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CULTO DI ROBIGO - ROBIGA

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FASTI PRENESTINI DI REBIGO

Robigo, ovvero Robigus, fu la divinità romana della Ruggine del Grano, una malattia del frumento provocata da un fungo, lo si propiziava affinchè il grano non maturasse troppo presto favorendo la malattia. Sua moglie era Robiga cui erano dedicati i Robigalia, festa per la protezione del grano.

Questa divinità venne percepita come maschile dagli autori più antichi (Varrone  Verrio Flacco e Festo) che parlano di un Dio Robigus, mentre in età imperiale fu percepito come una Dea, in quanto autori come Ovidio e Columella e i cristiani Tertulliano, Lattanzio e Agostino parlano di una Dea Robigo ("Robigine"). Secondo alcuni il cambiamento avvenne per far corrispondere il genere della divinità con quello del nome comune robigo che in latino è femminile e indica la ruggine, ma non è credibile, perchè allora la Dea del grano Cerere doveva diventare il Dio Cerere.

GIOVE - ROBIGO
Secondo alcuni studiosi un Dio Robigus o una Dea Robiga sarebbero solo un'invenzione tratta dal nome di questa festa, in quanto i romani non onoravano divinità malvagie. Secondo altri invece esisteva un Dio Robigo e una Dea Robiga che era sua moglie.

Varrone, studioso della Tarda Repubblica narra che i Robigalia furono feste così chiamate dalla divinità Robigus, nume o personificazione dei malanni che potevano intervenire sulle culture. Aulo Gellio specifica la necessità di rabbonire questa divinità, ma nessuno ne specifica il genere. Columella cita invece Robigo come il malanno del grano, cioè la ruggine e dice che il sacrificio da offrire è il sangue e le interiora di un cucciolo non svezzato (catulus). Molti degli animali offerti dai romani agli Dei facevano parte degli animali da allevamento, mentre i cani venivano sacrificati nei riti privati ad Ecate o alle divinità ctonie, ma erano sacrificati nei riti pubblici dei Lupercalia e in due altri sacrifici pertinenti alla cultura del cereale.

Robigo è la ruggine del grano, di colore rossastro o bruno-rossastro. Sia Robigus che robigo si trovano anche come Rübig, evidentemente collegato al colore rosso (ruber), e pure il rosso del sangue ricorda il Marte dio dell'agricoltura e dello spargimento di sangue.

Altre feste in Aprile relative all'agricoltura erano i Cerealia, o festa di Cerere, della durata di diversi giorni a metà del mese, il Fordicidia il 15 aprile, in cui si sacrificava una mucca incinta, le Parilia il 21 aprile per la salute delle mandrie e dei greggi, ed i Vinalia , una festa del vino il 23 aprile. Varrone considera queste e la Robigalia, insieme a Megalensia della fine del mese dedicate alla Grande Madre, le originarie vacanze romane nel mese di aprile.

Il Robigalia è stato trasformata nella festa cristiana di Rogazione, per purificare e benedire la parrocchia e i campi e che si celebra appunto il 25 aprile del calendario cristiano. Il Padre della Chiesa Tertulliano prende in giro la Dea Robigo come una finzione pagana, ma non si accorge che la finzione è stata copiata dalla Chiesa.

SACRIFICIO ROMANO


LA SPIEGAZIONE

In epoca preromana erano onorate le Grandi Madri, con diversi nomi o attributi secondo la località e la lingua, in genere connessa al cereale fondamentale di quella terra, perchè era il cibo che assicurava la sopravvivenza. Come Madre Terra e quindi Madre Natura la Dea aveva tre aspetti, cioè era una e trina (e da qui si comprende da dove provenga la Trinità cristiana): dava la vita, accresceva e dava la morte, che fossero piante animali o umani. Il terzo aspetto, quello della morte era ovviamente il più temuto e veniva associato o a un aspetto guerriero della Dea, perchè la guerra porta la morte, o a un aspetto di malattia, di persone o del cereale di cui ci si nutriva. Robigo, la Rossa, era pertanto l'aspetto terrifico della Grande Madre che doveva essere ammansito coi riti e con le offerte. Poi con l'evolversi dei tempi e dei miti la Dea Vergine, cioè senza marito, faceva un figlio maschio che rappresentava la vegetazione che moriva e resuscitava ogni anno.

FESTA CRISTIANA DELLA ROGAZIONE

ROBIGALIA

Come ci narrano Plinio e Festo, la sua festività, detta Robigalia, si svolgeva il 25 aprile, il VII giorno delle calende di Maggio, ovvero nel periodo in cui spuntavano le spighe, presso il confine dell'agger romano. Si dice che questa festa sia stata istituita da Numa Pompilio,  Ovidio descrive nel quarto libro dei Fasti la cerimonia dei Robigalia: una processione di persone tutte vestite di bianco, guidate dal flamine quirinale, si dirige al bosco sacro del Dio al V miglio della via Clodia (attuale VI miglio della via Cassia) e qui il flamine recitava una preghiera alla divinità a cui sacrificava poi una cagna e una pecora bidente (cioè di due anni), insieme a incenso e vino.

Poi si svolgevano le gare di corsa con le bighe (ludi cursoribus) in onore di Marte e Robigo. Ma c'erano i Ludi maggiori e i Ludi Minori, e si suppone che nei Ludi Maggiori si facessero anche altri tipi di gare. Nel carro da corsa, i giovani conducenti dovevano aver acquisito esperienza con una biga prima di poter guidare quattro cavalli quattro cavalli (quadriga).
Si è supposto che a causa del cambiamento di genere della divinità sia cambiato anche il genere delle vittime, per cui in origine dovevano essere sacrificati un cane e un montone.

Il motivo del sacrificio canino è spiegato dallo stesso flamine a Ovidio: quando la "Stella del Cane" (cioè Sirio) appare in cielo inizia la stagione calda (canicola) e c'è il pericolo che le messi maturino troppo presto; per scongiurare questo pericolo viene sacrificato un cane (o cagna) in analogia al nome della costellazione. In realtà è probabile che il cane fosse sacrificato in quanto animale legato a divinità infere come Robigo.

Il Praenestini Fasti registrano che il giorno stesso della festa si celebravano anche i lavoratori del sesso: sia maschi che femmine. Come molti altri aspetti del diritto romano e della religione, l'istituzione del Robigalia è stato attribuito ai Sabini Pompilio Numa, nell'undicesimo anno del suo regno, come il secondo re di Roma. La presenza combinata di Numa e il Quirinale flamen può suggerire una origine sabina.


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