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CULTO DI MINERVA MEMOR E MEDICA

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MINERVA GIUSTINIANI


MINERVA SANTISSIMA E AUGUSTA

In area emiliana sono noti diversi bronzetti che riproducono l’iconografia guerriera della Dea, che nelle epigrafi latine emiliane - in particolare nelle famose iscrizioni rinvenute nel ricco santuario terapeutico-oracolare di Minerva Medica/Memor di eredità celtica, veniva invocata dai devoti come Dea Sanctissima ed Augusta, attributi generici e devozionali, e ricordata come Minerva Memor e Medica. 

Il culto di Minerva, in area padana, è specificatamente legato alle acque e alla salute che da esse deriva; è solitamente attestato in prossimità di risorgive d’acqua o di fenomeni geologici con proprietà curative, quali le “salse” (piccoli vulcani di fango) o le fonti di petrolio, già venerate dalle popolazioni autoctone. 

Nel modenese l’importanza del culto di Minerva è ricordato da Cassio Dione, nella sua Historia (XLVI, 33, 3-4). Alla partenza di Vibio Pansa per la famosa guerra di Modena nel 43 a.c., si verificano alcuni prodigi premonitori dell’importanza dell’evento storico tra cui la statua di Athena, venerata presso Mutina, che versa lacrime e sangue.

Nel territorio modenese spicca per importanza una piccola arula votiva datata al II sec. d.c., rinvenuta nel comune di Maranello, in prossimità della sponda destra del torrente Fossa, vicino al campo delle “salse” di Nirano. Il testo, graffito sciattamente su uno zoccoletto in pietra tenera vicentina, riporta il nome di un personaggio di origine servile, 

Hermadion, che dona come ex voto questa arula alla Dea Minerva
(-sig / n?]um [-] / Minerv[ae] / Hermadion / ex voto).


IL SANTUARIO DI MONTEGIBBON

Le indagini archeologiche di Montegibbio di Sassuolo, in provincia di Modena, hanno rilevato una frequentazione in epoca pre-protostorica (Neolitico-Età del Rame) e  hanno riscontrato un santuario in epoca romana, sicuramente posto su un luogo sacro più antico. Il sito archeologico è molto vicino alla salsa storica di Montegibbio, il maggiore vulcano di fango d’Italia, quiescente da quasi due secoli.

Le strutture di età repubblicana e di prima età imperiale rivelano infatti un santuario dedicato a Minerva, Menerva per gli Etruschi e Athena per i greci, ma trattandosi di una divinità antichissima sembra si tratti del primo aspetto della Dea, la Minerva Medica, inizialmente legata alle acque salutari e alle acque fangose, "salse", dei vulcani della zona.  

Il culto, riportato anche su una coppa con incisa dedica alla Dea, si colloca nel III-II sec. a.c. fino agli inizi del II sec. d.c. Nel III sec. d.c., invece, il sito viene dissacrato evidentemente a causa del nuovo culto cristiano che abbatte tutti i vecchi templi non sopportando la libertà di culto e diventa un insediamento rustico con impianti produttivi. 

SITO DI MONTEGIBBIO

Nel sito di Montegibbio, su due pianori posti lungo il versante occidentale del bacino del Rio del Petrolio, alla quota di 350 m s.l.m., sono stati individuati sette insediamenti successivi, di cui almeno tre provocati da tre catastrofi naturali che possono aver causato l’abbandono momentaneo dell’insediamento.

Nel primo pianoro sono stati riscontrati quattro vani con pavimenti in opus signinum, della fine I sec. a.c. e abbandonati agli inizi del II sec. d.c. forse per catastrofico evento naturale. Nel secondo pianoro, più in basso del primo, sono emersi muri in blocchi lapidei bugnati in arenaria attorno a un grande vano del II-I sec. a.c.) probabilmente con dentro la polla fangosa di una "salsa" (fanghi curativi). 

A partire dalla fine del I sec. a.c. una scala in laterizio scendeva alla polla con a fianco un vano pavimentato in opus signinum. Nel IV secolo d.c. in corrispondenza della polla viene costruito un pozzo con camicia in ciottoli abbandonato poi nel VI sec. d.c., forse per ulteriore catastrofe, con tutta probabilità di tipo sismico con fuoriuscite fangose da piccole bocche di vulcano. 

MINERVA GIUSTINIANI

PLINIO IL VECCHIO - 199 Naturalis Historia

“Nel territorio di Modena, tempo fa, come documentato negli antichi testi della dottrina etrusca, avvenne un enorme sconvolgimento di terre durante il consolato di Lucio Marcio Sesto Giulio. Infatti due monti cozzarono tra loro avvicinandosi e allontanandosi con un enorme crepito, in seguito al loro scontro salivano in cielo fiamme e fumo. Tale spettacolo fu visto da una moltitudine di cavalieri romani e viandanti che procedevano lungo la via Emilia. Durante tale evento catastrofico furono distrutte le case di quelle terre e morirono molti animali che si trovavano lì vicino. Avvenne nell’anno che ha preceduto la Guerra Sociale, che da quanto so io, fu più funesta della Guerra Civile per la terra italiana” (91 a.c.).

L'evento portentoso a cui allude Plinio il Vecchio nel corso nel I sec. d.c., è un fenomeno sismico associato a un’eruzione di fango avvenuta presso Montegibbio. La documentazione storica attesta tale attività della salsa di Montegibbio, nei vari tempi, e pure nel 1835 quando tale attività venne narrata dallo studioso Giovanni De’Brignoli di Brunnhoff.

MINERVA ETRUSCA

SOLINO V, 22-25 Collectanea rerum memorabilium

Solino invece riporta che il fenomeno geologico delle salse non fosse solo connesso alla sanatio (cioè alla cura) ma anche a una pratica oracolare, per cui l’uscita improvvisa di acqua, fango e fuoco rappresentava un contatto tra il mondo umano e quello sotterraneo.

Ciò legava al carattere ctonio della Minerva Medica, signora delle cure e del mondo dei morti a mezzo dei quali si effettuavano le predizioni oracolari. Naturalmente sia la cura che gli oracoli erano affidati a sacerdotesse, evidentemente secondo l'antichissima tradizione matriarcale

Nelle epigrafi latine di età romana rinvenute in Aemilia, Minerva, oltre ad essere invocata dai devoti come Dea Sanctissima ed Augusta, è ricordata come Minerva Memor e Medica

Memor perché è colei che mantiene la memoria, infatti è anche Dea della mente e della intelligenza, per cui fa apprendere gli insegnamenti e fortifica la memoria. Minerva memor veniva invocata dai condottieri romani perchè aiutasse loro a sviluppare tattiche di guerra volte a sopraffare il nemico.

Medica perché curava i fedeli grazie alle acque, ai fanghi e alle erbe. Un tempo le cure erano infatti affidate alle donne. Le acque sulfuree erano per giunta molto disinfettanti specie per le malattie degli apparati genitali e le malattie della pelle.

ANTICA INCISIONE IN ZONA NIRANO

IL SANTUARIO

Il santuario si sviluppa in una zona di crinale quasi pianeggiante, a 350 m s.l.m., in località Poggio di Montegibbio, lungo via della Rovina. Del santuario di età repubblicana (II sec. a.c.) restano murature in grandi blocchi lapidei squadrati e bugnati che formavano un recinto rettangolare, di m 5x7.

Dopo la distruzione del santuario intorno alla metà del I sec. a.c., sorge un altro edificio con una serie di stanze pavimentate in opus signinum (mosaico con base in cocciopesto) che si sviluppano intorno a un cortile centrale. La “salsa di Minerva”, precedentemente delimitata da un recinto, si raggiunge ora tramite una scala, posta a valle del santuario.

Anche se i dissesti geologi non consentono di ricostruire nella sua interezza la pianta del santuario, si conserva però una stanza di 6x5 m con soglia d’ingresso in pietra arenaria e pavimentazione in opus signinum, con una cornice esterna a meandro di svastiche alternato a due quadrati concentrici che delimitano la parte centrale formata da file ortogonali di rosette.

Le pareti del santuario erano rivestite da affreschi policromi, in gran parte crollati, riferibili allo zoccolo delle murature, dipinte da fasce e linee. La parte centrale della parete era invece costituita da pannelli monocromi riquadrati da linee sottili o semplici cornici. Le maestranze addette avevano notevole abilità che, per creare i colori, si avvalevano di minerali di pregio e tecniche sofisticate.

Al santuario era affiancata una fornace, dove si cuocevano laterizi da costruzione, vasellame e statuette fittili come offerte votive. Agli inizi del II sec. d.c. un'altra catastrofe naturale distrugge la struttura sacra. Dopo un periodo di abbandono, viene costruita una casa colonica, dotata di un pozzo che insiste dove era precedentemente venerata la “salsa di Minerva”.

SCALA IN LATERIZIO PER LA POLLA SACRA

I REPERTI

Il vasellame rinvenuto, di uso comune, era adibito a libagioni e banchetti e risalgono all’età del Rame (IV-III millennio a.c.):
- punta di freccia foliata in selce,
- ascia in pietra verde senza tracce di usura. 

In epoca celtica (III sec. a.c.):
- ciotole/coperchio in ceramica grezza non tornita.

In età romana (II sec. a.c. - inizio del II sec. d.c.):
- offerte votive alla Dea,
- oggetti delle pratiche rituali del santuario.

In età repubblicana (II-I sec. a.c.):
- coppe e piatti in ceramica a vernice nera.
In età alto imperiale (I sec. a.c. inizi II sec. d.c.):
- bicchieri, coppe, ollette, orcioli sia in ceramica a pareti sottili che in ceramica grezza, utilizzati per libagioni o banchetti rituali,
- brocche e bacili in ceramica per abluzioni rituali.
- le lucerne sono usate sia per illuminare che come doni rituali alla divinità,
- stiletti in osso e bronzo, pinzette da toletta, spilloni in osso, aghi in osso e in bronzo, pesi da telaio ed elementi di una piccola bilancia in bronzo, riferiti alle attribuzioni di Minerva, che è Medica e protegge le arti, tra cui la tessitura e la cucitura di pelli e tessuti. 

- Alla Dea vengono anche dedicati anelli con o senza gemme incastonate, vaghi di collana in pasta vitrea, pendenti e fibule, dedicati anch’essi alla Dea. 

- Tra le monete si segnalano due assi repubblicani recanti Giano bifronte e la prora di nave da guerra (II secolo a.c.) e, per l’epoca giulio-claudia, una moneta di Tiberio e due di Claudio, tra cui un sesterzio dell’epoca di Nerone.




LE SALSE

Le Salse, note a Celti ed Etruschi, citate da Plinio e da Solino, con i Romani divennero luogo di sanatio connessi a trattamenti terapeutici. In area padana, i Romani associano a Minerva le prerogative di divinità celtiche femminili, soprattutto per le acque salutari e il loro potere terapeutico.

Figlia di Meti e di Giove, per i romani Minerva rappresentava la virginea Dea della saggezza, della strategia e dell'ingegno, della lealtà in lotta e delle giuste guerre. Era la protettrice degli artigiani e delle arti utili (architettura, ingegneria, scienza, matematica, geometria e tessitura) nonché l'inventrice del carro, del telaio, dell'aratro, e pure delle navi.

A Montegibbio il nome della Dea appare sul vasellame deposto dai fedeli, o integralmente o più spesso con la M iniziale o la doppia MM di Minerva Medica o Memor. Il santuario è anche dotato di una propria fornace per la cottura di laterizi, vasellame e statuette fittili.

In seguito a una nuova distruzione dell’area sacra, anche questa dovuta a un cataclisma naturale agli inizi del II sec. d.c., il sito viene abbandonato. A partire dal III sec. d.c. viene costruita una casa colonica, il cui pozzo attinge acqua nello stesso punto in cui prima si venerava la “salsa di Minerva”.

La Dea è rappresentata avvolta da una lunga veste, con il petto coperto dall’egida e dal gorgoneion, un elmo sul capo, una lancia in una mano e uno scudo nell’altra.

CIOTOLA CERAMICA INCISA 
EGO MINERVAE SUM, “Sono dedicata a Minerva”


NEL PIACENTINO LA ROCCA DI CAVERZAGO
ETTORE DE RUGGERO

Caverzago è un insediamento di origini antichissime, probabilmente galliche, e già in epoca romana risulta noto come Cabardiacum. Citata nella Tabula Alimentaria di Velleia, l’antica Cabardiacum ospitava un importante santuario dedicato ad una divinità locale che i Romani identificarono con Minerva Medica, in seguito definita Minerva Cabardiacensis. 

ARCHEOLOGO LIBERA UNA PARETE AFFRESCATA 
A MONTEGIBBIO (foto di Francesca Guandalini)
Si trattava di una Dea dai poteri taumaturgici, in grado di guarire gli infermi, come attestano numerose incisioni, statue ed ex voto rinvenuti nelle vicinanze presso il greto della Trebbia, e conservate in parte nella chiesa della vicina Travo, in parte nei musei di Piacenza e Parma. 

Non si sa con certezza dove sorgesse in tempio, che fu assiduamente frequentato tra il I e il III secolo d.c.. E’ probabile che la divinità che i Romani assimilarono a Minerva fosse in origine legata a una fonte termale (la zona ne è ricca) considerata curativa, di cui in seguito, una volta prosciugata, si sia persa la memoria.

C. XI1301 : Minervae Cabardiacensi Maria C, Marx Umbonis f[ilia) v(otum) siolvit) l^ibens) mierito): 1806: Minervae medicae Cabardiac{ensi) Valeria Sammonia Vercellens(is) v. s. L m. H predicato è locale, e, senza dubbio, in connessione col Dome di Cabardiacas, che nella tavola alimentaria di Veleia (C. XI 1147, 2 lin. 47.65) è portato da due fundi posti nel pagus Ambitrebius, confinante col territorio di Placentia e di Veleia. Molto probabilmente uno di essi corrisponde all'odierno castello di Caverzago, a sinistra della Trebbia e poco discosto da Trevi. 

E' però dubbio se appunto qui ovvero nel territorio di Trevi sorgesse quel santuario di Minerva, dal quale provengono, insieme con queste due, parecchie altre iscrizioni (C. XI 1292-1310), in cui alla stessa divinità è d'ordinario dato l'epiteto di memor (cf. Bormann, C. XI p. 254. Preller, rOm. Mythol. 1» p. 295. Fried- lAnder, Bittengesch. 3 p. 478).

Caverzago è un insediamento di origini antichissime. Il toponimo è di probabili origini galliche, e già in epoca romana risulta noto come Cabardiacum. Citata nella Tabula Alimentaria di Velleia, l’antica Cabardiacum ospitava un importante santuario dedicato ad una divinità locale che i Romani identificarono con Minerva Medica, in seguito definita Minerva Cabardiacensis. 

Si trattava di una Dea dai poteri taumaturgici, in grado di guarire gli infermi, come attestano numerose incisioni, statue ed ex voto rinvenuti nelle vicinanze presso il greto della Trebbia, e conservate in parte nella chiesa della vicina Travo, in parte nei musei di Piacenza e Parma. Non è attualmente possibile stabilire con certezza dove sorgesse in tempio, che sempre a giudicare dai reperti rinvenuti sembra sia stato assiduamente frequentato tra il I e il III Secolo d.c.. 

E’ probabile che la divinità che i Romani assimilarono a Minerva fosse in origine legata a una fonte termale (la zona ne è ricca) considerata curativa, di cui in seguito, una volta prosciugata, si sia persa la memoria. Nel XVIII secolo nella vicina località Tosi venne aperto un chiosco da bibite che vendeva l’acqua di una vicina fonte, ritenuta particolarmente salubre. 

La rupe a picco sulla Trebbia ospita la chiesa di Santo Stefano Protomartire e la torre d’avvistamento edificata dagli Anguissola, Signori della vicina Travo dal 1337, che però oggi è ridotta ad un rudere.

(Dizionario Epigrafico di Antichità Romane - Ettore De Ruggiero - 1886)


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