l’insenatura sabbiosa fu dotata di un molo in muratura innestato nell’estremità settentrionale nella terraferma, a chiudere uno specchio d’acqua adeguato per le manovre di carico e scarico di imbarcazioni di piccolo tonnellaggio.



IL DECLINO

Con la caduta dell'impero romano d'occidente, la città conobbe un lento declino, causato dalle varie dominazioni. Dopo prima dominazione ostrogota, fu coinvolta nella guerra tra goti e bizantini. Fu saccheggiata da:
- Totila (r. 541 - 552) il re degli Ostrogoti, nel 542 e di nuovo nel 549,
- dopodichè passò sotto il dominio dell'Impero Romano d'Oriente (395 d.c. - 1453), di cultura prevalentemente greca, per cinque secoli. 
- poi fu dominata dai Saraceni (arabi, tra II e V secolo),
- dai Longobardi (popolo germanico. nel 568, guidato da re Alboino, che occuparono l'Italia formando un regno indipendente che si estese sulla maggior parte del territorio italiano continentale e peninsulare).
- dagli Ungari:
«Nell'anno 889 la ferocissima gente degli Ungari, crudele più delle belve più crudeli, sconosciuta nei tempi passati, tanto da non venire neppure nominata, diedero l'addio alla loro terra e si misero in marcia alla ricerca di nuove sedi dove stabilirsi. Dapprima si procurarono i sostentamento con la caccia e la pesca, ma poi presero a fare continue incursioni e scorrerie. In queste incursioni hanno sterminato migliaia di persone con le frecce, scoccate dagli archi con tanta abilità che è difficilissimo schivarle. Non vivono come uomini, ma come bestie. A quel che si dice, mangiano carni crude, bevono sangue, fanno a pezzi e poi mangiano il cuore dei prigionieri, non conoscono pietà
(abate Reginone di Prüm)
- e dagli Slavi che nel'Alto Medioevo occuparono l'Italia settentrionale, in particolare in Friuli e Veneto.



BIBLIO

- M. Bernardini - Lupiae - Centro Studi Salentini - Lecce - 1959 -
- Francesco Maria Pratilli - La Puglia romana: un paesaggio pietrificato - in Quaderni dell'Archivio Storico Pugliese XXI - Bari - 1982 -
- Domenico Musti - Magna grecia. Il quadro storico - Bari - Laterza - 2005 -
- Gustavo Strafforello - La patria, geografia dell’Italia, Introduzione generale - Unione Tipografico-Editrice - Torino - 1890.
- F. D'Andria (ed.) - Lecce romana e il suo teatro - Galatina - 1999 -
- P. Larizza - La Magna Grecia - Reggio Calabria - Istar Editrice - 1993 -
- (AA.VV.) - Salento. Architetture antiche e siti archeologici - Edizioni del Grifo - 2008. -


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