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GAIO TREBAZIO TESTA - G. TREBATIUS TESTA

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LE LEGGI ROMANE


Nome:
 Gaius Trebatius Testa
Nascita: Elea, 84 a.c. circa
Morte: 4 d.c.
Professione: giurista  


Fu un giurista e politico romano, (circa. 84 a.c. - circa. 4 d.c.) è uno dei più importanti romani giuristi della tarda repubblica e del primo principato. I giuristi romani operavano già all'epoca attraverso il metodo induttivo: dal particolare al generale. 

Essi analizzavano la fattispecie, estrapolavano il problema giuridico che sottostà a quel caso specifico, cercando di fornire una "regula iuris" ragionevole che, in quanto tale, potesse essere applicata a tutti i casi simili e per tutti coloro che si trovassero nelle stesse condizioni. Questo fu l'ambiente in cui fiorì Trebazio.

Uomo intelligente e fidato, fu in stretti rapporti di amicizia e confidenza con Cesare (per raccomandazione di Cicerone), Augusto, Orazio, Mecenate e pure con Cicerone. Da Cicerone e Pomponio apprendiamo che fu allievo a Roma di Quinto Cornelio Massimo. 

Più di molti altri seppe cogliere, agli inizi dell'impero, per inclinazione caratteriale e sensibilità, il calo di moralità e il degrado dei rapporti pubblici e privati a cui volle porre rimedio. Egli esalta pertanto la peritia, l’eloquentia, e la doctrina che rendono il giureconsulto doctior, in modo da poter esercitare al meglio l’interpretatio.

RESTI DI VELIA


LE ORIGINI

Fu nativo di Elea, denominata in epoca romana Velia, un'antica polis della Magna Grecia, rinvenuta oggi in contrada Piana di Velia, nel comune di Ascea, in provincia di Salerno, all'interno del Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano e Alburni. Qui si sviluppò la Scuola Eleatica, una scuola filosofica, anche madre del bello scrivere, che vantò fra i suoi esponenti, Parmenide, Zenone di Elea e Melisso di Samo.

Da Velia, attratto dallo studio del diritto, si trasferì a Roma rinvenendo, secondo l’uso del tempo, nello stesso Cicerone e in Quinto Cornelio Massimo i praeceptores che gli avrebbero consentito di affermarsi nel sociale ed eccellere nella professione di giurista.

In qualità di giureconsulto, ma soprattutto di consigliere, seguì Cesare nelle sue campagne galliche, ricoprendo, anche se solo formalmente, la carica di tribuno militare. Nei consilia di Cesare prima, poi di Augusto, il giurista rivestì ruolo di protagonista imponendosi per la interpretatio, tanto, che Augusto concesse a Trebazio, oramai anziano, il ius publice respondendi ex auctoritate principis. 

Ebbe notevole fama quale maestro di Marco Antistio Labeone (... – 10 o 11 d.c.), che, nella trasformazione dalla Res Publica al Principato, sarà l'artefice di quel movimento innovatore del diritto romano che venne detto dei Proculiani, un movimento giuridico innovatore, opposto a quello conservatore di Capitone. 

"Labeone serbava incorrotto il senso della libertà e godeva per questo di più larga rinomanza, mentre la condotta ossequiosa di Capitone lo rendeva più caro ai dominatori. Al primo, appunto perché non salì oltre la pretura, questa ingiustizia procurò maggior considerazione: il secondo, per avere ottenuto il consolato, si attirò l'odio che nasce dall'invidia."
(Tacito, Annales)

Infatti al giurista vanno attribuite innovazioni che toccano gangli importanti della materia giuridica come i codicilli testamentari atti a risolvere una delicata questione successoria, sollecitato in ciò dallo stesso Augusto. 

La congettura sulla data di morte al 4 d.c. si deve a Wolfgang Kunkel, Herkunft und soziale Stellung der römischen Juristen, Böhlau Verlag, 1967 (p. 28). che si basa sull'identificazione del Lentulo della diatriba giuridica sui codicilli con il Lucio Cornelio Lentulo che morì, Proconsole d'Africa, intorno all'1 d.c..

CICERONE

CICERONE

Non si sa quando Trebazio arrivò a Roma per studiare legge, ma fu da questo momento che entrò in stretto contatto con Cicerone. Era consuetudine che i giovani si unissero a uomini più anziani ed esperti per essere introdotti alla vita pubblica.
 
Cicerone gli fu grande amico, spesso chiamandolo semplicemente e affettuosamente "Testa", pur non apprezzane l'epicureismo che giudicava inadeguato alle virtù civili e alla derivante pratica del diritto, e non apprezzava nemmeno il disimpegno civico di Trebazio, in relazione al suo ruolo di patrono di Ulubrae (Cisterna di Latina), i cui cittadini, appresa la presenza di Cicerone, gli avevano apprestato un'entusiastica accoglienza.

Altre fonti lo indicano invece come epicureo seguace di Irzio, legato di Cesare in Gallia (che sarà console con Pansa nel 43 a.c.).

Cicerone intrattenne con Trebazio un fitto epistolario di diciassette lettere in cui emerge un tono umoristico e confidenziale e da cui è possibile attingere molte delle notizie sulla sua vita. Gli dedicò inoltre i "Topica", un resoconto dell'omonima opera di Aristotele. Delle origini veliesi di Caio Trebazio rende testimonianza l’Arpinate in una celebre lettera del 44 a.c. a Trebazio, in cui l’invita a non disfarsi dei suoi possedimenti, le "paternae possessiones" a Velia, decantandone la salubrità dei luoghi:

«Tu però, se, come sei solito, darai ascolto ai miei consigli, serberai i tuoi beni paterni (...), né lascerai il nobile fiume Alento, né diserterai la casa dei Papiri...»
(Cicerone. Velia, 20 luglio 44 a.c., lettera a Trebazio in Roma.)

All'amico però non risparmia le critiche, biasimandone il suo precedente avvicinamento alla Nuova accademia dello scettico Carneade, di cui lui stesso era stato seguace, ma che aveva abbandonato in favore dello stoicismo.

Insomma Cicerone non risparmia alcuna critica a Trebazio, secondo lui troppo incline, a volte, ad atteggiamenti presuntuosi e giudizi affrettati: come quando Cicerone, in mezzo ai brindisi, viene messo alla berlina dall'amico sulla questione dell'esistenza o meno di una certa tradizione dottrinaria. 

L'esistenza della tradizione, sostenuta da Cicerone, era negata da Trebazio e riguardava l'esistenza di certe tradizioni giuridiche circa una facoltà, in capo all'erede, di perseguire giudizialmente un furto avvenuto prima della successione "mortis causa". Allora Cicerone, ancorchè fosse tardi ed egli appesantito da cibo e vino, fa una puntigliosa ricerca in biblioteca per dimostrare la fondatezza delle sue ragioni e rinfacciarle all'amico:

«E ora ascoltami bene, mio caro Testa! Io non so cosa ti renda più superbo, se il denaro che ti guadagni o l'onore che Cesare ti fa nel consultarti. Conoscendo la tua vanità, possa io crepare se non credo che tu ami più l'essere da Cesare consultato piuttosto che da lui arricchito!»
(Cicerone. Roma, 4 marzo 54 a.c. Lettera a Trebazio in Gallia.)

CESARE

CESARE

Nel 54 a.c., Cicerone lo aveva raccomandato come giureconsulto a Giulio Cesare, allora proconsole della Gallia, definendolo probo, modesto e dotato di profonda conoscenza e dottrina dello ius civile. Cesare lo prese con sè nello stesso anno nella campagna di Gallia nominandolo tribuno militare. Accortosi delle sue scarse attitudini militari, Cesare, pur confermandogli la carica e la paga, lo esentò dagli oneri connessi.

Per la stessa ragione Trebazio non seguì Cesare in Britannia, per cui Cicerone si chiede ironicamente come mai un accanito nuotatore come lui non abbia voluto bagnarsi nell'oceano. Comunque godette dei favori di Cesare con il quale entrò in grande confidenza e al cui fianco restò fedele nel corso della guerra civile. 

A tal proposito c'è un aneddoto, riportato da Svetonio, in cui Cesare mostrò scarso rispetto verso il Senato romano ricevendo, senza neppure alzarsi, una delegazione senatoria venuta a rendergli onori presso il Tempio di Venere genitrice; in quell'occasione Cesare avrebbe fulminato Trebazio con lo sguardo, per il solo fatto di aver letto nei suoi occhi una non gradita esortazione ad alzarsi.

Ebbe anche da Cesare il delicato incarico di mediare con Cicerone e con il tentennante Servio Rufo Sulpicio, oratore e giureconsulto romano, nel tentativo, risultato poi vano, di condurre i due dalla sua parte. Il tentativo con Cicerone è narrato da Plutarco, in "Vite Parallele. Cicerone. 37, 4".

AUGUSTO

AUGUSTO

Dopo l'assassinio di Cesare Trebazio si unì alla cerchia di Augusto e Mecenate, divenendo consigliere giuridico dell'imperatore. Pomponio riferisce che Trebazio acquistò l'ufficio di quaestor ma che il suo cursus honorum si fermò lì per scelta deliberata, e non volendo profittare della posizione privilegiata, rifiutò il consolato offertogli da Augusto.

Augusto, dopo aver dato personale attuazione a un fidecomesso (disposizione testamentaria per cui un erede è tenuto a conservare i beni ereditati e a trasmetterli alla sua morte ad altra persona indicata dal testatore) di un certo Lucio Lentulo attraverso codicilli, incaricò una commissione di saggi, fra cui Trebazio, di pronunciarsi sulla legittimità dei codicilli stessi. 

La risposta favorevole di Trebazio fu che i codicilli, più informali di un vero e proprio testamento, permettevano di dare efficacia anche alle disposizioni mortis causa di quei cittadini romani che, impegnati in lunghi viaggi, non potevano conformare le loro volontà nelle solenni formalità richieste al testamento. 

Questa innovazione giuridica infranse la regola secondo cui le disposizioni testamentarie dovessero essere integrate in un unico atto unitario, che disponesse simultaneamente di tutti i beni; da allora in poi fu possibile frammentare le proprie disposizioni testamentarie in una serie di singoli atti scollegati.

ORAZIO

ORAZIO 

Orazio recalcitra ai pareri legali dell'amico sui rischi del suo mestiere di poeta satirico:
«C'è di quelli cui sembro nella satira 
troppo feroce e superare i limiti
consentiti [...]. 
Trebazio, dimmi tu che cosa fare.
'Startene quieto.' Dici che non devo 
scriver più versi affatto? 'Appunto questo.'
Che mi prenda un malanno se non era 
questo il giusto parere: però soffro d'insonnia.
»

E poi:
«'Coloro che han bisogno di dormire
attraversin tre volte il Tevere
unti; a sera si bagnino di vino.
O se tanta mania ti forza a scrivere
canta solo le imprese dell'invitto
Cesare, e avrà compensi l'opera tua
.'»

Trebazio alla fine si arrende:
«'Tuttavia vorrei darti il mio consiglio:
di stare attento, di stare in guardia
che non ti porti qualche serio guaio
l'ignoranza di leggi inviolabili:
se qualcuno abbia scritto contro un altro
versi cattivi sia condotto innanzi
al tribunale e sia data sentenza.'
Sta bene: se cattivi; ma se buoni
qualcuno li abbia scritti e con la lode
di Cesare che giudica la causa?
Se qualcuno ha latrato, integro lui,
dietro a un altro che è degno di disprezzo?
'Saranno disarmate dalle risa
le leggi e tu sarai lasciato andare.

(Orazio, Satire, Libro II)



LE OPERE

Delle sue numerose opere nulla si è conservato, se non le frequenti menzioni che di lui si trovano nelle "Pandette" e nelle "Institutiones" del Corpus iuris civilis giustinianeo. 

Secondo Pomponio la sua perizia giuridica fu maggiore dell'eloquenza, arte in cui fu superato da qualcuno, come il giurista Cascellio, vissuto tra la fine della repubblica e gli inizî dell'impero, tuttavia giuridicamente meno esperto di lui.

Dai "Libri de religionibus", in almeno 10 libri, conseguono definitiones che attengono alla sfera del giuridico e del religioso per cui l’opera trebaziana venne ripresa da grammatici ed eruditi in tempi ben diversi rispetto all’ultima repubblica.
"De iure civili". Anche questo non pervenuto. 

Delle sue opere, che si conservavano ancora al tempo di Pomponio, non ci è pervenuto direttamente alcun frammento. Ma sul prestigio di Trebazio troviamo questo inciso: «cuius tunc auctoritas maxima erat».Macrobio, in Saturnalia III.5 cita, fra gli altri, il decimo libro della sua opera.


IL MISTERO DI GAIO TREBAZIO (Fonte)

"Alcuni anni fa, Piero Cavicchi e Gianluca Camerini decisero di provare a chiarire quello che era sostanzialmente un mistero, cioè la notizia, riportata da don Enrico Lombardi nel volumetto "Venturina" (pubblicato nel 1964), del ritrovamento, nei pressi del paese, di un «sigillo in pietra preziosa» recante il nome dell’antico patrizio romano «Caius Trabatius» (sic). 

Il sacerdote massetano collegava «come semplice ipotesi» il sigillo al mausoleo romano di Caldana domandandosi: «Caio Trabazio era forse l’antico proprietario della zona in mezzo alla quale gli fu eretto il monumento funebre detto il Mausoleo?» Don Lombardi non aggiungeva altro e ancora oggi nessuno sa dove sia il suddetto «sigillo»: di esso non c’è notizia alcuna nei molti libri che storici ed archeologi hanno dedicato al nostro territorio. 

Partendo quindi dai pochi dati a disposizione, i due cominciarono ad indagare e scoprirono che la fonte dell’informazione era un articolo, pubblicato nel 1963, probabilmente dallo stesso Lombardi, sul giornale diocesano "La Vita". L'autore però non diceva dove e in quali circostanze avesse visto il prezioso reperto romano, Nè tanto meno chi l'avesse trovato. 

L'articolo comunque chiariva alcune cose:
a) Il nome è Caius Trebatius, non Trabatius, come erroneamente riportato sul volumetto "Venturina" (la gens Trebatia era molto importante a Roma già nel I secolo a. C., come dimostra la figura del giurista Caio Trebazio Testa, amico di Cicerone).
b) Il ritrovamento è avvenuto «nel 1934, nel fare uno scasso per vigna, nelle vicinanze di Venturina, a circa un metro di profondità».
c) Il supposto «sigillo» è una gemma (probabilmente prima incastonata in un anello), sulla quale sono incisi il nome «C. TREBATIUS» ed un volto maschile «con aspetto giovanile».

Successivamente Cavicchi e Camerini rivolsero la loro attenzione alle località «nelle vicinanze di Venturina» in cui è presente una maggiore concentrazione di reperti di età romana, ed il nome Trebatius suggerì loro di identificare il luogo del ritrovamento con il sito di una ricca ed estesa villa che sorgeva nei pressi dell’attuale via di Bazzana, il cui nome sembra derivare proprio da (villa) Trebatiana, cioè “la villa di Trebazio”, oppure da (praedia) Trebatiana, vale a dire “i possedimenti di Trebazio”. 

Un complesso così importante e lussuoso si addice perfettamente ad un proprietario appartenente alla potente e ricca gens Trebatia, esattamente come è confacente al rango di quella famiglia il possesso di un anello del tipo sopradetto."


BIBLIO

- M. D'Orta - La giurisprudenza tra Repubblica e Principato: primi studi su C. Trebazio Testa (Pubblicazioni Università degli studi di Salerno. Sezione di studi giuridici - 11) - Napoli - 1990 -
- Marco Tulio Cicerone - Epistole ai Familiari - Milano - BUR - 2007 -
- RA. Bauman - Avvocati nella politica di transizione romana: uno studio sui giuristi romani nel loro contesto politico nella tarda repubblica e nel triumvirato - Monaco - 1985 -
- Alessandro Appiano - La storia Romana - Le guerre civili - Torino - UTET - 2001 -
- Orazio - Tutte le opere. Versione, introduzione e note di Enzio Cetrangolo - Sansoni editore - 1993 -

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