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QUAM STERCUM VELATUM EST (15 giugno)

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"La Porta Stercoraria si trovava nel Clivo Capitolino come ho detto più volte fu ella porta di un ridotto in cui le immondizie spazzate dal Tempio di Vesta solevano in un particolare giorno dell'anno condursi"


Sesto Pompeo Festo nel libro IXX così ne scrive: "Stercus ex c A de Veste XVIII Kal Jul defertur in Angiportum medium ferè Clivi capitolini qui locus clauditur porta stercoraria Tante santitatis majores nostri esse indicavere" e nel libro XIII in quanto dice lo stesso.

Nel Calendario Maffeiano sotto il dì 15 di Giugno si legge O ST DF cioè a dire come nel quinto da Varrone s'interpreta gittando "Stercus delatum fas" le cui proprie parole sono "Dies qui vocatur" quando "Stercus delatum fas ab eo appellatus quod eo die ex cde l est c Stercus everritur ci per Capitolinum clivum in locum defertur certum".

Da che è, dalle parole di Festo, dicente quel ridotto "medium ferè Clivi Capitolini" può congetturarsi presso la sommità se fu presso al Tempio di Tonante io per me direi essere stato della Fortuna quello di cui le otto colonne sono in piedi a che le parole di Livio "alter in primigeniae Fortunae qua e in Colle erat"; c fede quasi dette a distinzione Fortuna che non era sul colle ma vicino di esso e che il Tempio della primogenia sul Campidoglio scrive nell'operetta Plutarco "Anzi quel della Fortuna essere all'angiporto stercorario"  coll'autorità di Clemente Alessandrino quale nel Protreptico dice "Romani autem res maximas o praeclarè galas Fortunae suunt ci eam esse Deam maximam existimant posterionteam in sterguilinio dignum Deae secessum tribuentes".

I Vestalia arcaici duravano probabilmente un solo giorno, il 9 del mese, visto che questo è l'unico giorno segnato con tale nome sui Calendari più antichi, ma in età repubblicana ed imperiale vennero portati a nove, dal 7 al 15 di giugno; secondo Sabbatucci in origine i giorni erano tre, cioè i tre giorni dispari compresi al centro dei nove, il terzo, il giorno dei Vestalia propriamente detti, il quinto, la festa di Mater Matuta, ed il settimo, il giorno delle Eidus.

VESTA E LE VESTALI

Ma, secondo il parere di alcuni, essendo le Eidus originariamente un giorno mobile e non fisso poiché doveva coincidere con l'effettiva fase lunare, è più probabile che il terzo giorno anticamente fosse il nono, ossia l'ultimo, conosciuto con la sigla Q St D F.

Mentre i rimanenti erano qualificati solo come dies religiosi, questi tre erano dies religiosi festi come lo erano anche i tre giorni di apertura del Mundus ad agosto, ottobre e novembre: in ambedue i casi “l'apertura” metteva in contatto con il mondo dell'aldilà, quello degli antenati identificati con i Penates o delle divinità del mondo infero, mondi pericolosi se non vi si accedeva nel modo dovuto.

Il periodo dei Vestalia inizia con l'apertura del penus Vestae (Vesta aperitur): il penus è letteralmente la dispensa della casa, ma anche il luogo ove la famiglia conservava le statue dei Penates, ed analogamente nel penus del tempio di Vesta erano conservati secondo molti Autori i Penates Populi Romani.

In questi giorni era consentito alle matrone, e solo a loro, entrare a piedi nudi nella parte esterna del penus Vestae, luogo proibito nel resto dell'anno a tutti ed in particolare agli uomini (con la sola eccezione del Pontifex Maximus).
L'ultimo giorno (Vesta cluditur) era definito con la sigla Q St D F (Quando Stercus Delatum Fas, cioè “quando l'immondizia del tempio è stata portata via, il giorno è fas”): in coincidenza con le Eidus, l'aedes Vestae veniva solennemente ripulita e le impurità portate, a quanto riferisce Pompeo Festo, in un vicolo che si trovava circa a metà del Clivus Capitolinus, chiuso dalla Porta Stercoraria, per poi essere forse gettate nel Tevere.

LE VESTALI

Il termine stercus, osserva George Dumézil, in realtà ad altro non può riferirsi che ad “escrementi di animale”, per cui questo uso non sarebbe che “un resto fossilizzato del tempo, anteriore all'esistenza della città, in cui una società pastorale doveva ripulire dallo stercus la sede del suo fuoco sacro”.
Noi tuttavia non pensiamo che la sede del fuoco sacro venisse invasa dagli animali che ci facevano i loro bisogni, perchè gli animali non entravano neppure nelle abitazioni dei pastori. Le pecore e le capre stavano nelle stalle e il cane non faceva i suoi bisogni nè nella casa nè nel recinto sacro. 
In genere ci si riferiva o al serpente sacro che stava nel tempio della Grande Madre, o alle pulizie del tempio. Pensiamo che lo sterco fosse il male degli animi e degli eventi umani che venissero allontanati con un rito particolare che comprendeva la dispersione nel Tevere.
L'evento comportava una festa per la liberazione, momentanea, dei mali dal mondo. Pertanto dopo l'evento rituale si faceva festa con musica, danze e banchetti, oltre alla devozione dei fedeli che portavano nel tempio delle vestali ghirlande, nastri, statuine, scialli, fiori e regali vari.

BIBLIO
- Carandini - Il fuoco sacro di Roma. Vesta, Romolo, Enea, - Roma-Bari - Laterza - 2015 -
- Giacomo Boni - Le recenti esplorazioni nel sacrario di Vesta - Roma - Accademia dei lincei - 1900 -
- Giacomo Boni - Nuova Antologia - Aedes vestae - 1900 -
- Georges Dumézil - Feste romane - Genova - Il Melangolo - 1989 -
- Howard Hayes Scullard - Festivals and ceremonies of the Roman republic - 1981 -

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