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CLADES GALLICA - SACCO DI ROMA (390 a.c.)

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L'assedio di Roma, del 390 a.c., e il conseguente "Sacco di Roma" da parte dei Galli Senoni guidati da Brenno e partiti dalla loro 'capitale' Senigallia, è uno degli episodi più traumatici della storia di Roma, tanto da essere riportata negli annali con il nome di Clades Gallica, ossia sconfitta gallica, tenendo conto che Roma non era abituata alle sconfitte ma soprattutto non era abituata ad essere invasa, il trauma fu grande.

L'assedio, tramutatosi poi nel "Sacco di Roma", fu la conseguenza diretta della sconfitta sul fiume Allia, ed è ricco di episodi famosi, che qualcuno sospetta inventati, dalla vicenda delle 'Oche del Campidoglio' alla famosa frase 'Vae Victis!', del comandante Brenno. Può essere che qualcosa sia stato inventato però che Roma seppe reagire e rialzarsi e poi diventare la Caput Mundi è indiscutibilmente vero.

FURIO CAMILLO


MARCO FURIO CAMILLO
Il generale dei Romani

Marco Furio Camillo fu: 
- censore nel 403 a.c., 
- tribuno militare con potestà consolare nel 401 a.c. 
- ancora tribuno militare con potestà consolare nel 398 a.c.,, 
- interrex nel 397, 
- dittatore nel 396, 
- tribuno militare consolare per la terza volta nel 394 a.c., 
- ancora interrex nel 392 a.c.

Nel 391 o 393 a.c. Camillo venne processato e condannato per un crimine non chiaro. Camillo andò volontario in esilio ad Ardea, e la multa (da 15.000 a 500.000 assi a seconda delle fonti) gli fu quindi inflitta in contumacia.

- Camillo fu ancora interrex nel 389, che presuppone il suo richiamo dall'esilio per la salvezza della patria minacciata, dopo la Catastrofe gallica, dalla ribellione dei Latini e dall'aggressione di tutti i suoi nemici tradizionali. 
- Camillo, dittatore nello stesso 389, soccorse l'esercito romano ridotto a mal partito dai Volsci, e vinse a Maecium presso Lanuvio; vinse quindi gli Equi, e infine a nord gli Etruschi che avevano preso Sutri.

- Tribuno militare consolare per la quarta volta nel 386, sconfisse i Volsci presso Satrico; ma fu richiamato al nord dagli Etruschi, ch'egli sconfisse. 
- Tribuno consolare per la quinta volta nel 384, Camillo si sarebbe opposto al tentativo di M. Manlio Capitolino di farsi tiranno; qualche fonte narra di una dittatura di Camillo, che avrebbe assalito il Campidoglio occupato da Manlio; ma la notizia è sospetta. 
- Tribuno consolare per la sesta volta nel 381, egli avrebbe condotto l'esercito contro i Volsci e i Prenestini, differendo però per prudenza la battaglia. 
La volle invece il giovane suo collega L. Furio Medullino, che, ridotto a mal partito, fu salvato da Camillo; una sua spedizione contro i Tusculani, che avevano prestato aiuto ai Volsci e che egli trovò pacifici; il senato perdonò loro, concesse la pace e poco dopo anche la cittadinanza. 

- Camillo avrebbe rivestito per la quarta volta la dittatura per opporsi alle rogazioni Licinie-Sestie; ma non avendo ottenuto nulla, abdicò. 
-  Nel 367, vecchio di ottant'anni e dittatore per la quinta volta egli avrebbe combattuto contro i Galli sull'Aniene o sui colli Albani e avrebbe trionfato (cfr. Livio, VI, 42, 4 segg.); ma poiché Polibio. II, 18, 6, dice che i Galli marciarono su Roma per la seconda volta trent'anni dopo l'Allia, la notizia è dalla maggior parte dei critici respinta. 
- Nello stesso anno Camillo sarebbe intervenuto ancora nell'agitazione per le leggi Licinie-Sestie, che egli avrebbe finito per far accettare ai patrizî, per pacificare gli animi; in quest'occasione avrebbe votato il tempio alla Concordia nel Foro. 


La Morte

Camillo sarebbe morto nel 365 durante una pestilenza. Sui rostri nel Foro v'era una statua in bronzo molto antica di Camillo, un onore straordinario nella Roma del principio del sec. IV, che testimonia l'impressione che sui contemporanei fece questo grande uomo, che fu sei volte a capo dello stato come tribuno militare con potestà consolare (uno degli esempî più notevoli d'iterazione di magistratura) e parecchie volte dittatore, e che la tradizione proclamò "Secondo Fondatore di Roma" (Plutarco, Cam., 1, 1).
 
BRENNO


BRENNO
Generale dei Galli

Condottiero (regulus, secondo Livio V XLVIII 8) dei Galli che nel 390 a.c. conquistarono Roma; acconsentì a ritirarsi in cambio di un tributo, ma durante la pesatura dell'oro richiesto ai Romani per il ritiro delle truppe, aggiunse al peso pattuito quello della propria spada esclamando " Vae victis ". Onde i Romani sdegnati ripresero le armi, e guidati da Camillo affrontarono e sterminarono gli invasori. La sconfitta di Brenno è ricordata in Pd VI 43-44, dove all'arroganza barbarica di Brenno si contrappone vittoriosamente l'aquila romana, emblema di civiltà.
 


I NOBILI ANZIANI

Dopo la disfatta del Fiume Allia i Galli erano ormai stanziati nella periferia dell'Urbe e pronti all'assalto decisivo contro la città. A Roma nel frattempo, mentre ormai ogni cosa era pronta per la difesa della cittadella, molti anziani fecero ritorno alle proprie case ad attendere il nemico, e la morte. 

Quanti tra essi erano stati detentori di magistrature curuli, volendo morire con addosso le insegne dell'antica fortuna, degli oneri e dei meriti, indossarono la veste da cerimonia e si assisero su seggiole d'avorio al centro delle loro case. Il pontefice massimo Marco Folio li guidò nella recita di un voto solenne con cui si offrirono in sacrificio per la patria e per i cittadini Romani.

I Galli il giorno successivo entrarono a Roma attraverso i battenti spalancati della porta Collina e si diressero verso il foro, dove la guerra era ancora in corso. Poi corsero per le strade deserte in cerca di bottino. Ma poi, di nuovo spaventati dalla solitudine che ugualmente vi regnava, temendo che qualche agguato nemico li sorprendesse così sparpagliati, tornavano a riunirsi nel foro e negli immediati dintorni. 

Così videro seduti nei vestiboli delle case uomini maestosi con abiti e ornamenti sontuosi. Qui Marco Papirio, quando uno dei barbari gli si avvicinò per accarezzargli la barba lo colpì sulla testa con il bastone d'avorio dando così il via al massacro. 

Le abitazioni vennero poi saccheggiate e date alle fiamme. Alla notte fece poi seguito un giorno d'angoscia, dove pur vedendo tutto raso al suolo i Romani non volevano nè fuggire nè, arrendersi, intenzionati com'erano morire con le armi in pugno da veri Romani.

IL CAMPIDOGLIO IN ETA' REPUBBLICANA


L'ASSEDIO DEL CAMPIDOGLIO

Il giorno successivo i Galli si schierarono nel foro con una formazione a testuggine e, dopo aver alzato il grido di guerra, mosse all'attacco. I Romani rinforzarono i posti di guardia in prossimità di tutti gli accessi e là dove vedevano i nemici avanzare opposero i loro uomini più validi, permettendo ai Galli di progredire nell'ascesa, convinti che sarebbe stato tanto più facile respingerli già dal pendio quanto più essi si fossero spinti verso la cima. 

Così, i Romani, dopo aver lanciato l'attacco dal Campidoglio, sbaragliarono i Galli in modo così schiacciante da farli desistere bell'avanzata e deciderli ad assediare il colle. Ma non avevano frumento anche perchè quello che c'era ancora nei campi i Romani l'avevano trasportato a Veio. Così i galli divisero l'esercito in due, una parte fu inviata a razziare le terre dei popoli confinanti, e l'altra parte venne addetta all'assedio della cittadella.

Quando i Galli partirono da Roma, si diressero su Ardea e Camillo venne a sapere all'improvviso che l'esercito dei Galli era alle porte. Allora si presentò nel mezzo dell'assemblea e convinse i suoi sostenitori ad assaltare e distruggere con il favore della sorpresa notturna l'accampamento dei Galli, nei pressi della città di Ardea stessa, massacrando totalmente il nemico. 

Allo stesso modo, anche i soldati romani che si erano ritirati a Veio, ai comandi del centurione Quinto Cedicio, riuscirono a battere in due scontri campali alcuni contingenti etruschi che stavano razziando le campagne a nord di Roma.



FURIO CAMILLO DITTATORE

A Roma intanto la famiglia dei Fabii offriva annualmente per la comunità un sacrificio sul colle Quirinale. Così Gaio Fabio Dorsuone, reggendo in mano i sacri arredi, scese dal Campidoglio, traversò i posti di guardia del nemico e raggiunse il Quirinale tra le urla minacciose. 

Là, dopo aver compiuto i riti previsti, tornò indietro per lo stesso percorso, come fosse sicuro della protezione degli Dei tornando incolume sul Campidoglio in mezzo ai compagni, forse perchè i Galli temevano di incorrere nelle ire di quegli Dei invocati da Fabio.

A Veio intanto affluivano sia i Romani che avevano vagato dal giorno della sconfitta presso l'Allia o dopo la caduta di Roma, sia i volontari arrivati dal Lazio per uccidere i galli e spartirne il bottino. Fu deciso di consultare il senato di Roma affinchè si potesse di far venire Camillo da Ardea. Ponzio Comino, un giovane coraggioso si offrì di recarsi e, disteso su un tronco di sughero, sfruttando la corrente favorevole del Tevere raggiunse effettivamente la città. 

Salì sul Campidoglio in un tratto così ripido che i nemici l'avevano lasciato incustodito e portò ai magistrati il messaggio dell'esercito. Il senato accettò e Ponzio Comino raggiunse Veio con lo stesso percorso dell'andata. Vennero poi mandati ambasciatori ad Ardea per riportare Camillo a Veio e come seppero che erta stato eletto dittatore "in absentia" riorganizzò l'esercito.



LE OCHE DEL CAMPIDOGLIO

Intanto i Galli, o perché avevano notato orme umane nel punto in cui era passato il messaggero giunto da Veio, o perché si erano resi conto da soli che l'erta nei pressi del tempio di Carmenta poteva essere superata, una notte inviarono un uomo per accertare che il passaggio fosse praticabile; poi, passandosi le armi nei punti più difficili, raggiunsero la cima in assoluto silenzio riuscendo a passare a passare inosservati alle sentinelle e ai cani. 

TEMPIO DI GIUNONE - OSTIA ANTICA
Non sfuggirono però alla vigilanza delle oche che, non ostante la penuria di viveri, erano state risparmiate perché sacre a Giunone. Svegliati infatti dallo starnazzare delle oche, Marco Manlio, chiamando gli altri a imitarlo, si fece avanti e mentre i suoi compagni correvano ad armarsi, con un colpo di scudo ricacciò un Gallo che era riuscito a raggiungere la sommità. 

La caduta travolse quelli che gli venivano dietro, e i nemici vennero ricacciati con frecce e di pietre. Al mattino Manlio venne elogiato per il suo coraggio e premiato con libbra di grano e un quarto di vino a testa da parte dei soldati. Venne poi scaraventato dalla rupe Tarpea l'uomo che responsabile della guardia mancata.

"Ma c'erano delle oche sacre presso il tempio di Giunone, nutrite nel resto del tempo abbondantemente, ma allora, essendo trascurate poiché gli alimenti bastavano ormai loro con difficoltà e a stento, se la passavano male. Ora quell'animale è certamente anche per natura ben sveglio per quanto riguarda sensibilità e timoroso dei rumori; ma quelle, diventate insonni e agitate anche per la fame, si accorsero presto dell'avvicinamento dei Galli, e portandosi contro di loro di corsa e con schiamazzi, svegliarono tutti, quando ormai anche i barbari per non essere passati inosservati non risparmiavano confusione e attaccavano in modo più violento. "
(Plutarco - le oche del campidoglio))  



LA RESA

I Galli tuttavia, disturbati dalle esalazioni e dal calore degli incendi cominciarono ad ammalarsi e morire anche perchè non seppellivano i morti. D'altra parte i Romani stavano morendo di fame. Allora il dittatore inviò un messo e ordinò loro di chiedere la resa e il riscatto a qualunque condizione, anche perché i Galli non chiedevano un prezzo esorbitante. In realtà Camillo cercava di guadagnare tempo. 

Seguì un incontro tra il tribuno militare Quinto Sulpicio e il capo dei Galli Brenno: il prezzo pattuito fu di mille libbre d'oro. Ma i Galli portarono dei pesi tarati in maniera disonesta e siccome il tribuno protestò, Brenno aggiunse al peso la propria spada, pronunciando la famosa frase: "Vae victis!" cioè "Guai ai vinti!".

Ma mentre si era ancora nel pieno delle trattative e l'oro non era stato pesato del tutto, sopraggiunse il dittatore che ordinò di far sparire l'oro e ingiunse ai Galli di andarsene. Siccome questi invocavano l'accordo, Camillo ne negò la validità perchè non era stato accettato da lui, il dictator di Roma, gridando la celebre frase: "Roma si conquista col ferro e non con l'oro!" e fu guerra.

FURIO CAMILLO

IL GENERALE FURIO CAMILLO

Immediatamente Camillo fece accatastare i bagagli, preparare le armi e schierare le truppe in ordine di combattimento. Al primo scontro, i Galli vennero sbaragliati con facilità e poco dopo, in una seconda battaglia a otto miglia da Roma sulla Via Gabinia, dove si erano raccolti dopo la fuga, vennero di nuovo sconfitti sempre sotto il comando di Camillo. Là non fu lasciato in vita nemmeno un messaggero che tornasse indietro a riferire della disfatta.

Poi il dittatore tornò in trionfo a Roma e poco dopo salvò di nuovo la propria città quando, in tempo di pace, impedì un'emigrazione in massa a Veio, non ostante i tribuni, ora che Roma era un cumulo di rovine, fossero convinti della loro decisone e la plebe la appoggiasse pienamente. Fu questo il motivo per il quale egli non rinunciò alla dittatura dopo la celebrazione del trionfo, visto che il senato lo implorava di non abbandonare il paese ancora allo stremo.


BIBLIO

- Tito Livio - Ab Urbe Condita Libri - libro V -
- Eutropio - Breviarium ab Urbe condita -
- Plutarco - Le oche del Campidoglio -
- G. Dumézil - Camillus - A story of Indo-European Religion as Roman History, Berkeley - Los Angeles - London 1980 -
- C. Dognini - I cavalli bianchi di Camillo in Guerra e diritto nel mondo greco e romano - vol. 28 - a cura di M. Sordi - 2002 -

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