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SUFETULA - SBEITLA (Tunisia)

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TEMPLI DI GIUNONE GIOVE MINERVA (da sx a dx)

Sbeitla è un piccolo paese del governatorato di Kasserine, nella Tunisia centro-settentrionale, a circa 260 km da Tunisi e a più di 150 km da Sfax. Nei suoi pressi, ad ovest, lungo entrambi i lati della strada per Kasserine, sorge l'antica città romana di Sufetula con i suoi resti imponenti. Intorno a Sbeitla ci sono sono alcuni megaliti punici e stele funerarie a tutt'oggi visibili.

Oggi il sito archeologico di Sufetula, che occupa un vasto altopiano leggermente in pendio, a un'altitudine di 537 m, accoglie gli monumenti antichi, in parte restaurati, che spiccano per il color ocra
La sua fondazione, in corrispondenza di un crocevia di strade e presso una fonte, fu in territorio berbero ma romana fin dall'inizio; la popolazione doveva ammontare a qualche migliaio di abitanti, sparsi su un'area di poco meno di 50 ettari. 

Sufetula, che sorge a cinquanta miglia a sud di Maktar fra i boschi, in una zona semi-arida rigata da letti di fiumi disseccati e a poca distanza da un uadi stagionale, era al tempo dei Romani un centro importante, come suggeriscono le sue rovine e le quattro strade che vi confluivano una volta. 

Gli uliveti, i vigneti e i campi di grano che continuano ad alternarsi, in quest'antica provincia di Byzacena ci dimostrano come, quando in Italia era già sparita da un pezzo, la pace regnasse ancora nel Nordafrica agricolo. Un'iscrizione romano cristiana del V secolo ci ricorda per esempio che il «pius vir Dion» visse qui 80 anni e piantò 4000 ulivi.



LA STORIA

I romani si trovarono subito a combattere le tribù berbere che abitavano la regione e che non sopportavano alcun dominio, ma solo quando la legio III Augusta si accampò ad Ammaedarai nomadi Berberi che vennero infine sconfitti, insieme al loro capo Tacfarinas, sotto il regno dell'imperatore Vespasiano e di suo figlio Tito.


Tacfarinas

Il berbero Tacfarinas aveva servito nelle truppe ausiliarie di Roma ma poi, insofferente della disciplina, disertò e si circondò di un banda di irregolari. Egli era molto pericoloso perchè ben conosceva il modo e le regole della battaglia romana che era in grado, come Arminio nella battaglia di Teutoburgo, di aggirare e ingannare.

In seguito, sfruttando il malcontento delle tribù indigene amministrate dai Romani, riuscì a porsi a capo della potente tribù dei Musulami e ad attirare numerosi Mauri, scontenti del loro sovrano, Tolomeo, figlio di Giuba II, che era ormai un fantoccio nelle mani dei romani. 

I romani combatterono i berberi mettendoli in serie difficoltà, ma poi giunsero rinforzi e aiuti in favore di Tacfarinas dal re dei Garamanti e dalla stessa provincia d'Africa (attuale Tunisia), per cui l'esercito romano doveva combattere su un fronte vastissimo, che andava dalla piccola Sirte a est fino alla Mauretania ad ovest. La guerra durò sette anni, e fu una delle più importanti rivolte dei fieri Berberi contro i Romani.

Il primo scontro avvenne in campo aperto nel 17, con la vittoria delle truppe romane della Legio III Augusta; allora le bande berbere abbandonarono lo scontro diretto ricorrendo alle continue e dissanguanti azioni di guerriglia. 

Così Tiberio nel 19 decise di trasferire temporaneamente, dalla Pannonia, l'intera IX Legione Hispana e distaccamenti legionari della legio VIII Augusta, agli ordini del prefetto del pretorio Quinto Giunio Bleso per sconfiggere definitivamente l'esercito di Tacfarinas. 



Quinto Giunio Bleso

Quando morì Augusto, Bleso si trovava in Pannonia a capo delle legioni VIII Augusta, VIIII Hispana e XV Apollinaris che volevano ribellarsi a Tiberi, così disse ai suoi soldati:
«Macchiatevi piuttosto le mani con il mio sangue; sarà un delitto meno grave uccidere un luogotenente che ribellarsi all'imperatore. O manterrò la fedeltà delle legioni incolume, o trucidato affretterò l'ora del vostro rimorso»
(Bleso da Tacito, Annales, I, 18.)

Per le sue battaglie e la sua fedeltà Bleso ottenne il trionfo, ma non riuscì nè ad uccidere nè a catturare Tacfarinas che in pochi mesi ridivenne un pericolo per i Romani. 

Solo nel 24 il proconsole Dolabella riuscì a porre fine alla guerra, espugnando, dopo un lungo assedio, la fortezza di Auzea in cui si era rifugiato Tacfarinas che vista la sconfitta, evitò la cattura con il suicidio. I Romani ebbero il sopravvento e anche Sufetula tornò romana.

L'immagine del ribelle che non si sottomette alla potenza di un impero ha molto colpito i Berberi del XX secolo, che nella riscoperta delle proprie origini anteriori all'islamizzazione gli riservarono un posto d'onore. Cosicché oggi molti Berberi danno ai loro figli il nome di Tacfarinas.



LA FONDAZIONE

Sufetula divenne certamente municipium alla fine del I secolo d.c. dai veterani smobilitati in seguito al trasferimento della III Legione augusta da Ammaedra (Haidra) a Thebaste (Tébessa in Algeria) e in seguito divenne colonia. Dal II al III secolo i circa diecimila abitanti prosperarono grazie ai proventi dell'ulivocoltura: nel II secolo, infatti, la città cominciò ad erigere monumentali edifici classici, poi dal IV secolo, basiliche e chiese cristiane. 

Le iscrizioni trovate nella città suggeriscono che la città si sia sviluppata durante il II secolo, insieme alle altre città del Africa settentrionale, grazie al commercio soprattutto dell'olio: alcune presse per la produzione dell'olio furono ritrovate infatti nelle sue rovine. La sua prosperità nei secoli rese consentì la costruzione di monumentali edifici pubblici.

Sufetula contava sei chiese nel IV secolo, custodite dalle comunità cattoliche o donatiste, costruite su precedenti edifici pagani. Con il declino dell'impero (inizio del V secolo) e l'occupazione Vandala (V e inizio del VI secolo), Sufetula, situata ai confini con la zona stepposa, rivestì il ruolo di strategica città di frontiera a continuo contatto con i popoli berberi di Aurès e della Tripolitania ridiventata indipendente.

Decaduta nel IV secolo, con l'occupazione dei Vandali, fu quindi riconquistata dai Bizantini ed ebbe una nuova fioritura. Vi troviamo due chiese risalenti all'epoca bizantina (VI e VII secolo). Con l'avvento del cristianesimo Sufetula divenne sede episcopale e, dopo la fine del regno Vandalo, fu fortificata dai Bizantini che, nella prima metà del VII secolo ne fecero una capitale in seguito all'iniziativa secessionista del patrizio Gregorio.

Nel 646 il prefetto Gregorio vi spostò la capitale da Cartagine, dichiarando la propria indipendenza da Bisanzio. L'anno successivo venne tuttavia conquistata dagli Arabi, guidati da Abd Allah ibn al-Zubayr.

IL TEATRO

IL TEATRO

Il teatro, posto vicino alla riva di un torrente, conserva in gran parte le gradinate che in origine erano una decina, oggi restaurate e ben conservate. Sono in parte salve le strutture della scena anche se piuttosto rovinate, che vennero elevate sopra a imponenti sostruzioni.

Nella parte alta del teatro sono stati recentemente scoperti i resti di una galleria, poco distante dalle terme; in basso alle gradinate, il pavimento dell'orchestra era totalmente ricoperta di lastricato. La scena
presentava varie nicchie rivolte agli spettatori, evidentemente sedi delle immagini di divinità. 

Infatti nella nicchia centrale è stata rinvenuta una statuetta rappresentante il Dio greco Dionisio (Bacco per i romani), attualmente esposto nella II sala del museo del sito. Della scena, resta solo parte delle infrastrutture fisse: colonnati, nicchie, capitelli e altro.


IL PONTE ROMANO

IL PONTE ROMANO

Un sentiero in terra battuta, sulla destra della chiesa di Vitalis, conduce a un ponte-acquedotto composto da tre archi che scavalcano il torrente Sbeitla. A monte, lungo il letto del fiume, sono le sorgenti che alimentavano l'antica città e che oggi sono state incanalate per rifornire Sfax. Poco dopo l'incrocio col sentiero che porta all'acquedotto si possono vedere, sulla destra, le imponenti rovine di un tempio di cui è rimasta soltanto la cella. Sufetula era al tempo dei Romani una città di una certa importanza, come suggeriscono le sue rovine, un gigantesco ponte e le quattro strade che una volta vi confluivano.

PORTA DI ANTONINO PIO


L'ARCO DI TRIONFO

L'Arco di Trionfo, all'ingresso sud della città, fu costruito all'epoca di Diocleziano (fine III - inizio IV secolo) dopo l'istituzione della tetrarchia. In quest'epoca il cristianesimo soffrì un lungo e duro periodo di persecuzioni e ciò spiega forse il martellamento dei nomi degli imperatori, sui fregi dell'arco, ad opera probabilmente di cristiani di Sufetula.

Su entrambi i lati dell'arco, davanti ai piedritti, si trovano due colonne con capitello corinzio, accanto alle quali sono nicchie rettangolari con pilastri incassati un tempo ornati di statue.


Il Decumano della città che parte dalla porta dedicata ad Antonino Pio porta all'area centrale della città introducendo direttamente alla piazza del Foro e alla Triade capitolina. Gli scavi furono iniziati fra il 1906 e il 1922 e ripresi fra il 1954 e il 1966; diverse opere di restauro sono tuttora in corso.



IL FORO

Il Foro è è una vasta piazza lastricata (70 m per 60) risalente al II secolo d.c., posta al centro del cardo maximo e del decumano maximo; è cinto da un muro alto 4 metri di epoca bizantina, che subì alcuni rifacimenti a scopo difensivo in epoca bizantina, quando furono eliminate le porte di accesso, ma senza torri nè camminamento di ronda. 

Il Foro accoglie un grandioso insieme di edifici: i templi del Capitolium, la curia, le botteghe e ad esso ci si immette tramite la magnifica Porta di Antonino Pio, una porta monumentale a tre fornici, costruita appunto sotto Antonino Pio (138-161), con colonne incassate che sostengono una trabeazione ben conservata.

Questo, secondo l'uso romano, è fiancheggiato da portici di cui alcune colonne sono state ricomposte, accanto al muro che lo circonda si trovavano svariate botteghe. 



IL CAPITOLIUM

Nella piazza alloggiano i tre maestosi templi di Giove, Giunone e Minerva, che delimitano il foro verso nord-ovest, e che sorsero contemporaneamente al Foro edificati con un'edilizia un po' particolare. 
Infatti gli edifici, templi pseudo-peripteri, cioè con le colonne perimetrali sostituite da semi-colonne addossate al muro della cella, erano uniti da archi sovrastanti i passaggi che li separavano l'uno dall'altro. 

Pertanto il Capitolium non era composto di un solo tempio consacrato alla triade capitolina, ma da ben tre templi distinti ma collegati tra loro, dedicati ognuno ad una delle tre divinità.

All'esterno del foro, nei pressi dell'angolo nord-ovest, vi sono i resti di una chiesa, fine del IV o all'inizio del V secolo, con pianta basilicale a tre navate e con abside rivolta a occidente; nella navata centrale il reliquiario rivela il punto in cui sorgeva l'altare.


Ogni tempio era composto di quattro colonne in facciata e due di rincalzo. Quello centrale, dedicato a Giove, era invece privo di scalinata d'accesso sostituita da una balconata. Inoltre solo i templi laterali erano accessibili attraverso una scalinata frontale, mentre la parte anteriore del podio del tempio centrale serviva da tribuna. La facciata del tempio di sinistra è stata restaurata e le colonne del pronao tetrastilo (4 colonne di facciata e 2 di rincalzo) rialzate.


Nelle celle sono ancora evidenti le nicchie e i fori di sostegno delle travi di copertura. Nell'interno del podio si aprono grandi sotterranei a volta. I capitelli corinzi, dei templi laterali, o compositi, di quello centrale, sono di fattura mediocre, probabilmente di manifattura locale, anche se uno di questi ultimi, spaccato in due parti e oggi ricomposto, risulta assai imponente.

CASA DELLE STAGIONI

LE CASE

Alcune case si presentano in buono stato di conservazione e mantengono l'aspetto di fortini, probabilmente a due piani collegati da scale, in parte ristrutturate. L'interno contemplava stanze di forme e dimensioni differenti, con materiali più antichi di riporto, come trabeazioni, colonne, ecc. prelevati da templi e altro. Si trovano all'ingresso del sito e datano alla fine del VII secolo.

A sinistra si imbocca un'antica strada fiancheggiata da un secondo fortino, analogo al precedente anche se di dimensioni maggiori, inaccessibile all'interno che si può solo intravedere dall'esterno, vi si notano i resti di un bagno privato, con vasca a mosaico ornato di pesci.


Lungo il decumano e in prossimità della Porta di Antonino Pio pullula un intero quartiere attorno alle attività commerciali. Si tratta di una serie di locali con mura ben conservate che in età romana e bizantina furono adibiti a botteghe di artigiani, negozi, luoghi di incontro e di scambio di merci. Accanto a questi sorgevano delle case. probabilmente dei proprietari dei negozi o delle aziende.

LE GRANDI TERME


LE TERME

Nella città sono state rinvenuti cinque stabilimenti termali, una cui vasta parte fu distrutta dalla costruzione della strada moderna Sbeitla - Kasserine (sigh!) lasciando in evidenza solo una serie di piccole sale comunicanti fra loro. Alcuni settori subirono rimaneggiamenti e restauri sin dall'antichità.

A destra della via principale, appaiono i resti delle Grandi Terme pubbliche di Sufetula che occupano uno spazio rettangolare lungo più di cento metri e largo circa cinquanta. La stanza più preziosa presenta una vasca dalle pareti interamente decorate di mosaici con vari tipi di pesci e crostacei. 

Le grandi terme possedevano due serie di calidaria e frigidaria e una palestra, il cui pavimento è ricoperto di mosaici a motivi geometrici recentemente restaurati. circondata da un doppio colonnato; fondate nel III secolo d.c., subirono anch'esse numerosi restauri e rimaneggiamenti.  

La palestra immette direttamente nella seconda grande stanza rettangolare: il frigidarium, chiuso sui lati minori da due piccoli bacini. Da questo nucleo centrale dipartivano le altre sezioni delle terme che si possono ben vedere dalla piccola scala d'entrata. 

Precisamente qui troviamo un'iscrizione latina del IV secolo, che segnala i restauri cui fu sottoposta la zona utilizzata in inverno. Vi è una doppia serie di ambienti dallo stesso uso, posti lateralmente alle sale centrali, che erano le terme utilizzate in inverno (settore nord-ovest) e in estate (settore sud-ovest). 

Particolarmente interessanti il tepidarium e calidarium, riconoscibili da una serie di piccoli pilastri di tegole che sostenevano il pavimento (in realtà doppio) sotto il quale circolava l'aria calda proveniente dalle caldaie a forno (ipocausto), ancora in parte visibili.



LA FONTANA


Uscendo dalle terme scorgiamo i resti di una delle tre fontane rinvenute fino ad ora a Sufetula, posta sul fondo della antica strada e innalzata in modo da bloccare la via che conduceva dal teatro al Capitolium.
Della fontana sono visibili soltanto il basamento, la pavimentazione lastricata e il bacino rettangolare che riceveva l'acqua da sei nicchie poste sul fondo.



L'ACQUEDOTTO

Dell'acquedotto che portava fin qui l'acqua dell'altopiano del Djebel Mrihla rimangono solo i frammenti di poche arcate. Un arco di trionfo a un quarto di miglio dal suo centro culturale fa capire quanto questa città fosse estesa.

BATTISTERO DELLA CHIESA DI VITALE


CHIESA DI SERVUS

La maggior parte delle chiese bizantine riutilizzarono le fondamenta di edifici romani antecedenti.
- Chiesa di Bellatore -  fine IV o primi V secolo, dal nome di un vescovo locale, include la Cappella di Giocondo, che serviva come battistero.
- Chiesa di San Vitale - Basilica del V - VI secolo, la chiesa ha rivelato sotto al suo pavimento uno splendido mosaico con pesci.
- Cappella di Giocondo
- Chiesa di Servo



CHIESA DI SAN SERVO

La chiesa di Servus, forse la cattedrale della comunità Donatista, era una basilica a cinque navate venne edificata nel cortile di un tempio romano e il battistero poligonale, con fondo quadrilobato, venne installato nella cella quadrata del tempio pagano che era cinta da due esedre risalenti probabilmente al III secolo d. c.. Di questo santo non si hanno notizie.

Da una scaletta si accedeva all'abside, situata nel lato nord-ovest del portico (a sinistra dell'entrata attuale), dove fu rinvenuta la dedica ad un sacerdote di nome Servus, morto all'età di sessantotto anni, del quale la chiesa prese il nome. Le scanalature visibili sul pavimento delimitavano il settore riservato al clero ed indicano l'ubicazione dell'altare.


LA CHIESA DEL TRIFONE


CHIESA DEI SS. GERVASIO, PROTAIO E TRIFONE

La chiesa dei santi Gervasio, Protasio e Trifone fu consacrata probabilmente nel VI secolo dai Bizantini, ma servì al culto forse anche nei primi tempi dell'epoca araba; il culto di Trifone è associato a quello dei santi milanesi Gervasio e Protasio (l'iscrizione a loro dedicata si trova al Museo del Bardo), citati nel V secolo da un autore anonimo che ne ha composto la Passio

S. Trifone invece (232-250), giovane greco di fede cristiana che subì il martirio durante le persecuzioni di Decio (249-251). la sua storia venne scritta cinque secoli dopo la sua morte, descritto come un giovane pastore di oche che operava guarigioni ed esorcismi (ma i pastori di oche esistono solo nelle favole). Venne arrestato e torturato per il rifiuto ad onorare gli Dei pagani. Subì il martirio per decapitazione a Nicea (in Asia Minore) all'età di diciotto anni, il 2 febbraio del 250.

La facciata della chiesa è stata in parte restaurata con materiale di spoglio.


L'edificio cosiddetto delle Stagioni è un caseggiato con cortile centrale a peristilio fiancheggiato, sui lati nord e sud, da piccole stanze, molte delle quali a doppia abside. Da un'ampia sala con ai lati due ambienti più piccoli (le absidi sono state trasformate in fontane) proviene il mosaico delle Stagioni (ora al Museo del Bardo) che ritrae un certo Xenophontes, probabilmente lo scrittore greco vissuto nel V-IV secolo a.c.

A sud di questo edificio persistono le fondazioni di un complesso architettonico simile, con cortile centrale a peristilio, sala di ricevimento rettangolare e sala a doppia abside. Poco più avanti la strada terminava in corrispondenza di un arco di trionfo (inizi III secolo) del quale è rimasto solo il basamento. 

Poco più lontano, sulla sinistra, si possono vedere i resti di una costruzione che un tempo si ritenne appartenessero a una chiesa, ma che oggi si ritiene il peristilio di una casa adiacente.

Proseguendo verso nord lungo le antiche strade che si intersecano ad angolo retto nel centro della città, si passa accanto a un grande serbatoio che serviva per l'approvvigionamento idrico dell'abitato.


BIBLIO

- Hedi Slim et Nicolas Fauqué - La Tunisie antique. De Hannibal à saint Augustin - éd. Mengès - Paris - 2001 -
- David, Soren, Hedi Slim e Aicha Ben Abed Ben Khader - Carthage: uncovering the mysteries and splendors of ancient Tunisia - 1st Touchstone ed. - Simon & Schuster - 1991 -
- Ammar Mahjoubi - Villes et structures de la province romaine d'Afrique - éd. Centre de publication universitaire - Tunis - 2000 -
- Edward Gibbon- The History of the Decline and Fall of the Roman Empire - Storia della decadenza e rovina dell'impero romano - traduzione di Davide Bertolotti -


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