ROMANI |
Veio era una ricca città posta a soli 20 km da Roma su un altopiano che controllava un attraversamento del Tevere e ne dominava la sua riva destra. Il fiume costituiva il confine naturale fra il territorio etrusco e latino, ma soprattutto era la principale via di traffico dal mare verso l'interno e costituiva il miglior collegamento con Capua.
Sul lato sinistro del Tevere sorse però una pericolosa concorrente: Roma. Fondamentale era per Veio il controllo dei "septem pagi", le saline poste alla foce del fiume e fonte sia dell'alimentazione perchè senza sale non si sopravvive sia del florido commercio che ne derivava. Roma però stava fra Veio e il mare per cui controllava tutta la zona che aveva riempito di vedette, inoltre era alleata con le città di Capena, Falerii, Fidene e Capua, e per giunta voleva quelle saline.
«Era una pretesa non solo ingiusta ma anche ridicola, perché quando i Fidenati stavano combattendo ed erano in grave pericolo, a quel tempo non solo non li avevano aiutati, ma avevano permesso che molti uomini morissero, ed ora pretendevano di avere diritti su città e territorio, quando essi già appartenevano ai Romani.»
«La guerra fidenate finì per propagarsi ai Veienti, spinti dalla consanguineità per la comune appartenenza al popolo estrusco. Persero parte del territorio ma ottennero una tregua di ben cento anni. Questi pressappoco gli eventi succedutisi in pace e in guerra sotto il regno di Romolo.»
(Tito Livio, Ab Urbe condita libri, I)
ETRUSCHI |
Plutarco racconta che i Veienti divisero il loro esercito in due schiere: una contro l'esercito romano lasciato a guardia di Fidene e una contro l'esercito guidato da Romolo. A Fidene i veienti ottennero una vittoria parziale in cui riuscirono ad uccidere 2.000 Romani, ma nello scontro con Romolo, valentissimo generale, persero la vita ben 8.000 Veienti.
Lo scontro successivo si combattè ancora a Fidene, dove Romolo dimostrò il maggior merito della vittoria per la sua grande abilità tattica e coraggio. Egli sapeva come infiammare gli animi tanto come muovere le sue truppe studiando sempre apposite strategie.
LA III BATTAGLIA SOTTO ROMOLO
Nella terza battaglia c'erano sul campo di battaglia ben 14.000 caduti e la stragrande maggioranza erano veiente. Romolo, non pago della vittoria inseguì i Veienti fin sotto le mura della città, terrorizzandoli in modo tale che poté ottenere da Veio i territori dei Septem pagi e quelli delle Saline, assicurando in cambio di una tregua di cento anni.
TREGUA DI 100 ANNI
«Ufficialmente non fu dato alcun aiuto perché era ancora valido presso i Veienti il patto di tregua stipulato con Romolo.»
(Tito Livio, Ab Urbe condita libri, I)
Essendo poi re Anco Marzio, i patti erano scaduti. Narra Livio che egli ingrandì lo Stato, in parte con la deportazione a Roma delle genti latine sconfitte, in parte con l'acquisizione territoriale:
«la Selva Mesia, strappata ai Veienti, fece arrivare il dominio romano fino al mare. alla foce del Tevere fu fondata la città di Ostia e tutt'intorno vennero create delle saline.»
(Tito Livio, Ab Urbe condita libri, I, 33, op. cit.)
Sotto questo re l'esercito romano combattè contro i Latini e i Sabini e conquistò molte città. Poi si bonificarono le zone paludose con la costruzione delle cloache, che convogliavano l'acqua stagnante verso il Tevere, e si stabilì il Campidoglio come centro religioso e politico della città.
Servio Tullio, nonostante la grande influenza etrusca su Roma, riprese le ostilità con Veio e con gli altri etruschi.
«Molto accortamente mantenne tranquille le vicende interne a Roma, affrontando la guerra contro i Veienti (con i quali era già terminata la tregua) e con gli altri etruschi. Tullio in quella guerra brillò per valore e fortuna.»
(Tito Livio, Ab Urbe condita libri, I)
Dopo la vittoria sui Veienti Servio fece erigere le Mura serviane e istituì l'obbligo del Censo per i romani, destinato anche a stabilire a chi dovesse essere devoluto l'emolumento statale (grano e olio) e a chi no.
MILIZIA ETRUSCA |
Questi si dedicò a tenere a bada il potere dei latini, guardando più a est, verso Gabi e Ardea, capitale dei Rutuli. Venne cacciato per cui non conosciamo la sua politica nei confronti di Veio.
La Repubblica romana doveva badare ai nemici esterni e, come narra Marco Terenzio Varrone, Publio Valerio Publicola uno dei primi consoli, venne indicato come guida di un attacco a Veio nel 509 a.c..
Tarquinio il Superbo tentò di riconquistare il trono, sostenuto da alcuni giovani aristocratici romani ma fallì per la delazione di uno schiavo dei Vitelli. Tarquinio chiese allora aiuto ai Tarquiniesi e ai Veienti.
«Veienti e Tarquiniesi, oltre a tutto, avevano l'occasione di vendicare vecchi torti: eserciti tante volte distrutti e territori portati via. Queste parole valsero a smuovere i Veienti, i quali, fremendo minacciosi pensavano tutti a cancellare i torti subiti e a riconquistare, sia pure sotto il comando di un Romano, ciò che avevano perso in guerra.»
(Tito Livio, Ab Urbe condita libri, II, 6, op. cit.)
Publio Valerio avanzò con la fanteria che marciava in formazione quadrata. Giunio Bruto guidò la cavalleria e, nello scontro con Arrunte Tarquinio, il figlio del re, venne mortalmente ferito. La battaglia finì quando, mentre l'ala tarquiniese faceva indietreggiare i Romani, giunse Publicola e li sbaragliò.
Commenta ironicamente Livio: «I Veienti furono sbaragliati e messi in fuga, ma erano già abituati a perdere per mano dei Romani.»
(Tito Livio, Ab Urbe condita libri, II, 6, op. cit.)
Publio Valerio fece ritorno a Roma dopo aver raccolto le spoglie degli eserciti nemici che, il giorno seguente avevano già fatto ritorno alle rispettive città. da qui il racconto passa alla calata di Porsenna, lucumone di Chiusi che comunque:
«ottenne invece che a Veio fosse restituito il territorio e i Romani furono anche costretti a dare degli ostaggi se volevano che il Gianicolo fosse liberato dal presidio.»
(Tito Livio, Ab Urbe condita libri, II, 13, op. cit.)
Narra Tito Livio che però, due anni dopo il ritorno a Chiusi, Porsenna, ammirato dal rigido e coerente atteggiamento romano, non solo promise di non aiutare Tarquinio nelle sue pretese ma "restituì gli ostaggi e quella porzione di territorio che era tornata a Veio in virtù del trattato del Gianicolo".
Ora il Senato, espressione dell'aristocrazia, per ottenere che la plebe si schierasse in armi contro l'invasore etrusco ne migliorò significativamente le condizioni:
«Il senato fu largo, dunque, di concessioni alla plebe, in quel periodo. La prima preoccupazione riguardò l'approvvigionamento dei viveri: per far scorta di frumento furono mandati emissari tra i Volsci e a Cuma. Il commercio del sale fu tolto ai privati e assunto dallo stato; la plebe fu esentata dai dazi e dall'imposta di guerra.»
(Tito Livio, Ab Urbe condita libri, II)
Alla notizia della morte di Tarquinio nel suo esilio di Cuma ospite di Aristodemo:
«gioirono i senatori e gioì anche la plebe. Ma i festeggiamenti dei senatori degenerarono in licenza e abusi; e la plebe, che fino a quel giorno era stata blandita in ogni modo, cominciò a patire dei torti»
(Tito Livio, Ab Urbe condita libri, II, 21, op. cit.)
Poi i Volsci accusati di aiutare i Latini vennero attaccati, sconfitti e, in un tentativo di rivincita assieme agli Ernici, traditi dagli ex-alleati Latini. La situazione politica interna di Roma stava diventando incandescente. La maggioranza dei plebei correva seri rischi di subire la schiavitù per debiti, il nexum.
«grande era l'agitazione tra i plebei che combattevano fuori delle mura per la libertà e la potenza romana e poi, in casa propria, venivano imprigionati e oppressi dai loro stessi concittadini.»
(Tito Livio, Ab Urbe condita libri, II, 13, op. cit.)
MILIZIA ROMANA |
La leva comunque costringeva tutti a obbedire ai consoli finchè la plebe giunse alla secessione ritirandosi (Livio dice sul Monte Sacro, Pisone dice sull'Aventino). È la famosa secessione sedata da Menenio Agrippa con il suo apologo. Poiché l'esercito veniva formato di volta in volta e i combattenti dovevano sottostare a un giuramento che li impegnava sotto il profilo religioso, quando un cittadino era sottoposto alla legge marziale perdeva ogni diritto civico e ogni difesa contro i consoli che comandavano l'esercito.
IL RIFIUTO DELLA PLEBE
Sotto al consolato di Quinto Fabio Vibulano e Gaio Giulio Iullo, nel 482 a.c. I Veienti tornarono in guerra. Gaio Giulio partì contro gli Equi. Fabio contro Veio. A causa dei dissidi tra patrizi e plebei, nonostante la bravura militare del console che schierò le truppe per consentire alla sola carica della cavalleria di sgominare il nemico, i fanti, componenti della plebe, si rifiutarono persino di inseguire i nemici in fuga, volsero le spalle e ritornarono agli accampamenti.
L'anno seguente, consoli Cesone Fabio Vibulano e Spurio Furio Fusone, il senato cercò di porre uno dei tribuni contro l'altro per neutralizzare i difensori della plebe. Era in gioco la solita legge agraria che voleva contrastare lo strapotere dei ricchi possidenti che si impossessavano dei terreni conquistati dall'esercito.
La mossa politica riuscì e «avvenne la partenza per la guerra contro Veio, cui erano giunti aiuti da ogni parte dell'Etruria non per particolare gratitudine ai Veienti, ma per la speranza che quella fosse l'occasione in cui Roma, logorata dalla lotta intestina, potesse subire il tracollo.»
(Tito Livio, Ab Urbe condita libri, II, 44, op. cit.)
LA BATTAGLIA DEL CREMERA 477 A.C.
I potenti Fabi davano ogni anno un console alla città. L'anno successivo, infatti, Cesone Fabio Vibulano salvò Roma da un attacco dei Veienti che il collega del console, Tito Virginio Tricosto Rutilo aveva sottovalutato. Poiché gli eserciti di Roma erano spesso impegnati in vari altri fronti, la gens Fabia chiese di prendere su di sé l'intero peso della guerra con Veio, impegnandosi a fornire i combattenti, cioè loro e di subirne i costi.
PARCO DI VEIO |
La seconda battaglia di Veio si svolse nel 475 a.c. tra l'esercito romano guidato dal console Publio Valerio Publicola e quello degli etruschi di Veio e dei loro alleati Sabini. Grazie ad un attacco notturno, i Romani ebbero la meglio sul campo dei Sabini, ed, in rapida successione riuscirono ad aver la meglio anche sui loro alleati etruschi, svegliati dal clamore delle armi capitoline.
Ritiratesi in città dopo questa sconfitta, i Veienti poterono contare sulla solidità delle loro mura quale ultima linea di difesa. Quando si resero conto di non poter attaccare le mura fortificate di Veio, nonostante la vittoria campale, i Romani decisero di razziare le campagne Sabine ottenendo il trionfo; quindi fecero ritorno a Roma.
TREGUA DI 37 ANNI
I consoli dell'anno successivo furono Lucio Furio Medullino e Gaio Aulo Manlio. A quest'ultimo fu affidata l'ennesima guerra con Veio. I risultati furono notevoli; i Veienti, senza combattere, chiesero e ottennero una tregua di quarant'anni.
PATRIZI E PLEBEI
A Roma si scatenarono le lotte tra patrizi e plebei giungendo all'assassinio del tribuno della plebe Gneo Genucio, nonostante l'inviolabilità dei tribuni. Ma ricominciarono anche le azioni contro i Volsci e gli Equi. che vennero però sconfitti nella battaglia del Monte Algido da parte del dittatore Cincinnato.
Intanto Cesone Quinzio, figlio di Cincinnato, che si opponeva alla promulgazione della lex Terentilia, è accusato di omicidio ed esiliato (in Etruria), il padre, per pagare la cauzione non onorata dal figlio, deve trasferirsi ad arare personalmente i suoi campi oltre il Tevere.
Nel 445 a.c. sotto i consoli Marco Genucio Augurino e Gaio Curzio Filone ricompaiono i Veienti ma Livio parla solo di "scorrerie ai confini del territorio romano".
BATTAGLIA DEL 438 a.c.
Nel 438 a.c. la colonia romana di Fidene, da anni stabilita nella città etrusca, «passò al re di Veio, Larte Tolumnio. Alla defezione si aggiunse un delitto ancora maggiore i Veienti uccisero, per ordine di Tolumnio degli ambasciatori romani venuti a chiedere le motivazioni di quel mutato atteggiamento.»
(Tito Livio, Ab Urbe condita libri, IV)
Livio pensa che il delitto fosse stato commissionato dal re di Veio per legare maggiormente a sé i nuovi alleati. A Roma vennero eletti consoli Marco Geganio Macerino e Lucio Sergio Fidenate. Quest'ultimo condusse la guerra contro Veio e per primo combatté «al di qua dell'Aniene contro il re dei Veienti in una battaglia coronata da successo anche se pagò quella vittoria a carissimo prezzo tanto che a Roma maggiore fu il dolore per i cittadini perduti che la gioia per la dispersione dei nemici.»
(Tito Livio, Ab Urbe condita libri, IV, 17, op. cit.)
La situazione è ancora pericolosa e viene nominato dittatore Mamerco Emilio che scelse come magister equitum Lucio Quinzio Cincinnato, figlio dell'illustre padre. Il dittatore raccolse, quali legati, i più celebrati nomi di Roma. La scelta convinse gli etruschi e i loro alleati a ritirarsi e attestarsi sotto le mura di Fidene dove furono raggiunti anche dai Falisci.
La battaglia, nella descrizione di Livio, fu accesa in poco tempo perché il re dei Veienti temeva la defezione dei Falisci, che intendevano ritornare in fretta a Falerii, nella loro città. Larte Tolumnio combatté anche in modo coraggioso e solerte finchè il tribuno militare Aulo Cornelio Cosso non lo attaccò direttamente, uccidendolo e portandone a Roma le spoglie opime.
I Veienti attaccarono di nuovo nel 435 a.c., durante una pestilenza e senza l'aiuto dei Falisci. Veienti e Fidenati arrivarono quasi fino a Porta Collina per poi essere respinti dalle legioni guidate dal dittatore Quinto Servilio Strutto. Questa volta gli etruschi si barricarono a Fidene ma la città fu conquistata con una guerra di mina (galleria scavata sotto le mura e incendiata per farla crollare). Con falsi attacchi da quattro diverse direzioni i Romani coprirono il rumore degli scavi e arrivarono alla fortezza.
Vennero inviati messaggeri alle dodici città per indire un convegno al tempio di Voltumna ma i Veienti non ottennero la solidarietà degli altri etruschi in quanto erano stati loro ad iniziare le ostilità. Mamerco Emilio approfittò per diminuire la durata della carica dei censori, si dimise da dittatore e fu quindi accusato di aver limitato la magistratura altrui. Condannato, fu espulso dalla tribù, iscritto fra gli erarii e si vide aumentate le tasse di otto volte.
Continuarono gli scontri con Volsci ed Equi che permisero ai Veienti di recuperare le forze e ancora prima di veder scadere i tempi della tregua concessa dopo la presa di Fidene, Veio aveva ricominciato con le scorrerie.
«uscì un esercito del tutto nuovo quale mai si era visto o sentito raccontare: era una gran folla armata di fuochi e tutta fiammeggiante di torce accese che eccitata e quasi invasata, si lanciò contro il nemico.»
(Tito Livio, Ab Urbe condita libri, IV)
L'esercito romano, guidato da Mamerco Emilio con l'aiuto della cavalleria di Aulo Cornelio Cosso, riuscì a resistere e gli attaccanti furono circondati e massacrati. Molti Veienti finirono per annegare nel Tevere, i Fidenati tentarono di resistere nella loro città che però fu nuovamente espugnata e stavolta, distrutta mentre la popolazione fu venduta schiava.
Secondo altri le città etrusche negarono l'aiuto in quanto impegnate contro degli invasori Galli, che minacciavano di scendere da nord. Alleate di Veio rimasero Fidenae, Falerii e Capena. A Roma sono tribuni consolari Lucio Furio Medullino, Lucio Quinzio Cincinnato, Marco Manlio Vulsone e Aulo Sempronio Atratino, l'allarme è iniziato.
SCADE LA TREGUA NEL 408 a.c.
Nel 408 a.c. scadeva la tregua con Veio e una delegazione di Veienti chiese di poter conferire con il Senato di Roma ottenendo poi di differire il pagamento dei debiti in quanto in grosse difficoltà: anche Veio aveva lotte intestine.
Tito Livio sottolinea la magnanimità dei Romani ma una guerra con Veio, avrebbe distolto molte forze dal fronte sud-orientale. L'anno successivo, quando gli ambasciatori romani furono mandati a Veio per riscuotere, i Veienti li minacciarono di riservare loro lo stesso trattamento usato da Lars Tolumnio.
Si cercò di dichiarare guerra ma la plebe si ribellò perchè non era ancora conclusa quella con i Volsci, perchè due guarnigioni erano state sterminate, e altri luoghi erano in pericolo, e Veio poteva coinvolgere l'intera Etruria nel conflitto.
(Tito Livio, Ab Urbe condita libri, IV)
BATTAGLIA DEL 407 a.c.
Ora un esercito stipendiato poteva essere tenuto indefinitamente sotto le mura della città etrusca. I comandanti romani fecero costruire per la prima volta i quartieri invernali. Infine i Veienti con un contrattacco notturno distrussero le macchine da assedio e i terrapieni di Roma, ma alcuni dell'ordine equestre si dissero disposti a combattere pagandosi il cavallo, al che molti plebei dissero di voler combattere volontariamente.
Iniziò una corsa al volontariato, il senato ringraziò ma trovò di che pagare i fanti volontari e un aiuto economico ai cavalieri. Il nuovo esercito, arrivato a Veio ricostruì le vinee, fabbricò altre macchine e venne migliorato il vettovagliamento.
A Veio arrivarono rinforzi dai Falisci e dai Capenati, l'accampamento di Manio Sergio fu attaccato e Lucio Virginio si rifiutò di aiutarlo perchè se il collega aveva bisogno di rinforzi li avrebbe chiesti. I soldati di Manlio dovettero cedere e abbandonare le postazioni. I due tribuni vennero fortemente multati.
L'anno successivo Roma ebbe gravi difficoltà a reperire forze per affrontare Veio con i suoi nuovi alleati da una parte e i Volsci dall'altra. Perfino i più giovani e i più anziani furono chiamati alla leva, inoltre più soldati servivano maggiori erano le uscite e meno contribuenti potevano essere tassati per fornire l'erario. Chi restava in città doveva servire lo Stato come presidio e anche pagare la tassa.
Però con l'elezione anche di un plebeo come Tribuno Militare la plebe si calmò, la paghe arrivarono agli eserciti, Anxur fu riconquistata. L'anno seguente al tribunato Militare fu eletto un solo patrizio e cinque plebei. Quando sotto Veio arrivarono due eserciti, uno da Falerii e uno da Capena, tutto l'esercito romano si compattò respingendo gli attaccanti e uccidendo molti Veienti che fuggivano dalla città.
La guerra con Veio si trascinò per anni tanto che perfino da Tarquinia vennero mandate coorti armate per saccheggiare l'agro romano, ma i volontari romani sorpresero i Tarquiniesi oberati di bottino, li uccisero e riportarono a Roma quanto avevano razziato e pure i loro beni.
Al tempio di Volumna Veio, Falerii e Capena chiesero aiuto alle altre città etrusche che rifiutarono perché Veio aveva iniziato la lotta senza chiedere il loro parere ma soprattutto perché un nuovo nemico si stava affacciando sull'Etruria: i Galli Senoni guidati da Brenno. L'unica concessione era la non-interferenza dei governanti se i giovani volevano recarsi a Veio come volontari. Andarono in molti e questo spaventò Roma.
Camillo era un generale e un combattente eccezionale, ma pure un grande trascinatore di uomini. si scontrò immediatamente con Falisci e Capenati nei pressi di Nepi, li sbaragliò immediatamente e si mise a restaurare e potenziare le fortificazioni romane sotto Veio.
Furono vietati duelli e scaramucce con i Veienti e concentrò l'esercito sullo scavo di una galleria che portasse dentro le mura. I soldati lavorarono in turni di sei ore senza mai fermare lo scavo. Quando Camillo sentì che si era vicini al termine della guerra pose al Senato la domanda di cosa fare dell'immenso bottino che la ricchissima città avrebbe certamente fornito.
Una distribuzione troppo avara avrebbe creato malumore nella plebe, una troppo ricca avrebbe creato risentimento fra i patrizi. Lo Stato non poteva incamerare tutto anche perché la plebe riteneva, e non a torto, che Stato significasse "classi superiori".
In senato si formarono due partiti: uno guidato da Appio Claudio riteneva giusto incamerare il bottino nell'erario (i soldati erano stati pagati con il soldo) e rendere meno gravoso il tributo che la plebe doveva pagare con vantaggio di tutti. L'altro partito, guidato da Publio Licinio chiedeva che con pubblico editto si annunciasse al popolo che chi voleva del bottino se lo doveva andare a prendere a Veio. Vinse questa interpretazione e turbe di Romani si avviarono verso nord, verso la città condannata.
Il dittatore ordinò ai soldati di prendere le armi, pregò Apollo Pitico che aveva "aiutato" i Romani con un favorevole responso dell'oracolo di Delfi offrendogli la decima parte del bottino, pregò Giunone Regina di seguirlo da Veio a Roma dove avrebbe costruito un tempio degno della sua grandezza. Poi scatenò l'esercito sulle mura per nascondere i rumori degli ultimi scavi della galleria.
- Floro - Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC - I -
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- Eutropio - Breviarium ab Urbe condita - I II -
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- A. M. Liberati, F. Bourbon - Roma antica: storia di una civiltà che conquistò il mondo - Vercelli - White star - 1996 -
- Massimo Pallottino - Origini e storia primitiva di Roma - Milano - Bompiani - 2000 -
- Mommsen T. - Storia di Roma antica - Milano - Sansoni - 2001 -