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ANNIBALE BARCA

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ANNIBALE
 

Nome: Annibale, in latino: Hannĭbăl o Annĭbăl, Hanníbas, (Dono [o Grazia] di Baal)
Cognome: Barca
Nascita: Cartagine, 247 a.c.
Morte: Libyssa (Turchia), 183 a.c.
Padre: Generale Amilcare
Fratelli: Asdrubale e Magone
Moglie: Imilce, una nobile di Castulo, probabilmente punicizzata.
Figlio; sembra che Imilce gli abbia dato un figlio, il cui nome ci è ignoto.
Cognato: Asdrubale


LE FONTI

Le principali fonti della storia di Annibale sono:
- Tito Livio (Ab Urbe condita libri),
- Cornelio Nepote (De viris illustribus),
- Polibio (Storie),
- Appiano di Alessandria (Historia romana),
- Cassio Dione Cocceiano (Historia romana),
- Velleio Patercolo (Historiae romanae ad M. Vinicium libri duo),
- Plutarco (biografie di Fabio Massimo e Claudio Marcello).

Annibale fu un condottiero e un politico cartaginese, famoso per le sue vittorie durante la II guerra punica, definito da Theodor Mommsen "il più grande generale dell'antichità" (ma disse la stessa cosa di Cesare). Ebbe origine in una famiglia di combattenti, suo padre era il generale Amilcare protagonista della I guerra punica, in cui aveva ottenuto il titolo di "Barca" (dal fenicio Barak, "fulmine").

Nacque nel 247 a.c. e ricevette un'educazione di tipo ellenistico, con pedagoghi greci, tra i quali Sosilo, che avrebbe narrato le imprese annibaliche in libri andati perduti. I suoi modelli, sin dai primi anni, furono Alessandro Magno, Lisandro (per l'arte militare) ed Ercole.

«Se è vero, cosa che nessuno mette in dubbio, che il popolo romano superò in valore tutte le genti, non si può negare che Annibale di tanto fu superiore in accortezza a tutti gli altri condottieri, di quanto il popolo romano supera in potenza tutte le nazioni.»
(Cornelio Nepote, Liber de excellentibus ducibus exterarum gentium, XXIII. Hannibal. 1-2)

Dotato di grandi capacità tattiche e strategiche, accorto e intelligente, Annibale, dopo le straordinarie vittorie iniziali, continuò a battersi tenacemente sul suolo italico per oltre quindici anni con il suo piccolo esercito di veterani isolato in territorio ostile, cercando alleati e risorse, sempre volto a contrastare ed abbattere il potere di Roma.

Per le straordinarie qualità dimostrate durante la sua carriera militare, Annibale è considerato uno dei più grandi generali e strateghi della storia. Polibio, suo contemporaneo, lo paragonava al suo grande rivale Publio Cornelio Scipione Africano; altri lo hanno accostato ad Alessandro Magno, Giulio Cesare e Napoleone.

AMILCARE

AMILCARE

Passò i primi anni a Cartagine, dove il padre Amilcare, dopo la sconfitta di Cartagine nella I Guerra Punica e dopo avere soffocato la rivolta dei mercenari e dei sudditi libici, voleva, nonostante i propositi conservatori del partito aristocratico di Cartagine, seguire un programma di espansione e rafforzamento della città per combattere Roma.

Egli fece di Annibale sin da piccolo un accanito nemico di Roma, facendolo giurare sull'altare di combatterla sempre e comunque. Così aveva allevato i suoi tre figli maschi, "tre leoncini allevati per la rovina di Roma". Amilcare ottenne dal senato cartaginese un modesto esercito per conquistare l'Iberia, all'epoca un dominio cartaginese perduto e portò con sè il figlio Annibale di nove anni, con una lunga marcia, nel 237 a.c.

Cartagine, poco convinta del suo eroe, fornì solo una forza moderata e Amilcare accompagnato dal figlio Annibale, allora di appena nove anni, intraprese nel 237 la marcia lungo le costa del Nord Africa fino alle Colonne d'Ercole. Gli altri due figli, Asdrubale e Magone, restarono a Cartagine. 

Amilcare in Spagna, pur con poche truppe e pochi finanziamenti, fece il miracolo di conquistare le città iberiche e riaprì le miniere per autofinanziarsi, riorganizzò l'esercito e fornì alla madrepatria carichi di metalli preziosi che aiutarono Cartagine a pagare l'ingente debito di guerra con Roma, Amilcare ottenne finalmente grande popolarità in patria ma sfortunatamente rimase ucciso durante l'attraversamento di un fiume sotto gli occhi di Annibale giovinetto.

ASDRUBALE

ASDRUBALE
 
Venne scelto come successore di Amilcare il marito di sua figlia, Asdrubale, che per otto anni comandò le forze cartaginesi consolidando la presenza punica, ed edificando la nuova città Carthago Nova (oggi Cartagena).

Asdrubale morì nel 221 a.c. pugnalato in circostanze misteriose. I soldati, a questo punto, acclamarono loro comandante all'unanimità il giovane Annibale. Aveva ventisei anni e ne aveva passati diciassette lontano da Cartagine. Il governo cartaginese confermò la scelta.

«I veterani credevano (nel vedere Annibale) che fosse stato loro restituito Amilcare giovane (il padre), notando nello stesso identica energia nel volto e identica fierezza negli occhi, nella fisionomia del suo viso
(Livio, XXI, 4.2.)



LA I GUERRA PUNICA

La I Guerra Punica (264 – 241 a.c.) si era conclusa con molte perdite - Roma perse 700 navi (massimamente per cattive condizioni atmosferiche) e almeno una parte degli equipaggi,
- Cartagine perse 500 navi e almeno parte degli equipaggi
- Ogni equipaggio era composto mediamente da 100 uomini.
Tuttavia Roma con la sua vittoria obbligò Cartagine a una pace onerosa:
Cartagine rinunziava in favore di Roma al possesso della Sicilia e delle isole limitrofe, restituiva i prigionieri e si obbligava a pagare in dieci anni un’indennità di 3.200 talenti”. Cartagine cercò di rifarsi ampliando le sue colonie nella Penisola Iberica, ma Roma pochi anni dopo conquistò anche la Sardegna e la Corsica, senza che la città africana fosse in grado di reagire con un conflitto armato.

ANNIBALE

GUERRA  A  SAGUNTO (219 a.c.)

Annibale decise poi di muovere guerra a Sagunto, città alleata a Roma, perchè rientrava nei territori di competenza dei Cartaginesi e non dei Romani, anche se le era stato imposto dai Romani un governo  filo-romano che attaccava gli alleati dei Cartaginesi. L'assedio durò otto mesi e terminò nel 219 a.c. con la conquista della città. Roma d'altronde era impegnata su altri fronti, credeva di avere tempo a disposizione: "Ma, facendo ciò, i Romani sbagliarono. Li prevenne Annibale, occupando Sagunto." (Polibio). 

Secondo Tito Livio invece il senato romano si attardò a discutere se intervenire o meno mentre la città cadeva: "Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur"

Appena Roma seppe dell'attacco a Sagunto, inviò un'ambasceria a Cartagine chiedendo di consegnare Annibale e tutti i suoi generali o di aspettarsi tremende ritorsioni. Il senato cartaginese, ricevuta alla fine di marzo 218 a.c. l'ambasceria romana, capeggiata dal princeps senatus Marco Fabio Buteone, rifiutò, e fu guerra.



LA CARRIERA DI ANNIBALE

Annibale iniziò la sua carriera militare attaccando nell'Iberia la popolazione degli Olcadi a sud dell'Ebro, conquistandone la capitale Cartala (Orgaz) e costringendoli a pagare un tributo (221 a.c.). Nel 220 a.c., dopo aver trascorso l'inverno a Nova Carthago carico di bottino, sottomise i Vaccei e occupò le loro città di Hermantica e poi Arbocala, dopo un lungo assedio.

Gli abitanti di Hermantica, dopo essersi riuniti con gli Olcadi, convinsero i Carpetani a tendere ad Annibale una trappola sulla via del ritorno, nei pressi del fiume Tago. Annibale riuscì però a battere i loro eserciti congiunti di ben 100 000 armati. Infatti intuita l'imboscata la evitò, ma quando le forze nemiche dovettero a loro volta traversare il fiume cariche di armi e bagagli per muovere contro i cartaginesi, vennero sconfitti.

LA TESTA MOZZA DI ASDRUBALE MOSTRATA AD ANNIBALE


I CARTAGINESI

I cartaginesi erano un popolo di commercianti ma non di guerrieri. I combattenti erano tutti mercenari, di cartaginesi c'erano solo i generali che in genere erano di nobili famiglie in concorrenza tra loro. Inoltre in caso di sconfitta venivano processati e se riscontrati inadempienti potevano essere anche condannati a morte.

Per questo le varie famiglie cartaginesi non erano in accordo tra loro. Alcuni suggerivano di aspettare e potenziarsi, ma altre famiglie già pensavano a una rivincita su Roma. E vi pensò un generale ancora giovanissimo, che si trovava in Spagna appunto per conquistare nuove colonie puniche.

In Spagna, Annibale, pur giovanissimo, aveva acquisito una straordinaria tempra fisica che mantenne sempre (a 52 anni percorse a cavallo, in 14 ore, i 200 km che separavano Cartagine dal punto di imbarco da cui sarebbe partito, esule, per l'Oriente).

Nel 218 a.c. il venticinquenne Annibale, figlio di Amilcare grande generale e influente uomo politico, attaccò la città iberica di Sagunto, alleata di Roma, che chiese a Cartagine la consegna dell’assalitore della sua alleata. Roma ottenne da Cartagine un netto rifiuto.

Bastava riportare Roma ai suoi giusti confini, per ricondurre la pace nel Mediterraneo occidentale. Prostrate, con alcune folgoranti vittorie, le forze militari romane, restituita l’indipendenza alle popolazioni celtiche dell’Italia padana e alle genti osche e greche del mezzogiorno, annientati i suoi eserciti, Roma circondata da nord e da sud da popoli decisi a rifiutare il suo dominio e sorretti dalle vittoriose armi di Cartagine, che altro avrebbe potuto fare se non accettare la pace che Annibale le avrebbe offerto allora a nome del suo Governo? 
Pace che, lasciando Roma intatta a capo della sua Federazione di Latini, Umbri ed Etruschi, avrebbe diviso l’Italia in tre sistemi statali, con una Lega delle tribù galliche a nord e con un’altra delle genti osche (Sanniti, Lucani, Bruzi) a sud, con i porti greci, lungo le coste, garantiti nella loro esistenza dal protettorato cartaginese” 
(Giulio Giannelli – Santo Mazzarino).



ANNONE

MAGONE BARCA
Akragas, odierna Agrigento, era l'unica città sicula e poi punica lontana dalla costa, e venne cinta d'assedio per ben cinque mesi da quattro legioni romane. L'aiuto fornito da Annone, che venne in soccorso della città ormai stremata dalla fame con un esercito mercenario, non riuscì ad evitare la conquista della fortezza da parte dei romani, ma ottenne solo che si ponesse in salvo la guarnigione dei difensori cartaginesi.

Sembra che Annone venne duramente punito dal governo cartaginese per questa mancata vittoria: gli fu tolto il comando e dovette pagare una pesante multa. Questo era il trattamento che il senato cartaginese riservava ai suoi generali in caso di parziale sconfitta.



PROGETTO ITALIA (218 a.c.)

Annibale, dopo la presa di Sagunto, si era recato a Nova Carthago per trascorrervi l'inverno (fine del 219 a.c.). Qui apprese quanto era stato deliberato a Roma e a Cartagine.
« egli seppe che non solo era il comandante supremo di questa guerra, ma ne era anche la causa.»
(Livio, XXI, 21.1)

Prima di partire per l'Italia congedò gli eserciti, ben sapendo che la guerra non sarebbe stata breve e che i suoi soldati avrebbero voluto rivedere le proprie famiglie prima di iniziare la lunga campagna militare. Comandò poi a tutti loro di presentarsi all'inizio della primavera pronti all'impresa più audace.

All'inizio della primavera del 218 a.c. i soldati si radunarono e le truppe di ogni popolazione furono passate in rassegna da Annibale. Poi questi partì per Gades, dove sciolse i voti fatti a Eracle (Hercules Gaditanus) e ne fece di nuovi in caso di vittoria. Poi organizzò non solo l'armata che doveva compiere l'invasione dell'Italia, ma anche quelle che dovevano rimanere in Spagna e Africa a difendere i territori cartaginesi. Fu così che stabilì di inviare soldati ispani in Africa e africani in Spagna.

«Egli pensava infatti che i soldati dell'una e dell'altra parte fossero migliori a combattere lontano dalla patria, credendo di essere impegnati in una forma di garanzia reciproca»
(Livio, XXI, 21.11.)

Fu così che ottenne dall'Africa contingenti di arcieri armati alla leggera per la Spagna. Fortificò quindi l'Africa, esposta com'era agli attacchi romani da parte della Sicilia, e vi inviò 13 850 fanti armati di un piccolo scudo rotondo chiamato caetra, 860 frombolieri delle Baleari, 1 200 cavalieri giunti da molte genti, da distribuire tra Cartagine e l'Africa punica. Inviò poi ad arruolare 4 000 giovani scelti che potessero servire sia come difensori in Africa, sia come ostaggi.

Assegnò quindi il comando dell'armata spagnola al fratello Asdrubale, e ne rafforzò il contingente con reparti africani, Liguri, delle Baleari, cavalieri libi-fenici,  Numidi, Mauri, Ilergeti, cavalieri spagnoli, e 21 elefanti. Gli diede anche una flotta di quinqueremi e triremi.

Annibale concepì un audace piano di guerra per invadere l'Italia, marciando dalla Spagna, raggiunse i Pirenei e poi le Alpi nel 218 a.. Partì con oltre 30000 (o 50000) combattenti, 15000 tra cavalli e muli e 37 elefanti dei quali ne arrivarono solo 21; impiegò due settimane per valicare le montagne.

Si racconta che nei pressi dell'Ebro egli abbia visto in sogno un giovane Dio che diceva di essere stato inviato da Giove per guidarlo fino in Italia. Inizialmente Annibale lo seguì senza guardarsi intorno. Quando decise di voltarsi indietro vide un enorme serpente, seguito da un temporale con grande fragore in cielo. Avendo chiesto al giovane dio cosa fosse quella mostruosa creatura gli fu risposto che si trattava della devastazione dell'Italia e che non chiedesse oltre, lasciando che il destino non gli fosse svelato.

MONUMENTO AD ANNIBALE SULLA VIA FRANCESE DEL MONCENISIO


I PIRENEI

Oltrepassarono i Pirenei valicando il Colle del Perthus durante il mese di agosto, ma rimase poco più della metà dell'armata iniziale, vale a dire 50 000 fanti, 9 000 cavalieri e i 37 elefanti. In Gallia, offrendo doni Annibale ottenne poi il libero passaggio fra le tribù.

Intanto il console Publio Cornelio Scipione (padre del futuro Scipione l'Africano), che stava per imbarcarsi per imbarcarlo per la Spagna, seppe che Annibale aveva varcato i Pirenei e decise di bloccarlo sul Rodano poiché, non essendoci guado, Annibale avrebbe dovuto costruire un ponte di barche per attraversarlo con molto impaccio. Così il console veleggiò verso l'alleata di Massilia (Marsiglia) alle foci del fiume.

Annibale giunto nel territorio dei Volci Tectosagi scopri che si erano trasferiti in armi sulla sponda sinistra del Rodano, allora convinse le popolazioni a ovest del fiume a produrre navi e piccole imbarcazioni, cosa che fecero ma al momento di traghettarli i Volci attaccarono. ma l'esercito di Annibale tornò indietro lungo la sponda, e col suo luogotenente Annone che li prese alle spalle li fece fuggire.

Intanto uno squadrone di cavalleria cartaginese si scontrò con trecento cavalieri romani, che erano stati inviati dal console Scipione dalla foce del Rodano, dove l'esercito romano era sbarcato. Vinsero i romani ma con perdite ingenti da ambedue le parti. Intanto si recò da Annibale il principe dei Boii, venuto a fargli da guida, anche lui nemico di Roma, che dissuase il generale a scontrarsi con Scipione.

Nella lunga marcia verso l'Italia dopo aver attraversato il Rodano su zattere di fortuna e affrontato i passi alpini, alcuni elefanti morirono dopo aver raggiunto la pianura Padana. Infatti, solo 21 dei poveri elefanti di Annibale sopravvisse alla battaglia vinta dai cartaginesi sul fiume Trebbia, nel dicembre del 218 a.c. e, soprattutto, al rigido inverno dell’Italia settentrionale.

Gli elefanti erano stati domati per la prima volta e usati a scopo bellico dai Numidi, quelli di Annibale erano i Loxodonta africana cyclotis, che raggiungono i 2,3 metri di altezza, non simili agli elefanti indiani ma alti quasi come i giganteschi elefanti africani che vivono nella savana.

Annibale passò il paese degli Allobrogi, dei Tricastini, dei Voconzi, dei Tricori e raggiunsero il fiume Druenza (Durance), molto difficile da attraversare ma finalmente raggiunse le Alpi dove i montanari opponevano resistenza al loro passaggio, finchè l'esercito giunse al valico delle Alpi dove si fermò si fermò per due giorni, sorpreso da una forte nevicata. La popolazione dei celti Graioceli (Alpi Graie) da sempre nemici dei romani, gli fornirono guide e vettovagliamento prima della salita.



LE VITTORIE

Annibale giunse in Italia cinque mesi dopo la partenza da Nova Carthago e quindici giorni dopo avere valicato le Alpi. Sul numero dei soldati non c'è accordo: 100 000 fanti e 20 000 cavalieri, 80 000 fanti e 10 000 cavalieri, 36 000 uomini e un grandissimo numero di cavalli e altri animali. C'è più accordo sugli elefanti, 37 quasi tutti, ma anche 80, disaccordo sugli elefanti sopravvissuti: 21 o 1.

Nella Gallia Cisalpina Annibale dovette passare nel territorio dei Taurini che opposero resistenza, ma furono sconfitti, intanto Publio Scipione, inviato il fratello Gneo in Spagna con la flotta e parte delle truppe, era tornato in Italia attestandosi a Piacenza. Tiberio Sempronio Longo, richiamato dal Senato romano, dovette rinunciare al progetto di sbarco in Africa.

Annibale mosse lungo la valle del Po sconfiggendo i Romani, guidati dal console Publio Cornelio Scipione, in un combattimento lungo il Ticino; il console rischiò di essere ucciso e la cavalleria numidica si dimostrò pericolosa; le legioni dovettero evacuare buona parte dell'attuale Lombardia.

Nello stesso anno attaccò al fiume Trebbia, vicino a Piacenza, le forze di Publio Cornelio Scipione (padre dell'Africano), congiunte alle legioni di Tiberio Sempronio Longo. L'eccellente fanteria pesante romana si incuneò nel fronte dell'esercito cartaginese, ma i Romani furono accerchiati ai fianchi dalle ali della cavalleria numidica e respinti verso il fiume, dove furono massacrate da truppe nascoste da Annibale lungo la riva. Dei 16 000 legionari e 20 000 alleati, si salvarono solo 10 000 uomini (218 a.c.).

Annibale posizionò le sue truppe per l'inverno fra i Galli, ora insofferenti di doverli mantenere e nella primavera del 217 a.c. Annibale con le sue truppe attraversò l'Appennino senza incontrare opposizione. Lo attendevano grosse difficoltà nelle paludi dell'Arno, dove perse molte delle sue truppe per i disagi e le malattie e dove egli stesso perse un occhio. Nepote invece afferma che non poté più utilizzare l'occhio destro bene come prima.

Avanzò quindi in Etruria, seguito dalle nuove legioni romane. Con l'aiuto della nebbia riuscì a sorprendere i romani nella battaglia del lago Trasimeno, calando all'improvviso dalle colline sulle truppe romane in marcia che furono intrappolate sulle spiagge e nelle acque del lago. Una completa disfatta dei romani dove morì anche il console Flaminio.

Annibale notò in che in Umbria le popolazioni restavano fedeli a Roma e ostili a lui, pertanto andò nel Sud Italia per suscitare una rivolta generale contro Roma ma neppure lì si ribellavano. 
-  A Spoleto, l'ingresso dal lato nord della antica cinta muraria romana reca ancora il nome di Porta Fuga, in ricordo dell'episodio che vide gli spoletini respingere i soldati di Annibale. Scrive Tito Livio: "Attraversa l'Umbria e arriva a Spoleto. Dopo avere devastato il suo territorio cerca di occupare la città; respinto dopo una carneficina dei suoi soldati, e ritenendo dal poco successo del tentativo contro una piccola colonia, che una città come Roma gli avrebbe opposto ingenti forze, dovette desistere dirigendosi verso il Piceno".
(G. Daly, La battaglia di Canne)

Fu invece sempre controllato dalle truppe del dittatore Quinto Fabio Massimo "il Temporeggiatore" Per questo incendiò e devastò i vari possedimenti salvando solo quelli di Fabio Massimo, insinuando il dubbio su un tradimento del dittatore romano.



LA VITTORIA CARTAGINESE DI CANNE

I consoli Lucio Emilio Paolo e Gaio Terenzio Varrone, al comando di un esercito di otto legioni  volle invece accettare battaglia nei pressi di Canne. Annibale pose al centro la fanteria ibero-gallica (che cedette sotto l'urto frontale dei legionari) e sui due lati la fanteria pesante africana, e Annibale fece scattare la trappola. 

Per sfondare le linee dei Galli, i Romani furono attaccati sui fianchi dalla fanteria pesante e, compressi in uno spazio ristretto, non poterono fare valere la superiorità numerica. Inoltre la cavalleria pesante numidica sbaragliò a cavalleria romano-italica, per rientrare alle spalle delle legioni romane, completando l'accerchiamento.

Roma venne catastroficamente vinta a Canne, in Puglia, del 216 a.c., ma non seguirono né la resa né la richiesta di pace. Roma non si arrendeva e Annibale, seppur vittorioso, non osò attaccare la rivale, cercando invece di toglierle i suoi tradizionali alleati; e ci riuscì con i Bruzi, ma non con i Latini e gli Etruschi. 

Quasi 45 000 legionari, novanta senatori, trenta tra ex-consoli, pretori ed edili, caddero sul campo di battaglia, venne ucciso anche il console Emilio Paolo; 10 000 furono i prigionieri e solo 3 000 circa riuscirono a rifugiarsi a Venusia con l'altro console Varrone.

Le perdite di Annibale furono circa 6 000 uomini. La vittoria gli portò l'alleanza della Daunia, parte del Sannio, la Lucania e il Bruzio, mentre l'Etruria e i Latini restarono fedeli all'Urbe. Alcuni prigionieri furono inviati a Roma per trattare il riscatto ma il senato romano rifiutò ogni discussione e si dimostrò deciso a continuare la guerra.

«Mentre tutti, strettisi attorno al vincitore, si congratulavano con lui e gli consigliavano, poiché aveva ormai concluso la guerra, di spendere il resto del giorno e la notte seguente per dare riposo a sé e ai soldati affranti, Maarbale, comandante della cavalleria, pensando che invece non bisognava darsi tregua, proruppe: "No, devi sapere quali risultati hai ottenuto con questa battaglia: entro cinque giorni banchetterai da vincitore nel Campidoglio! Seguimi: io ti precederò con la cavalleria, in modo che arrivino prima a Roma i Cartaginesi che la notizia del loro arrivo". 
Ad Annibale la proposta sembrò troppo bella, troppo audace per potere essere realizzata subito. Perciò dice a Maarbale che ammira la sua baldanza ma che occorre tempo per studiare il piano. E Maarbale: "È ben vero che gli dei non concedono tutte le doti a una medesima persona. Tu, Annibale, sai vincere, ma non sai usare della vittoria". Si ritiene che l’indugio di quel giorno abbia significato la salvezza di Roma e del suo impero.» (Polibio)

Annibale infatti dispiegò le truppe nel meridione, si alleò con Capua, dove l'esercito cartaginese trascorse l'inverno del 216-215 a.c., avendo finalmente la possibilità di riposare dopo tre anni di continui combattimenti. I romani non cercarono più una battaglia campale ma tornarono alle tattiche di logoramento di Quinto Fabio Massimo e dispiegarono sul campo un numero sempre più elevato di legioni.

Annibale inviò a Cartagine il fratello Magone per chiedere rinforzi, ma il senato inviò solo un piccolo contingente di cavalleria. Annibale concluse un trattato di alleanza con Filippo V di Macedonia, poi nel 214 a.c. Annibale occupò il Bruzio e conquistò gli importanti porti di Locri e Crotone, ma un nuovo attacco a Nola venne respinto da Claudio Marcello. 

Nel 213 a.c. la Sicilia si ribellò; Annibale riuscì a conquistare Taranto e nel 212 a.c. i Romani con sei legioni assediarono e riconquistarono Capua. Poi nel 211 a.c.i, in assenza di Annibale, i romani tornarono ad assediare Capua, allora Annibale marciò velocemente contro Roma, fermandosi a 3 km dalla città. Tito Livio nel suo "Hannibal ad portas" inserisce eventi climatici soprannaturali che avrebbero scosso il condottiero e riferisce del comportamento impavido del Senato di Roma. In realtà Annibale, avendo raccolto un notevole bottino dopo il saccheggio del territorio intorno a Roma e ritenendo fallito il suo piano per distrarre le legioni dall'assedio di Capua, non volle rischiare e tornò in Campania. Non se lo perdonerà mai.

Sconfisse invece le truppe romane del console Publio Sulpicio Galba Massimo che lo avevano inseguito, ma non poté impedire la caduta di Capua e la repressione di Roma fu spietata: i nobili campani vennero in buona parte giustiziati e tutti gli abitanti vennero venduti come schiavi; Capua, ridotta in rovina, divenne un borgo agricolo sotto il controllo di un prefetto romano.

Roma non attaccò apertamente Annibale sapendo che avrebbe perso, ma fece una lotta di logoramento, mentre portò la guerra in Spagna e pure in Africa, per cui Annibale nel 203 a.c. fu richiamato in patria per una sua estrema difesa. Ecco la sua reazione a quell'ingiusto richiamo:

Si racconta che Annibale abbia ascoltato le parole dei legati, digrignando i denti e gemendo, a stento trattenendo le lacrime. Quando le disposizioni gli furono comunicate, esclamò: "Ormai non si cercano più giri di parole, ormai mi richiamano indietro apertamente, coloro che si davano da fare già da tempo perché io mi ritirassi, rifiutandosi di inviarmi rinforzi e denaro. 
E dunque a sconfiggere Annibale non è stato il popolo romano, che tanti massacri e rotte ha subito da me, ma il senato cartaginese, con le sue denigrazioni e la sua invidia. E della vergogna di questa mia ritirata non sarà tanto Scipione a gioire e a trarre vanto, quanto Annone che ha distrutto il mio casato rovinando Cartagine, giacché in altro modo non gli era stato possibile".
(Tito Livio, Ab Urbe Condita) 

Tuttavia Annibale aveva presagito questo voltafaccia del senato e pertanto aveva già fatto preparare le navi. E così, dopo essersi disfatto di una inutile massa di soldati col pretesto di lasciarli di guarnigione a quelle poche città del territorio bruzio che gli erano rimaste fedeli più per paura che per lealtà, si trasferì in Africa colla parte più valida dell’esercito, ma nel frattempo aveva massacrato, proprio all’interno del santuario, molti soldati italici che, rifiutando di seguirlo in Africa, si erano ritirati nel tempio di Giunone Lacinia, fino a quel giorno inviolato.

Annibale fu uno dei più grandi strateghi della storia, degno di essere affiancato a Cesare e a Scipione, non a Napoleone come alcuni sostengono, perchè non si possono paragonare  le strategie delle battaglie alle armi bianche con le strategie delle armi da fuoco, dove a volte contano più le risorse che le strategie.  Tuttavia nelle usanze fu barbaro, nessun romano degno di stima avrebbe massacrato dei legionari che non desiderano più essere assoldati da quel generale, e soprattutto non si violava un luogo sacro.

Si dice che Annibale fu disperato del doversi ritirare dal territorio dei nemici più che se avesse dovuto lasciare da esule la propria patria. Girò più volte lo sguardo indietro a guardare i litorali d’Italia, accusando gli Dei e gli uomini e maledicendo se stesso e la propria persona, per non aver condotto a Roma, dopo la vittoria di Canne, i suoi soldati ancora grondanti del sangue nemico. 
 
GAIO FLAMINIO NEPOTE

Nel 210 a.c. Annibale non fece più grandi battaglie:
«Da parte dei Romani, nelle province, da un lato in seguito alle sconfitte in Spagna, dall'altro per l'esito delle operazioni in Sicilia (212-211 a.c.), vi fu un alternarsi di gioie e dolori. In Italia, la perdita di Taranto generò danno e paura, ma l'avere conservato il presidio nella fortezza contro ogni speranza, generò grande soddisfazione (212 a.c.). 
L'improvviso sgomento e il terrore che Roma fosse assediata e assalita, dopo pochi giorni svanì per fare posto alla gioia per la resa di Capua (211 a.c.). Anche la guerra d'oltre mare era come in pari tra le parti: [se da una parte] Filippo divenne nemico di Roma in un momento tutt'altro che favorevole (215 a.c.), nuovi alleati erano accolti, come gli Etoli e Attalo, re dell'Asia, quasi che la fortuna già promettesse ai Romani l'impero d'oriente.
Anche da parte dei Cartaginesi si contrapponeva alla perdita di Capua, la presa di Taranto e, se era motivo per loro di gloria l'essere giunti fin sotto le mura di Roma senza che nessuno li fermasse, sentivano d'altro canto il rammarico dell'impresa vana e la vergogna che, mentre si trovavano sotto le mura di Roma, da un'altra porta un esercito romano si incamminava per la Spagna. 
La stessa Spagna, quando i Cartaginesi avevano sperato di portarvi a termine la guerra e cacciare i Romani dopo avere distrutto due grandi generali (Publio e Gneo Scipione) e i loro eserciti, la loro vittoria era stata resa inutile da un generale improvvisato, Lucio Marcio. E così, grazie all'azione equilibratrice della fortuna, da entrambe le parti restavano intatte le speranze e il timore, come se da quel preciso momento dovesse incominciare per la prima volta l'intera guerra.»
(Tito Livio, Ab Urbe Condita, XXVI 37)

Annibale ottenne ancora una vittoria, a Herdonia (Ordona, in Puglia), dove sconfisse un altro esercito proconsolare, ma Quinto Fabio Massimo, nonostante i suoi quasi settant'anni, assalì Taranto che espugnò l'anno successivo. Qui 30 000 dei suoi abitanti furono venduti come schiavi. Era il 209 a.c. e Roma, con 10 delle sue 21 legioni attive (pari a 100 000 cittadini e altrettanti alleati), continuava la graduale riconquista del Sannio e della Lucania.

Nel 208 a.c. i nuovi consoli, l'esperto Marco Claudio Marcello, la "spada di Roma" e Tito Quinzio Crispino, decidono di attaccare in campo aperto Annibale accampato a Venosa; ma vennero attirati in un'imboscata, Marcello venne ucciso e Crispino mortalmente ferito. L'esercito romano, senza capi, batté in ritirata. Annibale accorse a Locri nel Bruzio dove disperse le forze romane che l'assediavano; cadde prigioniero anche il comandante romano, il futuro storico Lucio Cincio Alimento; anche la campagna del 208 a.c. fu favorevole ad Annibale

Nel 207 a.c. Asdrubale, fratello di Annibale, superò il giovane Publio Cornelio Scipione e marciò dalla Spagna fino in Italia attraverso le Alpi. Annibale cercò di risalire per incontralo e il console Gaio Claudio Nerone non riuscì a fermarlo. Il condottiero raggiunse con il suo esercito l'Apulia, dove sperava di ricongiungersi con l'esercito di suo fratello.

Ma i romani intercettarono i messaggeri di Asdrubale e quindi Annibale rimase in Apulia; il console Nerone con abile manovra tenne impegnato Annibale mentre con una parte delle sue forze marciò a nord dove insieme all'altro console Livio Salinatore sconfisse Asdrubale nella battaglia del Metauro. Il fratello di Annibale venne ucciso e la sua testa venne gettata nell'accampamento cartaginese.

L'altro fratello Magone venne fermato in Liguria (205-203 a.c.), Annibale andò sulle montagne del Bruzio, ma non poté impedire la caduta di Locri, e intanto Cornelio Scipione vinse in Africa, quando giunse l'ordine da Cartagine di ritornare in patria. Annibale sapeva che la sua lunga campagna nella penisola era fallita e fin dal 205 a.c. aveva fatto incidere, secondo la tradizione dei condottieri ellenistici, un'iscrizione in bronzo presso il tempio di Era a Capo Lacinio dove erano descritte le sue imprese in Italia.

La capacità di Annibale di rimanere in campo per quindici anni senza soste in Italia in mezzo agli eserciti nemici, nell'ostilità della popolazione, senza mezzi e aiuti adeguati; le sue quasi continue vittorie in grandi battaglie campali e in numerosi scontri minori e soprattutto la sua capacità di mantenere sempre la coesione e la fedeltà delle truppe nel corso dell'interminabile ed estenuante campagna, sono state considerate da Polibio i maggiori successi della sua carriera militare. 

Theodor Mommsen giudicò "meraviglioso" che il condottiero cartaginese fosse riuscito a condurre in Italia con "eguale perfezione" due tipi di guerra completamente diversi: l'audace campagna offensiva dei primi anni e le lunghe operazioni difensive dal 215 al 203 a.c..

"Scipione, che da console non aveva visto una volta il nemico cartaginese in Italia, aveva osato marciare su Cartagine; lui, dopo aver massacrato centomila nemici sul Trasimeno e a Canne, si era logorato a Casilino, a Cuma, a Nola. Con queste accuse, con questi rimpianti fu strappato dal territorio italico, dopo esserne stato tanto a lungo padrone” 
(Tito Livio, Ab Urbe Condita) 



LA SCONFITTA CARTAGINESE DI ZAMA

Dopo la battaglia di Canne i Romani evitarono gli scontri diretti coi cartaginesi tesi invece a riconquistare i territori del sud Italia a loro sottratti. La II guerra punica terminò con l'attacco romano a Cartagine, che costrinse Annibale al ritorno in Africa nel 203 a.c., dove fu definitivamente sconfitto nella battaglia di Zama, nel 202 a.c..

Nel 204 a.c. Publio Cornelio Scipione Africano, l'anno prima eletto console, venne incaricato dal senato romano di abbattere Cartagine inviandolo in Africa con 25 000 uomini. Scipione si alleò con Massinissa, re numida avversario dell'altro re numida, Siface, che lo aveva cacciato dal regno con l'aiuto dei cartaginesi, con a disposizione una cavalleria eccelente. Cartagine cercò di intavolare trattative di pace ma Scipione sconfisse le forze di Asdrubale e Siface in due consecutive battaglie.

Annibale sbarcò con i veterani ad Hadrumetum, dove erano i possedimenti della sua famiglia. Il ritorno di Annibale in Africa tuttavia rinforzò l'animo e la resistenza cartaginese che dotò Annibale delle milizie cittadine e dei suoi veterani e mercenari trasferiti dall'Italia. Raccolse, in tutto, 36 000 fanti, 4 000 cavalieri e 80 elefanti.

Nel 202 a.c., dopo un'inutile trattativa di pace con Scipione, i due colossi si scontrarono nella battaglia di Zama. Scipione aveva ben addestrato il suo esercito, ma Annibale ideò un nuovo piano di battaglia che mise in difficoltà le legioni romane. La battaglia fu molto aspra, l'intervento delle riserve di veterani di Annibale sembrò dare ancora una possibilità di vittoria al cartaginese ma alla fine l'arrivo della cavalleria di Massinissa fu decisivo; la vittoria di Scipione fu completa e Annibale dovette fuggire ad Hadrumetum con pochi superstiti. 

La sconfitta a Zama pose fine alla II Guerra punica, ma Annibale dette un'ultima prova delle sue grandi qualità di condottiero, dimostrandosi in grado, in circostanze circostanze sfavorevoli del momento, di concepire e controllare l'andamento tattico della battaglia meglio del suo brillante avversario.
Annibale a Cartagine (201-195 a.c.)

Annibale aveva appena 46 anni e dimostrò di sapere essere non solo un condottiero, ma anche un uomo di stato. Dopo un periodo di oscuramento politico nel 195 a.c. tornò al potere come suffeta (capo del governo) e attaccò il temuto Consiglio dei Cento, garante del potere oligarchico: restituì, da vitalizia che era, una durata annuale alla carica di membro del Consiglio. In questi anni si dedicò anche all'agricoltura: impiegò infatti i suoi reduci nella gestione dei suoi possedimenti terrieri in Byzacena, antica regione della Tunisia.

L'economia cartaginese, pur indebolita nel commercio, si risollevò con un'agricoltura specializzata. Annibale cercò di incrementare le entrate fiscali, ma l'oligarchia, sempre gelosa di lui, tanto da accusarlo di avere tradito gli interessi di Cartagine quando era in Italia, evitando di conquistare Roma quando ne aveva avuto la possibilità, lo denunciò ai sempre sospettosi Romani.

SCIPIONE L'AFRICANO


L'ESILIO

Annibale preferì scegliere un volontario esilio e andò a Tiro, la città-madre di Cartagine. Poi si trasferì a Efeso alla corte di Antioco III, re dei Seleucidi, che stava preparando una guerra contro Roma. Annibale comprese che l'esercito siriaco non avrebbe retto quello romano per cui consigliò quindi di equipaggiare una flotta e portare un esercito nel sud Italia di avrebbe potuto lui stesso assumere il comando. Antioco III, però, ascoltò piuttosto cortigiani e adulatori e non affidò ad Annibale nessun incarico importante. Nel 190 a.c. invece Annibale fu posto al comando della flotta fenicia, ma fu sconfitto in una battaglia alle foci dell'Eurimedonte.

Dalla corte di Antioco che l'avrebbe consegnarlo ai Romani, Annibale fuggì per nave fino a Creta. È celebre l'aneddoto del suo inganno; i Cretesi non volevano lasciarlo più partire a meno che non lasciasse nel loro tempio principale l'oro che aveva con sé come offerta votiva. Egli allora finse di acconsentire. Consegnò un grosso quantitativo di ferro appena ricoperto da un sottile strato d'oro e trafugò invece le sue barre fondendole e nascondendole all'interno di statue di magnifica fattura che egli portava sempre con sé e che i Cretesi gli permisero di portare via. Da Creta tornò in Asia.

Plutarco racconta che Annibale cercò rifugio nel Regno d'Armenia di Artaxias, consigliando al re la costruzione di una nuova città in un'area incolta e trascurata. Artaxias gliene conferì l'incarico e Annibale svolse il compito con competenza di ingegneria e di urbanistica. La nuova capitale degli Armeni, sorse presso il fiume Mezamòr e prese il nome (in onore del sovrano) di Artaxata, oggi quasi del tutto scomparsa.

Annibale si rivolse poi in Occidente, chiedendo rifugio a Prusia I re di Bitinia. Qui fece costruire la una seconda città che chiamò, in onore re, Prusa, di cui ancora ci sono le vestigia sull'Acropoli, che in seguito diventerà Bursa, futura capitale dell'Impero ottomano.



LA MORTE

Morì in Bitinia, nei pressi di Libyssa (Gebze) 40 km a est di Bisanzio. Secondo Nepote, un legato bitinico informò per errore l'inviato romano Tito Quinzio Flaminino, vincitore nel 197 a.c. della II Guerra Macedonica, della presenza di Annibale in Bitinia. 

I Romani inviarono Flaminino per chiederne la consegna e Prusia accettò di consegnarlo perchè non poteva esimersi ma avvertì Annibale che non volle cadere vivo nelle mani del nemico. A Libyssa sulle spiagge orientali del Mar di Marmara prese quel veleno che, come diceva, aveva a lungo conservato.

Si narra di un oracolo che, in giovane età, gli aveva annunciato che sarebbe morto in Libia (e quindi verosimilmente a Cartagine) e che recitava: "Una zolla libica (libyssa) ricoprirà le tue ossa". Immaginiamo quando apprese il nome della località in cui si era rifugiato.

Le sue ultime parole si dice fossero secondo Tito Livio: "Quanto sono cambiati i Romani, soprattutto nei costumi, non hanno più neanche la pazienza di aspettare la morte di un vecchio, su allora, liberiamoli da questo lungo affanno". 
E così prese il veleno. L'esatta data della sua morte è fonte di controversie. Generalmente viene indicato il 182 a.c. ma, da Tito Livio, potrebbe essere stato il 183 a.c., lo stesso anno della morte del suo vincitore: Scipione l'Africano.


IL MONUMENTO

A Gebze si trova un monumento che ricorda il grande Annibale. Tale monumento fu voluto nel 1934 da Mustafa Kemal Atatürk (creatore della Turchia repubblicana), e realizzato dopo la sua morte con incisa un'epigrafe:

«Annibale 247 a.c. – 183 a.c.
Questo monumento è stato costruito come espressione di apprezzamento per il grande generale nel centesimo anniversario della nascita di Atatürk. Annibale sconfisse i Romani dopo avere ricevuto come rinforzi degli elefanti a Barletta. Quando seppe che Prusia re di Bitina stava per consegnarlo al nemico, si suicidò a Libyssa (Gebze) nel 183 a.c.»


BIBLIO

- Appiano di Alessandria - Historia Romana - (Guerra annibalica) -
- Cornelio Nepote - De viris illustribus - Annibale -
- Eutropio - Breviarium ab Urbe condita -
- Livio - Ab Urbe condita libri -
- Polibio - Storie -
- Strabone - Geografia -
- Plutarco su Fabio Massimo, Claudio Marcello e Scipione Africano -
- Giovanni Brizzi - Scipione e Annibale, la guerra per salvare Roma - Bari-Roma - Laterza - 2007 -
- Giovanni Brizzi - Canne. La sconfitta che fece vincere Roma - Bologna - Il Mulino - 2016 -
- Massimo Centini - Sulle orme di Annibale - Torino -  Il Punto - 1997 -
Theodor Mommsen - Hannibal - in Römische Geschichte - Lipsia-Vienna - Phaidon Verlag - 1932 -
- M.Bocchiola, M.Sartori - Canne. Descrizione di una battaglia -
- Paolo Proserpio - Le battaglie di Annibale. Da Sagunto a Zama - Varese - Varesina Grafica Ed. - 1971 -
- Gaetano De Sanctis - L'età delle guerre puniche - Storia dei Romani - 1917 -
- Gisbert Haefs - Annibale. Il romanzo di Cartagine -Tropea - Marco Tropea Editore - 1999 -
- Riccardo Petitti - Annibale sulle orme di Ercole - Ivrea - Cossavella Editore - 2000 -


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