DOMUS E VILLE
Calcolando che più o meno Roma imperiale potesse occupare la superficie del centro storico, cioè di quasi 1.280 kmq, di certo non poteva bastare ad una popolazione 1.200.000 - 1.500.000 abitanti. Un notevole spazio era occupato dalle vie, dalle piazze, dagli edifici pubblici, dai templi, basiliche, teatri, circhi, magazzini, caserme, poi dal Tevere, dai parchi, dai giardini, dalle palestre, dai portici, dai bagni pubblici, dalle scuole e dalle terme. Il rimedio all'insufficienza dello spazio fu lo sviluppo in altezza delle case romane, cioè le insule.
Solo con gli studi pubblicati ai primi del Novecento sugli scavi archeologici di Ostia e sui resti trovati sotto la scala dell'Ara Coeli, nonchè su quelli vicini al Palatino in via dei Cerchi, ci si è accorti che la casa romana non poteva esser presa a modello dalle case di Pompei ed Ercolano dove prevaleva la classica domus indipendente perchè a Roma prevalevano le insulae, insomma più palazzi che ville.
Pertanto l'abitazione degli antichi romani era di due tipi: la domus e l'insula. Le case popolari, cioè le insule, avevano aperture soprattutto verso l'esterno, un po' come i palazzi di oggi. Infatti le insule erano palazzi, a volte isolate, a volte costituivano una serie di edifici disposti a quadrilatero, con un cortile centrale, porte, finestre e scale sia verso l'esterno sia verso l'interno.
Dal III sec. a.c. si edificarono le insulae di tre piani (tabulata, contabulationes, contignationes) tanto che Tito Livio, narrando dei prodigi che nell'inverno del 218-17 a.c. avevano preconizzato l'invasione di Annibale, narra che un toro sfuggito al padrone nel Forum Boarium era entrato in un portone, raggiunto il terzo piano e si era lanciato nel vuoto terrorizzando i passanti.
« Vista l'importanza della città e l'estrema densità della popolazione, è necessario che si moltiplichino in numero incalcolabile gli alloggi. Poiché gli alloggi al solo piano terra non possono accogliere tale massa di popolazione nella città, siamo stati costretti, considerando questa situazione, a ricorrere a costruzioni in altezza.»
(Vitruvio, De architectura, II, 8, 17)
Essendo poi le insule soggette a incendi e a crolli lamenta Giovenale:
«Chi teme o mai temé che gli crollasse
la casa nella gelida Preneste
o tra i selvosi gioghi di Bolsena [...]?
Ma noi in un'urbe viviam che quasi tutta
si sostiene su esili puntelli;
questo rimedio gli amministratori
alle mura cadenti oppongono solo,
e poi, quando tappato hanno alle vecchie
crepe gli squarci, voglian che si dorma
placidi sotto gli imminenti crolli.»
La domus invece era una costruzione solida e tranquilla, poderosa e signorile, di pianta rettangolare, solidamente costruita su un solo piano con mattoni o calcestruzzo (impasto di sabbia, ghiaia, acqua e cemento), costituita da mura quasi senza finestre verso l'esterno ma totalmente aperta verso l'interno. Si distingueva dalla villa suburbana, che invece era un'abitazione privata di villeggiatura situata al di fuori delle mura della città, e dalla villa rustica, situata in campagna e dotata di ambienti appositi per i lavori agricoli.
La casa si sviluppava in orizzontale ed era composta da molte stanze con funzioni diverse: l'ingresso bipartito in vestibulum e fauces (da cui si accedeva all'atrium, che era la stanza centrale subito dopo l'ingresso, da cui si poteva accedere agli altri ambienti che vi si affacciavano), le stanze da letto dette cubicula, la sala dei banchetti detta oecus tricliniare o triclinium (dove gli ospiti potevano mangiare sdraiati sui letti tricliniari), alcuni ambienti laterali detti alae, il tablinum (locale adibito a salotto solitamente posto in fondo all'atrium).
Le stanze che si affacciavano direttamente sulla strada erano solitamente affittate a terzi per essere adibite a negozi o botteghe artigiane ed erano denominate tabernae. Nel retro della casa all'aperto c'era l'hortus, il giardino/orto domestico.
Le domus più prestigiose erano più ampie ed erano composte di due parti principali: la prima gravitava attorno all'atrio, la seconda attorno al peristylium, un grande giardino porticato su cui si affacciano altre stanze, ornato solitamente da alberi da frutto, giochi d'acqua e piccole piscine.
Insomma l'ordine era più o meno così:
- Ostium
- Vestibulum
- Facies
- Atrium
- Androm
- Perystilium
- Lararium
- Piscinula
- Hortus
- Culina
- Triclinium
- Cubicula
- Balneum
- Stanze degli schiavi
- Magazzini
LA STORIA
- Degli edifici romani abbiamo le prime notizie verso la metà dell'VIII sec. a.c., quando gli aristocratici romani trasformano le loro capanne (casae) in domus. Queste possedevano più ambienti, tra cui una grande sala, che affacciano tutti su una corte. I suoi muri erano in argilla bagnata e pressata su rami stagionati, mentre il tetto era di rami più grossi ricoperti di paglia.
- Verso la metà del VI sec. a.c. si cominciano a costruire muri un poco più solidi, formati da un muretto in ciottoli di tufo con sopra un elevato in argilla. Il tetto poi, all'uso etrusco, divenne un tetto in tegole e coppi.
- Alla fine del VII sec. a.c. le mura delle case furono interamente edificate in ciottoli squadrati di tufo e le porte ebbero stipiti in tufo lavorato.
- Verso la metà del VI sec. a.c. l'abitazione romana seguì del tutto il modello etrusco, cioè la casa che si sviluppa attorno all'atrio, parzialmente ricoperto dall'incontro delle quattro falde del tetto, sorrette da travi orizzontali.
Dall'apertura dell'atrio (compluvium) entravano la luce e l'acqua piovana, raccolta in una vasca (impluvium) e di qui fatta defluire in una cisterna sotterranea, il che assicurava una riserva d'acqua per i bisogni della casa. Ma anche nei giardini intorno alla casa si scavarono cisterne come approvvigionamento d'acqua per le piante.
I muri erano in massi di tufo di elevata grandezza realizzati in opera quadrata irregolare. Questo modello di abitazione durò tre secoli. Sembra che il primo esempio di casa ad atrio a Roma sia stato quello di Tarquinio Prisco (che del resto era etrusco) sul Palatino, prima residenza privata poi domus publica.
- Tra la fine del III sec. a.c. e la metà del II sec. a.c. la casa romana si trasforma interamente sul modello etrusco, ma senza un piano urbanistico. Poi Nerone ne fece sviluppare uno ma relativo solo a una parte del Palatino. L'atrio di forma arcaica si trasforma in opus caementicium, simile al cemento odierno, ma privo delle armature in ferro. Ne è di esempio l'atrium regium della domus publica di Augusto, ricostruita nel 210 a.c., con peristilio e criptoportico.
- Dal 110 - 120 d.c. si sviluppano sempre di più le insulae, in cui abitavano il proprietario e gli affittuari.
LE STANZE
La domus romana si evince soprattutto dagli scavi di Pompei, ed è una combinazione tra l'antica Domus Italica, formata da un solo cortile aperto (atrium) su cui si aprivano le stanze e da un giardinetto (hortus), con la casa greca sviluppata attorno a un peristylium.
Il numero e l'ampiezza degli ambienti e dei giardini, l'arredamento e la decorazione delle stanze variavano a seconda dell'eta' (repubblicana, imperiale, ecc.) e della ricchezza del proprietario. La domus si snodava comunque in stanze che si susseguivano in un ordine prestabilito: fauces, atrium, alae, triclinium,tablinum, peristilio.
Le domus più ricche erano però composte di due parti principali: la prima sviluppata attorno all'atrio, la seconda attorno al peristylium, un grande giardino porticato su cui si affacciano altre stanze, ornato in genere da alberi da frutto, giochi d'acqua. fontane, piccole piscine, statue ed oscillum.
I nomi delle stanze della parte anteriore della casa erano quelli latini dell'antica domus italica (atrium, tablinium, cubiculum, ecc.), mentre invece quelli della parte posteriore derivavano dalla casa greca (peristylium, exedra, triclinium, ecc.).
OSTIUM
Nella domus si accedeva da una porta affacciata sulla strada (ostium), di cui nella pittura qua sopra se ne scorge una sulla sinistra, con ai lati due colonne e un architrave lavorato aldisopra.
Era la soglia d'ingresso che immetteva in un corridoio (vestibulum), che, a sua volta, conduceva alla vera e propria entrata (fauces); da qui si passava al cortile interno, detto atrio, dotato di lucernario (atrium). In epoca imperiale la domus si fornì anche di una seconda uscita di servizio detta posticum posta normalmente sul lato della parete più ampia della casa, per permettere il passaggio della servitù e dei rifornimenti senza ingombrare l'ingresso principale.
La porta stradale dava l'idea della lussuosità della casa, visto che dal di fuori il suo interno era invisibile, così le famiglie più ricche la ornavano con marmi pregiati, colonne con ricchi capitelli corinzi ed architravi, anch'essi in marmo, finemente lavorati.
In quanto alla porta vera e propria essa era di legno massiccio e borchiato, fornito internamente di poderosi catenacci. Spesso il legno era lavorato a cassettoni con rinforzi orizzontali e verticali, spesso dotata di battenti di bronzo raffiguranti sfingi, teste di leone, di lupo, o si qualche divinità.
VESTIBULUM
Era un breve e stretto corridoio che dall'ostium portava alle fauces, l'entrata vera e propria della casa. Il vestibolo non era molto illuminato eppure spesso aveva un soffitto a volta decorato con dipinti o stucchi.
Dobbiamo sempre considerare l'illuminazione artificiale, con candele e torce, includendo pure delle torce fissate ai muri per le serate eleganti, dove gli ospiti potevano ammirare ogni passaggio della domus, apprezzando sia la finezza dei padroni di casa sia le loro possibilità economiche. Per questo tutto ciò che poteva venire ornato lo era, trattandosi di affreschi o marmi in opera sectile o stucchi su pareti e soffitti.
FAUCES
L'entrata principale si trovava generalmente su uno dei due lati più corti della casa. La porta era costituita da un alto portone in legno a due battenti con grosse borchie in bronzo; al centro di ogni battente non era raro trovare raffigurata la testa in bronzo, di un lupo o di un leone che stringeva in bocca un grande anello da usare come batacchio.
Spesso poi per terra c'era un mosaico con la figura di un cane minaccioso con la scritta "Cave canem", attenti al cane, un avviso ai questuanti ma soprattutto ai ladri.
ANDRON
Attraverso un corridoio chiamato andron, (da cui la parola androne, cioè ingresso), dall'atrio si raggiungeva il peristylium, la parte piu' interna e spettacolare della casa. Era qui, nella parte posteriore della casa, che si svolgeva di solito la vita privata della famiglia, tutta raccolta intorno ad un giardino ben curato.
Anche l'androne veniva ornato nelle domus più signorili con dipinti, mezzecolonne, stucchi ecc., e pure con tendaggi e talvolta panchine o scranni. Da lì si accedeva al peristlio e da questo prendeva luce.
ATRIUM
L'atrio (atrium) era in epoca arcaica la stanza del focolare al centro della domus, dove i muri erano anneriti dal fumo (ater) e attorno al quale si svolgeva la vita familiare. Questa usanza fu presto abbandonata ma restò a simboleggiare il focolare una piccola piattaforma rialzata interna all'impluvio, il cartibulum.
Il cartibulum era quel tavolinetto di pietra o di marmi vari che quasi sempre si rinvenne a Pompei, Ercolano ecc. costituito da una lastra marmorea sorretta da due grosse lastre lavorate e poggiate sopra strette basi.
Le due lastre erano scolpite a foggia di animali come grifoni, sfingi, leoni ecc. o se più semplici, con motivi floreali. Questo tavolinetto simboleggiava il tavolino dell'antica domus, dove si poggiavano i cibi e la famiglia di riuniva per mangiare attorno a questo desco che all'epoca doveva essere semplicemente in legno.
Successivamente invece venne spesso usato dal padrone di casa per sbrigare gli affari che non richiedevano troppi cerimoniali. Infatti vi venivano poggiati gli strumenti per scrivere, dallo stilo alle tavole cerate e alle pergamene, un cesto dove raccogliere lettere e suppliche o conti vari.
Nell'Atrium, generalmente quadrato, c'era un Lararium in cui erano esposte le immagini degli antenati, le statue dei Lari, dei Mani e dei Penati protettori della casa, della famiglia e di altre divinita', le opere d'arte, gli oggetti di lusso e altri segni di nobilta' o di ricchezza; qui il padrone di casa riceveva visitatori e clienti, soci e alleati politici. Inizialmente, accanto ad essi, veniva alimentato un fuoco sacro, che non doveva mai spegnersi, pena l'ira degli Dei, ma poi quest'usanza tramontò.
L'Atrio poteva essere:
- Displuviatum, di derivazione greca ed etrusca, con pendenza del tetto verso le pareti laterali che faceva sgrondare l'acqua in docce ai quattro angoli.
- Testudinatum, privo dell'impluvio, utilizzato solo in ambienti piccoli e di scarsa importanza. In linea con l'ingresso, nella parete opposta dell'atrium, si apriva il tablinium che affacciava a sua volta sul peristylium.
Era la soglia d'ingresso che immetteva in un corridoio (vestibulum), che, a sua volta, conduceva alla vera e propria entrata (fauces); da qui si passava al cortile interno, detto atrio, dotato di lucernario (atrium). In epoca imperiale la domus si fornì anche di una seconda uscita di servizio detta posticum posta normalmente sul lato della parete più ampia della casa, per permettere il passaggio della servitù e dei rifornimenti senza ingombrare l'ingresso principale.
La porta stradale dava l'idea della lussuosità della casa, visto che dal di fuori il suo interno era invisibile, così le famiglie più ricche la ornavano con marmi pregiati, colonne con ricchi capitelli corinzi ed architravi, anch'essi in marmo, finemente lavorati.
In quanto alla porta vera e propria essa era di legno massiccio e borchiato, fornito internamente di poderosi catenacci. Spesso il legno era lavorato a cassettoni con rinforzi orizzontali e verticali, spesso dotata di battenti di bronzo raffiguranti sfingi, teste di leone, di lupo, o si qualche divinità.
VESTIBULUM
Era un breve e stretto corridoio che dall'ostium portava alle fauces, l'entrata vera e propria della casa. Il vestibolo non era molto illuminato eppure spesso aveva un soffitto a volta decorato con dipinti o stucchi.
Dobbiamo sempre considerare l'illuminazione artificiale, con candele e torce, includendo pure delle torce fissate ai muri per le serate eleganti, dove gli ospiti potevano ammirare ogni passaggio della domus, apprezzando sia la finezza dei padroni di casa sia le loro possibilità economiche. Per questo tutto ciò che poteva venire ornato lo era, trattandosi di affreschi o marmi in opera sectile o stucchi su pareti e soffitti.
FAUCES
L'entrata principale si trovava generalmente su uno dei due lati più corti della casa. La porta era costituita da un alto portone in legno a due battenti con grosse borchie in bronzo; al centro di ogni battente non era raro trovare raffigurata la testa in bronzo, di un lupo o di un leone che stringeva in bocca un grande anello da usare come batacchio.
Spesso poi per terra c'era un mosaico con la figura di un cane minaccioso con la scritta "Cave canem", attenti al cane, un avviso ai questuanti ma soprattutto ai ladri.
ANDRON
Attraverso un corridoio chiamato andron, (da cui la parola androne, cioè ingresso), dall'atrio si raggiungeva il peristylium, la parte piu' interna e spettacolare della casa. Era qui, nella parte posteriore della casa, che si svolgeva di solito la vita privata della famiglia, tutta raccolta intorno ad un giardino ben curato.
Anche l'androne veniva ornato nelle domus più signorili con dipinti, mezzecolonne, stucchi ecc., e pure con tendaggi e talvolta panchine o scranni. Da lì si accedeva al peristlio e da questo prendeva luce.
ATRIUM
L'atrio (atrium) era in epoca arcaica la stanza del focolare al centro della domus, dove i muri erano anneriti dal fumo (ater) e attorno al quale si svolgeva la vita familiare. Questa usanza fu presto abbandonata ma restò a simboleggiare il focolare una piccola piattaforma rialzata interna all'impluvio, il cartibulum.
IL CARTIBULUM |
Le due lastre erano scolpite a foggia di animali come grifoni, sfingi, leoni ecc. o se più semplici, con motivi floreali. Questo tavolinetto simboleggiava il tavolino dell'antica domus, dove si poggiavano i cibi e la famiglia di riuniva per mangiare attorno a questo desco che all'epoca doveva essere semplicemente in legno.
Successivamente invece venne spesso usato dal padrone di casa per sbrigare gli affari che non richiedevano troppi cerimoniali. Infatti vi venivano poggiati gli strumenti per scrivere, dallo stilo alle tavole cerate e alle pergamene, un cesto dove raccogliere lettere e suppliche o conti vari.
Nell'Atrium, generalmente quadrato, c'era un Lararium in cui erano esposte le immagini degli antenati, le statue dei Lari, dei Mani e dei Penati protettori della casa, della famiglia e di altre divinita', le opere d'arte, gli oggetti di lusso e altri segni di nobilta' o di ricchezza; qui il padrone di casa riceveva visitatori e clienti, soci e alleati politici. Inizialmente, accanto ad essi, veniva alimentato un fuoco sacro, che non doveva mai spegnersi, pena l'ira degli Dei, ma poi quest'usanza tramontò.
L'Atrio poteva essere:
- Displuviatum, di derivazione greca ed etrusca, con pendenza del tetto verso le pareti laterali che faceva sgrondare l'acqua in docce ai quattro angoli.
- Testudinatum, privo dell'impluvio, utilizzato solo in ambienti piccoli e di scarsa importanza. In linea con l'ingresso, nella parete opposta dell'atrium, si apriva il tablinium che affacciava a sua volta sul peristylium.
Probabilmente l'atrio non era chiuso da porte ma da tende, che nella stagione estiva potevano essere lasciate aperte offrendo ai visitatori una fuga prospettica di splendido effetto. Di solito venivano qui accolti i clientes del padrone di casa, spesso ex schiavi liberati, o i liberti altrui che proponevano affari, o informatori o procacciatori di voti per le elezioni.
Di norma c'era anche un cofano contenente dei soldi che il dominus elargiva ai vari clientes o per ottemperare ai pagamenti. Ma su questo tavolo si poteva anche riscuotere, ad esempio l'affitto dei negozi di proprietà del dominus che spesso si aprivano sui lati esterni della domus.
La parte anteriore della casa era pertanto un grande vano, l'atrio, con un'ampia apertura sul soffitto, spiovente verso l'interno (compluvio): di qui scendeva l'acqua piovana, che veniva raccolta in una vasca rettangolare (impluvio) sistemata nello spazio sottostante. Quest'acqua era poi convogliata in una cisterna sotterranea, che costituiva la riserva idrica della casa.
In seguito l'atrium identificò il cortile interno: uno spazio aperto circondato su tre o tutti i lati da portici, dotato di copertura con impluvio e corrispondente compluvio. Nell'atrium erano collocati la cappelletta per i Lari, (lararium) e la cassaforte domestica (arca).
Dell'atrium Vitruvio descrive alcune tipologie:
- Tuscanicum, il tipo più antico e più largamente diffuso in cui il peso del tetto è sorretto unicamente dalle travature orizzontali
- Tetrastylum, con una colonna a ciascuno dei quattro angoli dell'impluvium. Ne è un esempio la Casa delle Nozze d'Argento di Pompei.
- Corinthium, con un maggior numero di colonne e un'ampia apertura di luce.
L'impluvio svolgeva anche la funzione di contribuire a rendere più luminosa e bella la casa, riflettendo la luce solare e l'azzurro del cielo. L'atrio rappresentava anche la principale fonte di illuminazione della casa che, praticamente sprovvista di finestre, sarebbe stata altrimenti buia.
LARARIUM
Posto nell'atrio era una rientranza o nicchia o edicola fatta e decorata in varie fogge, o con soffitto arcuato o con un tettuccio di mattoni o legno o pietra.
IL LARARIUM SUL FONDO |
Ma una domus poteva avere anche più di un larario, sicuramente uno più grande ed altri minori, da tenere nei cubicula o fuori della porta per non doversi recare necessariamente nell'atrio quando si aveva la necessità di pregare.
Nel larari, oltre ai Lari, ai Penati e ai mani, si ponevano le statuine o le immagini di altre divinità cui si era particolarmente devoti. Talvolta vi comparivano geni vari o serpenti o esseri mitici. Ed ecco invece gli arnesi che si custodivano nel larario per il rito quotidiano:
- Acerra - un cofanetto, di forma quadrangolare o cilindrica, dove si conservava l’incenso da usare nei sacrifici; detto anche arca turaria, di terracotta o di metallo inciso o di legno. Nelle cerimonie la recava un giovane assistente (camillus), al sacerdote perché ne traesse i grani da gettare nel fuoco.
- Salinum - vasetto del sale purificato. Era in genere di metallo inciso, Il sale aveva un grande valore purificatorio tanto è vero che la Dea Salus traeva il suo nome dal sale. I romani credevano che fosse purificatorio anche nei confronti degli spiriti malvagi.
- Gutus - contenitore di latte o vino destinati ad uso sacro. Poteva essere in terracotta, in metallo, in vetro o in pietra.
- Patera - piattino delle offerte, tondo in genere ma qualche volta ovale. Poteva contenere cibo e/o vino. Veniva usato in tutte le circostanze di riti religiosi.
- Incensus - varie qualità di resine, o misture di resine ed incensi che venivano bruciate su carboncini..
- Turibulum - bruciatore di incenso ed erbe. In genere in metallo su cui si poneva la sabbia, il carboncino e sopra l'incenso.
- Lucerna - una lucerna sacra usata esclusivamente per il rito del larario. La sua luce veniva accesa all'inizio del rito e spenta al suo termine.
CAVEDIO
Così si denominò cavedio (cavaedio) lo spazio scoperto al centro della domus, che oggi si definirebbe chiostrina. Poteva essere di vaie misure, perloppiù quadrato se l'atrio era quadrato o rettangolare come l'altro.
La sua ampiezza dipendeva pure dalla locazione della villa, più grande se la domus era in zona più meridionale o assolta e più ristretta al nord o in zone più fredde.
Esso era contornato al perimetro da un muro, sul quale si aprivano le porte di accesso alle varie stanze. Queste prendevano pertanto da esso aria e luce, offrendo protezione dalla pioggia e dall'afa estiva.
COMPLUVIUM
Generalmente la domus signorile non era dotate di finestre sull'esterno, o, se vi erano, erano molto piccole per evitare che dall'esterno potessero entrare rumori o, peggio, ladri.
L'illuminazione era fornita pertanto e soprattutto dalla luce solare che entrava dal compluvium dell'atrio. e illuminava di riflesso le stanze ad esso adiacenti.
In genere il compluvium aveva delle antefisse che ornavano gli spioventi interni del tetto che potevano essere intravisti dall'atrio, di solito in terracotta semplice o decorata e colorata. Le antefisse potevano avere teste di divinità, o teste di grifoni o semplicemente fregi floreali, eseguiti in terracotta colorata.
Aveva inoltre almeno quattro doccioni agli angoli del tetto aperto, di solito in pietra, a foggia di lupo, leone, grifone o altro. I doccioni, oltre ad essere decorativi, aiutavano il percorso dell'acqua nel riversarsi dentro la vasca sottostante. Infatti dal compluvium entrava, oltre che la luce, anche l'acqua piovana che veniva raccolta in una vasca o cisterna quadrangolare al centro dell'atrio detta impluvium.
IMPLUVIUM
Trattavasi della vasca in pietra posta aldisotto del compluvium che serviva a raccogliere l'acqua piovana. In genere era ornata di marmi, talvolta con colonne, statue o vasi sempre di pietra. Ce n'erano con una statuetta al suo centro posta su un piedistallo, o con una statua posta sul "cartibulum", o con quattro vasi posti agli angoli della vasca.
La vasca era bassa, visto che l'acqua non poteva debordare in casa, ma era fornita di un troppo-pieno che faceva defluire, ad un certo livello, l'acqua dentro una cisterna sotterranea. Di solito aveva un bordo e uno o più gradini interni, talvolta con un mosaico sul fondo ed intorno alla vasca. Questa acqua serviva per innaffiare il giardino, lavare i panni e tenere pulita la casa. Per bere si ricorreva invece ad un pozzo posto in genere nel giardino.
TABLINIUM
Sul fondo dell'atrio, proprio di fronte all'entrata, si trovava una grande sala di soggiorno (tablinum), separata dall'atrio soltanto da tendaggi. In questa parte della casa erano esposte le immagini degli antenati, le opere d'arte, gli oggetti di lusso e altri segni di nobiltà o di ricchezza.
Nella parete dell'atrium, posta direttamente di fronte all'ingresso, si apriva dunque questa grande stanza, la stanza-studio del padrone di casa dove erano conservati gli archivi di famiglia e dove riceveva i suoi clienti: aveva gli angoli delle pareti foggiate a pilastri, era separata dall'atrium soltanto da tendaggi, e aveva un'ampia finestra che dava sul peristylium da cui riceveva luce ed aria.
Era arredata spesso con un grande tavolo di pietra ed una imponente sedia posti al centro della stanza, in legno o in vimini, corredata di ricchi cuscini damascati con frange e pennacchi, mentre di lato erano sistemati alcuni sgabelli, tutti arredi dalle gambe tornite e decorate con intagli in osso, in avorio o in bronzo.
Qui il padrone di casa riceveva i visitatori, i clienti, gli schiavi da lui liberati, i soci, i questuanti e gli alleati politici, oppure persone che gli offrivano qualcosa o da cui doveva ottenere lui stesso qualcosa. In origine esso conteneva anche il letto maritale, ovvero il talamo nuziale; più tardi rimase soltanto come sala di ricevimento.
Il tablinum (o tabulinum, da tabula) introduceva dall'atrio al peristilio, da cui era separato da un'ampia finestra o da una stanzetta. Le sue pareti erano affrescate, e i busti marmorei della gens e della familia erano posti su piedistalli ai due lati della stanza.
Esso era a tutti gli effetti l'ufficio o lo studio del capofamiglia, il luogo dove egli svolgeva gli affari, in genere era dotato di un tavolo, di una seggiola su cui poteva sedere il dominus, nonchè una per l'ospite, o più di una per gli ospiti, di un ricco forziere, di uno o due candelabri, di tavolinetti più piccoli dove venivano posate bottiglie e bicchieri per offrire agli ospiti di riguardo, o vasellame d'argento che dessero l'idea della ricchezza del proprietario e pure del suo buon gusto.
PERISTYLIUM
La vita privata della famiglia si svolgeva di solito nella parte posteriore della casa, raccolta intorno ad un giardino ben curato, che poteva anche essere circondato da un portico a colonne (peristilio) e ornato da statue, marmi e fontane.
Il peristylium consisteva in un giardino (Hortus) in cui crescevano con ordine ed armonia erbe e fiori, con sentieri, aiuole e a volte piccoli labirinti, il giardino all'italiana nasce da qui, quel giardino a siepi elaborate che poi in Francia verrà chiamato giardino alla francese. Il giardiniere curava le piante e spesso le sagomava a forma di animali.
Era circondato su ogni lato da un portico (Porticus) generalmente a due piani, sostenuto da colonne: il tutto arricchito da numerose opere d'arte, ornamenti marmorei, da affreschi, statue, fontane e oggetti in marmo (vasi, tavoli e panche).
Generalmente si appendevano alla sommità delle sue colonne degli oggetti che oscillavano al vento, detti appunto "Oscilla" (oscillum al singolare) che potevano essere di marmo inciso (da ambedue le parti) o in terracotta, o in bronzo o in gesso colorato.
Era la zona più luminosa, e spesso una delle più sontuose. Nel peristilio non era raro trovare anche una piscina, in genere stretta e lunga. Nel Peristylium affacciavano anche le camere da letto padronali, generalmente a due piani, sostenuti da colonne: lo arricchivano numerose opere d'arte e ornamenti marmorei.
Quest'ultimo era un cortile contornato da colonne sulle quali si poneva un tetto che si appoggiava alla casa. Le colonne avevano capitelli tuscanici, o dorici, o ionici o corinzii. Potevano essere lisce o scanalate, in marmo o in muratura.
Talvolta venivano dipinte di rosso in genere nella parte inferiore, in questo caso la parte dipinta era liscia mentre la superiore era scanalata. Veniva così a crearsi un portico le cui pareti erano spesso finemente decorate con pitture e mosaici.
Il pavimento del portico era generalmente in cocciopesto (con mescolato coccio o pietrisco), o in cotto, o in marmo composito o in mosaico. L'interno del peristilio conteneva piante, alberi, fontane, balaustre, statue, vasi, erme, tavolini in pietra, vasche con pesci e piscine.
Talvolta la piscina centrale era pur restando stretta, però molto lunga, si da ospitare ponticelli che facessero passare da una parte all'altra, e talvolta erano costellate ai bordi di statue e pure di panchine che consentivano di godere della frescura dell'acqua. Alcune domus possedevano invece piccole o grandi vasche di pesci, o fontane con giochi e schizzi d'acqua che potevano essere aperti o chiusi mediante macchinari.
Il peristylio accoglieva panchine lavorate, in granito o in marmo, e sui muri spesso dipinti con grottesche, scene mitiche, divinità, scene di animali o di piante e uccelli. Talvolta invece le pareti erano decorate in opus sectile, cioè con marmi colorati tagliati e inseriti tra loro.
Quest'ultima soluzione era molto costosa ma redditizia nel tempo perchè non si rovinava. La pittura invece era destinata a deteriorarsi per cui dopo diversi anni doveva essere ricostituita. Da considerare però che gli artisti all'epoca erano tanti e non costavano moltissimo. L'arte a Roma e dintorni era di casa.
CUBICULUM
Le camere da letto si chiamavano cubicoli. Esse, come indica il nome, erano stanze piccole, il più delle volte prive di finestre e si aprivano ai lati sinistro e destro dell'atrium. In genere i padroni dormivano in letti divisi, talvolta in un'unica stanza, talvolta in due stanze separate. In ogni caso il letto matrimoniale per i romani non esisteva.
CUBICULUM |
O almeno questo si pensa, ma non abbiamo idea di quali e quanti candelabri illuminassero la stanza finchè i padroni, che di solito dormivano in stanze divise, non avessero preso sonno. Era in genere compito dello schiavo spegnere silenziosamente le lanterne quando si accorgeva che l'altro aveva preso sonno.
D'altronde non avrebbe avuto senso ornare tanto le pareti con scene mitiche o di freschi giardini se il proprietario non avesse l'uso di restare per un po' sveglio, magari leggendo qualche testo di allora che oltre a deliziarlo gli conciliasse il sonno.
Il cubiculum aveva in genere un pavimento di mosaico a tessere bianche con semplici ornamenti, le pitture alle pareti erano diverse per stile e colore da quelle del resto della casa e il soffitto sopra il letto era sempre a volta.
L'arredamento dei cubicula erano i letti, i più diffusi erano dei lettini a una piazza (lectuli); vi erano poi quelli a due piazze per gli sposi (lectus genialis). I letti potevano essere in bronzo, più spesso in legno lavorato o in legni pregiati esotici che lucidati emanavano tanti colori come le piume di un pavone (lecti pavonini).
LA CULINA |
CULINA
Si affacciavano sul peristylium anche la cucina (culina) che, vista la sontuosita' dei banchetti si potrebbe pensare fosse una stanza grande come sullo stile di quelle medievali, invece era il locale piu' piccolo e tetro della casa; uno sgabuzzino occupato quasi tutto da un focolare in muratura, invaso dal fumo che usciva da un buco sul soffitto vista l'assenza di fumaioli, con la presenza di un camino, un piccolo forno per il pane e l'acquaio.
La cucina non aveva comunque una ubicazione fissa; a volte la si trovava anche che affacciava nell'atrium, ma e' caratteristica costante che fosse stata sempre un ambiente piccolo e buio. Un aspetto comune delle cucine romane erano le casseruole e pentole di rame (o bronzo) fissate sulla parete in bella mostra, con accanto i colini; arricchivano la dotazione degli utensili i pestelli in marmo, gli spiedi, le padelle di terracotta, le teglie a forma di pesce o di coniglio.
Il piano di cottura era costituito da un bancone in muratura dove veniva spianata la brace come in un barbecue; il fuoco si accendeva grazie ad un acciarino a forma di ferro di cavallo che, tenuto per la parte centrale, veniva fatto percuotere addosso ad un pezzo di quarzo tenuto fermo dall'altra mano; da innesco veniva usata una striscia di fungo legnoso del genere Fomes che cresceva sugli alberi e della paglia quando il fungo cominciava a rilasciare il calore ricevuto dalle scintille. Una volta calda la brace, su questa venivano posizionati sopra dei tre piedi di metallo, come fornelli, dove sopra vi si mettevano le pentole e le marmitte.
IL BALNEUM |
BALNEUM
Annesso alla cucina c'era il bagno (balneus), riservato alla famiglia padronale, e le stanze della servitu' (cellae servorum); queste non avevano una disposizione fissa (a volte, infatti, si trovavano nella parte dell'atrium).
Quattordici acquedotti che portavano all'Urbe un miliardo di litri d'acqua al giorno, 247 vasche di decantazione (castella), le numerose fontane ornamentali, le grosse canalizzazioni delle case private hanno fatto pensare che nella case romane vi fosse una distribuzione di acqua corrente in tutta l'urbe.
Solo con il principato di Traiano l'acqua (aqua Traiana) di sorgente fu portata sulla riva destra del Tevere dove la gente sino ad allora si era dovuta servire di quella dei pozzi. Poi anche nella riva sinistra le derivazioni collegate ai castella, venivano concesse dietro pagamento di un canone solo a titolo strettamente personale e per le terre agricole.
Il balneum, il bagno romano, era l'esatta copia delle terme (comprendeva infatti l'apodyterium, lo spogliatoio, il calidarium, la piscina dell'acqua calda, il tepidarium, piscina dell'acqua tiepida, per arrivare al frigidarium che era la piscina con l'acqua fredda). In alcune ville più ricche si poteva trovare anche la bibliotheca, la diaeta, un padiglione per intrattenere gli ospiti ed il solarium, una terrazza che poteva anche essere coperta.
TRICLINIUM
La sala da pranzo veniva chiamata triclinio perché conteneva tre letti a tre posti, su cui i romani si sdraiavano durante i banchetti. Il triclinio detto oecus tricliniare o triclinium, poteva essere ubicato di fianco a una delle due alae, ed era la grande e sontuosa sala da pranzo, che prendeva luce da una apertura che dava da una parte sul peristylium e dall'altra sull'atrio.
Si trovava nell'una o nell'altra parte della casa, spesso in entrambe. Pertanto si poteva avere più di un triclinio, in genere i due lati si usavano a riguardo della stagione. L'esposizione a nord nella stagione più calda, a sud nella stagione primaverile o autunnale e invece interna alla casa nella stagione più fredda. Così i letti venivano spostati da un lato all'altro della casa a seconda del numero degli ospiti.
I triclini erano lussuosi, con affreschi alle pareti e mosaici ai pavimenti. In epoca imperiale furono soggetti a trasformazioni in esedra, sala per feste e ricevimenti. In genere queste stanze erano a tre letti ma esistevano però triclini più vasti che potevano accogliere più letti di questi. In genere questi erano eseguiti in muratura, rivestiti con materassini e lenzuola, con coperte nella stagione più fredda.
Trattavasi di un letto unico a tre lati, muniti di cuscini, lenzuola e coperte con lo spazio per tavolini interni. Gli ospiti giacevano a pancia sotto poggiando su un gomito e con l'altra mano pescavano bocconcini di cibo già tagliati e posti nelle ciotole dagli schiavi.
Quattordici acquedotti che portavano all'Urbe un miliardo di litri d'acqua al giorno, 247 vasche di decantazione (castella), le numerose fontane ornamentali, le grosse canalizzazioni delle case private hanno fatto pensare che nella case romane vi fosse una distribuzione di acqua corrente in tutta l'urbe.
Solo con il principato di Traiano l'acqua (aqua Traiana) di sorgente fu portata sulla riva destra del Tevere dove la gente sino ad allora si era dovuta servire di quella dei pozzi. Poi anche nella riva sinistra le derivazioni collegate ai castella, venivano concesse dietro pagamento di un canone solo a titolo strettamente personale e per le terre agricole.
Il balneum, il bagno romano, era l'esatta copia delle terme (comprendeva infatti l'apodyterium, lo spogliatoio, il calidarium, la piscina dell'acqua calda, il tepidarium, piscina dell'acqua tiepida, per arrivare al frigidarium che era la piscina con l'acqua fredda). In alcune ville più ricche si poteva trovare anche la bibliotheca, la diaeta, un padiglione per intrattenere gli ospiti ed il solarium, una terrazza che poteva anche essere coperta.
IL TRICLINIUM |
TRICLINIUM
La sala da pranzo veniva chiamata triclinio perché conteneva tre letti a tre posti, su cui i romani si sdraiavano durante i banchetti. Il triclinio detto oecus tricliniare o triclinium, poteva essere ubicato di fianco a una delle due alae, ed era la grande e sontuosa sala da pranzo, che prendeva luce da una apertura che dava da una parte sul peristylium e dall'altra sull'atrio.
Si trovava nell'una o nell'altra parte della casa, spesso in entrambe. Pertanto si poteva avere più di un triclinio, in genere i due lati si usavano a riguardo della stagione. L'esposizione a nord nella stagione più calda, a sud nella stagione primaverile o autunnale e invece interna alla casa nella stagione più fredda. Così i letti venivano spostati da un lato all'altro della casa a seconda del numero degli ospiti.
TROCLINI IN MURATURA |
Trattavasi di un letto unico a tre lati, muniti di cuscini, lenzuola e coperte con lo spazio per tavolini interni. Gli ospiti giacevano a pancia sotto poggiando su un gomito e con l'altra mano pescavano bocconcini di cibo già tagliati e posti nelle ciotole dagli schiavi.
Gli schiavi porgevano loro i bicchieri e il cibo, toglievano i piatti vuoti, fornivano le salviette per pulirsi e cambiavano o lenzuolini se si sporcavano. In altri casi si trattava di letti veri e propri, di legno, semplici o decorati.
I tre letti, all'interno del triclinio, erano disposti a ferro di cavallo in modo da permettere facilmente il passaggio della schiavitù. Il letto centrale, il medius lectus, che poteva contenere più di un solo letto, era destinato agli ospiti più importanti, tra i quali vi era il personaggio più prestigioso in assoluto, che sedeva sulla parte più alta, il locus consularius.
I triclini laterali, che potevano contenere più di un solo letto ed erano sempre posti affiancati, erano chiamati rispettivamente imus lectus, destinato alle persone meno importanti, tra cui, per rispetto agli ospiti si poneva il padrone, e il sumus lectus, su cui erano gli ospiti di media importanza.
Tra i letti triclinari vi era un tavolo che, a seconda della sua forma, assumeva nomi diversi: quello di forma quadrata era detto cilliba e poggiava su quattro piedi, quello circolare, che poggiava su tre piedi, veniva chiamato mensa, e quello utilizzato per le bevande era detto urnarium.
Alla fine di ogni banchetto la servitù provvedeva a rimettere in ordine i letti triclinari sostituendone le lenzuola macchiate, ed a raccogliere dal pavimento i resti del cibo gettato, secondo usanza, in terra durante il pasto. Ma gli schiavi personali che spesso gli ospiti stessi si portavano, badavano a cambiare la clamide del padrone quando la scorgevano macchiata o provvedevano a nettargli le mani con acqua di rose fornita dagli schiavi del padrone.
HORTUS
Nella parte posteriore della casa, al cui centro vi era il peristilio (peristylium), si svolgeva di solito la vita privata della famiglia, tutta raccolta intorno ad un giardino ben curato (Hortus), che poteva anche essere circondato da un portico a colonne (porticus) e ornato da statue, marmi e fontane, dove affacciavano le camere da letto (i cubicola) padronali.
I Romani iniziarono a riservare spazi verdi all’interno delle domus cittadine, a partire dal II secolo a.c., un po' all'uso greco greco, dove la cura di piccoli frutteti o giardini era già in uso fin dal V sec. a.c. I primi horti romani riguardarono anzitutto gli alberi da frutto e le erbe aromatiche. Seguirono poi i viridaria, con specie arboree e da fiore provenienti da tutto il bacino del mediterraneo, coltivati sia per l'uso commestibile che per la bellezza.
Negli horti delle domus si coltivavano, oltre agli alberi da frutto, il rosmarino, l'alloro. la salvia, le rape, la ruta, il rafano, le carote, l'issopo, la borragine, l'achillea, le cipolle, l'aglio, i porri, la lattuga, la cicoria, i carciofi, l'indivia e i cetrioli. Il termine hortus tuttavia venne comunemente utilizzato per indicare sia l’orto-frutteto che il viridarium.
PISCINULA |
Il termine piscinula deriva da piscis, pesce, in quanto vasca atta a contenere i pesci, che divenne tuttavia una delle bellezze dei peristilii.
Essa costituiva uno dei maggiori pregi del peristilio, perchè nella stagione calda contribuiva con le piante a tenere l'aria più fresca.
Era d'uso anche cenare accanto alla piscina godendo del dolce rumore dell'acqua e della sua frescura.
Alcuni amavano porre dei pesci nella piscina, altri la riservavano per potervisi bagnare, senza però esporsi al sole, perchè le romane amavano il candore della pelle, l'abbronzatura era riservata alle schiave e alle contadine.
La piscina era rivestita di marmi e così il suo bordo, oppure era in massi di travertino. Sul suo bordo si ponevano panchine, statuette, vasi di marmo, erme, cespugli ecc.
PORTICUS
Il giardino romano nelle ricche ville ornate e abbellite di capolavori, era quasi sempre circondato da un porticato di colonne, raramente di mattoni, più spesso di marmo. Le colonne di mattoni erano tonde o quadrate, quelle in marmo erano tonde, talvolta colorate per metà, in genere con la parte inferiore rossa e quella superiore gialla o bianca, oppure di colore naturale.
Le colonne avevano una base e un capitello ciascuna che sorreggevano il tetto spiovente sotto cui ripararsi dalla pioggia e dalla calura. Talvolta sotto al porticato si apriva il triclinio estivo, spesso eseguito in muratura.
EXEDRA
Il significato greco originale dell'esedra era di un sedile all'esterno della porta conducente a una stanza che si apre su un portico, circondata tutt'intorno da banchi di pietra alti e ricurvi: un ambiente aperto destinato a luogo di ritrovo e conversazione filosofica. Un'esedra poteva anche essere uno spazio vuoto ricurvo in un colonnato, magari con una cupola e comunque in genere con sede semicircolare.
L'esedra fu adottata dai Romani, ma come un grande ambiente di ricevimento, di ricreazione, utilizzato anche per banchetti e cene, con pavimenti in mosaico e pareti ricoperte di affreschi e marmi colorati. A volte avevano piani diversi, con scalinate, balaustre, scogli di pomice, statue, acqua che discendeva in rivoli, piante lacustri e portatorce per riflettere le luci tremule delle torce sulle acque gorgoglianti.
I PAVIMENTI ROMANI
Le stanze potevano essere pavimentate con tecniche speciali di diverso pregio: cocciopesto, piastrelle di terracotta, mosaici in bianco e nero o a colori, e preziosissimi pavimenti in marmo detti sectilia. Le pareti e a volte anche il soffitto erano decorate con affreschi. Poiché le stanze avevano una funzione prefissata spesso si adattavano i mosaici alla destinazione dell'ambiente. Per il triclinium, ad esempio, le nature morte dei cibi.
Nei vani di rappresentanza o destinati alla vita privata compare dal I sec. d.c. il battuto cementizio a fondo rosso con decorazioni lineari di tessere calcaree bianche. Al centro vi si poneva un mosaico a tappeto in cementizio con pietre multicolori o una campitura di cementizio con scaglie in pietre di vari colori a tutto campo.
Nelle terme si usava il laterizio con elementi di varie forme, talora associati a tesserine di calcare; infine l'opus spicatum, in parte nel vestibolo e, nel complesso termale, nella latrina e nei vani interpretati come apodyterium e frigidarium. Il sistema decorativo dei pavimenti in laterizio e battuti cementizi decorati venne poi ripreso nel tempo dai pavimenti veneziani e dalle famose cementine dei primi "900",
RISCALDAMENTO
Gli impianti di riscaldamento romani erano costituiti dall’ipocausi, uno o due fornelli alimentati secondo l'intensità o la durata della fiamma da legna, carbone vegetale o fascine e da un canale attraverso il quale passava il calore assieme alla fuliggine e al fumo che arrivavano nell'ipocausto adiacente, formato da piccole pile di mattoni (suspensurae) attraverso il quale circolava il calore che scaldava il pavimento delle stanze sospese sopra lo stesso ipocausto.
Le suspensurae non ricoprivano mai l'intera superficie degli ipocausti per cui per scaldare il pavimento di una stanza occorrevano più ipocausti. Invece poteva essere utilizzato per riscaldare un vano unico e isolato come si vede nelle stanza da bagno delle ville pompeiane o nel calidarium delle terme.
ILLUMINAZIONE
Le domus romane erano grandi e spaziose, areate ed igieniche, fornite di bagni e latrine, dotate di acqua corrente, calda e fredda, riscaldate d'inverno da un riscaldamento centrale (gli ipocausti, complessi dispositivi che facevano passare correnti d'aria calda sotto i pavimenti), vetri colorati e decorazioni con mosaici, affreschi variopinti e statue, erano abitazioni volte a soddisfare i bisogni dei loro inquilini, abbinandovi bellezza ed estetica, tanto da poter essere considerate le più comode che siano state costruite fino al XX secolo.
L'illuminazione della casa romana si basava sulle ampie finestre usate per illuminare e ventilare gli ambienti ma non sempre le finestre erano provviste del lapis specularis, una sottile lastra di vetro o di mica. Ma esternamente la domus aveva solo finestre poste in alto sulla strada, onde evitare rumori e ladri.
Spesso il lapis specularis veniva usato per chiudere una serra, o una sala da bagno o le terme, o gli edifici pubblici, ma per le finestre delle case popolari, si usavano soprattutto tele o pelli che ostacolavano solo in parte il vento e la pioggia, oppure, nelle case un po' più ricche battenti in legno che riparavano meglio dal freddo o dal calore ma che non lasciavano passare la luce.
Plinio il Giovane, che pure povero non doveva essere, racconta che per ripararsi dal freddo era costretto a vivere allo scuro tanto che neppure si vedeva il bagliore dei lampi. Questo non significa però che le sue finestre non avessero vetri, ma che era costretto a chiudere anche gli sportelli delle finestre per non far entrare il freddo.
In pratica la domus era racchiusa su se stessa come un fortino: con finestre poste sempre in alto, e senza balconi. Gli ambienti prendevano aria e luce dalle aperture del soffitto in corrispondenza dei due principali e spaziali ambienti interni dell'atrium e del peristylium, che costituivano i centri delle due parti in cui la casa era divisa, rappresentando così la classica abitazione delle popolazioni meridionali e mediterranee, che invitava alla vita all'aperto.
Le domus naturalmente avevano il meglio, cioè lastre trasparenti alle finestre, di talco, di mica o di vetro, che era il più costoso. L'illuminazione artificiale era invece nelle ricche domus affidata alle candele, già conosciute da Greci ed Etruschi, questi ultimi ne facevano di cera d'api con stoppini di giunco, ma ha origini molto antiche anche presso i Romani.
Le candele di cera d'api erano un lusso, perchè per procurarsele occorreva possedere allevamenti di api o acquistarne da chi ne possedeva. I romani ne avevano molti di allevamenti nelle ville rustiche ma di certo l'uso era ingente rispetto alla produzione per cui il prezzo era notevole.
Le candele si ottenevano avvolgendo uno strato di cera o di sego a uno stoppino formato da piante palustri. Si formavano così dei piccoli ceri, simili a quelli che si usano in chiesa per accendere le candele, e poi se ne attorcigliavano alcuni insieme, formando grosse candele attorcigliate. ovvero "a torcione" che, per il loro aspetto simile a una fune, venivano chiamate funalia. Dall'essere attorcigliate deriva invece il nome italiano di "torcia".
Erano poi ampiamente usate le lucerne, tanto dai poveri quanto dai ricchi. Venivano alimentate con dell'olio, a volte di oliva, ma pure di noce, di sesamo, di ricino o di pesce e probabilmente di olii minerali, già conosciuti nel periodo antico, e di grassi animali, cioè di sego. Nelle domus venivano usati solo olii vegetali che spandevano un buon odore,
Si eseguirono lucerne in diversi materiali, in pietra, in vetro, o in metallo o in terracotta. Alcune venivano eseguite in metalli preziosi, argento e perfino oro. Nelle domus venivano usate le più costose, in metalli preziosi, in bronzo, in marmo o in vetro.
Esistevano lucerne aperte e lucerne chiuse. Quelle aperte erano a forma di coppa con bordo alto per evitare il traboccamento del combustibile. mentre lo stoppino veniva inserito in un beccuccio o un incavo nell'orlo.
Quelle chiuse, più usuali, avevano come unica apertura il beccuccio, oppure avevano un foro al centro con o senza coperchio. Se c'era il coperchio, in genere era per le lucerne di metallo e veniva attaccato alla lucerna con una catenella. Nelle case più sontuose, le lucerne costituivano veri e propri lampadari.
Per tenere alte le lucerne, oltre ad essere poggiate su candelabri a fusto con piattello, venivano appese, con catenelle, a candelabri a più braccia. Candelabri e lampadari erano dunque le illuminazioni più praticate nelle domus.
Le lucerne venivano appese a questi lunghi candelabri per illuminare meglio l'ambiente, realizzati in argento o in bronzo, c'era poi un braciere a terra per riscaldarsi, in genere in bronzo con decorazioni di statuette e incisioni, strumenti da scrivere e oggetti in argento ostentati sul tavolo a far bella mostra completavano l'arredamento tipico.
DECORAZIONI
I romani amavano il colore. Erano colorate le pareti esterne delle domus, come del resto anche quelle interne, e ovunque vi erano riquadri con figure, spesso mitologiche, piccoli paesaggi o decorazioni geometriche dai colori sgargianti: azzurro, rosso e giallo ocra.
Il mondo dei romani era vistosamente colorato, molto più del nostro attuale, dagli interni delle case, ai monumenti e agli abiti delle persone che nelle grandi occasioni esibivano un vero trionfo di tonalità.
Le statue erano colorate e così spesso venivano colorate le colonne, per non parlare dei frontoni degli edifici. Non solo le pareti erano affrescate, ma pure i pavimenti erano elaborati con mosaici, spesso in bianco e nero, ma pure in pietre colorate. Anche i ninfei e le esedre venivano ornati a mosaico, e spesso con tasselli di pasta vitrea che erano dotati di mille sfumature e mille colori.
Ma non basta, perchè anche i soffitti venivano colorati. I solai in legno venivano coperti con un soffitto a cassettoni, che molto spesso si crede di invenzioni medievali. Invece i romani abbellirono i loro soffitti cassettonati con sculture in legno in genere floreali, in qualche caso con teste di animali o altri fregi, dipinte in vari colori e in varie sfumature.
I MOBILI
Nelle domus romane, per quanto ricche, erano presenti pochissimi mobili, a cominciare da piccoli armadi a muro (armarium) e bauli usati per riporvi i vestiti, i triclinium, e i letti (cubicula), invece abbondavano le decorazioni alle pareti. Lo splendore della casa dipendeva infatti dalla qualità e la quantità di marmi, statue, e affreschi parietali.
I romani però facevano largo uso delle sedie, delle quali si conoscono molti tipi, come la sella o seggiola senza schienale, la sedia con schienale e braccioli (cathedra) e la sedia con un sedile lungo (longa).
In particolare colpiscono certe ampie sedie di vimini con alto schienale che usano ancora oggi e che si dichiarano di stile provenzale senza sospettarne la provenienza romana.
I romani usavano tavoli a quattro gambe di marmo o di legno su i quali venivano esposti per essere ammirati gli oggetti più preziosi (cartibula), o da tavolini tondi in legno o bronzo con tre o quattro gambe mobili. Più rare le sedie di cui i romani non sentivano la necessità poiché usavano prevalentemente i letti. Vi era una particolare sedia, una specie di seggiolone (thronus) ma era destinato agli Dei.
La sedia con la spalliera più o meno inclinata (cathedra) era usata dalle grandi dame romane che Giovenale accusa di mollezza. I resti di questa particolare sedia sono stati ritrovati nella sala di ricevimento del palazzo di Augusto e nello studio di Plinio il Giovane dove egli riceveva i suoi amici.
Successivamente divenne la sedia del maestro nella schola e ancora più tardi del prete cristiano.
I romani sedevano di solito su dei banchi (scramna) o preferivano usare degli sgabelli senza spalliera e braccioli (subsellia) che portavano con sé.
C'erano poi degli armadietti dove si riponevano le lenzuola, oppure l'argenteria, o i rotoli di pergamena o altre cose. Erano armadi con gli sportelli fatti di legni incrociati o vimini intrecciati, dove filtrava luce e aria, un po' come certi armadietti etnici di oggi.
Infatti i romani le vesti non le riponevano negli armadi ma nei bauli, puliti e ripiegati per benino, ma pure ben stirati, perchè dovevano essere perfetti onde modulare bene le pieghe. Non sappiamo come stirassero le vesti, forse con dei ferri caldi o pietre calde, fattostà che i romani portavano anche vesti di lino e il lino gualcito sarebbe stato orribile.
Tappeti, coperte, trapunte completavano l'arredamento della casa romana stesi sul letto o sulle sellae dove brillava il vasellame in argento dei ricchi, spesso istoriato d'oro dai maestri cesellatori e incastonato di pietre preziose. Ben diverso quello dei poveri in semplice argilla.