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PUBLIO CORNELIO TACITO - P. CORNELIUS TACITUS

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CORNELIO TACITO

"Sono in dubbio se credere che le vicende umane siano mosse dal destino e da una necessità immutabile o dal caso"
(Tacito. Annales VI 22)

Nome: Publius Cornelius Tacitus
Nascita: Gallia Narborense 55 d. c.
Morte: tra il 117 e il 120
Padre: Cornelio Tacito, procuratore della Gallia Belgica e della Germania.
Moglie: Giulia Agricola
Gens: Cornelia
Professione: storico, oratore, avvocato, pretore nell'88, senatore, console suffetto nel 97, proconsolato 112 - 113 in Asia


«La rivoluzione a Roma si realizzò in due tempi: nel primo fu repentina, nell’altro lenta. Il primo atto distrusse la repubblica nel corso della guerra civile, il secondo la libertà e l’aristocrazia negli anni di pace. Sallustio è il prodotto della prima epoca, Tacito dell’altra.»
(Ronald Syme, Tacito, vol. II, Brescia, Paideia, 1971, p. 718)

Publio Cornelio Tacito fu il più grande esponente storiografico della letteratura latina, talvolta indicato come Gaio Cornelio Tacito. Nacque attorno al 55 d.c. o fra il 46 e il 58, secondo altre fonti) nella Gallia Narbonense (oppure, ma meno attendibile, nella Gallia Cisalpina).

Il prenome di Tacito è tuttora incerto: in alcune lettere di Sidonio Apollinare e in alcuni vecchi scritti di poca rilevanza letteraria lo storico è nominato con Gaius, ma nel manoscritto principale della tradizione, con Publius. Questi finora sono riconosciuti come i due praenomina più avvalorati. L'ipotesi di un prenome Sextus non risulta avvalorata.

Le poche informazioni sulla vita ci derivano:
- dalle sue opere, 
- dalle lettere del suo amico e sincero ammiratore Plinio il Giovane, 
- da un’iscrizione trovata a Mylasa, in Caria (nell’attuale area costiera egea della Turchia), 
- da altre deduzioni di storici del passato. 
Molti particolari della sua vita restano sconosciuti.

TACITO

LA NASCITA

L'insufficienza di informazioni impedisce di individuare esattamente l'anno e il luogo di nascita dello scrittore. Sembra sia nato attorno al 55 nella Gallia Narbonense. Il luogo d'origine è deducibile anche dalla simpatia occasionale per i barbari che fecero resistenza contro la lex romana (Annales II, 9), nonostante la possibile origine spagnola del Fabius Iustus al quale Tacito dedica il Dialogus suggerisca un legame con la Spagna e la sua amicizia con Plinio indichi l'Italia del Nord come terra natale.
 
Ma sul luogo di nascita c'è anche una tradizione tarda che, rifacendosi a un passo dell'Historia Augusta relativo alla vita dell'imperatore romano, Marco Claudio Tacito (275 - 276), attribuisce i natali dello storico alla città di Terni.



LA FAMIGLIA

Sembra fosse un aristocratico della gens romana patrizia Cornelia, ma non ve ne sono prove. Non v'è infatti alcun documento storico che attesti l'esistenza di un Cornelius chiamato Tacito. Il forte legame d’amicizia tra Plinio il Giovane e Tacito ha fatto supporre agli storici un’equivalente estrazione sociale: ceto equestre, ricchezza e provenienza provinciale.

L'ipotesi, largamente accettata, per la quale lo scrittore latino sarebbe nato da una famiglia di rango equestre oppure senatorio può essere comprovata anche dal disprezzo per gli arrampicatori sociali su cui insiste Tacito.

Ma la sua posizione sociale di rilievo fu dovuta soprattutto alla benevolenza degli imperatori Flavii. Suo padre si ritiene possa essere stato il Cornelio Tacito procuratore della Gallia Belgica e della Germania. Tacito stesso affermò che molti senatori e cavalieri discendevano da liberti, ma l'ipotesi che ne discendesse anche lui non ha trovato nessun supporto.

Sappiamo dalle fonti che Tacito studiò retorica a Roma, come preparazione alla carriera nella magistratura e nella politica e, come Plinio, potrebbe avere studiato sotto Quintiliano e sappiamo che amasse molto cacciare. Nel 77 d.c. contrasse matrimonio con Giulia Agricola, la figlia tredicenne (sic!) del potente generale Gneo Giulio Agricola, il quale era allora al comando di una legione operante in Bitinia. Tacito partecipò con l'incarico di tribuno militare, concessogli da Vespasiano attorno al 77.



CURSUN HONORUM

- Nel 77 d.c. partecipò alla legione di Agricola come tribuno militare, concessogli dall’Imperatore Vespasiano, come riferisce nelle Historiae. Ricoprì funzioni pubbliche nelle province all'incirca dall'89 al 93, forse a capo di una legione, forse in ambito civile, come si può intuire dal fatto che non fu presente alla morte del suocero,- Sotto Tito entrò nella vita politica, nell’81 o 82 d.c., con la carica di Questore.

- Divenne Pretore nell’88 ed entrò a far parte dei Quindecemviri Sacris Faciundis, un collegio sacerdotale che custodiva i Libri Sibillini e i Giochi Secolari.

- Divenne avvocato e oratore, sempre legato al suocero Agricola. Sopravvisse al regime di terrore instaurato da Domiziano (93-96), lasciando in lui una cupa amarezza, forse anche per la vergogna della propria complicità, 

Scrisse di Agricola: "La sua morte prematura gli regalò il grande conforto di sfuggire a quel tempo estremo in cui Domiziano distrusse la Repubblica, non più con qualche intervallo e pausa, ma senza soluzione di continuità e quasi con un unico colpo.… Poi successe che con le nostre mani cacciassimo in carcere Elvidio, e successe anche che dovessimo provare vergogna alla vista di Maurico e di Rustico e davanti al sangue innocente di Senecione. Nerone aveva almeno distolto gli occhi ai delitti li aveva comandati, senza poi godere dello spettacolo: sotto Domiziano, invece, la maggior sofferenza consisteva nel vedere e nell’essere veduti." 

Nel 97, durante il principato di Nerva, rivestì la carica di Console suffetto, il primo della sua famiglia a ricoprire tale carica e raggiunse i vertici della sua fama di oratore nel pronunciare il discorso funebre per il famoso soldato Virginio Rufo. 

Nel 98 scrisse e pubblicò l’Agricola (De Vita Iulii Agricolae), dedicata alla vita del suocero Gneo Giulio Agricola e alle sue imprese militari in Britannia, e in Germania. 

GLIULIO AGRICOLA

RITIRO A VITA PRIVATA 

Dopo la pubblicazione dell’Agricola e della Germania Tacito sparì per un certo periodo dalla scena pubblica, facendovi ritorno durante il regno di Traiano. Nell’anno 100, con il suo amico Plinio il giovane, perseguì per corruzione il governatore dell’Africa Mario Prisco, che, riconosciuto colpevole, subì l’esilio. Plinio scrisse alcuni giorni dopo che Tacito aveva parlato «con tutta la maestosità che caratterizza il suo usuale stile oratorio».

Seguì una nuova e più lunga assenza dalla politica e dalla magistratura, durante la quale Tacito scrisse le sue due opere più importanti: le Storie e gli Annali. "Le Storie" (Historiae), prima grande opera storiografica che tratta la storia di Roma dall’anno dei quattro Imperatori (69) fino all’assassinio di Domiziano (96), e gli "Annali" (Ab excessu Divi Augusti libri), seconda grande opera storiografica che tratta la storia di Roma dalla morte di Augusto (14) alla morte di Nerone (68). 

A Tacito è anche attribuito, seppur con qualche dubbio, anche il "Dialogo sugli oratori" (Dialogus de oratoribus), opera di datazione incerta (probabilmente scritto attorno al 100-101) sulle cause della decadenza dell’arte oratoria, individuate nel diverso tipo di educazione rispetto al passato, nel mutato insegnamento retorico e principalmente nelle condizioni politiche del sistema imperiale, che impediva ormai la libertà di parola. 



GOVERNATORE

In seguito, divenne governatore della provincia romana dell’Asia, nell’Anatolia occidentale, fra il 112 e il 113, come provato da un’iscrizione rinvenuta dagli archeologi a Milasa. Non vi sono notizie certe sull’esatta data e sulle circostanze della sua morte, che alcune fonti collocano tra il 117 e il 120, o attorno al 125. 

Un frammento della sua lapide sepolcrale, oggi conservato presso il Museo Epigrafico di Roma, non reca alcuna datazione. Non sappiamo neanche se abbia avuto dei figli, anche se l’Imperatore Marco Claudio Tacito, al potere dal Novembre del 275 al Giugno del 276, si dichiarò suo discendente.

"Germanico si rese conto che la battaglia da vicino era impari e quindi distanziò un poco le legioni, e dette ordine ai frombolieri e ai lanciatori di pietre di scagliare i proiettili e gettare lo scompiglio nelle schiere nemiche. Dalle macchine di guerra furono lanciati giavellotti e i difensori dell’argine quanto più erano in vista da tante più ferite erano sbalzati giù. 

Occupato il terrapieno, Cesare per il primo con le coorti pretorie si lanciò verso le foreste; qui lo scontro fu corpo a corpo. Il nemico era chiuso alle spalle dalla palude, i Romani dal fiume e dai monti: sia gli uni sia gli altri dovevano combattere sul luogo, senza altra speranza che il valore, altro scampo che vincere. 

Non era inferiore l’animo dei Germani, ma si trovavano in condizione d’inferiorità per il genere del combattimento e delle armi: stretti in così gran numero in luoghi angusti, non riuscivano né a protendere né a ritirare le loro lunghissime aste, né a valersi della propria agilità e rapidità, ma erano costretti a combattere sul posto; i nostri, al contrario, con lo scudo aderente al petto e la mano stretta all’impugnatura della spada, trafiggevano le membra imponenti dei barbari e i loro volti scoperti e si aprivano il passo massacrando i nemici, mentre Arminio ormai dopo tante prove senza sosta non aveva più lo stesso ardore o forse lo indeboliva la recente ferita.
 

Mentre a Inguiomero, che sembrava volasse lungo tutta la schiera, mancava la fortuna più che il valore. E Germanico per farsi riconoscere meglio s’era tolto l’elmo dal capo e pregava i suoi di insistere nel massacro: non c’era bisogno di prigionieri, solo lo sterminio di quel popolo avrebbe messo fine alla guerra. Solo al calar della sera ritirò dal combattimento una legione affinché allestisse l’accampamento; tutte le altre fino a notte si saziarono del sangue nemico. I cavalieri combatterono con esito incerto. 

Nell’allocuzione, Cesare espresse i suoi elogi ai vincitori; poi, eresse un trofeo d’armi con una iscrizione superba: «Debellati i popoli tra il Reno e l’Elba, l’esercito di Tiberio Cesare ha consacrato questo monumento a Giove, a Marte e ad Augusto». 

(TACITO, ANNALI, II, 20-22) 


LA MORTE 

 Un passaggio negli annali indica il 116 come il terminus post quem della sua morte, che può essere posto più tardi nel 125 e non sono pochi gli storici che pongono la data della morte durante il regno di Adriano 


LE OPERE

DE ORIGINE ET SITU GERMANORUM

La Germania (De origine et situ Germanorum), è una monografia del 98 d.c. sull'origine, i costumi, le istituzioni, le pratiche religiose e il territorio delle popolazioni germaniche poste fra il Reno e il Danubio.  Sembra che Tacito abbia attinto dai perduti Bella Germaniae di Plinio il Vecchio, il De Bello Gallico di Giulio Cesare, la Geografia di Strabone, e le opere di autori come Diodoro Siculo, Posidonio e Aufidio Basso.

Il libro inizia con la descrizione delle terre, delle leggi e dei costumi delle tribù dei popoli barbari, a partire dai confinanti con il limes imperiale fino a quelle ai più estremi confini settentrionali, sul mar Baltico, con una descrizione dei primitivi e selvaggi Fenni e di sconosciute tribù al di là di essi.

L’opera è divisa in due parti:
- dal capitolo I al XXVII Tacito descrive la Germania transrenana, su clima, paesaggio, struttura sociale e origini,
- dal capitolo XXVIII al XLVI elenca le singole popolazioni iniziando da Ovest, poi a Nord, a Sud e infine ad Est.

Ai tempi di Tacito, ben si ricordava la sconfitta militare e il tradimento nella Foresta di Teutoburgo, quando, fra il 9 e l’11 Settembre del 9 d.c., tre intere legioni e numerose coorti ausiliarie dell’esercito romano comandate dal generale Publio Quintilio Varo vennero completamente annientate in un’imboscata tesa loro dal capo germanico Arminio che li aveva traditi. 

Per i sopravvissuti di Teutoburgo la fine fu terribile: molti, catturati, vennero torturati ed esibiti come trofei. Specialmente centurioni e comandanti furono inchiodati ad alberi e seviziati a lungo, per compiere riti propiziatori barbarici. Qualche anno dopo Germanico tornò sul campo di battaglia e trovò i resti dei sopravvissuti, che fece seppellire. 

La vendetta romana sarebbe giunta a Idistaviso dove Germanico sconfisse nettamente l'esercito di Arminio, che però riuscì a fuggire ma morì alcuni anni dopo ucciso da altri capi barbarici come in genere avveniva tra le tribù che si combattevano tra loro.

Ma Tacito intendeva anche istituire e rappresentare una sorta di parallelo tra quello che erano i Germani allora (un popolo rude ma valoroso in guerra) con quello che i Romani erano stati e ora non erano più, a causa della loro decadenza morale.

Così Tacito chiude il capitolo comparando i 'buoni' costumi dei Germani (ibi) alle 'buone leggi' vigenti a Roma (alibi), per le tre leges Iuliae promulgate da Augusto nel 18 a.c. e alla lex Papia Poppaea del 9 a.c., che avevano cercando invano di regolare una materia colpita dalla scomparsa dei valori del mos maiorum.


HISTORIAE

Le Storie (Historiae), fu la prima grande opera storiografica sulla storia di Roma dall'anno dei quattro imperatori (69) all'assassinio di Domiziano (96); nel III capitolo dell'Agricola, Tacito aveva dichiarato di voler comporre una "memoria della precedente servitù" (ossia il regno di Domiziano) e una "testimonianza dei beni presenti" (i regni di Nerva e Traiano); ma nelle Historiae, Tacito rimanda la sua opera su Nerva e Traiano e decide di occuparsi prima del periodo compreso tra le guerre civili del 68-69 d.c. e il regno dei Flavii.

Del testo originale sono rimasti soltanto i primi 4 libri, con 26 capitoli del V libro, sugli anni 69 (inizio del regno di Galba) e la prima parte del 70 (rivolta giudaica). Il lavoro avrebbe dovuto proseguire fino alla morte di Domiziano, del 18 settembre 96. Il V libro contiene, come preludio alla narrazione della repressione della rivolta ebrea sotto Tito, un excursus sugli Ebrei, importante testimonianza dell'atteggiamento dei Romani verso quel popolo.

Tacito coglie nell'anno 69 la successione alla dinastia giulio-claudia, con il seguito di guerre civili e intrighi politici, il succedersi rapido dei tre imperatori Galba, Otone, Vitellio, e, infine, l'insediamento della dinastia Flavia con Vespasiano

Galba prende atto, nel suo celebre discorso per la scelta del successore, dell'impossibilità di fare ritorno alla repubblica, afferma la necessità del principato e presenta il principio dell'adozione come scelta del migliore: argomenti attuali nel 97, quando Nerva, con l'adozione di Traiano, aveva trovato un rimedio per scongiurare una nuova guerra civile.

Nella designazione di Pisone come successore di Galba, così come quella di Traiano successore di Nerva, solo apparentemente la scelta del principe dipendeva dal senato: il potere supremo apparteneva agli eserciti. Tacito prova simpatia per questo vecchio senatore "capax imperii nisi imperasset" (capace di governare, se non avesse governato) travolto da milizie strapotenti e da una plebe che assisteva alla guerra civile come a uno spettacolo, di fronte a una violenza generalizzata.

Le due opere principali, all'inizio pubblicate separatamente, erano in realtà parti integranti di una singola opera in trenta libri (le "Historiae" composte entro il 110 e gli "Annales" composti successivamente, nonostante raccontino un tratto della storia cronologicamente più antica delle Historiae). Esse offrono una narrazione della storia di Roma dalla morte di Augusto (14 d.c.) alla morte di Domiziano (96). Benché alcune parti siano andate perdute, essa è una delle maggiori opere storiche dell'antichità.



AB EXCESSU DIVI AUGUSTI LIBRI

Gli Annali (Ab excessu Divi Augusti libri), sono la seconda grande opera storiografica che tratta la storia di Roma dalla morte di Augusto (14) alla morte di Nerone (68). Gli Annales furono l'ultima opera storiografica di Tacito e per sua ammissione seguono la composizione delle Historiae e risalgono agli anni seguenti il suo proconsolato d'Asia (112-113). L'opera copre il periodo che va dalla morte di Augusto (il funerale dell'imperatore è il brano di apertura degli Annales e chiarisce subito il ruolo dell'autore nell'opera) avvenuta nel 14, fino a quella dell'imperatore Nerone, nel 68.

L'opera era composta di almeno 16 libri o 18, ma ci sono pervenuti soltanto i primi 4, l'inizio del V e il VI privo dei capitoli iniziali (con gli avvenimenti dalla morte di Augusto a quella di Tiberio nel 37 d.c.), oltre ai libri XI-XVI con alcune lacune nella prima parte dell'XI e nella seconda parte del XVI libro (regni di Claudio e Nerone), che avrebbe dovuto terminare col resoconto degli eventi del 66, mentre si interrompe al suicidio di Clodio Trasea Peto.
 

Si presume che i libri dal VII al XII parlassero dei regni di Caligola e Claudio. I restanti libri dovrebbero trattare del regno di Nerone, forse fino alla sua morte nel 68. Non è noto se Tacito abbia completato l'opera, egli è morto prima che potesse finire le biografie di Nerva e Traiano e non esistono prove che il lavoro su Augusto e sui primi anni dell'Impero, con cui Tacito intendeva concludere il suo lavoro da storiografo, sia stato compiuto.

In confronto alle Historiae, che favorivano il movimento di eserciti e masse, gli Annales si focalizzano sui meccanismi dell'Impero e sulla sua corruzione: i protagonisti sono dunque i singoli imperatori, opposti al senato: Tiberio è descritto come un esempio di falsità e dissimulazione del potere; Claudio è un inetto privo di volontà, manovrato dai liberti e dalle donne di corte, mentre Nerone è il tiranno privo di scrupoli, la cui follia sanguinaria non risparmia né la madre Agrippina minore né il suo antico istruttore Seneca.

Nonostante ciò Tacito rimane convinto della necessità del principato, ma ne coglie i rischi, avendo Augusto svuotato le magistrature repubblicane da ogni potere, ha lasciato terreno fertile per corruzione, intrigo e decadenza morale; complice anche il senato, diviso fra succube servilismo e blande opposizioni. Con l'incupirsi della visione storica di Tacito lo stile degli Annales è sempre più pessimistico.


DE VITA ET MORIBUS IULII AGRICOLAE 

L'Agricola. scritto nel 98. è dedicata alla vita di Gneo Giulio Agricola, suocero di Tacito, uomo politico e grande generale che conquistò la Britannia. L'opera comprende il racconto della gioventù e degli ultimi anni del protagonista. È la prima opera scritta da Tacito dopo la morte di Domiziano

Si tratta di una biografia elogiativa, encomio, "laudatio funebris" e "consolatio" scritta in ritardo (a causa dell'assenza di Tacito da Roma nel 93, all'epoca della morte del suocero), composta per la lettura pubblica. Era appena finito il quindicennio di silenzio coatto di Domiziano (81-96 d.c.), e Tacito avvertiva l'esigenza di lasciare una memoria storica di suo suocero, ma pure della tirannide domiziana.

Notevoli sono sono l'introduzione con una dura invettiva contro l'abbandono delle virtù nella Roma imperiale, e il discorso pronunciato da Calgaco (capo dei Caledoni), mentre incita i soldati prima della battaglia del monte Graupio (cap. XXX) con una pesante accusa verso l'avidità e l'imperialismo romano:
«Predatori del mondo intero: quando alle loro ruberie vennero meno le terre, si misero a frugare il mare. Se il nemico è ricco, eccoli avidi; se è povero, diventano arroganti. Né Oriente né Occidente potranno mai saziarli: soli fra tutti gli uomini riescono a essere ugualmente avidi della ricchezza e della povertà. Depredare, trucidare, rubare essi chiamano con il nome bugiardo di impero. Dove passano, creano deserto e lo chiamano pace

(Publio Cornelio Tacito, La vita di Agricola, Newton Compton editori, trad. G. D. Mazzocato)

Tacito non era contro l'espansione dei confini dell'impero ma contro l'esagerato sfruttamento delle popolazioni conquistate.


DIALOGUS DE ORATORIBUS

A Tacito è anche attribuito, con qualche dubbio, il Dialogo sugli oratori (Dialogus de oratoribus), opera di datazione incerta, sulle cause della decadenza dell'arte oratoria (ars oratoria), che sono individuate di volta in volta nel diverso tipo di educazione rispetto al passato, nel mutato insegnamento retorico e principalmente nelle condizioni politiche del regime monarchico, che impediva ormai la libertà di parola.

Fu probabilmente scritto dopo l'Agricola e la Germania, quindi dopo il 100 d.c., ma alcuni ne datano la composizione tra il 75 e l'80 e la pubblicazione dopo la morte di Domiziano. Molte caratteristiche lo distinguono dagli altri scritti di Tacito, tanto che l'autenticità fu messa in discussione, nonostante compaia sempre con l'Agricola e la Germania.

Lo stile è nella tradizione del dialogo ciceroniano, modello di riferimento per le opere di retorica, elaborato ma non prolisso, secondo il canone di Quintiliano. Potrebbe risalire alla giovinezza di Tacito; la dedica a Fabius Iustus potrebbe così indicare soltanto la data di pubblicazione dell'opera e non della sua stesura. Lo scritto riferisce una discussione, che si immagina avvenuta nel 75 o 77, e a cui dice di avere assistito, fra quattro oratori dell'epoca, Curiazio Materno, Marco Apro, Vipstano Messalla e Giulio Secondo. 

Marco Apro rimprovera a Curiazio Materno di accantonare l'eloquenza per dedicarsi alla poesia drammatica: se ne ricava una discussione in cui Materno sostiene il primato della poesia e Apro dell'eloquenza; segue un dibattito sulla decadenza dell'oratoria, che viene attribuito da Messalla all'educazione moderna e da Curiazio Materno alla fine della repubblica e di quella anarchia che offriva libero campo ai conflitti, non solo verbali.

Tacito sembra identificarsi con le opinioni di Curiazio Materno, che indica nel regime liberticida e assolutista dell'età Flavia la causa principale della decadenza oratoria, contrariamente a quanto sosteneva Plinio il Giovane, il quale individua la causa della decadenza dell'arte oratoria nella cattiva istruzione della scuola, a quanto sosteneva Quintiliano, che attribuiva a tale causa il degrado della società o a quanto sosteneva Petronio nel Satyricon.



LO STILE LETTERARIO

Tacito ebbe uno stile è elevato, solenne, poetico, tipico della tradizione romana che è conciso e diretto, rifuggendo dalla morbidezza artificiosa. Dalla storiografia romana, soprattutto da Gaio Sallustio Crispo, riprese la forma annalistica della narrazione.

L'opera di Tacito riscosse tutto sommato una forte simpatia presso l'aristocrazia per il pensiero politico dello storico, fu letta e copiata fino a quando, nel IV secolo, Ammiano Marcellino proseguì il lavoro, riprendendone lo stile. Ancor oggi gli studiosi considerano gli scritti di Tacito come una fonte piuttosto autorevole.


LE FONTI

Le piccole inesattezze che si riscontrano negli Annales, vista di solito l'accuratezza di Tacito, potrebbero derivare dal fatto che l'autore morì prima di terminare la sua opera e di farne una rilettura completa. In qualità di senatore, aveva infatti facile accesso ai documenti ufficiali degli Acta Diurna populi Romani (atti di governo e notizie su quanto avveniva nell'Urbe) e degli Acta senatus (i verbali delle sedute del senato) tra cui le raccolte dei discorsi di alcuni imperatori, come Tiberio e Claudio.

Utilizzò anche fonti storiche e letterarie di diversa provenienza, come Aufidio Basso e Servilio Noniano, per l'epoca di Tiberio, poi Cluvio Rufo, Fabio Rustico e Plinio il Vecchio, autore dei Bella Germaniae (Le guerre in Germania), per l'età neroniana. Insomma Tacito si servì di una molteplicità di fonti, talune anche di opposta tendenza e manipolate con una certa libertà ma pure con un certo giudizio.



I POSTERI

Tacito non fu molto letto nella tarda antichità e ancora meno nel Medioevo. Delle sue opere meno di un terzo è conosciuto e sopravvissuto: dipendiamo da un unico manoscritto per i libri I- VI degli Annales e da un altro per i libri XI-XVI oltre che per i cinque libri delle Historiae anche perché l'antipatia mostrata nei confronti di ebrei e cristiani dell'epoca, lo facevano escludere dai dotti medievali, quasi sempre ecclesiastici.

Nel risveglio del Rinascimento, venne rivalutato dai letterati e l'undicesima edizione dell'Encyclopædia Britannica lo ricordò come il più grande storico romano non solo per lo stile ma anche per l'insegnamento sia storico che morale nonchè per la narrativa.

Le opere di Tacito costituiscono ancora oggi la fonte più affidabile per gli studi sull'età del Principato, anche se con qualche imprecisione. Gli Annales si basano in parte, infatti, su fonti secondarie e non mancano alcuni errori, le Historiae, invece, trascritte come fonte primaria, sono considerate più accurate e precise.


BIBLIO

- Francesco Arnaldi - Tacito - Napoli - G. Macchiaroli - 1973 -
- P. C. Tacito - La vita di Agricola - Newton Compton ed. - trad. G. D. Mazzocato -
- Emanuele Ciaceri - Tacito - Torino - Unione tipografico-editrice torinese - 1941 -
- Pierre Grimal - Tacito. Lo scrittore e il moralista, lo storico e il politico tra la decadenza dei Cesari e il secolo d'oro degli Antonini - Milano - Garzanti -1991 -
- Concetto Marchesi - Tacito - Messina - G. Principato - 1955 -
- Alain Michel - Tacito e il destino dell'impero - Torino - G. Einaudi - 1973 -
- Ettore Paratore - Tacito, Milano, Istituto Editoriale Cisalpino - Roma - Edizioni dell'Ateneo - 1962 -
- Angelo Roncoroni - Tacito - Studia Humanitas - Milano - Mondadori Education - 2002 -
- Lidia Storoni Mazzolani - Tacito o della potestas - Firenze - Passigli - 1996 -
- Clarence Mendell - Tacitus: The Man and His Work - Yale University Press - 1957 -
- Ronald Syme - Tacitus - Oxford - Clarendon Press - 1958 -

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