I CAPI ROMANI
Titus Siccius è stato un politico repubblicano romano, vissuto nel V sec a.c. del ramo patrizio di una gens altrimenti plebea: la Sicinia. Fu nominato console di Roma nel 487 a.c., insieme a Caio Aquilio Tusco, il primo rappresentante della sua gens ad essere eletto console.
Anche Tito è l'unico membro della sua gens a salire alla carica di Console anche se molti divennero, in seguito, protagonisti delle lotte patrizie-plebee che hanno dominato la scena politica romana nel periodo medio-tardo repubblicano.
Sicinio, insieme con il collega Caio Aquilio fu incaricato di lanciare un'offensiva militare contro i Volsci, sui quali ottenne la vittoria nella battaglia di Velletri e per la quale ottenne il trionfo. Nel 480 a.c. Tito Sicinio venne poi nominato come legato sotto il comando del console Marco Fabio Vibulano.
Nel corso delle operazioni militari i due consoli nominarono Tito Larcio Flavo (membro di una famiglia etrusca insediata a Roma da molto tempo) a praefectus urbi perché si occupasse della città di Roma durante la loro assenza.
Plutarco e Dionigi di Alicarnasso raccontano che quando Coriolano, convinto dalla madre e dalla moglie in lacrime, interruppe bruscamente l'assedio di Roma, Attio, adirato dalla decisione di Coriolano, ordì una congiura che portò alla morte di Coriolano nel foro di Anzio, mentre si stava difendendo in un pubblico processo, dove era stato messo sotto accusa dai Volsci per essersi ritirato, senza aver combattuto, da Roma.
IL CAPO DEI VOLSCI
Attius Tullius, o Azio Tullio, (... - Velletri, 485 o 487 a.c.), capo dei Volsci, accolse molto volentieri Cneo Marcio Coriolano, esule da Roma per aver oltraggiato i tribuni della plebe, conoscendolo come validissimo generale. Così insieme a lui organizzò una campagna militare con la quale vennero rapidamente ripresi molti territori volsci già conquistati dai Romani negli anni precedenti.
«Q. Marcio, comandante romano, che aveva conquistato Corioli, città dei Volsci, accecato dall'ira si recò presso i Volsci e ottenne aiuti contro i Romani. Sconfisse spesso i Romani, arrivando fino a cinque miglia da Roma, pronto a combattere anche contro la sua patria, respinti i legati inviati per chiedere la pace, vinto solamente dal pianto e dalle suppliche della madre Veturia e della moglie Volumnia, andate a lui da Roma, ritirò l'esercito. E questo fu il secondo capo, dopo Tarquinio, ad essersi opposto alla propria patria.»
(Eutropio, Breviarium ab Urbe condita, I,15)
Attius Tullius, o Azio Tullio, (... - Velletri, 485 o 487 a.c.), capo dei Volsci, accolse molto volentieri Cneo Marcio Coriolano, esule da Roma per aver oltraggiato i tribuni della plebe, conoscendolo come validissimo generale. Così insieme a lui organizzò una campagna militare con la quale vennero rapidamente ripresi molti territori volsci già conquistati dai Romani negli anni precedenti.
«Q. Marcio, comandante romano, che aveva conquistato Corioli, città dei Volsci, accecato dall'ira si recò presso i Volsci e ottenne aiuti contro i Romani. Sconfisse spesso i Romani, arrivando fino a cinque miglia da Roma, pronto a combattere anche contro la sua patria, respinti i legati inviati per chiedere la pace, vinto solamente dal pianto e dalle suppliche della madre Veturia e della moglie Volumnia, andate a lui da Roma, ritirò l'esercito. E questo fu il secondo capo, dopo Tarquinio, ad essersi opposto alla propria patria.»
(Eutropio, Breviarium ab Urbe condita, I,15)
Ma di fronte alle suppliche della madre:
«Coriolano saltò giù come una furia dal suo sedile e corse incontro alla madre per abbracciarla. Lei però, passata dalle suppliche alla collera, gli disse: «Fermo lì, prima di abbracciarmi: voglio sapere se qui ci troviamo da un nemico o da un figlio e se nel tuo accampamento devo considerarmi una prigioniera o una madre.»
(Tito Livio, Ab Urbe condita libri, lib. II)
«Coriolano saltò giù come una furia dal suo sedile e corse incontro alla madre per abbracciarla. Lei però, passata dalle suppliche alla collera, gli disse: «Fermo lì, prima di abbracciarmi: voglio sapere se qui ci troviamo da un nemico o da un figlio e se nel tuo accampamento devo considerarmi una prigioniera o una madre.»
(Tito Livio, Ab Urbe condita libri, lib. II)
Sembra che Coriolano, della gens Marcia, fosse stato esiliato per comportamento indegno e che per reazione tradì alleandosi coi Volsci, ma per quanto ravveduto, si narra fosse ucciso proprio per questo dai Volsci.
Ma l’azione non era affatto condivisa da tutti, sicché fu seppellito con grandi onori e il sepolcro di Coriolano, ornato con armi e spoglie, fu considerato dalla popolazione il sepolcro di un eroe e di un grande generale. I Romani, invece, non gli tributarono onori quando seppero della sua morte, né tuttavia gli serbarono rancore, tant'è vero che alle donne fu consentito portare il lutto fino a un massimo di 10 mesi.
CORIOLANO |
L'ATTACCO DI ATTIO
Attio tentò di nuovo di attaccare Roma a pochissima distanza dalle esequie di Coriolano, unendo una armata di Volsci con una di Equi. Ma tra i due popoli, ben lontani dalla disciplina romana, nacque una disputa su chi dovesse avere l'onore del primo attacco.
Ben presto vi fu una mischia tra i popoli alleati che cominciò ben presto a degenerare terminando solo per il sopraggiungere della notte quando i soldati si ritirarono nei loro accampamenti. Il mattino seguente, i due eserciti si risvegliarono non più alleati e tornarono alle rispettive case.
Eppure, nel 485 a.c., egli tentò ancora una volta la sorte contro le forze di Roma. La battaglia di Velletri lo vedrà protagonista come comandante dell'esercito di Volsci, ma sconfitto dai legionari del console Tito Sicinio, perderà la vittoria e la vita sul campo di battaglia.
I DUE CONSOLI
Nel 485 a.c., vennero nominati due consoli: Caio Aquilio Tusco, che doveva sbarazzarsi degli Ernici e Tito Siccio che doveva combattere contro i Volsci, mentre una terza parte dell'esercito venne lasciata al pattugliamento delle aree limitrofe a difesa di Roma.
A Tito andò la parte più poderosa dell'esercito; perché Azzio Tullo aveva una forza di poco superiore ai 6.000 legionari con più di 300 cavalieri. Dionigi sottolinea che "la fanteria dell'uno e dell'altro somigliava moltissimo per numero, per arme, per ordinanza, e perizia di uomini nel combattere».
Le due armate si attaccarono contemporaneamente in un luogo collinare e sassoso, inadatto alle cavallerie, per cui, alcuni rappresentanti dei reparti di cavalleria conferirono con il console Tito Sicinio, chiedendogli di poter combattere appiedati «il console, lodatili ampiamente, fe' che smontassero e stessero schierati con esso per esplorare, e soccorrere quelli che pericolavano». Questa soluzione fu la chiave della vittoria romana a Velletri.
Quando i reparti di cavalieri Romani appiedati si mossero sul fianco dei nemici attaccandoli dal lato destro, «e gli altri alle spalle col girarsi intorno del colle. Allora chi scagliò lance su' nemici uniti, chi colle spade equestri assai lunghe li ferì nelle braccia e ne' cubiti, troncando a molti le mani cinte delle arme stesse di resistenza o difesa, e chi molti, fermissimi ne' loro posti, ne rovesciò semivivi con colpi profondi ne' ginocchj e ne piedi».
Il lato destro dello schieramento dei volsci si trovò così in una situazione critica: colpito di fianco ed in parte alle spalle dalle cavallerie nemiche doveva contemporaneamente affrontare i legionari romani frontalmente; senza poter contare sul supporto della propria cavalleria che a cavallo si muoveva con difficoltà. I volsci coraggiosamente non cedettero, ma alla fine furono tutti uccisi. Allora il centro e la sinistra degli italici iniziarono una ritirata progressiva verso il proprio accampamento.
Ma i Romani li inseguirono fino al loro campo dove c'erano dei fossati che il console comandò ai fanti di colmare, ed egli s'avanzò fino alle porte degli alloggiamenti, dove vennero attaccati dai Volsci più robusti e più arditi guidati da Azio (Attio) Tullo, che infine vinto dalla stanchezza e dalle ferite, morì. Gli altri Volsci o perirono; o gettarono le armi, e chiesero pietà al vincitore; solo pochi erano riusciti a fuggire.
IL TRIONFO
Tito Sicinio, appena tornato nell'Urbe, grazie alla vittoria sui Volsci, nei pressi di Velletri, non ottenne solamente un trionfo che oscurò la contemporanea vittoria sugli Ernici del collega Caio Aquilio Tusco, ma chiuse l'intera campagna per cui i due consoli erano stati nominati.
Attio tentò di nuovo di attaccare Roma a pochissima distanza dalle esequie di Coriolano, unendo una armata di Volsci con una di Equi. Ma tra i due popoli, ben lontani dalla disciplina romana, nacque una disputa su chi dovesse avere l'onore del primo attacco.
Ben presto vi fu una mischia tra i popoli alleati che cominciò ben presto a degenerare terminando solo per il sopraggiungere della notte quando i soldati si ritirarono nei loro accampamenti. Il mattino seguente, i due eserciti si risvegliarono non più alleati e tornarono alle rispettive case.
Eppure, nel 485 a.c., egli tentò ancora una volta la sorte contro le forze di Roma. La battaglia di Velletri lo vedrà protagonista come comandante dell'esercito di Volsci, ma sconfitto dai legionari del console Tito Sicinio, perderà la vittoria e la vita sul campo di battaglia.
I DUE CONSOLI
Nel 485 a.c., vennero nominati due consoli: Caio Aquilio Tusco, che doveva sbarazzarsi degli Ernici e Tito Siccio che doveva combattere contro i Volsci, mentre una terza parte dell'esercito venne lasciata al pattugliamento delle aree limitrofe a difesa di Roma.
A Tito andò la parte più poderosa dell'esercito; perché Azzio Tullo aveva una forza di poco superiore ai 6.000 legionari con più di 300 cavalieri. Dionigi sottolinea che "la fanteria dell'uno e dell'altro somigliava moltissimo per numero, per arme, per ordinanza, e perizia di uomini nel combattere».
Le due armate si attaccarono contemporaneamente in un luogo collinare e sassoso, inadatto alle cavallerie, per cui, alcuni rappresentanti dei reparti di cavalleria conferirono con il console Tito Sicinio, chiedendogli di poter combattere appiedati «il console, lodatili ampiamente, fe' che smontassero e stessero schierati con esso per esplorare, e soccorrere quelli che pericolavano». Questa soluzione fu la chiave della vittoria romana a Velletri.
Quando i reparti di cavalieri Romani appiedati si mossero sul fianco dei nemici attaccandoli dal lato destro, «e gli altri alle spalle col girarsi intorno del colle. Allora chi scagliò lance su' nemici uniti, chi colle spade equestri assai lunghe li ferì nelle braccia e ne' cubiti, troncando a molti le mani cinte delle arme stesse di resistenza o difesa, e chi molti, fermissimi ne' loro posti, ne rovesciò semivivi con colpi profondi ne' ginocchj e ne piedi».
Il lato destro dello schieramento dei volsci si trovò così in una situazione critica: colpito di fianco ed in parte alle spalle dalle cavallerie nemiche doveva contemporaneamente affrontare i legionari romani frontalmente; senza poter contare sul supporto della propria cavalleria che a cavallo si muoveva con difficoltà. I volsci coraggiosamente non cedettero, ma alla fine furono tutti uccisi. Allora il centro e la sinistra degli italici iniziarono una ritirata progressiva verso il proprio accampamento.
Ma i Romani li inseguirono fino al loro campo dove c'erano dei fossati che il console comandò ai fanti di colmare, ed egli s'avanzò fino alle porte degli alloggiamenti, dove vennero attaccati dai Volsci più robusti e più arditi guidati da Azio (Attio) Tullo, che infine vinto dalla stanchezza e dalle ferite, morì. Gli altri Volsci o perirono; o gettarono le armi, e chiesero pietà al vincitore; solo pochi erano riusciti a fuggire.
IL TRIONFO |
Tito Sicinio, appena tornato nell'Urbe, grazie alla vittoria sui Volsci, nei pressi di Velletri, non ottenne solamente un trionfo che oscurò la contemporanea vittoria sugli Ernici del collega Caio Aquilio Tusco, ma chiuse l'intera campagna per cui i due consoli erano stati nominati.
I più grandi onori andarono così a Sicinio, il quale sembrava di aver liberato la città dal pericolo maggiore, annientando l'esercito dei Volsci, ed uccidendone il comandante. Tito entrò in città con le prede, coi prigionieri, colle sue milizie, cinto di clamide regale, e seduto su carro tirato da cavalli adorni di freni d'oro. Aquilio ebbe invece un'ovazione ed entrò a piedi in città con le sue conquiste.
BIBLIO
- Tito Livio - Ab Urbe condita libri II -
- Plutarco - Vite parallele - Coriolano -
- Eutropio - Breviarium ab Urbe condita - I -
- Cicerone - De Re Publica -