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IL LEGNO ROMANO

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STATUINA DI LEGNO - ERCOLANO

Nella preistoria il legno fu usato per costruire rifugi, fortificazioni, palafitte, barche, utensili domestici d'ogni tipo, armi e fusti di armi. I romani continuarono l'uso impiegando il legno nella costruzione delle case, ma fu vastissimo ovunque l'impiego del legno in tutte le costruzioni civili e militari del mondo antico.

Degli edifici romani abbiamo le prime notizie verso la metà dell'VIII sec. a.c., quando gli aristocratici romani trasformano le loro capanne (casae) in domus. Queste possedevano più ambienti, tra cui una grande sala, che affacciavano tutti su una corte. I suoi muri erano in argilla bagnata e pressata su rami di legno stagionati, mentre il tetto era di rami di legno più grossi ricoperti di paglia.

Durante l'impero si costruirono insule e domus che si avvalsero ancora del legno non solo per i travi,  ma di graticci in legno con cui creavano separazioni tra i balconi di appartamenti diversi. Nelle domus era buon uso dipingere i travi dei soffitti a volte decorati, e di legno è ovviamente la porta d'ingresso costituita da un alto portone in legno a due battenti con grosse borchie in bronzo. 

Questi portoni, detti ianua, potevano essere massicci o di assi di legno incollate, e col tempo ornati con decori in bronzo o in ottone, avorio e tartaruga. Frequenti gli anelli, le corone di alloro, o i tralci di alloro, le teste di leone o le teste di lupo, cioè di lupa, per allusione alla balia di Romolo e Remo.

ZAMPA IN LEGNO DI UN MOBILE ROMANO


LA FALEGNAMERIA

Il lavoro di falegnameria, per costruire i mobili dell'arredamento della casa, metteva in opera varie qualità di legno sia locali che esotiche. I Romani importarono in gran quantità legni pregiati per i mobili di lusso delle loro case. I mobili venivano impiegati massici oppure impiallacciati, cioè lamine di legni pregiati, come l'ebano, la tuia, venivano incollate su legni più economici; si facevano in questo modo letti, tavoli e stipi. 

Il vantaggio era di far apparire il legno più pregiato, ma soprattutto che le diverse composizioni dei due legni incollati tra loro donassero alle tavole di legno una maggiore resistenza e soprattutto meno capacità di deformarsi, comportandosi cioè come legno stagionato. Il legno stagionato ha avuto sempre alti costi perchè occorreva dedicargli un ampio magazzino dove il legno doveva giacere almeno per due anni onde perdere una certa quantità di acqua che avrebbe altrimenti deformato il legno incurvandolo in vari modi.

Molti mobili pregiati venivano fatti con la tuia che è un arbusto originario dell’Alaska e della regione dei Grandi Laghi americani, ma una specie arrivava a Roma dall’oriente, dal Giappone e dalla Cina, probabilmente attraverso l'India, ed esclusivamente in tuia si fecero a Roma tavoli massicci a prezzi esorbitanti. Si usava la tecnica ad intarsio, con tartaruga e avorio; i mobili di lusso erano finemente lavorati al tornio.

DECORAZIONI IN LEGNO

Per costruire mobili preziosi si usavano intarsi o applicazioni di immagini intagliate nel legno, vere e proprie sculture, ma a volte si eseguiva una vera e propria statuaria. Già i Greci, prima dei Romani, conoscevano l'arte della scultura su legno. I Romani avevano appreso dai greci tutti gli strumenti per scolpire e lavorare il legno nel modo più raffinato.

Il mitico artefice del cavallo di Troia sarebbe stato Epeios (Paus., ii, 19, 6; v. epeios), artefice anche di uno xòanon di Hermes ad Argo. Scrive Plinio che: "L'arte di lavorare il legno la trovò Dedalo e, in essa, la sega, l'ascia, il filo a piombo, la trivella (terebram), il glutine, la colla di pesce; Theodoros di Saino la squadra (normam), la livella (libellam), il tornio e la chiave (clavem)...". (Naturalia historia, Fragmentas)

Poi i romani alla falegnameria aggiunsero la fabbricazione di numerosi utensili domestici, oltre a oggetti da toletta, giochi per bambini, tavolette per scrivere e per dipingere, impugnature per attrezzi ed armi, bastoni, lance e giavellotti, strumenti per campagna, casse, cofani, vasi per trasporto di vini. 

Ma erano ancora in legno le ciotole e i piatti fondi a ciotola per le zuppe, e i crateri per cui venivano però usati legni speciali spalmati con cera d'api internamente, e fruttiere, e cucchiai, e centri tavola, ma pure strumenti musicali, spesso di legno guarniti in ottone che imitava il colore e la lucentezza dell'oro.

LEGNO SCOLPITO

Per rendere più belli i diversi legni si usavano varî mezzi di lucidatura e verniciatura. Il lavoro a tornio usato più o meno, a seconda del pregio dell'oggetto, era noto fin dai tempi omerici. Poche notizie restano sulla precisa esecuzione di questo lavoro, ma dalle pitture si evince quanto fosse progredita la tecnica romana anche in questo campo.

A seconda dell'uso a cui i varî legni erano destinati, i tronchi venivano tagliati e preparati in diversi modi, venivano impiegati ancor umidi, oppure dopo esser stati asciugati o tenuti al fuoco per essere piegati. Quindi venivano piallati, stondati se occorreva e ripassati con oli vari se l'oggetto era pregiato, prima di dargli l'opportuna lucidatura.

Qualche mese fa, in Inghilterra, è stato scoperto un fossato romano. Mentre alcuni operai erano al lavoro per costruire la linea ferroviaria HS2, qualcuno ha avvistato una cavità difensiva, ricca di reperti. Fra questi, anche una statuetta di sessantasette centimetri, tutta in legno.

All’inizio si credeva fosse un pezzo di legno marcio. Ma giunti gli specialisti di Infra Archaeology si capì che doveva trattarsi di qualcosa di più importante. Una testimonianza unica della prima colonizzazione romana del Sud Est della Britannia.

LEGNO SCOLPITO
Ci troviamo in un tratto di territorio su cui sorgerà  la linea ferroviaria ad alta velocità britannica che collegherà Londra, Birmingham, East Midlands, Leeds, Sheffield e Manchester. 

Per la precisione, il ritrovamento è avvenuto a Twyford, nel Buckinghamshire, ossia nel Sud Est del Regno, laddove i conservatori dell’arte avevano l’anno scorso rintracciato un antico fossato scavato dai Romani.

Quel fossato era allagato, ma la figura scultorea appariva comunque ben conservata, specie nella sezione del busto e nel capo. La zona di scavo è chiamata Three Bridge Mill. 

Nei mesi scorsi, il fossato aveva già offerto vasi, ceramiche in frammenti, teste di statue, monete. Ma tutta l’attenzione è oggi tributata a una figura antropomorfa, ricavata da un unico pezzo di legno, molto antica. 

Un’opera alta 67 centimetri e larga 18. La statua lignea risalente alla prima colonizzazione romana in Britannia. L’opera dovrebbe risalire all’epoca dei primi insediamenti dei coloni romani, cioè agli anni di Bruto. 

Lo deduciamo dall’intaglio molto sottile e dalla tunica. 
Nello stesso fossato, in cui sono stati scoperti anche altri frammenti di ceramica risalenti al 70 d.C., non si erano mai trovati reperti simili.

Sebbene gli archeologi non possano essere certi della funzione reale della figura scolpita, sospettano si tratti di una statua rituale, cioè di un manufatto in legno che veniva offerto in sacrificio agli dèi. 

Quindi potrebbe essere stata gettata deliberatamente nel fossato, in senso propiziatorio. Data la sua età e la sua sostanza lignea, sorprende il fatto che l’opera si sia conservata così bene in ambiente umido. 

Forse la mancanza di ossigeno dovuta alle pareti argillose del fossato ha contribuito a prevenire la decomposizione del legno, preservandolo per secoli.

ACERRA COFANETTO DI LEGNO
La scoperta è stata del tutto inaspettata. Per recuperarla, il team di archeologi ha rischiato manovre complicate. L’opera è raffinata: rivela intagli molto sottili, per riprodurre i capelli e le pieghe della tunica. 

Gli storici pensano che sia una testimonianza artistica rara. Un unicum per quanto riguarda il periodo della cultura romana in Gran Bretagna. La testa appare leggermente ruotata a sinistra, la tunica sul davanti è raccolta in vita fino al ginocchio. gambe, forma dei muscoli del polpaccio e braccia sono elementi ben definiti.

La figura è stata spostata e archiviata dal team di conservazione di York Archeology in un laboratorio specializzato dove verrà sottoposta a esami e a trattamenti di conservazione. I ricercatori vogliono capire l’età esatta del reperto. Se fosse confermata la sua origine repubblicana, la statuetta diventerebbe una delle opere romane più antiche mai scoperte nel Regno Unito!

Un piccolo frammento della statua, trovato spezzato nel fossato, è stato già usato per la datazione al radiocarbonio. In questo modo il reperto potrà fornire una data precisa per il legno. Sarà intrapresa anche un’analisi isotopica stabile, che potrebbe indicare l’origine del legno. I restauratori non potranno far nulla per le braccia e le gambe della figura, irrimediabilmente deteriorate.


GLI ARREDAMENTI DELLA DOMUS

LARARIO IN LEGNO

Ovviamente gli arredamenti della domus erano soprattutto in legno, sia come mobili che suppellettili, 
Per la decorazione dei mobili il legno veniva intagliato tipo bassorilievo o semplicemente inciso. 

A lavoro terminato il legno andava pulito con olio mescolato al limone, o con olio e aceto, poi, per mantenerlo al meglio, poteva essere ripassato oltre che con l'olio di oliva, con la cera d'api, per venire poi verniciato, in tutto o in parte, con colori brillanti, a volte cangianti e spesso sfumati, soprattutto nei letti.

Si è dato anche il caso di Larari in legno, che venivano incassati e appesi sotto il portico del giardino dove il legno era al sicuro dalle intemperie, ne è stato rinvenuto uno ad Ercolano foggiato a mo' di tempietto.

Si chiamava "acerra" il cofanetto, di forma quadrangolare o cilindrica, dove si conservava l’incenso da usare nei sacrifici; detto anche arca turaria, a volte intagliato nel legno, posto nel Larario per onorare quotidianamente i Lari e i Penati. 

Veniva posto nel larario un cofanetto di legno dove si custodivano gli incensi da bruciare ma pure le pinzette per lo stoppino della lampada o le candele per il breve e quotidiano rituale officiato dal "pater familias" con l'ausilio dello schiavo.

STATUA LIGNEA ROMANA DI BACCO

LA  STATUATUARIA  LIGNEA

In Sicilia, a Palma di Montechiaro, in una stipe votiva arcaica, tra vario materiale furono trovate tre statuette femminili di l., col pòlos in testa. Sono state identificate come xòana di divinità locali, forse Demetra e Kore, in connessione alla fonte sulfurea trovata vicino alla stipe.

Le eccezionali condizioni ambientali, un terreno fangoso costituito da argilla di materia organica decomposta entro cui si era disciolta la anidride solforosa hanno permesso la conservazione di questi manufatti. Uno (alto 16,7 cm) è in legno di pioppo e gli altri due (rispettivamente 18,8 cm e 17,2 cm) in cipresso. 

Le tre statuette, di aspetto dedalico, sono state datate alla fine del VII sec., ma forse discendono nel VI. La Gorgone dedicata dagli Agrigentini nel tempio di Atena a Lindo era in legno di cipresso con la faccia in pietra.

Lo stile dedalico (dallo scultore Dedalo) si sviluppa nel corso del VII secolo a.c. in seguito ai nuovi contatti della Grecia con il Vicino Oriente e l'Egitto (età orientalizzante). Consta di sculture prima lignee, poi lignee e in pietra, poi solo in pietra di grandezza naturale e più grandi del naturale.
Gli elementi stilistici derivano dagli avori scolpiti siriaci e fenici del IX e dell'VIII secolo a.c., la cui presenza è diffusa, e testimoniata dai ritrovamenti, in tutta la Grecia e soprattutto a Creta. 

La figura umana dedalica è frontale, i corpi hanno vita stretta e busti triangolari, la parte superiore della testa è piatta, la fronte è bassa con la linea dei capelli dritta, il viso è un triangolo con grandi occhi, incorniciato dai capelli che cadono in massa sulle spalle con divisioni orizzontali o in sottili trecce, secondo uno schema per lo più egizio.


Lo Xoana

Lo xoanon, o xoana, era un'arcaica immagine culturale in legno della Grecia antica. Molte di tali immagini, spesso attribuite a Dedalo, furono conservate in tempi storici, sebbene nessuna sia sopravvissuta fino ad oggi, eccetto quelle copiate nella pietra o nel marmo.

Queste figure furono spesso vestite con vero materiale tessile, come il peplo il quale era tessuto e cerimonialmente consegnato ad Atena, sull'Acropoli di Atene. 
Ad Atene, nell'Eretteo, si conservava un antico legno d'olivo, effigie di Atena (il Palladion), che gli ateniesi credevano fosse caduto dal cielo, come un dono ad Atene; c'era ancora nel II secolo ed era era un simulacro ligneo che, secondo le credenze dell'antichità, aveva il potere di difendere un'intera città.

Il più famoso era custodito nella città di Troia, a cui garantiva l'immunità: la città fu distrutta infatti solo dopo che Ulisse e Diomede riuscirono a rubarlo. Un'altra versione del mito dice che il Palladio era custodito a Roma, dove giunse portato da Enea. Era una statua di legno (più precisamente uno xoanon), alta tre cubiti, che ritraeva Pallade Atena, con una lancia nella mano destra e una rocca e un fuso nella sinistra e con il petto coperto dall'egida.

STATUA DI ERCOLANO


LE STATUE LIGNEE ROMANE

Il legno ebbe un ruolo di primo piano nella scultura antica, tuttavia di grande deperibilità, per cui con scarsissima documentazione, ma con varia testimonianza delle fonti, e in parte riscontrabili dalle tracce in negativo lasciate su materiali più duraturi che insieme al legno venivano assemblati. 

Gli ex voto gallo-romani sono prodotti semplici ed essenziali, che nascono a scopo cultuale più che da esigenze artistiche; alcuni esemplari dimostrano abilità tecnico-espressive, altri appaiono appena sbozzati e grossolani. Erano più economici degli ex-voto in pietra ma più resistenti di quelli in argilla, del resto non si pretendeva una lunga durata; i legni impiegati erano quercia, faggio, abete, frassino, betulla e castagno.

Un caso a parte, di grande interesse, è costituito da alcuni busti lignei di antenati rinvenuti nelle città vesuviane. Due torsi provengono dalla casa del Graticcio di Ercolano e raggiungono dimensioni vicine al vero; quello femminile, meglio conservato, presenta tratti ritrattistici e capelli resi con solchi paralleli, raccolti in una crocchia sulla nuca. 

Acanto a questi altri busti-ritratto lignei attestati a Pompei dall'impronta cava lasciata nella lava al momento dell'eruzione: emersi nella Casa del Menandro, essi occupavano una nicchia che si apriva sulla parete di fondo del peristilio e che costituiva con tutta probabilità un larario, data la contestuale presenza di una statuetta bronzea di lar domesticus. 

Sia il tipo di materiale impiegato, sia il contesto di rinvenimento distinguono queste sculture dalle tradizionali imagines maiorum, che erano in cera, si collocavano nell'atrio e avevano una funzione essenzialmente celebrativa; è piuttosto possibile ipotizzare un vero e proprio culto familiare, riconoscendo nei ritratti i capostipiti dei proprietari delle rispettive domus o alcuni antenati di particolare rilievo.

ATHENA CRISOELEFANTINA


SCULTURE AD ANIMA LIGNEA

Frequentemente il legno costituiva soltanto la struttura portante, lo scheletro interno di statue che si completavano con rivestimenti in stoffa o metallo e realizzandone in altri materiali gli ”akra”, le estremità in vista: testa, braccia e piedi. In questi casi è attestata la definizione di "statue con nucleo ligneo" in quanto il legno veniva dissimulato all'interno del prodotto finito, rivestendosi di funzioni prevalentemente strutturali.

A seconda che le parti in vista fossero realizzate in avorio o marmo/pietra, si parla generalmente di statue acroelefantine (o criselefantine) e acrolitiche; in alcuni casi, seppur meno documentati, un'anima lignea poteva essere abbinata ad estremità in terracotta. 

La scelta di uno o dell'altro materiale dipendeva essenzialmente dalle possibilità economiche del committente: statue di questo tipo vanno infatti dai moduli inferiori al vero di alcuni ex-voto, agli oltre 10 m dei grandi simulacri di culto fidiaci, l'Atena Parthenos e lo Zeus di Olimpia; è comunque fra i simulacri colossali che ne è documentato il massimo impiego. 

Queste particolari statue erano solitamente realizzate con le estremità (testa, mani e piedi) in marmo o pietra e in qualche caso in avorio, mentre il resto del corpo era di legno o di un altro materiale comunque “povero”, poi dipinto o rivestito in oro e quasi sempre ricoperto di abiti, per celare la struttura portante della statua. 

ACROLITICO LUDOVISI

Per gli antichi infatti, il Dio in persona abitava all’interno di questi idoli sacri, a cui venivano riservati trattamenti da veri e propri “esseri viventi” che come tali, venivano lavati, vestiti, “nutriti” con le offerte e adorati. Gli acroliti venivano utilizzati dagli antichi soprattutto per realizzare le statue di divinità destinate ad essere esposte nei templi e, in alcuni casi, potevano anche ritrarre alcuni imperatori divinizzati.

Se per gli esemplari inferiori al vero un singolo tronco era sufficiente allo scopo, più ardite costruzioni erano realizzate man mano che le sculture assumevano dimensioni ragguardevoli. In alcuni casi sul nucleo ligneo era integralmente intagliato l'abito della figura, e la differenza di materiale veniva dissimulata dipingendo le vesti o dorandole.

Spesso, tuttavia il corpo risultava solo genericamente sbozzato, o costituito da una intelaiatura più o meno ampia e complessa, a seconda dell'immagine da riprodurre. In questi casi la conformazione della statua era affidata al suo rivestimento, costituito da lamine d'oro nelle statue criselefantine, da lamine metalliche o abiti in stoffa negli acroliti.

Negli esemplari più antichi il nucleo ligneo interno occupava buona parte della figura, che veniva di conseguenza quasi interamente coperta da ampie vesti. Nel caso di statue sedute, esso si impostava direttamente sul sedile di sostegno; se si trattava invece di statue stanti, lo scheletro veniva realizzato a partire da un palo portante. La faccia del nume veniva integrata con braccia, piedi e maschera facciale in avorio, e completata con le vesti in oro


Al palo centrale dovevano connettersi ulteriori elementi lignei, orizzontali, verticali e/o obliqui, di dimensioni variabili, fino a comporre una complessa intelaiatura con chiodi in ferro,  incastri maschio-femmina e perni, abitualmente utilizzati nel collegamento fra il nucleo ligneo, il rivestimento esterno e le integrazioni lapidee. In alcuni acroliti di età romana è attestato l'uso di cavicchi lignei cuneiformi con sezione a doppia coda di rondine. 

L'insieme poteva essere completato da capelli e vesti in metallo dorato, nonché da gioielli: direttamente all'anima lignea di una delle Dee erano appuntati i pendenti aurei di una collana, conformati a protomi leonine, grazie a chiodi dalla capocchia argentata contestualmente rinvenuti. L'integrazione di ciglia e sopracciglia in metallo, e l'inserimento di occhi in pasta vitrea avveniva come come nelle grandi realizzazioni in oro e avorio di Fidia, l'Atena Parthenos e lo Zeus di Olimpia.

La statua della Dea dominava, con i suoi 12 m circa di altezza, la cella del Partenone; la sua sede originaria è segnalata da un ampio alloggiamento quadrangolare (cm 75,5x45x37) praticato nella pavimentazione dell'ambiente subito dopo la messa in opera: tale presenza lascia intendere che l'intera scultura, come di consueto, si reggesse su una grande trave portante, che doveva attraversare la base del simulacro per fissarsi all'interno dell'incasso. 

Evidentemente la trave centrale copriva quasi interamente la notevole altezza della statua e ne sostenesse l'intero scheletro ligneo. Per il simulacro di Zeus, Dione Crisostomoparla di «cipresso e thyon per il lavoro interno»: forse lo stesso legno impiegato ad Atene. 

Intorno al grande palo portante sorgeva la struttura lignea che sosteneva le vesti auree della Parthenos, Luciano parla di una struttura internamente cava: in un passo del Gallus, infatti, oppone il nitore esterno dei grandi colossi di Fidia al loro interno, dove sarebbe stato possibile vedere «un groviglio di sbarre, montanti, cavicchi».

VENERE MORGANTINA - I FORI PER INSERIRE LE PARTI LIGNEE


SCULTURE CRISOELEFANTINE

Fra il VI e il V secolo accanto agli acroliti sorgono le sculture criselefantine. E' una tecnica adoperata nell'antica Grecia, che consisteva nel ricoprire con un sottile strato di avorio una struttura di sostegno in legno che rimaneva invisibile: si utilizzava l'avorio per il volto, le braccia, le gambe di una statua, mentre il panneggio delle vesti e i capelli venivano realizzati con l'oro.

Per quanto costituiscano una versione più economica di una tecnica comune, anche gli acroliti erano prodotti di pregio, da riservare alle immagini cultuali delle divinità. I due simulacri seduti di Demetra e Persefone da Morgantina, nel Museo di Aidone (En), ne sono un esempio. Nell'età ellenistica e romana, abbondarono gli acroliti, soprattutto nelle sculture umane di altezza superiore a quella umana; insieme alle immagini di divinità, quelle dei sovrani, con intento celebrativo.

Una statua loricata di Domiziano da Efeso era assicurata alla sua base attraverso tralicci lignei a sezione quadrangolare che attraversavano polpacci e piedi per fissarsi nella base che sostenevano l'intero scheletro della scultura. La stabilità complessiva era garantita fissando le parti marmoree della figura, alta circa 7 m, direttamente alla parete di fondo della cella del tempio in cui era ubicata.

Più tardi con la tecnica acrolitica si realizzano immagini loricate, dove l'impiego del marmo si estende all'intera parte inferiore delle gambe, mentre la corazza veniva realisticamente resa in lamine metalliche. 

Nel colosso di Costantino a Roma, la parte lignea riguardava una porzione del bacino e delle gambe dell'imperatore seduto in trono, e spalla e braccio sinistri, interamente coperti da un mantello.  

In modo analogo era stata realizzata una statua di Asclepio ad Ostia e di Giove nel Capitolium di Brescia.

Nell'Atena Medici, conservata a Salonicco, era realizzata in marmo l'intera gamba destra, compreso il chitone che la copriva. Le congiunzioni del marmo col legno erano dotate di canali paralleli con sezione a coda di rondine.

La scelta di realizzare nel marmo una sola gamba, ricondotta all'originale di V sec., è motivata dalla volontà di enfatizzare la diversa compattezza del sottile chitone in lino che la copriva rispetto al tessuto più pesante del peplo e dell’himation che vestivano le restanti parti della figura. 

Degli antichi acroliti ci restano soprattutto le teste, che potevano essere a tutto tondo, prive della sola calotta cranica o di porzioni più o meno ampie della zona occipitale e del collo; quando non risultavano interamente scolpite, venivano generalmente alleggerite praticando da tergo un vero e proprio svuotamento della parte interna del blocco. 

Numerose sono le teste prive di porzioni più o meno ampie della parte posteriore e della calotta cranica; in molti casi completate con elmi o copricapo di vario genere, spesso realizzati in materiali leggeri, a partire dallo stucco. L’immagine doveva completarsi con un copricapo, verosimilmente una leontè: forse realizzata in legno: escluso il marmo per ragioni statiche, infatti, non vi sono tracce evidenti dell’impiego dello stucco o del bronzo. 

Vedi anche:


BIBLIO

- Plinio il Vecchio - Naturalis Historia -
- A. Jacob - in Dict. Ant., s. v. Materia - Ligna; Sculptura - Parigi - 1918 -
- V. Spinazzola - Le arti decorative in Pompei e nel Mus. Naz. di Napoli - Milano - 1928 -
- Ch. Picard, Manuel - La Sculpture - I - Parigi - 1935 -
- A. Maiuri - Ercolano - Itinerari dei Musei e Monumenti d'Italia -
- S. Augusti - Traitement de conservation de quelques objects de fouille en bois - in Conservation, (oggetti di Rocca S. Felice) IV - 1959 -
- Andrew Wilson - Machines, Power and the Ancient Economy - The Journal of Roman Studies - 2002 -

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