Ierapoli (o Gerapoli o Hierapolis) è una città ellenico-romana della Frigia, regione storica dell'Anatolia centrale, abitata dai Frigi, che dominava la valle del fiume Lico sulla strada che collegava l'Anatolia al mar Mediterraneo.
Ierapoli si trova nell'antica Anatolia (turchia) culla delle civiltà degli Ittiti, dei Frigi, dei Traci, dei Lidii, degli Armeni e degli Elleni (Greci), che venne incorporata negli Imperi persiano, macedone, romano e bizantino, che l'apprezzarono e la modificarono finchè non cadde nelle mani dei turchi del XI secolo che ne cancellarono l'esistenza.
Ierapoli di Frigia non è da confondersi con Ierapoli Bambice, in Siria, o con Ierapoli Castabala, in Cilicia. Le rovine di Ieropoli si trovano invece nella odierna località di Pamukkale ("castello di cotone"), situata nella provincia di Denizli, in Turchia, e famosa per le sue sorgenti calde, che formano concrezioni calcaree.
PAMUKKALE
Può essere visto da grande distanza, perfino quando ci si trova sul lato opposto della vallata, a circa 20 km dalla città di Denizli, situata ad est del fiume Meandro. Pamukkale si trova infatti nella regione interna Egea, nella valle del fiume Meandro, che le fa omaggio di un clima temperato anche nelle stagioni più fredde.
I movimenti tettonici hanno da un lato causato frequenti terremoti, ma hanno anche permesso la nascita di numerose fonti termali, usate a tutt'oggi, in cui l'acqua, satura di ioni di calcio e di anidride carbonica, si combina con con l'acqua creando acido carbonico.
I movimenti tettonici hanno da un lato causato frequenti terremoti, ma hanno anche permesso la nascita di numerose fonti termali, usate a tutt'oggi, in cui l'acqua, satura di ioni di calcio e di anidride carbonica, si combina con con l'acqua creando acido carbonico.
PAMUKKALE |
Poi man mano che emerge l'acqua perde gran parte dell'anidride carbonica, dando luogo carbonato di calcio che, anche a causa dell'abbassamento della temperatura, precipita dando luogo a fantastici paesaggi, con spessi strati bianchi di calcare e travertino lungo il pendio della montagna, rendendo l'area simile ad una fortezza di candido cotone o di cascate di ghiaccio opaco.
La rimozione dei canali ha consentito di mettere in luce gli strati relativi alla distruzione del portichetto protobizantino, eretto lungo il marciapiede con basi, fusti e capitelli di reimpiego.
Hierapolis continuò ad essere meta di viaggiatori e studiosi anche nel corso del XX secolo. Interessante è la testimonianza di Leo Weber che sostiene che il monumento non sia più visibile in quanto sepolto al di sotto dei depositi di travertino. L’autore riferisce tuttavia che gli abitanti del luogo continuavano a recarsi presso le acque termali per curarsi e che per tradizione usavano legare alle piante intorno alla sorgente strisce di stoffa come ex-voto.
Pamukkale è oggi un importante centro turco per i turisti che si spostano dalle coste dell'Adalia e del Mar Egeo per vedere questo luogo che, insieme a Hierapolis, è diventato uno dei Patrimoni dell'umanità dell'UNESCO.
GLI SCAVI
Importante città ellenistico-romana della Frigia, Ierapoli dominava la valle del fiume Lykos, lungo un percorso che univa l'Anatolia interna al Mediterraneo. Nel sito archeologico opera dal 1957 la "Missione Archeologica Italiana di Hierapolis di Frigia" (MAIER), fondata da Paolo Verzone del Politecnico di Torino.Attualmente il direttore della missione è il Prof. Francesco D'Andria dell'Università del Salento. Hierapolis di Frigia è uno dei siti archeologici e naturalistici più frequentati del Mediterraneo, con circa 1,5 milioni di visitatori all'anno.
I recenti scavi hanno messo in luce l'impianto urbano di Ierapoli, sicuramente di età ellenistica, con un grande asse principale nord-sud, la cosiddetta plateia (strada principale).
Lungo questo asse si sviluppava un reticolo stradale ortogonale che divideva la città in isolati regolari e allungati dove si disponevano gli edifici pubblici e le case private.
Nella parte nord della città, lungo la strada che portava verso Tripoli, cominciarono a formarsi, tra il II e il I secolo a.c., i primi nuclei della necropoli, che si svilupperà in età imperiale, con tombe a fossa ed imponenti edifici funerari.
La fioritura della città subì un brusco arresto nel corso del IV secolo per un ulteriore violento terremoto che distrusse molte aree tra cui quella dell'agorà commerciale. Ma anche qui seguì una paziente ricostruzione.
L'orchestra era, come da tradizione, circolare, definita dal muro del proscenio di cui si sono trovate le fondazioni in recenti scavi sotto l'attuale palcoscenico.
PORTA DI FRONTINO
La via in entrata in genere passava per una zona piana dove si sviluppavano tante vie ortogonali alla via principale, intersecate ortogonalmente da tante altre vie minori che facevano asilo alle abitazioni e agli edifici pubblici nei loro riquadri.
Passata la zona residenziale, l'astu, dove c'era la piazza principale, l'agorà, e dove si svolgevano la giustizia e i mercati, la via saliva sul colle formando l'acropoli, cioè l'insieme dei vari templi, o zona sacra in genere fortificata, anche se la città nel complesso poteva godere di una cinta di mura più ampia che comprendeva l'agorà e l'acropoli.
La Porta di Frontino è l'ingresso monumentale della città di Hierapolis, fatto costruire dal romano Sesto Giulio Frontino, grande scrittore ed elaboratore di idraulica e di tecniche varie, celebre per il trattato sugli acquedotti, ma genio in svariati campi, incluso quello dell'architettura.
Tra la via principale ed il museo, le terme che sono funzionali, richiudono la piscina arcaica di Pamukkale, che è stata dichiarata dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità nel 1988.
Grande il fascino del paesaggio naturale creato dall’acqua termale attraverso i suoi depositi di calcare candido nel corso dei secoli e alle rovine dell’antica città termale di Hierapolis. Le sorgenti termali sono state utilizzate come terme sin dal II secolo a.c.
Pamukkale è oggi un importante centro turco per i turisti che si spostano dalle coste dell'Adalia e del Mar Egeo per vedere questo luogo che, insieme a Hierapolis, è diventato uno dei Patrimoni dell'umanità dell'UNESCO.
GLI SCAVI
Importante città ellenistico-romana della Frigia, Ierapoli dominava la valle del fiume Lykos, lungo un percorso che univa l'Anatolia interna al Mediterraneo. Nel sito archeologico opera dal 1957 la "Missione Archeologica Italiana di Hierapolis di Frigia" (MAIER), fondata da Paolo Verzone del Politecnico di Torino.
CARTINA DI HIERAPOLIS (INGRANDIBILE) |
Lungo questo asse si sviluppava un reticolo stradale ortogonale che divideva la città in isolati regolari e allungati dove si disponevano gli edifici pubblici e le case private.
Nella parte nord della città, lungo la strada che portava verso Tripoli, cominciarono a formarsi, tra il II e il I secolo a.c., i primi nuclei della necropoli, che si svilupperà in età imperiale, con tombe a fossa ed imponenti edifici funerari.
L'assetto monumentale della città è quello che si creò in diversi periodi dopo il devastante terremoto del 60 d.c., nella laboriosa ricostruzione avvenuta tra la fine del I ed il III secolo.
In questo periodo vengono eretti o trasformati, ad opera dei romani, molti splendidi monumenti quali l'agorà commerciale, la porta di Frontino, due grandi ninfei pubblici, e il grandioso teatro. IL TEATRO DI HIERAPOLIS |
Con l'edificazione delle mura di fortificazione bizantine, alla fine del IV secolo, la parte nord della città, compresa l'agorà commerciale, fu esclusa dal perimetro urbano ed utilizzata come cava di materiale da reimpiego per cancellare la monumentalità pagana in nome delle nuova affermazione cristiana anche nell'architettura.
Ierapoli fu infatti un importante centro della cristianità e lungo l'asse viario principale vennero costruite, con le pietre di spolio della parte antica, una chiesa extraurbana (Terme-chiesa), la cattedrale con il battistero, la basilica a pilastri e, sulla collina orientale, il martyrion di San Filippo apostolo.
Ma la città non venne protetta nè dagli Dei pagani nè da quelli cristiani perchè alla fine del VI secolo, un altro terremoto provocò il crollo della maggior parte degli edifici ierapolitani, comprese le mura bizantine.
Ierapoli fu infatti un importante centro della cristianità e lungo l'asse viario principale vennero costruite, con le pietre di spolio della parte antica, una chiesa extraurbana (Terme-chiesa), la cattedrale con il battistero, la basilica a pilastri e, sulla collina orientale, il martyrion di San Filippo apostolo.
Ma la città non venne protetta nè dagli Dei pagani nè da quelli cristiani perchè alla fine del VI secolo, un altro terremoto provocò il crollo della maggior parte degli edifici ierapolitani, comprese le mura bizantine.
IL TEATRO
La costruzione del Teatro avvenne in età giulio-claudia, come evidenzia la raffinata decorazione architettonica conservata, sfruttando in parte le pendici della collina, in parte per mezzo di sostruzioni, secondo l'uso romano. Esso poteva contenere circa 10000 spettatori seduti.
Oggi si estende non distante dal complesso del santuario di Apollo, e comunque rispecchia la tradizione ellenistica: con 26 file di gradini, i sedili della cavea, in travertino, scendevano sino ai limiti dell'orchestra sui quali erano collocati seggi di prima fila in marmo, collegati da un balteo (gradino più largo degli altri, che separava un ordine dall'altro).
L'orchestra era, come da tradizione, circolare, definita dal muro del proscenio di cui si sono trovate le fondazioni in recenti scavi sotto l'attuale palcoscenico.
Le due parodoi oblique (cioè i due corridoi laterali, posti tra la scena e i sedili per il pubblico, attraverso i quali gli attori e il coro entravano nell'orchestra dall'esterno del teatro) erano definite dal dai muri obliqui laterali del proscenio stesso.
TEATRO |
La cavea era a due livelli, il più alto era il frontescena (frons scaena) che era decorato da tre ordini sovrapposti, articolati con nicchie e sporgenze, ed aveva cinque porte.
I podi su cui poggiavano gli ordini architettonici presentavano rilievi: al primo ordine erano rappresentate scene mitologiche del ciclo di Diana e di Apollo, e agli ordini superiori erano raffigurati eroti e ghirlande alternati ad altre scene figurate con Demetra, Persefone e Dioniso.
Il bellissimo marmo bianco utilizzato proviene probabilmente dalle cave locali di Thiountas e sono presenti fusti e rivestimenti in pregiato marmo pavonazzetto dalla vicina città di Docimium.
In età severiana il teatro fu oggetto di una fastosa monumentalizzazione per cui l'edificio scenico venne ricostruito e ingrandito per sostenere l'imponente facciata del frontescena, ornato da una decorazione marmorea articolata in tre ordini sovrapposti, con statue e rilievi figurati sui diversi livelli, anche nei due aerei parasceni colonnati.
Vennero anche sostituiti i sedili di travertino con nuovi sedili in marmo, sia nel meniano inferiore, sia in un cuneo del meniano superiore; inoltre, le file inferiori dei sedili in travertino verso l'orchestra vennero inglobate in un alto podio in marmo.
Questo per permettere lo svolgimento di spettacoli con combattimenti di fiere e di gladiatori, molto diffusi in età imperiale, in modo che gli spettatori fossero adeguatamente protetti anche nei posti più bassi che erano poi i più ambiti.
Questo per permettere lo svolgimento di spettacoli con combattimenti di fiere e di gladiatori, molto diffusi in età imperiale, in modo che gli spettatori fossero adeguatamente protetti anche nei posti più bassi che erano poi i più ambiti.
Il podio impediva così il contatto diretto degli spettatori delle prime file, in genere occupati da magistrati, consentendo le attività venatorie, tanto care al popolo di ogni estrazione sociale.
Il nuovo palcoscenico venne ricostruito più profondo, sfruttando lo spazio dei precedenti corridoi.
La nuova struttura poggiava su archi che reimpiegavano i blocchi dei sedili in travertino provenienti dalla demolizione della vecchia cavea.
Il proscenio venne quindi riccamente decorato da una ricca facciata ipostile con nicchie e incrostazioni di marmi colorati.
Nel IV secolo l'orchestra venne trasformata in una grande vasca d'acqua per potervi realizzare spettacoli acquatici, molto di moda nel IV sec. d.c. , ad opera di un certo Magnus di cui un'iscrizione recita: “rese la città un santuario delle ninfe”: per cui murò le porte dell'orchestra, e rivestì tutte le superfici con malta signina impermeabilizzante, di cui sono ancora conservati molti lacerti.
Nel IV secolo l'orchestra venne trasformata in una grande vasca d'acqua per potervi realizzare spettacoli acquatici, molto di moda nel IV sec. d.c. , ad opera di un certo Magnus di cui un'iscrizione recita: “rese la città un santuario delle ninfe”: per cui murò le porte dell'orchestra, e rivestì tutte le superfici con malta signina impermeabilizzante, di cui sono ancora conservati molti lacerti.
Alla metà dello stesso secolo, sotto l'imperatore Costanzo II, un'importante iscrizione incisa sull'architrave marmoreo del secondo ordine della scena fa riferimento a lavori di consolidamento e di restauro del Teatro, che si resero necessari a fronte di un terremoto che aveva portato a crolli di parti delle aeree strutture colonnate della frontescena.
PORTA DI FRONTINO |
Nell'uso greco a cui era ispirata la città di Hierapolis non esistevano il cardo e il decumano massimi come nell'urbanistica romana ma un'unica via con due porte alle estremità del centro urbano, che si diramava nelle due direzioni. Un'iscrizione rivela la sua dedica a Domiziano nell'84 d.c.
Passata la zona residenziale, l'astu, dove c'era la piazza principale, l'agorà, e dove si svolgevano la giustizia e i mercati, la via saliva sul colle formando l'acropoli, cioè l'insieme dei vari templi, o zona sacra in genere fortificata, anche se la città nel complesso poteva godere di una cinta di mura più ampia che comprendeva l'agorà e l'acropoli.
TERME GRANDI |
Il monumento è collocato ad un estremo della via principale della città (che misurava circa 13 m di larghezza) e costituisce uno dei due ingressi alla stessa, essendo l'altra porta all'estremità opposta.
La porta era a tre fornici di cui uno in entrata e due in uscita, per la sicurezza cittadina.
La porta era a tre fornici di cui uno in entrata e due in uscita, per la sicurezza cittadina.
LE TERME
Grande il fascino del paesaggio naturale creato dall’acqua termale attraverso i suoi depositi di calcare candido nel corso dei secoli e alle rovine dell’antica città termale di Hierapolis. Le sorgenti termali sono state utilizzate come terme sin dal II secolo a.c.
I grandi bagni erano costruiti con enormi blocchi di pietra senza l'uso di cemento e consistevano in varie sezioni chiuse o aperte collegate tra loro. Ci sono profonde nicchie nella sezione interna, tra cui il bagno, la biblioteca e la palestra.
Diciassette sono le sorgenti, con una temperatura che oscilla dai 35 fino ai 100 gradi centigradi, e innumerevoli le proprietà terapeutiche conosciute fin da tempi antichissimi.
Data l’estrema delicatezza del sito, dopo il riconoscimento dell’Unesco sono state introdotte regole più rigide ai visitatori. I bagni sono ancora possibili, ma nei centri termali, non più nelle vasche naturali che sono patrimonio dell’Umanità.
Diciassette sono le sorgenti, con una temperatura che oscilla dai 35 fino ai 100 gradi centigradi, e innumerevoli le proprietà terapeutiche conosciute fin da tempi antichissimi.
Data l’estrema delicatezza del sito, dopo il riconoscimento dell’Unesco sono state introdotte regole più rigide ai visitatori. I bagni sono ancora possibili, ma nei centri termali, non più nelle vasche naturali che sono patrimonio dell’Umanità.
RICOSTRUZIONE DEL NINFEO DEI TRITONI |
NINFEO DEI TRITONI
Dotato di una facciata marmorea, si affaccia sulla via di Frontino, dove il piano stradale era costituito da uno strato di terra frammista a calcare e ciottoli, lungo il marciapiede ovest, con varie parti sopravvissute: lacunari, basi di colonna, basi di lesena, basi di pilastro, pilastri cuoriformi e capitelli.
Sull’architrave, con una parte di testo erasa, si nota una dedica all’imperatore Alessandro Severo che ne occupa due blocchi successivi. E' evidente la ricostruzione di età proto-bizantina, successiva al terremoto della metà del IV sec. d.c.
Dotato di una facciata marmorea, si affaccia sulla via di Frontino, dove il piano stradale era costituito da uno strato di terra frammista a calcare e ciottoli, lungo il marciapiede ovest, con varie parti sopravvissute: lacunari, basi di colonna, basi di lesena, basi di pilastro, pilastri cuoriformi e capitelli.
Sull’architrave, con una parte di testo erasa, si nota una dedica all’imperatore Alessandro Severo che ne occupa due blocchi successivi. E' evidente la ricostruzione di età proto-bizantina, successiva al terremoto della metà del IV sec. d.c.
La rimozione dei canali ha consentito di mettere in luce gli strati relativi alla distruzione del portichetto protobizantino, eretto lungo il marciapiede con basi, fusti e capitelli di reimpiego.
Al crollo del portichetto sono riferibili alcuni fusti di colonna ed estesi lembi del crollo delle tegole di copertura; lo strato ha inoltre restituito quantità considerevoli di ceramica proto-bizantina ed una lastra frammentaria a rilievo con scena di Amazzonomachia pertinente al basamento del secondo ordine del Ninfeo.
La Porta degli Inferi, o di Plutone, il signore dell’Ade, Ploutonion in greco, Plutonium in latino, era il luogo da cui si aveva accesso secondo la mitologia e la tradizione ellenistica e romana all’inferno.
Doveva trattarsi di un antichissimo tempio dedicato alle ninfe in età di religione animistica, poi trasformato in culto di Cibele, Grande Madre il cui culto è diffuso nel medio oriente, trasformato poi dai greci amanti dei culti egizi in tempio di Serapide, poi trasformato nel tempio di Demetra Plutone e Core con relativi Sacri Misteri e la divinazione relativa attraverso l'interpellazione dei morti.
Successivamente, con l'invasione cosiddetta iperborea, il tempio venne trasformato in culto di Apollo e le sue sacerdotesse profetarono per lui, probabilmente sostituite poi con i sacerdoti e conseguente fine delle profezie. Si sa che nella divinazione i sacerdoti di Apollo fecero una figuraccia colossale, come riconosce anche Luciano.
LA MISSIONE ARCHEOLOGICA ITALIANA
Nel sito archeologico opera dal 1957 la Missione Archeologica Italiana di Hierapolis di Frigia (MAIER), fondata da Paolo Verzone del Politecnico di Torino. Attualmente il direttore della missione è il Prof. Francesco D'Andria dell'Università del Salento. Hierapolis di Frigia è uno dei siti archeologici e naturalistici più frequentati del Mediterraneo, con circa 1,5 milioni di visitatori all'anno.
Per incrementare il turismo sta per essere realizzato un ponte, rimovibile, per salire alla sommità della collina e vengono condotti restauri, ha detto ancora l'archeologo citando il ginnasio, “un portico dorico in marmo, meraviglioso”.
L’Aghiasma è situata nella parte Nord-Occidentale di un piccolo piano posto sulla sommità della gradinata che sale dal Ponte di San Filippo, subito ad Est dell’ampia scalinata che permette l’ascesa al soprastante Martyrion.
Si tratta di una fontana sacra lungo il percorso processionale, costituita da un pilastro in travertino, in cui l’acqua doveva giungere da una diramazione di uno degli acquedotti di Hierapolis. Sicuramente l'acqua sacra era pertinente ad un antico culto delle ninfe, già riscontrato in zona, poi trasformato in culto cristiano probabilmente relativo al santo Filippo.
BIBLIO
- Pierre Gros - Le province orientali. Realtà e ideologia dell'urbanistica romana - in Pierre Gros, Mario Torelli - Storia dell'urbanistica. Il mondo romano - Roma-Bari - Laterza - 2007 -
- Tullia Ritti - Hierapolis: scavi e ricerche I - Fonti letterarie ed epigrafiche - Roma - Giorgio Bretschneider - Collana Archaeologica -
- Francesco D'Andria, Tullia Ritti - Hierapolis: scavi e ricerche II - Le sculture del teatro. I rilievi con i cicli di Apollo e Artemide - Roma - Giorgio Bretschneider - Collana Archaeologica -
- Augusto Camera, Renato Fabietti - Elementi di storia antica volume 2 - 1999 -
SANTUARIO DI DEMETRA E CORE
Situato nella parte meridionale della penisola, sopra un terrazzamento, a metà costa, l’insieme di strutture noto come ‘Santuario di Demetra e Kore’ costituisce uno dei nuclei cultuali più rappresentativi della città in quanto da esso proviene una stipe votiva costituita pressoché esclusivamente da statuette fittili databili tra il VI sec. a.c. e l’età tardo ellenistica.
Qui ha riavviato il lavoro Adriano Romualdi, prendendo le mosse da una capillare analisi delle murature (i precedenti scavi risalgono agli anni ‘60 del secolo scorso).
Il controllo dei rilievi e delle planimetrie esistenti ha consentito infatti di verificare cosa rimane oggi dell’edificio (fondazioni di muri prevalentemente a secco appoggiate sulla roccia), il quale doveva essere dotato di più accessi, di un oikos (?), di uno spazio scoperto, tutti elementi questi che, nel tempo, hanno avuto forme di interrelazione piuttosto complesse.
Situato nella parte meridionale della penisola, sopra un terrazzamento, a metà costa, l’insieme di strutture noto come ‘Santuario di Demetra e Kore’ costituisce uno dei nuclei cultuali più rappresentativi della città in quanto da esso proviene una stipe votiva costituita pressoché esclusivamente da statuette fittili databili tra il VI sec. a.c. e l’età tardo ellenistica.
Qui ha riavviato il lavoro Adriano Romualdi, prendendo le mosse da una capillare analisi delle murature (i precedenti scavi risalgono agli anni ‘60 del secolo scorso).
Il controllo dei rilievi e delle planimetrie esistenti ha consentito infatti di verificare cosa rimane oggi dell’edificio (fondazioni di muri prevalentemente a secco appoggiate sulla roccia), il quale doveva essere dotato di più accessi, di un oikos (?), di uno spazio scoperto, tutti elementi questi che, nel tempo, hanno avuto forme di interrelazione piuttosto complesse.
Vi è stata anche una nuova e capillare campagna fotografica accompagnata dal rilevamento dei muri e dalle loro sezioni: in breve una raccolta dei dati per quanto possibile esaustiva per la verifica di fattibilità di alcuni interventi che articolino ulteriormente il quadro cronologico d’insieme, che chiariscano le pertinenze del complesso, che lo rendano raggiungibile e più comprensibile al visitatore.
STOA' (BASILICA)
"L'edificio si affacciava sul lato orientale dell'Agorà nord, ampia piazza recintata da portici a unico piano lungo i lati sud, ovest e nord, mentre tutta la lunghezza del lato est, di 280 metri, correva una gradinata alta 5 metri.
Dalla sommità di questa si elevava il monumento: raggiungendo i 20 metri di altezza, essa costuiva una immensa quinta scenografica che nascondeva il pendio del monte costellato dai monumenti funebri della necropoli orientale.
Tratti distintivi del prospetto erano la presenza di un propileo centrale di ordine corinzio ai lati del quale si sviluppavano due stoai ioniche simmetriche e la suddivisione in due piani, altro aspetto saliente doveva risultare il contrasto cromatico fra gli elementi del piano inferiore, in marmo bianco, e quelli della gallerie superiore, dove i pilastri e i plutei erano in breccia colorata.
L'idea progettuale appare quella di fondere la tradizionale stoà ionica con un organismo che costituisce l'asse della facciata; nelle stai che si sviluppavano a destra e a sinistra di questo, ciascuna di 28 colonne-pilastro, peculiare è la sostituzione del canonico ordine architravato con un sistema di arcature esteso a tutto lo sviluppo dei colonnati.
Le colonne-pilastro reggevano capitelli ionici figurati con echino decorato con kyma ionico e pulvini che recano al centro una Blattmaske; sui capitelli appoggiavano dadi che riproducevano i canonici elementi della trabeazione e sui quali si impostavano gli archi.
Il tratto di muratura sorretto dalle arcature era concluso da una cornice marcapiano sulla quale poggiavano gli elementi della galleria superiore."
(Progetto architettonico e cicli figurativi nella stoà-basilica di Hierapolis di Frigia)
di Furio Sacchi
"L'edificio si affacciava sul lato orientale dell'Agorà nord, ampia piazza recintata da portici a unico piano lungo i lati sud, ovest e nord, mentre tutta la lunghezza del lato est, di 280 metri, correva una gradinata alta 5 metri.
Dalla sommità di questa si elevava il monumento: raggiungendo i 20 metri di altezza, essa costuiva una immensa quinta scenografica che nascondeva il pendio del monte costellato dai monumenti funebri della necropoli orientale.
Tratti distintivi del prospetto erano la presenza di un propileo centrale di ordine corinzio ai lati del quale si sviluppavano due stoai ioniche simmetriche e la suddivisione in due piani, altro aspetto saliente doveva risultare il contrasto cromatico fra gli elementi del piano inferiore, in marmo bianco, e quelli della gallerie superiore, dove i pilastri e i plutei erano in breccia colorata.
PARTICOLARE RICOSTRUITO DELLA STOA' |
L'idea progettuale appare quella di fondere la tradizionale stoà ionica con un organismo che costituisce l'asse della facciata; nelle stai che si sviluppavano a destra e a sinistra di questo, ciascuna di 28 colonne-pilastro, peculiare è la sostituzione del canonico ordine architravato con un sistema di arcature esteso a tutto lo sviluppo dei colonnati.
Le colonne-pilastro reggevano capitelli ionici figurati con echino decorato con kyma ionico e pulvini che recano al centro una Blattmaske; sui capitelli appoggiavano dadi che riproducevano i canonici elementi della trabeazione e sui quali si impostavano gli archi.
Il tratto di muratura sorretto dalle arcature era concluso da una cornice marcapiano sulla quale poggiavano gli elementi della galleria superiore."
(Progetto architettonico e cicli figurativi nella stoà-basilica di Hierapolis di Frigia)
di Furio Sacchi
AREA DI ARTEMIS ASTIAS
" A distanza di anni si è ripresa l’attività anche nella cosiddetta ‘Area di Artemis Astias’: trattasi del vasto spazio che si apre tra l’agora e il bouleuterion, scavato solo in parte, allo stato delle cose caratterizzato dal podio di un tempio ionico in antis databile al IV sec. a.c..
L’intervento (di N. Masturzo e di F. Bianchi) ha provveduto al censimento e alla catalogazione sistematica degli elementi lapidei appartenenti al tempio, al rilievo di dettaglio del podio e di parti dell’alzato e alla catalogazione delle parti architettoniche (colonne, capitelli, basi, etc.) appartenenti ai porticati di ordine dorico che delimitavano il piazzale.
Una pulizia generale ma concentratasi sul podio, sul breve tratto scavato della stoa orientale e sulle due trincee che furono aperte per verificarne a nord il raccordo del podio con ulteriori strutture e per accertare l’esistenza a sud di un altare, ha consentito di individuare e analizzare un’ottantina di blocchi.
Nel campo delle ricerche sui materiali, e nel quadro di una indagine più ampia concernente le importazioni di ceramica attica alla quale attende un folto gruppo di studiosi, M. Landolfi si è occupato delle importazioni presenti nel ‘Santuario di Zeus Megistos’.
Grazie al riconoscimento di nuovi frammenti, ha potuto ricostruire una buona parte di entrambi i lati dell’anfora panatenaica ritrovata nella stipe del naiskos e integrare un piccolo ma importantissimo gruppo di coppe e di skyphoi figurati di pieno VI sec. a.c. che hanno la medesima provenienza.
- D. Gandolfi ha avviato l’analisi del vasellame ritrovato nel pozzo del ginnasio (scavi 2004) individuando le forme attribuibili alle produzioni di Eastern Sigillata A, di Cnido e di Pergamo e sistematizzando le produzioni non verniciate, le quali, con forme sino ad ora poco o assai scarsamente attestate in loco, rappresentano la parte più consistente del deposito.
- La dr.ssa Gandolfi si è avvalsa della ampia documentazione grafica predisposta da L. Ruffoni e da M. A. Spolverin, alle quali peraltro si deve anche il rilievo grafico di numerosi altri manufatti.
- D. Baldoni ha provveduto - come sempre - alla documentazione fotografica dei materiali e delle strutture.
- A. Türkmen ha avviato la catalogazione e lo studio delle monete presenti nel laboratorio della casa della Missione redigendo un primo catalogo di alcune centinaia di pezzi che si distribuiscono dal IV sec. a.c. fino al periodo bizantino: il contributo tende a colmare una lacuna nei dati archeologici ed è di indubbio rilievo poiché consentirà una più documentata e articolata conoscenza del circolante nella città.
" A distanza di anni si è ripresa l’attività anche nella cosiddetta ‘Area di Artemis Astias’: trattasi del vasto spazio che si apre tra l’agora e il bouleuterion, scavato solo in parte, allo stato delle cose caratterizzato dal podio di un tempio ionico in antis databile al IV sec. a.c..
L’intervento (di N. Masturzo e di F. Bianchi) ha provveduto al censimento e alla catalogazione sistematica degli elementi lapidei appartenenti al tempio, al rilievo di dettaglio del podio e di parti dell’alzato e alla catalogazione delle parti architettoniche (colonne, capitelli, basi, etc.) appartenenti ai porticati di ordine dorico che delimitavano il piazzale.
GINNASIO |
Nel campo delle ricerche sui materiali, e nel quadro di una indagine più ampia concernente le importazioni di ceramica attica alla quale attende un folto gruppo di studiosi, M. Landolfi si è occupato delle importazioni presenti nel ‘Santuario di Zeus Megistos’.
Grazie al riconoscimento di nuovi frammenti, ha potuto ricostruire una buona parte di entrambi i lati dell’anfora panatenaica ritrovata nella stipe del naiskos e integrare un piccolo ma importantissimo gruppo di coppe e di skyphoi figurati di pieno VI sec. a.c. che hanno la medesima provenienza.
- D. Gandolfi ha avviato l’analisi del vasellame ritrovato nel pozzo del ginnasio (scavi 2004) individuando le forme attribuibili alle produzioni di Eastern Sigillata A, di Cnido e di Pergamo e sistematizzando le produzioni non verniciate, le quali, con forme sino ad ora poco o assai scarsamente attestate in loco, rappresentano la parte più consistente del deposito.
- La dr.ssa Gandolfi si è avvalsa della ampia documentazione grafica predisposta da L. Ruffoni e da M. A. Spolverin, alle quali peraltro si deve anche il rilievo grafico di numerosi altri manufatti.
- D. Baldoni ha provveduto - come sempre - alla documentazione fotografica dei materiali e delle strutture.
- A. Türkmen ha avviato la catalogazione e lo studio delle monete presenti nel laboratorio della casa della Missione redigendo un primo catalogo di alcune centinaia di pezzi che si distribuiscono dal IV sec. a.c. fino al periodo bizantino: il contributo tende a colmare una lacuna nei dati archeologici ed è di indubbio rilievo poiché consentirà una più documentata e articolata conoscenza del circolante nella città.
- I lavori di restauro (M. Del Gaudio, G.B. Kiroğlu, M. Ekinci) si sono appuntati sul vasellame tratto nel 2004 dal pozzo del ginnasio della Porta Est ma non si sono trascurate alcune emergenze scaturite dagli scavi nella agora (ci si riferisce in particolare al trattamento degli oggetti di bronzo).
- Né va passata sotto silenzio la ricollocazione sulla base del torso virile esposto nel museo del Balık Pazarı, torso del quale, durante l’inverno, era stato tentato il furto: la difficoltà di tagliare i perni di acciaio si era (per fortuna) rivelata insormontabile e la grande statua di marmo era rimasta rovesciata all’ingiù.
L’ordinaria manutenzione ha comportato, com’è consuetudine, opere di diserbo, di pulizia e ripristini; si è usata ghiaia per ricoprire alcune delle trincee scavate. Per evitare il dilavamento o smottamenti, le più deboli tra le strutture murarie del complesso di Demetra e Kore sono state difese o rinforzate con assiti.
- Né va passata sotto silenzio la ricollocazione sulla base del torso virile esposto nel museo del Balık Pazarı, torso del quale, durante l’inverno, era stato tentato il furto: la difficoltà di tagliare i perni di acciaio si era (per fortuna) rivelata insormontabile e la grande statua di marmo era rimasta rovesciata all’ingiù.
L’ordinaria manutenzione ha comportato, com’è consuetudine, opere di diserbo, di pulizia e ripristini; si è usata ghiaia per ricoprire alcune delle trincee scavate. Per evitare il dilavamento o smottamenti, le più deboli tra le strutture murarie del complesso di Demetra e Kore sono state difese o rinforzate con assiti.
Non mi soffermo sugli interventi che normalmente consentono l’agibilità della casa della Missione per ricordare invece quanto si è fatto nella ‘Casa dei Mosaici’, dove si è riverniciata tutta la struttura di legno, si sono sostituite parti del coperto, si sono sistemati utili (si spera) deterrenti o dissuasori lungo parte del perimetro per frenare l’ingresso di animali, autori di molti dei danni che poi si riscontrano."
Nel 2014 sempre a Ierapoli fu scoperta una grotta, da cui escono velenosissimi vapori sulfurei, che gli antichi consideravano l'ingresso degli Inferi, dimora del dio Plutone. Nel I secolo a.c. ne parla Strabone nella sua Geografia: "un'apertura di grandezza modesta in grado di contenere un uomo, ma molto profonda". Il Plutonio era sede di importanti sacrifici.
Una missione archeologica italiana ha scoperto nell’antica Hierapolis di Frigia la storica porta di accesso agli Inferi di cui parlano diversi autori dell’Antichità, è stato annunciato questo pomeriggio a Istanbul.
La scoperta, fatta dalla missione diretta da Francesco D’Andria dell’Universita’ del Salento,responsabile degli scavi nella città ellenistico-romana, le cui rovine si trovano in Turchia vicino al Comune di Pamukkale, è stata annunciata dallo stesso D’Andria a un convegno sull’archeologia italiana. La Porta degli Inferi, o di Plutone, il signore dell’Ade, Ploutonion in greco, Plutonium in latino, era il luogo da cui si aveva accesso secondo la mitologia e la tradizione ellenistica e romana all’inferno.
Del Plutonium di Hierapolis hanno scritto fra gli altri Cicerone e il grande geografo greco Strabone, che l’avevano visitato. Era una celebre meta di pellegrinaggio nell’Antichità.
Da quando sono iniziati gli scavi a Hierapolis, avviati nel 1957 già da una missione italiana diretta da Paolo Verzone del Politecnico di Torino, la localizzazione di Plutonium era al centro delle ricerche degli archeologi. D’Andria ha spiegato all’ANSA di averlo ritrovato ispirandosi all'abbondante letteratura dell’epoca e ricostruendo fino a una grotta il percorso di una sorgente termale, constatando che in quella zona si raccoglievano cadaveri di uccelli morti.
Secondo i racconti dei viaggiatori dell’epoca, tori erano sacrificati a Plutone davanti ai pellegrini nel Plutonium. Gli animali erano condotti dai sacerdoti davanti all’ingresso di una grotta da dove usciva un fumo mefitico e lì morivano soffocati.
L’annuncio della scoperta e’ stato fatto durante un convegno sugli scavi archeologici italiani nel Paese della Mezzaluna promosso dall’ambasciatore in Turchia Giampaolo Scarante.
ENTRATA AGLI INFERI - PLUTONIUM |
L’annuncio della scoperta e’ stato fatto durante un convegno sugli scavi archeologici italiani nel Paese della Mezzaluna promosso dall’ambasciatore in Turchia Giampaolo Scarante.
Diversi autori antichi hanno scritto della pratica di gettare, all’interno della grotta, degli uccelli per constatarne la morte a causa dei vapori velenosi (sig!).
Ne danno testimonianza prima Strabone e poi Cassio Dione, nella prima metà del III sec. d.c.; dove quest'ultimo fornisce una descrizione delle strutture architettoniche del santuario.
Ne danno testimonianza prima Strabone e poi Cassio Dione, nella prima metà del III sec. d.c.; dove quest'ultimo fornisce una descrizione delle strutture architettoniche del santuario.
Narra dunque della presenza in prossimità dello stomion (fessura) di una specie di cisterna in cui erano contenuti i vapori e della presenza di un teatro, costruito al di sopra dell’apertura, dal quale si era affacciato per gettarvi il piccolo animale (Cass. Dio. 68, 27).
Una fonte più tarda sul Ploutonion di Hierapolis ci è fornita dal filosofo neoplatonico Damascio che nel suo viaggio in Asia, insieme al collega Doros, nella prima metà del VI sec. d.c. discese a sua volta con il suo amico nella cavità sotterranea fino alla parte più interna senza correre alcun rischio, in quanto iniziati al culto della Grande Madre. si sarebbe poi addormentato e avrebbe sognato di essere Attis e per ordine dalla Madre degli Dei, di aver celebrato la festa delle Ilarie, che doveva simboleggiare la loro salvezza dall’Ade.
Ritornato ad Aphrodisias, Damascio riferisce la sua impresa ed il sogno fatto al filosofo Asklepiodotos, il quale gli racconta la sua esperienza, di molti anni prima, all’interno della grotta: avvolgendosi più volte il mantello intorno alla testa per proteggersi dai gas aveva percorso la discesa, seguendo le sorgenti calde, fino al punto più basso in cui una stretta e profonda fenditura non gli permise di proseguire (Dam. Isid., in Phot. 131).
Quest’ultima testimonianza ricca di aspetti simbolici e di riferimenti misterici, trasferisce l’esclusività delle imprese degli eunuchi Galli, tramandateci dalle fonti precedenti, agli iniziati al culto di Cibele, i quali raggiungono la salvezza dall’Ade anche attraverso l’esperienza onirica del sogno."
Il geografo greco Strabone, nei racconti dei suoi viaggi in Asia Minore nel I secolo a.c., descrive le singolari proprietà del Ploutonion, “un’apertura di dimensioni sufficienti per farci passare un solo uomo, ma con una discesa che va in profondità… lo spazio è riempito da un vapore fitto e scuro, così denso che il fondo difficilmente può essere individuato… Gli animali che vi entrano… muoiono all’istante. Anche i tori, quando sono portati al suo interno, cadono a terra e ne escono morti. Noi stessi gettammo dentro dei passeri, e immediatamente caddero a terra senza vita”.
Strabone ne parla come uno dei più grandi santuari dell’Antichità, un luogo da cui riuscivano ad uscire vivi dall’anfratto mefitico solo gli eunuchi di Cibele, antica Dea della fertilità, probabilmente trattenendo il fiato o approfittando di sacche d’aria respirabile, mentre gli uccelli che si avvicinavano troppo alla cavità morivano avvelenati dai fumi.
Il Plutonium o Casa di Ade, in cui era officiato il culto ad Ade e alla sua compagna, Persefone/Kore, attraverso il quale era possibile raggiungere gli Inferi tramite la porta d’ingresso ritrovata, dal punto di vista archeologico era stato in precedenza individuato nel Santuario di Apollo, protettore della città, per la presenza di un’apertura da cui fuoriuscivano esalazioni di gas.
BASILICA DELL'AGORA' |
Proseguendo gli scavi nella zona limitrofa al santuario e in un’area centrale della città antica, tra l’imponente teatro e l’agorà, si è evidenziato un complesso formato da una gradinata lunga 30 m, una grotta e una tholos con due vasche ai lati per i bagni terapeutici nelle acque termali. Il dislivello di 2 m tra il piano dove si apre la grotta e la gradinata consentiva ai fedeli di assistere ai sacrifici che venivano fatti in onore di Plutone e Kore.
Una caverna caratterizzata da una secrezione di vapori mortali che producevano allucinazioni, in una sorte di “effetto Oracolo di Delfi” dal momento che i pellegrini prendevano le acque in una piscina vicino al tempio, dormivano non troppo lontano dalla grotta e ricevevano profezie e visioni a causa delle esalazioni tossiche.
COMMENTO
Successivamente, con l'invasione cosiddetta iperborea, il tempio venne trasformato in culto di Apollo e le sue sacerdotesse profetarono per lui, probabilmente sostituite poi con i sacerdoti e conseguente fine delle profezie. Si sa che nella divinazione i sacerdoti di Apollo fecero una figuraccia colossale, come riconosce anche Luciano.
LA MISSIONE ARCHEOLOGICA ITALIANA
Nel sito archeologico opera dal 1957 la Missione Archeologica Italiana di Hierapolis di Frigia (MAIER), fondata da Paolo Verzone del Politecnico di Torino. Attualmente il direttore della missione è il Prof. Francesco D'Andria dell'Università del Salento. Hierapolis di Frigia è uno dei siti archeologici e naturalistici più frequentati del Mediterraneo, con circa 1,5 milioni di visitatori all'anno.
"Siamo a Hierapolis, città dell’antica regione della Frigia, vicino all’odierna Pamukkale, in Turchia. E’ qui che una squadra di archeologi italiani, capitanata da Francesco D’Andria, docente di Archeologia classica all’Università del Salento, nonché responsabile degli scavi nella città ellenistico-romana di Hierapolis, ha fatto una sensazionale scoperta: due eccezionali statue marmoree, i “guardiani” della Porta di Plutone che, secondo la mitologia e la tradizione greco-romana, rappresentava la porta d’ingresso agli Inferi.
Una statua rappresenta Cerbero, il cane a tre teste che la mitologia greca aveva posto a guardia dell’ingresso dell’Ade, il Regno dei Morti; Cerbero, il mostro che solo Ercole era riuscito a sottomettere, facendogli mangiare una pagnotta con semi di papavero che lo aveva addormentato.
Accanto ad essa, è stata rinvenuta la statua di un enorme serpente, altro animale guardiano, per gli antichi Greci, dell’Oltretomba.
Il misterioso Cancello di Plutone, che gli archeologi cercavano da oltre mezzo secolo, è stato svelato anche grazie ai corpi senza vita di diversi uccelli che, avvicinatisi troppo ai fumi mefitici di anidride carbonica che fuoriescono dalla grotta, sono morti davanti agli occhi dei ricercatori che, seguendo le tracce contenute nell'abbondante letteratura dell’epoca, come ha rivelato lo stesso D’Andria a Discovery News, hanno trovato il Plutonio, ricostruendo il percorso di una sorgente termale.
Le sorgenti termali di Pamukkale, che producono le famose terrazze di travertino bianco, provengono proprio da questa grotta e una dedica a Plutone, incisa al di sopra dell’entrata, non fa altro che confermare l’identificazione del sito."
IL TEMPIO DI APOLLO
"Le attività di ricerca della Missione Archeologica Italiana Nel 1957 con la fondazione della Missione Archeologica Italiana a Hierapolis (di seguito MAIER), per opera del prof. Paolo Verzone, iniziarono gli scavi e le ricerche sistematiche all’interno del tessuto urbano. Tra il 1962 e il 1964 si diede avvio alle indagini all’interno del Santuario ierapolitano, ubicato nell’area centrale dell’impianto urbano, che riproposero nuovamente l’identificazione del Ploutonion.
Queste prime indagini condotte sul campo da Gianfilippo Carettoni portarono al rinvenimento di un edificio templare su alto podio costruito al di sopra della faglia sismica, che allora venne identificato con il Tempio di Apollo in cui si riconobbero più fasi di monumentalizzazione fino al III sec. d.c.; nella parte retrostante alla cella invece fu portata alla luce una scalinata in marmo sulla quale era presente un grande deposito di blocchi, realizzato in età bizantina, che conteneva gli elementi architettonici di altri edifici del santuario.
Lo scavatore individuò altresì sul lato destro del podio l’accesso ad un ambiente ipogeico, strutturalmente collegato all’edificio templare, realizzato in corrispondenza di una stretta cavità naturale in cui ribolle l’acqua della sorgente e da cui si sprigiona anidride carbonica che satura l’aria. In questa apertura nella roccia, regolarizzata nella parte superiore da grandi blocchi di travertino, è ricavato un piccolo vano quadrangolare con l’ingresso sormontato da un catino a conchiglia che Carettoni definì "grotta sacra".
Egli infatti, richiamando il passo di Strabone relativo al Ploutonion e sulla scorta della testimonianza di Damascio che riferisce della presenza della grotta al di sotto del Tempio di Apollo, ὑπὸ δὲ τὸν ναὸν, lo accomuna al santuario descritto dalle fonti. L’identificazione del Ploutonion e del Tempio di Apollo fu essenzialmente accolta nei decenni seguenti e i due monumenti rientrarono nelle più note guide archeologiche della Turchia, come i principali luoghi da visitare all’interno degli itinerari turistici.
Lo stesso prof. Verzone era pienamente d’accordo nel riconoscere nell’apertura al di sotto del tempio l’ultima sistemazione del Ploutonion, anche se notava una non piena aderenza tra le descrizioni delle fonti e quanto era emerso dagli scavi. Nello specifico riscontrava l’assenza dell’impianto stabile, il θέατρον descritto da Cassio Dione, che egli pensava di riconoscere nei sedili in marmo visibili davanti al Ninfeo del Santuario di Apollo, trasferiti qui in età tarda successivamente alla spoliazione del monumento dall’area prossima alla grotta.
Nel corso degli anni Settanta il Santuario di Apollo fu oggetto a più riprese di indagini archeologiche e interventi di restauro che permisero di definire la superficie e gli accessi all’area sacra individuando il muro di temenos, e di ripristinare parte del colonnato delle stoai (portici) del peribolo (recinto sacro), sia a nord che a sud del Tempio. Queste ricerche avevano permesso anche di evidenziare, sul limite settentrionale dell’area, alcuni tratti della scalinata tra la terrazza inferiore e quella mediana ed elementi architettonici di un altro edificio templare che non venne tuttavia identificato.
Successivamente a questi interventi il Santuario di Apollo visse un periodo di pausa nella ricerca archeologica derivato da un progressivo aumento dei cantieri di scavo all’interno del tessuto urbano, alcuni dei quali richiedevano un considerevole apporto di mezzi e finanziamenti. Con l’avvicendarsi di Francesco D’Andria alla Direzione della MAIER, a partire dal 2000, si è avviato un nuovo programma di indagini sistematiche, attualmente in corso, che ha interessato tutto il settore centrale della città e in particolare il Santuario urbano, dove si sono riconosciuti gli altri edifici templari che definivano gli spazi del complesso monumentale.
Nelle campagne 2001-2007, le indagini condotte sul campo da Grazia Semeraro hanno permesso l’identificazione di altri due edifici (B e C), oltre a quello scavato negli anni Sessanta e interpretato come “Tempio” (A); relativamente a quest’ultimo, in cui si è ipotizzata la grotta artificiale sottostante come sede dell’oracolo di Apollo Kareios, si sono riconosciute tre principali fasi di vita. Queste recenti indagini hanno permesso di identificare nella zona centrale del Santuario le tracce del tempio dedicato ad Apollo (edificio B) di cui restano solo alcuni tratti delle fondazioni e i cavi di spoliazione delle strutture murarie.
Sul limite settentrionale, inoltre, è stato messo in evidenza un terzo edificio (edificio C), con lo stesso orientamento del Tempio di Apollo, caratterizzato da massicce fondazioni in travertino che delimitano al centro un vano ipogeico con copertura a volta. Sulla base dei rapporti stratigrafici e degli elementi formali, la cronologia del monumento, proposta allo stato attuale delle ricerche, sembra orientarsi verso l’età giulio-claudia nel momento in cui il Santuario assume il suo aspetto definitivo con l’insieme dell’edificio di culto (Tempio di Apollo (Edificio B), dell’oracolo (Edificio A, fase II), delle scalinate che raccordano le quattro terrazze e il peribolo che racchiude l’area sacra.
La principale ristrutturazione architettonica sembra collocarsi nel III sec. d.c., in età severiana: a tale fase si riferisce il rifacimento dell’Edificio A (III fase), realizzato con materiali di reimpiego, e la costruzione del Ninfeo del Santuario. La sistematica e radicale distruzione del Tempio maggiore e dell’Edificio C sono da collocarsi durante il V-VI sec. d.c., insieme allo smembramento progressivo degli impianti del Santuario, che sembra risparmiare, però, solo l’Edificio A.
All’interno di quest’ultimo, in cui il carattere ctonio appare strettamente legato alla faglia sismica e ai fenomeni geotermici che scaturiscono dalle viscere della terra, fu possibile rilevare la presenza, nella parte centrale del pavimento della cella, di un bothros: un foro che lo metteva in contatto con la sottostante fenditura e quindi con le divinità infere.
Del resto, il carattere ctonio dell’Apollo ierapolitano era già noto attraverso i due testi epigrafici dell’oracolo alfabetico rinvenuti, in contesto di reimpiego, nell’Edificio A e nel Martyrion di San Filippo; Apollo è qui chiamato con l’epiteto di Kareios, una divinità indigena legata al sottosuolo che appare dotata di poteri mantici e caratterizzata dalla bipenne, che si sovrappone, a seguito della fondazione della polis, all’originaria divinità locale del Santuario: Cibele.
Nella campagna di scavo del 2008 l’avvio di una nuova analisi di dettaglio del monumento, coincisa con la riapertura dell’imboccatura del vano ipogeico, ha permesso di riconsiderare la tradizionale identificazione del Ploutonion attraverso un aggiornato rilievo architettonico delle strutture e sulla base dei nuovi dati acquisiti dalla ricerca archeologica.
Lo studio condotto sul campo da Tommaso Ismaelli ha permesso di riesaminare le caratteristiche del vano costruito sulla faglia sismica che è risultato infine strettamente collegato alle pratiche oracolari che si svolgevano nell’Edificio A e alla soprastante struttura ipostila del monopteros ( tempio costituito da un semplice colonnato circolare), luogo dove avveniva l’estrazione delle sortes nel rituale cleromantico (divinatorio).
L’edificio circolare è infatti posto in asse con l’imboccatura della cavità naturale da cui sgorga la sorgente termale che deve essere interpretata, nell’ambito delle azioni del manteion, come il pozzo rituale da cui il mantis attingeva e beveva l’acqua prima della consultazione dell’oracolo.
A seguito di questa nuova lettura interpretativa dello hieron l’autore rilevava le oggettive differenze architettoniche del vano ipogeico, posto al di sotto del tempio, con le descrizioni del Ploutonion contenute nei resoconti degli autori antichi, rigettando infine la tradizionale identificazione con questo monumento. Contestualmente alle ricerche nell’Edificio A, nella terrazza inferiore, davanti al monumentale Ninfeo del Santuario, iniziava l’esplorazione di una struttura teatrale con gradini in marmo.
Secondo Ismaelli questa struttura poteva corrispondere con il luogo indicato come Ploutonion dalle fonti letterarie e si riallacciava a quanto ipotizzava già Verzone, anche sulla scorta delle testimonianze di Damascio che ubicava il Ploutonion a valle del naos di Apollo e di Cassio Dione che riferisce della presenza di un teatro posto al di sopra della grotta sacra. Lo scavo sistematico dell’area tra il Ninfeo del Santuario e la Via di Frontino nelle campagne 2008- 2011, con il coordinamento di Grazia Semeraro, portò alla luce un ampio segmento dell’edificio teatrale con alla base un piano pavimentale in lastre di marmo, parzialmente spoliato.
La parte inferiore dell’edificio risultava pesantemente inglobata negli spessi depositi calcarei, formatisi dallo scorrere dell’acqua ricca di carbonato di calcio; l’acqua, fluendo, diede vita ad un canale in travertino in corrispondenza del primo filare dei sedili, che resero necessario l’uso dei martelli pneumatici per liberare gli elementi in marmo.
L’approfondimento dello scavo sul margine inferiore della struttura teatrale ha permesso poi di portare alla luce una delle fratture della faglia sismica, con orientamento nord-sud, dalla quale fuoriusciva l’acqua sorgiva insieme alle emissioni di anidride carbonica; la presenza di questi elementi del sottosuolo consentì di verificare per questo settore dell’impianto urbano un generale innalzamento della falda idrica rispetto all’età romana, come è avvenuto nell’area dell’Agorà Civile oggi invasa dall’acqua.
L’analisi di questo monumento, all’interno del più vasto complesso del Santuario di Apollo, ha permesso a Francesco D’Andria di suggerire recentemente una proposta interpretativa con la ricostruzione di un articolato percorso rituale che prende avvio proprio da questo edificio posto davanti al Ninfeo: da qui i fedeli che giungevano dalla Via di Frontino, seduti sui sedili in marmo, assistevano alle rappresentazioni rituali degli episodi mitici legati ad Apollo e alla recitazione degli inni in suo onore.
I temi di queste azioni teatrali dovevano probabilmente fare riferimento ad episodi dei cicli mitologici di Apollo e di Artemide che erano visivamente ricordati nelle rappresentazioni dei busti all’interno dei timpani della facciata monumentale del Ninfeo del Santuario e sugli altari in marmo con rilievi figurati rappresentanti la triade apollinea e le divinità ctonie.
Al termine del rito fedeli e visitatori attingevano l’acqua dal bacino del Ninfeo per compiere abluzioni e purificarsi prima di continuare il percorso rituale, all’interno del secondo terrazzo, dove eseguivano libagioni e sacrifici ad Apollo ed infine consultavano l’oracolo.
Secondo D’Andria questo sistema rituale costituisce la parte centrale di un percorso processionale più vasto che partendo dalla Porta di Frontino doveva raggiungere il Teatro in cui il filo conduttore è rappresentato dalle immagini delle divinità e delle scene di Amazzonomachia riprodotte nei principali monumenti lungo l’itinerario.
Lo scopo di questa manifestazione era quello di drammatizzare l’identità storica della città, come avveniva nella celebre processione efesina di Caius Vibius Salutaris in onore di Artemide, basandosi su una sintesi creata dall'interazione di statue, immagini, edifici e percorsi.
Lo scopo di questa manifestazione era quello di drammatizzare l’identità storica della città, come avveniva nella celebre processione efesina di Caius Vibius Salutaris in onore di Artemide, basandosi su una sintesi creata dall'interazione di statue, immagini, edifici e percorsi.
L’identificazione del Ploutonium
Nella campagna del 2008 iniziava l’esplorazione di un altro complesso architettonico ubicato alle estreme propaggini occidentali della collina del teatro, a circa 50 m a sud del peribolo meridionale del Santuario di Apollo.
L’area indagata è inquadrata tra lo stenopos (asse viario orientato nord sud) F e la plateia (la via principale), che corrono in senso nord-ovest/sud-est, e sul prolungamento degli stenopoi 19 e 21 ed è caratterizzata da un articolato sistema di cavità naturali che si aprono lungo la linea di faglia, da cui sgorga alla temperatura di 35°C la sorgente di acqua termale.
Questo monumento pressoché inedito fu oggetto, verso la metà degli anni ’70, di alcuni saggi di scavo da parte della Missione Archeologica Italiana. Di queste ricerche preliminari, era stata incisa una lunga iscrizione in greco, riferibile a due lettere dell’imperatore Antonino Pio e un decreto del Koinòn dei greci d’Asia, in onore di un eminente cittadino di Hierapolis, Titus Flavius Meniskos Philadelphos.
Nel settore centrale, di fronte al grande muro si rilevarono inoltre le fondazioni di un edificio a pianta circolare, del diametro di 7,50 m, che a seguito della pulizia risultarono relative ad una tholos (edificio circolare). Con la ripresa nella campagna del 2009 si continuarono le indagini nel settore meridionale del grande muro, identificando una sorgente termale e una struttura voltata in conci di travertino posta al di sopra.
La sorgente, canalizzata in anni recenti, alimenta attualmente il laghetto all’interno del Pamukkale Termal, una delle maggiori attrazioni turistiche, posto a circa 50 m a ovest, nell’area dell’Agorà Civile. Nella parte anteriore del grande muro, ai lati della tholos, vennero individuate due vasche di forma quadrangolare di circa 30 mq di superficie (vasche B e C), pavimentate con tavelle fittili e rivestite sui lati di malta idraulica, databili ad età protobizantina. Le vasche, profonde circa 0,70 m, sono interessate da profonde lesioni causate dagli eventi sismici da cui è possibile vedere la sorgente termale sottostante.
Le caratteristiche architettoniche del monumento, la presenza della sorgente termale, dei fenomeni geotermici e dei gas sprigionati dal sottosuolo suggerirono di attribuire il complesso al culto delle ninfe indicandolo come "Santuario delle Sorgenti". In questa stessa campagna si eseguì la pulizia e il rilievo di un esteso crollo, posto ad est del grande muro e riferibile all’alzato di esso; sul margine esterno del crollo fu rinvenuta una statua di una divinità maschile di dimensioni colossali, che più tardi venne riconosciuta con la rappresentazione di Hades-Sarapide, trovando confronto con l’esemplare, di ridotte dimensioni, posto originariamente all’interno della frontescena del Teatro.
Nella campagna 2010 le attività di ricerca si concentrarono principalmente nella parte alta del Santuario lungo il margine orientale del muro A: prima con la rimozione dell’esteso crollo di blocchi e successivamente con lo scavo degli spessi scarichi bizantini posti al di sotto; l’approfondimento dello scavo portò alla luce un segmento di un monumento caratterizzato da una serie di sedili in travertino, e nella parte inferiore, un arco in conci di marmo.
Al di sopra della fila di sedili più alta invece si evidenziarono strutture murarie riferibili ad un ambiente (vano F) e un muro di terrazzamento (muro G), realizzato con materiali di spoglio, tra cui i due frammenti della statua colossale, databile per la ceramica a "vetrina pesante" ad età mediobizantina.
L’anno seguente (2011) l’ampliamento dello scavo su tutta la superficie rese possibile il riconoscimento di un piccolo edificio teatrale rettilineo, per una lunghezza di 25 m, conservato per le prime quattro file.
I sedili, tuttavia, erano stati in gran parte rilavorati per eliminare la modanatura superiore aggettante ed ottenere dei blocchi parallelepipedi e molti di essi erano stati reimpiegati nel muro A. Al di sotto della prima fila di sedili venne evidenziata una grotta naturale regolarizzata all’esterno con un arco in marmo, largo 1,60 m, inquadrato lateralmente da una facciata in blocchi di travertino su cui aggettano semicolonne sormontate da capitelli ionici e su cui corre un architrave. Con la campagna di scavo del 2012 si è potuto definire la superficie completa del theatron, identificandone i limiti a nord e a sud.
Sul lato settentrionale sono emerse altre file di sedili disposti ad angolo retto rispetto alla struttura principale, orientata nord-sud, anch’essi rilavorati in corrispondenza della modanatura superiore. Davanti alla facciata di ingresso alla grotta invece, a partire dalla prima fila di sedili, è stato identificato un riempimento di terra e grandi blocchi architettonici, databile tra il V e il VI sec. d.c., scaricato con lo scopo di obliterare l’ingresso e l’intero prospetto.
La rimozione stratigrafica dell’interro ha fatto emergere un dato di estrema importanza per la comprensione del complesso monumentale: sull’architrave in marmo della facciata, posto al di sopra dell’arco d’ingresso davanti alla grotta, è stata evidenziata un’iscrizione in greco che ha consentito di sciogliere una questione aperta da decenni. L’iscrizione, che riporta il testo: Πλούτωνι καὶ Κόρῃ τὴν ψαλ, si riferisce chiaramente alla dedica dell’arco a Plutone e a Kore-Persefone, e permette di determinare in maniera definitiva l’identificazione del Ploutonion di Hierapolis.
Con la scoperta del Ploutonion si chiudeva la lunga discussione iniziata con gli scavi del Santuario di Apollo alla metà degli anni Sessanta; restava da definire, tuttavia, l’articolazione degli spazi del santuario di Hades, non ancora completamente individuati. Nella campagna di scavo 2013 si è ampliata l’esplorazione su tutta la superficie del santuario: a monte del theatron, sul margine settentrionale e davanti alla grotta sacra. Lungo il lato nord, lo scavo degli scarichi di età protobizantina ha permesso di mettere in evidenza un passaggio posto al di sotto dei sedili in travertino con orientamento est-ovest funzionale all’ingresso nell’area antistante la grotta.
Sempre su questo lato, alle spalle di questo corridoio, è emerso un portico di ordine dorico di cui si conservano complessivamente sette colonne, due con i rispettivi capitelli e parte della trabeazione. A monte del theatron la rimozione degli scarichi superficiali ha portato alla luce una serie di ambienti collegati tra loro, realizzati con materiale di riutilizzo, relativi ad un quartiere abitativo di epoca mediobizantina.
Questi vani sfruttano sul lato orientale un grande muro, orientato sull’asse nord-sud, realizzato con blocchi squadrati in travertino con raffinata fattura esecutiva; tale struttura, emersa per circa 47 m, è risultata essere il muro di temenos del Santuario di Plutone e Kore, che doveva proseguire, con un segmento perpendicolare, sul margine meridionale dell’area dove sono emerse le tracce. Nel corso della stessa campagna di scavo è stata indagata anche la parte davanti alla grotta, al di sotto del theatron, dove è proseguita la rimozione degli scarichi di obliterazione (cancellazione) di epoca bizantina.
Lo scavo che ha raggiunto il livello della sorgente termale, ha messo completamente in luce la facciata monumentale di cui si conservano sei semicolonne sormontate da capitelli ionici e, nella parte centrale, è stato maggiormente evidenziato l’arco d’ingresso alla grotta. Dal grande scarico di blocchi, sul lato meridionale dell’ingresso alla grotta, è stata recuperata la statua in marmo di Cerbero che in base alle dimensioni doveva probabilmente far parte del gruppo scultoreo con Hades-Sarapide seduto in trono già rinvenuto nella campagna del 2009.
La ricerca nella campagna 2014 ha interessato l’indagine all’interno dei vani N e O, posti nel settore settentrionale: la rimozione degli scarichi che obliteravano i piani pavimentali degli ambienti ha permesso di evidenziare strutture connesse ai rituali che si svolgevano nel santuario e la faglia sismica, che orientata sul prolungamento della facciata della grotta, prosegue verso nord in direzione del Santuario di Apollo. Nella porzione centrale della cavea del theatron l’approfondimento dello scavo ha permesso di definire il vano F, come la struttura in cui era custodita la statua di culto.
Nel settore meridionale si è definito il limite del santuario, con l’individuazione del muro di temenos, e del segmento meridionale del theatron che completa l’edificio su questo lato. Nel corso della campagna sono stati indagati due contesti legati ad attività cultuali di particolare rilevanza, i quali hanno permesso di arricchire le conoscenze sulle modalità dei rituali che si svolgevano nel santuario, e di recuperare importanti elementi cronologici utili alla ricostruzione delle fasi di vita.
Il primo contesto si riferisce ad una serie di escharai (altare su cui si celebravano sacrifici in onore di divinità infere), di forma circolare, rinvenute in corrispondenza dell’ingresso al temenos, all’interno di un vano (vano I) delimitato da due setti murari in cui si apre uno stretto passaggio. Gli altari, stratificati a partire dalla roccia di base, sono realizzati praticando un taglio all’interno di uno strato di argilla, che costituisce il piano inferiore, e delimitati da un bordo di pietre e laterizi. All’interno dei circoli sono state documentate le tracce di ripetute attività pirotecniche, attestate dai residui di cenere e ossa animali combuste.
Lo studio preliminare dei materiali ceramici rinvenuti permette di suggerire una cronologia compresa tra la seconda metà del I sec. a.c. e la metà del I sec. d.c. Il secondo contesto indagato è rappresentato da un deposito votivo rinvenuto all’esterno del corridoio presente al di sotto del theatron sul lato settentrionale. Il deposito, sistemato al di sopra di uno strato di argilla a contatto con il banco di roccia in prossimità della faglia sismica, è composto da un repertorio di oggetti connessi alla sfera cultuale. Si sono rinvenuti strumenti metallici, materiale ceramico di importazione e statuette fittili deposti all’interno di uno strato di carboni, cenere e ossa animali.
Da una prima analisi del contesto è stata proposta una datazione all’interno del II sec. a.c., probabilmente nella fase in cui il santuario viene delimitato dal recinto sacro. A seguito di questa disamina risulta evidente come la scoperta dell’iscrizione dedicatoria a Plutone e Kore posta all’ingresso della grotta sacra, la presenza della statua di culto di Hades e la stretta corrispondenza tra le fonti letterarie e i dati archeologici, permettano di confermare la sicura identificazione del Ploutonion di Hierapolis.
Sulla base dei dati acquisiti dall’indagine sistematica di quest’area posta tra il Santuario di Apollo e il Ploutonion, si evince una ricerca scenografica nella concezione dei vari edifici che dovevano apparire organicamente collegati e percepiti come un complesso unitario in cui si manifestavano attività religiose differenti. Il Ploutonion trova inoltre un chiaro riferimento nel complesso programma iconografico della frontescena del Teatro, in cui trovano posto le raffigurazioni delle divinità tradizionali connesse con miti legati al culto locale: le immagini legate al Santuario trovano riscontro non solo con la statua di Hades-Sarapide ma anche nei rilievi posti alla base del secondo ordine della frontescena, con il fregio a rilievo del ratto di Proserpina da parte di Hades e dalla scena dell’inseguimento di Demetra sul carro guidato dai serpenti alati.
Il rinvenimento, nella parte posteriore dell’Edificio A, della statua colossale attribuita alla figura di Adriano con barbaro inginocchiato ai suoi piedi, permette di riferire che anche il culto imperiale era praticato all’interno del Santuario di Apollo.
IL MARTYRION - LA TOMBA DELL'APOSTOLO FILIPPO
Un sigillo in bronzo del VI secolo conservato al Virginia Museum of Fine Arts di Richmond (USA) rappresenta l'apostolo Filippo e il suo Martyrion, ma anche una chiesa totalmente sconosciuta sino al 2011 e delle scalinate che salgono la collina. Gli scavi hanno successivamente condotto alla scoperta di scalinate processionali nei pressi del Martyrion, una chiesa scomparsa nel V secolo e al centro della chiesa una tomba a sacello di epoca romana. Nei pressi fontane, vasche termali e alloggi per i pellegrini.
"Dopo la notizia diffusa a metà della scorsa estate, la missione archeologica di Unisalento guidata dal professore Francesco D’Andria conferma: quella trovata a Hierapolis in Turchia è certamente la tomba dell’apostolo Filippo. Da quasi duemila anni, una antica tradizione diceva che la tomba di San Filippo, uno dei 12 apostoli, si trovava nella città turca di Hierapolis, dove il santo subì il martirio nell'80 dopo Cristo. Oggi in una conferenza stampa a Istanbul, proprio D'Andria ha raccontato come gli scavi in corso a Hierapolis l'anno scorso abbiano portato ad individuare la tomba nel sito dove la tradizione voleva si trovasse, senza che però l'archeologia avesse finora dato qualche conferma.
I risultati della campagna di scavo dell'anno scorso a Hierapolis, località dell'est della Turchia, a 250 km dalla costa Egea e da Smirne, sono stati illustrati dal professore nell'ambito di una presentazione delle attività di scavo italiane in Turchia organizzata dall'ambasciatore d'Italia Gianpaolo Scarante. “La scoperta di quest'anno è quella della tomba di San Filippo, uno dei 12 apostoli di Gesù, che a Hierapolis avrebbe subito il martirio”, ha sintetizzato l'ordinario di Archeologia classica dell’Università del Salento, ricordando che le fonti letterarie “già nel 190 dopo Cristo dicono che a Hierapolis si mostra la tomba di San Filippo”.
D'Andria ha aggiunto che “la ricerca e l'identificazione di questa tomba è stato uno degli obiettivi della missione” salentina. I lavori all'inizio si erano concentrati su una chiesa già nota e che si riteneva essere stata costruita sulla tomba. “Abbiamo utilizzato anche sistemi geofisici per identificare eventuali cavità in questa chiesa, ma non hanno mai dato alcun risultato, finché abbiamo investito della ricerca una zona accanto alla chiesa ed è venuto fuori un elemento straordinario: una seconda chiesa che era costruita attorno ad una tomba romana del I secolo”.
I risultati della campagna di scavo dell'anno scorso a Hierapolis, località dell'est della Turchia, a 250 km dalla costa Egea e da Smirne, sono stati illustrati dal professore nell'ambito di una presentazione delle attività di scavo italiane in Turchia organizzata dall'ambasciatore d'Italia Gianpaolo Scarante. “La scoperta di quest'anno è quella della tomba di San Filippo, uno dei 12 apostoli di Gesù, che a Hierapolis avrebbe subito il martirio”, ha sintetizzato l'ordinario di Archeologia classica dell’Università del Salento, ricordando che le fonti letterarie “già nel 190 dopo Cristo dicono che a Hierapolis si mostra la tomba di San Filippo”.
D'Andria ha aggiunto che “la ricerca e l'identificazione di questa tomba è stato uno degli obiettivi della missione” salentina. I lavori all'inizio si erano concentrati su una chiesa già nota e che si riteneva essere stata costruita sulla tomba. “Abbiamo utilizzato anche sistemi geofisici per identificare eventuali cavità in questa chiesa, ma non hanno mai dato alcun risultato, finché abbiamo investito della ricerca una zona accanto alla chiesa ed è venuto fuori un elemento straordinario: una seconda chiesa che era costruita attorno ad una tomba romana del I secolo”.
“Tutta una serie di elementi ci ha permesso di identificare questa chiesa a tre navate – ha proseguito D’Andria - come quella costruita attorno alla tomba romana in cui la tradizione attribuisce la presenza di San Filippo”.
La novità è dunque la nuova chiesa costruita attorno alla tomba. La scoperta ha risolto un giallo dell'archeologia. In America, nel museo di Richmond, ha ricordato l'archeologo, si conserva “un sigillo per il pane dei pellegrini” in cui è rappresentato San Filippo: “Su un lato c'è la chiesa che abbiamo trovato quest'anno e sulla quale i bizantini di sono interrogati per tanti anni”, cercando di capire cosa rappresentasse.
Accanto alla tombaci sono anche vasche per immersione, a conferma che si trattava di un “santuario di guarigione” nell'ambito di un “grande complesso di pellegrinaggio che i Bizantini hanno costruito nel V secolo d.c. intorno alla tomba di San Filippo”, in maniera simile a quello di Asclepio a Pergamo. Sempre l'anno scorso è stato anche identificato l'altare, “costruito sopra una cripta dove erano conservate le ossa del santo”.
Gli scavi sono condotti da una missione internazionale composta, oltre che da italiani (65 sono stati gli specialisti arrivati a Hierapolis da tutta Italia), anche da tedeschi, francesi, norvegesi. Scavato in particolare dalla missione italiana a partire dagli anni '50 è anche il martyrion, cioè la chiesa costruita sul luogo dove fu martirizzato l'apostolo. Da italiani è stato restaurato il teatro, ancora capace di contenere 8000 spettatori: il progetto di restauro continua, ha detto D'Andria mostrando una ricostruzione virtuale realizzata ad uso del milione e mezzo di turisti che ogni anno visitano Hierapolis, “e stanno aumentando”.
Accanto alla tombaci sono anche vasche per immersione, a conferma che si trattava di un “santuario di guarigione” nell'ambito di un “grande complesso di pellegrinaggio che i Bizantini hanno costruito nel V secolo d.c. intorno alla tomba di San Filippo”, in maniera simile a quello di Asclepio a Pergamo. Sempre l'anno scorso è stato anche identificato l'altare, “costruito sopra una cripta dove erano conservate le ossa del santo”.
AGHIASMA - LA FONTANA SACRA |
Per incrementare il turismo sta per essere realizzato un ponte, rimovibile, per salire alla sommità della collina e vengono condotti restauri, ha detto ancora l'archeologo citando il ginnasio, “un portico dorico in marmo, meraviglioso”.
L’Aghiasma è situata nella parte Nord-Occidentale di un piccolo piano posto sulla sommità della gradinata che sale dal Ponte di San Filippo, subito ad Est dell’ampia scalinata che permette l’ascesa al soprastante Martyrion.
Si tratta di una fontana sacra lungo il percorso processionale, costituita da un pilastro in travertino, in cui l’acqua doveva giungere da una diramazione di uno degli acquedotti di Hierapolis. Sicuramente l'acqua sacra era pertinente ad un antico culto delle ninfe, già riscontrato in zona, poi trasformato in culto cristiano probabilmente relativo al santo Filippo.
BIBLIO
- Pierre Gros - Le province orientali. Realtà e ideologia dell'urbanistica romana - in Pierre Gros, Mario Torelli - Storia dell'urbanistica. Il mondo romano - Roma-Bari - Laterza - 2007 -
- Tullia Ritti - Hierapolis: scavi e ricerche I - Fonti letterarie ed epigrafiche - Roma - Giorgio Bretschneider - Collana Archaeologica -
- Francesco D'Andria, Tullia Ritti - Hierapolis: scavi e ricerche II - Le sculture del teatro. I rilievi con i cicli di Apollo e Artemide - Roma - Giorgio Bretschneider - Collana Archaeologica -
- Augusto Camera, Renato Fabietti - Elementi di storia antica volume 2 - 1999 -