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RELIGIONE ROMANA - ANIMISMO ( 1/4 )

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NINFA

 RELIGIONE  ANIMISTA

L'animismo è un termine introdotto da E.B. Tylor (1867) per indicare la credenza dei primitivi in esseri spirituali che animerebbero l’intera natura, sia organica che inorganica. Vale a dire che si attribuiscono proprietà spirituali a determinate realtà fisiche. Questo tipo di credenze è così chiamato perché si basa su un certo grado di identificazione tra principio spirituale divino (anima) e aspetto materiale di esseri ed entità (quali anche demoni o altre presenze).

L'idea che la natura non abbia anima è derivata dalla religione che crede nel pantheon deistico, cioè dalla religione politeista, ma soprattutto nel monoteismo che toglie qualsiasi anima alla natura, ai minerali, ai vegetali, agli animali, per concederla solo all'animale uomo.

La posizione filosofica corrispondente all'animismo viene di solito chiamata panpsichismo. L'animismo è la prima religione dell'umanità, in tutta la Terra gli antichi popoli credevano negli spiriti della natura: lo spirito dell'albero, lo spirito del fiume, della roccia ecc.

VENDITRICE DI AMORINI (EROTI) - POMPEI - RICOSTRUZIONE

Noi moderni crediamo che sia una religione di tipo primitivo per cui poco sana, il grande filosofo Ernst Cassirer (1874 - 1945) la riteneva invece la più evoluta, sostenendo che gli ulteriori passaggi fino alla fede nel Dio Unico sia un'involuzione.

Il panpsichismo o pampsichismo (dal greco pan, "tutto"; psychē, "anima") è un concetto filosofico, secondo il quale tutti gli esseri, viventi e non viventi, posseggono delle capacità psichiche, come ad esempio la capacità di pensare in modo cosciente. Hanno inserito concetti panpsichici nelle loro dottrine Talete,  Platone e Telesio.

Gli antichi romani, che erano politeisti, conservarono tracce della loro cultura animista, attraverso le illustrazioni dei geni della natura a cui credevano come: ninfe, satiri, amorini (eroti), geni e pure il Genius Loci. 



LE NINFE

Le ninfe riguardavano soprattutto le acque, ninfe delle sorgenti, dei boschi, delle rocce, perennemente inseguite dai satiri, che tuttavia, nonostante l'aspetto misto tra umano e caprino non facevano paura alle fanciulle che fuggivano più per gioco che per riluttanza.

Le ninfe interessarono tutto il territorio, molto vivo nelle campagne e nei pagus, dove in ogni acqua e in ogni parte della natura, specie nei boschi, si onorava una ninfa. C'era sempre un'invocazione o una preghiera per loro, chiedendo perdono se si abbatteva un albero, chiedendo il permesso di traversare un bosco, o l'aiuto per raccogliere funghi, erbe o bacche.

Le ninfe continuarono ad essere onorate per tutto il medioevo, sopravvivendo pure al decadimento degli Dei, per cui la Chiesa le demonizzò, spesso chiamandole streghe o demoni. I pagani era il termine spregiativo che la Chiesa riservava alla religione degli abitanti dei pagus, gli abitanti di un paese, perchè mentre in città era facile sorvegliare i culti, nelle campagne era estremamente difficile perchè si verificavano in aperta campagna, invisibili agli altri.

Detronizzarle fu più difficile, perchè mentre gli Dei avevano immagini e templi che potevano essere abbattuti, le ninfe avevano are sparse nei boschi, o altari improvvisati con rami d'albero, o semplicemente una pozza d'acqua. Anche i riti erano semplici, bastava bruciare un'erba odorosa, o poggiare sugli altari o sui massi offerte di vino e cibo, o gettare nell'acqua coroncine di fiori.

I luoghi più sacri erano le sorgenti, le radure dei boschi, i massi di roccia, le caverne naturali, le cascatelle dei fiumi, gli stagni, gli alberi, i crepacci, o una curiosa disposizione di rocce, o una zona satura di funghi, o piante acquatiche, o piante medicamentose. Nel traversare un bosco, nel raccogliere erbe curative o mangerecce selvatiche, nell'attingere acque a una fonte o nel bagnarsi in un fiume, ciascuno si rivolgeva alla ninfa del luogo e le faceva una preghiera e un'offerta. 

A.Pope:
"Al sacro fonte in guardia
Ninfa dell'antro io sono,
e di quest'acque limpide
placida dormo al suono.
Il sonno mio non rompere,
va lento per la cava,
e ti disseta tacito,
o tacito ti lava
"

Tratto sembra dall'antica epigrafe romana che Lucio Mauro riferisce iscritta sulla fonte dell'Acqua Vergine:

"Huius Ninpha loci, sacra custodia fontis
dormio, dum blandae sentio murmur acquae:
parce meum quisquis tangis 
cava marmora somnum
rumpere, sive bibas, sive lavere, tace
."

n Sicilia è famoso il mito di Aretusa, una vergine ninfa di Siracusa al seguito di Artemide, di cui si invaghì il giovane Alfeo. Aretusa fuggiva da lui, finché stanca chiese aiuto alla Dea che per tutta risposta la trasformò in una fonte sul lido di Ortigia. Questo fa capire che Aretusa era in origine la ninfa della fonte.

La ninfa e sirena Partenope aveva delle feste in suo onore ed a lei era legata la fondazione di Napoli, di cui ancora prende da lei il nome del suo golfo. La ninfa è peraltro raffiguarata in molte monete dell'epoca.

Le Sirene, antiche ninfe del mare trasformate successivamente in esseri malefici, erano in realtà supplicate dai naviganti di cui a volte aiutavano la salvezza, oppure la morte per annegamento.

Infine prevalse la visione negativa, espressione dell'ammaliamento del lato femminino, bello ma ingannevole e pericoloso.

Nel Lazio la città morta di Ninfa è celebre per le descrizioni del Gregorovius che la definì la Pompei medievale. Plinio ricorda che sul laghetto dalle acque cristalline si vedevano alcune isolette galleggianti che roteavano al suono di strumenti musicali.

Le prime testimonianze di insediamenti a Ninfa risalgono all'epoca romana, quando sulle rive del lago sorgeva un tempio dedicato alle Ninfe, sacre agli abitanti del luogo. Le avversità climatiche, ma soprattutto il trasferimento di proprietà alla chiesa ne provocò la cancellazione di ogni traccia pagana, sovrastando il luogo, tra il Xlll e il XIV sec., con ben dieci chiese e quattro monasteri.


Le Anguane, dette anche in altre zone del Friuli agane, sono esseri mitici nati con i piedi al rovescio che di volta in volta sono identificabili come streghe, fate, sirene o ninfe che abitano nelle immediate vicinanze dell'acqua.

- L’ epigrafe santeliana (a Sant'Elia) più controversa e che, più di tutte, ha dato adito ad un lungo ed articolato dibattito, fu rinvenuta nel 1865, circa 300 metri a monte del Santuario di Casalucense, durante i lavori di sbanco per i lavori in corso di ristrutturazione ed ampliamento della chiesa stessa e di costruzione del pozzo che gli è accanto, nel rimuovere "degli ingombri, che la tenevano occulta". Essa è ben incorniciata ed incisa a caratteri cubitali su una roccia e, data anche un’ incrinatura che l’attraversa per intera, così vi si legge:

NVMPHIS AETER
NIS SA CRVM
TI CL PRA ECLIGAR
MAGONIANVSPER
PRAECILIVMZOTICVM
PATREM AQVA INDVXIT

Tradotta, all’ epoca, sommariamente ed in maniera a dir poco stravagante dal sacerdote capuano Gabriele Iannelli e dall’arciprete di S. Elia, Marco Lanni e dagli stessi inviata in copia al Mommsen, che la inventariò nel suo X libro del "Corpus" con il codice CIL X 5163, l’ iscrizione, pur con l’errore grammaticale originale di AQUA al posto di AQUAM, è così traducibile letteralmente:

"Luogo sacro alle Ninfe eterne, al tempo dell’ imperatore Tiberio Claudio (TI CL), Precilio Ligario Magoniano inviò l’ acqua attraverso il padre (e cioè "attraverso il podere del padre") Precilio Zotico"...



LE NINFE ROMANE

A Roma, mediate delle popolazioni italiche le Ninfe greche vennero assimilate a divinità legate alle fonti ed alle sorgenti: le Nymphae erano subordinate a Cerere. 

L’acqua delle sorgenti era connessa all’aspetto lustrale, di purificazione: ne dà conferma il poeta Ovidio nei suoi Fasti:

Così si deve placare la dea, e tu rivolto ad oriente dì quattro volte le preghiere e lavati le mani nella viva onda

Chi ne beve diventa pazzo, voi che volete conservare la mente sana allontanatevi da qui, chi ne beve impazzisce”.

Il 13 ottobre, durante la festa annuale delle Fontinalia, venivano gettate corone di fiori presso le fonti e le sorgemti; ma la festa più importante delle acque venne poi connessa a Nettuno, la cui celebrazione si effettuava il 23 luglio.

Il re di Roma, Numa Pompilio, di origine sabina, che, come narra Tito Livio, aveva creato le istituzioni e gli ordini sacerdotali dell'Urbe, aveva la ninfa Egeria come sposa.

I due si incontravano in un bosco bagnato da una sorgente d’acqua perenne che aveva origine da una grotta. Il re vi si recava in segreto e consacrò quella selva alle Camene. Era la ninfa ispiratrice, come lo furono le Muse presso i Greci.

NINFA CAMA

Le ninfe Camene

Divinità arcaiche delle sorgenti, cioè ninfe, erano quattro: Egeria, Carmenta, Antevorta e Postvorta. A loro venivano attribuite facoltà profetiche e ispiratrici. 

Furono anzitutto divinità protettrici del focolare arcaico, simbolicamente assimilato alla città: sicché la prima di loro, Egeria, fu secondo la leggenda l'ispiratrice del secondo re di Roma, Numa Pompilio, di stirpe sabina e promotore della concordia fra le prime tribù romane.

Egeria, da ager (la terra da coltivare) e agger (il terrapieno di difesa) doveva essere una divinità femminile arcaica e potente, nata dai culti della terra, che ispira al re della nuova città saggezza, concordia e pacificazione. Siamo tra il VII e il VI secolo a.c..

Le ninfe riguardano l'essenza della forza della natura che si divide in infinite forme, ciascuna dotata di anima propria e di proprie facoltà.

Dette facoltà non sono nè al servizio dell'uomo nè contrarie all'uomo, anche se in certi casi possono essere benevole, oppure, più raramente, malevole.
Antevorta (che guarda avanti) e Postvorta (che guarda indietro) erano all'inizio creature divine del passato e del futuro, quindi alla preveggenza e all'oracolo.

Più tardi vennero legate al parto, invocate perché il feto si presentasse nella giusta posizione (con la testa in avanti), e fosse salvato se si presentava al contrario, Ninfe fatali, in realtà Dee della vita e della morte, connettevano la natura arcaica e protettrice delle donne della divinità a quella oracolare e dell'oltretomba.

Carmenta (Carmentis) poi, dalle qualità decisamente oracolari, e da cui si faceva derivare il termine "carmen", (canto, racconto epico, poesia), con le sue sorelle ninfe, divennero la personificazione romana delle Muse, come mostra Livio Andronico nell'invocazione alle Camene della tradotta Odissea:
Virum mihi, Camena, insece versutum, e cioè: L'uomo versatile narrami, Camena (ma siamo già nel III secolo a.c.).

Alle Camene già Numa Pompilio aveva consacrato il bosco presso la fonte di Egeria, fuori Porta Capena. Qui si celebravano in gennaio, con offerte di latte e acqua, le feste Carmentalia, durante le quali le Vestali, antico ordine sacerdotale femminile, venivano ad attingere l'acqua per i loro riti. Nel II secolo a.c. il loro sacello, colpito da un fulmine, fu trasportato all'interno del tempio di Ercole delle Muse (Aedes Herculis Musarum), stabilendo un'equivalenza tra Muse e Camene.



Fons Camenae

(Lanciani) Perciò che spetta al sito del fonte delle Camene, da Giovenale, dal suo scoliaste, da Simmaco, dai cataloghi si ha :
a) che il boschetto, il delubro, il fonte delle Camene, nemus fons sacer delubra^ stavano non molto lungi dalla Porta Capena;

b) dalla via appia, onde i rumori di questa vi giungevano facilmente;
e) che dalla porta capena si discendeva per raggiungere quel sacro gruppo ;
d) che il gruppo stava in una con valle, denominata di Egeria;
e) che la spelonca-ninfeo era artificiale, essendosene rivestito il vivo sasso con incrostature di marmi ecc.;
f) che stava dalla parte sinistra dell' appia;
g) che dava il nome ad un vico della regione.

Questo complesso di indicazioni ci costringe a ricercare il sito del fonte delle Camene nella valle perpendicolare all'Appia che è attraversata dalle vie della Mola di s. Sisto e della Ferratella, ed in parte dalla Marrana mariana.

In questa valle abbiamo un abbondantissimo capo d'acqua presso la villa Ponseca, raccolto nel bacino di un ninfeo artificiale antico: abbiamo memoria di inondazioni e di pantani prodotti dal libero scorrere delle vene, dopo la rovina del loro emissario: abbiamo infine la testimonianza della tradizione medioevale che ha dato origine allo stabilimento di un nuovo ninfeo onde consentire al popolo il facile uso di queste acque salutari. 

Tutto ciò scioglie il problema topografico in modo netto e preciso.
Il Cassio accenna vagamente alla sorgente prossima alla villa Ponseca. Il Brocchi con maggiore precisione torna sull'argomento scrivendo: « Cotesta fonte del Celio o di cui ragiona il Cassio è forse quella che appare nella vigna Bettini contigua alla villa Fonseca, ove è raccolta nella vasca di un antico ninfeo fatto a foggia di grotta con sei nicchi nelle muraglie incrostate di pietruzze di vari colori disposte a musaico.

Superiormente al ninfeo ed a poca distanza da esso havvi un pozzo di acqua perenne, il quale sembra che si sprofondi al livello della bocca dell'indicata sorgente. Ma altre scaturigini ha il Celio in quei contorni, essendomi stato narrato che nel 1815, scavandosi nella vigna Eustachi il terreno, proruppe una grossa vena che allagò in breve tratto quel suolo ». La vena attuale porta un palmo d'acqua.

NINFE DELLE SORGENTI

Ninfa Lara

Anche lei ninfa di sorgente, commise l’imprudenza di rivelare a Giunone, moglie di Giove, l’amore che questi provava per Giuturna, un’altra ninfa: il re degli Dei, per punirla della sua lingua troppo lunga, la fece diventare muta; in seguito Lara ebbe con Mercurio due gemelli, due degli Dei chiamati Lari, che avevano il compito di proteggere la casa, la famiglia e i campi.


Ninfe Furrine

Quando nel 176 Marco Aurelio fece innalzare nel Campo Marzio la famosa colonna, un certo Gaionas ne fece erigere una simile, più piccola, con una lunga iscrizione che inneggiava al lucus Furrinae, il luogo sacro al culto di Furrina, dove l’infelice tribuno Caio Sempronio Gracco fu massacrato coi suoi.
L'epigrafe inoltre informa della presenza nel luogo di alcune sorgenti che, da tempo immemorabile, erano considerate sacre e dedicate alla Dea Furrina, e più tardi al culto delle Ninfe.

TEMPIO DELLE NINFE (ROMA)

Il Tempio

Al centro del portico Minucio a Campo Marzio sorgeva il Tempio delle Ninfe, i cui resti sono visibili oggi nella odierna via delle Botteghe Oscure, venuto alla luce nel cuore archeologico della città nel 1938, durante le demolizioni per l’allargamento appunto di Via delle Botteghe Oscure.

Due delle colonne vennero rialzate però solo nel 1954. La sua datazione è certa essendosi trovate su di esso diverse testimonianze delle antiche fonti: nei Fasti degli Arvali, in Marco Tullio Cicerone, Pro Caelio, e Pro Milone. Il nucleo di opera cementizia all'interno del podio risale al II secolo a.c., le basi delle colonne e le modanature del podio alla metà del I sec. a.c. Alcuni elementi architettonici in marmo, tuttora conservati nell'area, tra cui un fregio-architrave con strumenti sacrificali, sono dell'epoca di Domiziano, forse un restauro a seguito dell'incendio dell' 80.

Il Tempio, di cui si conservano parte del podio e due colonne con capitelli corinzi, aveva in origine un portico con otto colonne sulla fronte e due colonnati di sei colonne ciascuno sui lati lunghi. Il muro della cella in laterizi, visibile insieme al basamento della statua di culto nelle cantine del palazzo su Via Celsa, appartiene ad un restauro di Domiziano.

Al secondo incendio, che coinvolse gran parte del Campo Marzio meridionale, venne ridisegnato l’impianto urbano della zona, con la costruzione della Porticus Minucia frumentaria, un grande quadriportico che racchiudeva l’antico tempio e che ospitava le distribuzioni gratuite di frumento, e come tale continuò per tutta l’età imperiale romana.

SATIRO EBBRO

I SATIRI

I satiri erano esseri semidivini dotati di corpo umano con corna, zoccoletti e coda da caprone del quale conservavano l'istintualità e la forte sessualità, ma le ninfe, apparentemente sfuggenti, non erano da meno, tanto è vero che si chiama "satirismo" e "ninfomania" la disfunzione umana che porta uomini e donne a fare sesso in modo compulsivo e senza limiti.

In quanto al satiro, creatura di boschi e selve, esso verrà dal cristianesimo trasformato in demone, nemico del Dio unico e pure dell'uomo, reo di concupiscenza carnale e di istigazione di ribellione alle regole divine, che suggerisce all'uomo pensieri impuri, peccaminosi e ribelli. 

Questi rimanda al satiro e al fauno romano che non era affatto temuto, infatti questi poteva al massimo divertirsi a spaventare il pastore che si aggirava nelle selve con rumori improvvisi, ma senza mai fare danni reali, oppure traeva lente melodie dallo zufolo nei meriggi assolati delle campagne.

SATIRO IN EREZIONE

Il satiro veniva sovente rappresentato in erezione, oppure dotato di un fallo enorme, assolutamente esagerato, simbolo della tendenza della natura ad accoppiarsi e a procreare in tutte le forme e in tutte le possibilità.

Per i Romami era un porta-fortuna, appunto perchè simbolo di fertilità, e spesso ne facevano amuleti o lo dipingevano sui muri, spesso toccati dai passanti per scaramanzia o buon auspicio, ma soprattutto dai negozianti locali come augurio ai buoni affari.

Cosa faceva tanta paura nel satiro da trasformarlo in demone malefico? Il satiro, o fauno, non uccideva, non faceva male a nessuno, però aveva una grossa pecca, era in parte uomo e in parte animale, pertanto ben rappresentava l'istinto dell'uomo.

Per la nuova religione l'istinto andava piegato e vinto, Apollo uccide il serpente pitone, simbolo dell'istinto aderente alla Terra, e altrettanto fa Ercole che, ancora in culla, strangola due serpenti, appunto i simboli della madre Terra. Non a caso sul tempio della madre Terra, ci informa Plutarco, c'era scritto:  
- in greco, GNOTI SAUTON, 
- in latino: NOSCE TE IPSUM, 
- cioè CONOSCI TE STESSO.

AMORINO CHE CAVALCA UN GRANCHIO

GLI EROTI

Gli eroti erano i piccoli geni al seguito di Eros che secondo i greci fu il primo nato tra tutti gli Dei, come dire che è l'amore che governa il mondo, infatti gli eroti erano detti anche Amorini poichè a Roma Eros prese il nome di Amore. Gli eroti erano simili a bambini paffuti saltellanti o in volo, molto allegri e giocosi, che si inseguivano e giocavano a nascondino. 

Essi vivevano ovunque, nei boschi, nei prati, presso i fiumi e sulle rive dei mari. A volte si imbarcavano su barche per viaggiare sulle acque, o pescare e comunque per divertimento. A volte hanno le ali oppure ne sono privi, ma anche se alati spesso preferiscono stare coi piedi a terra per fare tutto ciò che può fare l'uomo, a cominciare dai giochi e a finire con i lavori, ma solo quelli che essi giudicano divertenti.

Erano creature della natura che vivevano però spesso accanto agli uomini: in natura inseguivano gli animali selvaggi, li cavalcavano, o li cacciavano, oppure li pescavano, imitando spesso gli uomini nelle loro azioni, ma non agivano per necessità, ma solo per divertimento e curiosità.

AMORINI CHE DISTILLANO PROFUMI

Sovente gli amorini si impegnavano per svagarsi eseguendo vari lavori connessi a quelli degli uomini (talvolta aiutandoli) come pigiare il vino, pescare, fare gli orefici, travasare acqua, e spesso seguivano le donne dilettandosi alle loro acconciature. 

Nell'affresco qui sopra gli amorini stanno facendo i profumieri, cioè creano profumi, e stanno copiando da ciò che hanno visto fare agli uomini. C'è chi gira il composto dentro un grande vaso, chi ci spreme dentro un estratto e chi tiene stretto in mano una boccia di vetro per la distillazione, e qualcuno si è infilato dentro un armadietto. 

Gli eroti, o putti che dir si voglia, amavano anche giocare tra loro come fanno i bambini, per esempio giocando a nascondino o divertendosi a solcare le onde del mare cavalcando un pesce o in piedi su un granchio che dirigevano mediante delle redini applicate al mollusco. Da essi la Chiesa cattolica deriverà le immagini degli angeli.

Ma esistevano anche i geni dei luoghi, ovvero il Genius Loci, il genio del luogo, ovunque ci si trovasse, in un bosco, o in mezzo alla campagna, o su una collina o ai piedi di una roccia, insomma un genio da ingraziarsi con una preghiera o una piccola offerta, affinchè quel luogo sia propizio alla sosta o solamente al passaggio della persona offerente.

Ma vi sono anche i geni personali di ogni umano, vedi il Genius Augusti che diventerà il genio protettore del popolo romano, nella accesa propaganda che Augusto fece largamente a proprio vantaggio per scongiurare qualsiasi disavventura come era accaduto al suo genitore adottante, e cioè Cesare.

Da questo genio personale la Chiesa cattolica trarrà l'angelo custode, che come il genius o la Lasa etrusca, accompagna e protegge o dovrebbe accompagnare e proteggere ogni mortale dalla nascita alla morte, fino al mondo degli inferi. 

Gli angeli cristiani sono rappresentati come bambini maschi alati (le successive rappresentazioni della figura del cherubino-angelo è stata ispirata da loro). Gli angeli della chiesa hanno una precisa gerarchia con tutti nomi da maschi, nonostante un'apparenza un po' femminea. Nel concilio di Trento però si stabilì che non avevano sesso.

AMORINI CHE TRAVASANO VINO

La natura aveva i suoi geni, quindi ricca di presenze allegre e maliziose, raramente inquietanti, ogni albero aveva la sua ninfa e questo comportava un certo rispetto nei loro confronti. Questo comportava che nell'abbattere un albero ci si rendeva conto di abbattere una vita, un essere intelligente che aveva come noi solo voglia di di vivere.

Pertanto si cercava di abbattere solo ciò che era necessario, consapevoli di stare uccidendo una vita nel taglio del tronco, o mutilando un essere senziente nel caso dei rami. Tutto dunque era sacro ma senza essere cupo, come spesso accade nelle religioni monoteiste.


BIBLIO

- Nonno di Panopoli - Dionisiache - XV -
- Cicerone - De natura deorum - I -
- Livio - Periochae - ab Urbe condita libri - V -
- Sant'Agostino d'Ippona - De Civitate Dei - VI -
- Publio Ovidio Nasone - Le metamorfosi - I -

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