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CESARE E ALESSANDRO

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ALESSANDRO

"Nulla è impossibile per colui che osa." (Alessandro)

Alessandro Magno, figlio di Filippo II, alla morte del padre aveva già predisposta per parte di suo padre la strada per la formazione di un grande impero. Aveva la falange oplitica ideata dal padre, un grande esercito addestrato e tutte le risorse che la Macedonia gli offriva in qualità di re, ma fu comunque eccezionale nelle strategie belliche, nell'ardire, nel valore e nella passione. Egli distrusse totalmente l'autonomia delle poleis greche, reprimendo la loro ultima grande ribellione che si concluse con la loro sconfitta e la devastazione totale della città di Tebe.

Tutti i cittadini greci si rassegnarono all'idea di dover vivere sotto il dominio di un re, per giunta barbaro, visto che tutti gli stranieri per i greci erano barbari. In soli dodici anni Alessandro conquistò l'Impero Persiano, l'Egitto ed altri territori, fino in India, negli attuali Pakistan, Afghanistan e India settentrionale. Tuttavia fu il promotore di un'unione tra le due culture, quella ellenica e quella orientale, incoraggiando la fusione tra i due popoli. 

Morì, si dice avvelenato, il 10 giugno del 323 a.c., forse per un veleno preparato dal suo stesso precettore Aristotele (come si sta cercando di dimostrare grazie a scoperte recenti) che non gli avrebbe mai perdonato l'uccisione di suo nipote Callistene, storico di corte. Oppure si pensa che sia morto di cirrosi epatica dato che Alessandro, come testimoniano numerosi storici, amava bere molto vino e senza diluirlo. Per altri morì per una recidiva della malaria che aveva contratto in precedenza.

Alessandro però non riuscì a garantirsi una successione al potere. Di fatto l'epopea di Alessandro Magno si riassume nelle sue eccezionali avventure, perchè morì con lui. 

"A mio padre devo la vita, al mio maestro una vita che vale la pena essere vissuta" (Alessandro)



CESARE

"Alla fine diventerai quello che tutti pensano tu sia" (Cesare)da PensieriParole

Caio Giulio Cesare è stato uno dei più importanti politici romani, uno di quei politici che per primi iniziarono a servirsi delle masse per vincere le elezioni, insomma si inventò il clientelismo, però non contro le masse ma per le masse, onde porre un freno allo strapotere degli aristocratici, cioè dei senatori. Tiberio Gracco ne fu l'iniziatore, suo fratello il continuatore, Saturnino pure, e non a caso sono stati tutti uccisi proprio come Cesare. 

Giulio Cesare era iscritto come suo zio nella fazione dei populares, cioè plebea pur essendo un nobile, non godeva di grandi risorse economiche, e sopratutto riuscì ad emergere in un ambiente pericoloso come quello della tarda repubblica romana. 

La repubblica era in sfascio totale già dal 140-130 a.c. per via del latifondo e della corruzione dei potenti.  Tiberio Gracco aveva lottato per la plebe e per la ridistribuzione delle terre, cosa che poi fece ed ottenne Giulio Cesare che eliminò completamente la Repubblica per darle un assetto politico di tipo monarchico, abolendo in realtà non una repubblica ma un'oligarchia, quella degli optimates (aristocratici).

Fu un grande generale per eccellenza, ingegnoso. intelligente. ardito e ambizioso. Con la conquista della Gallia estese il dominio della res publica romana fino all'oceano Atlantico e al Reno; portò gli eserciti romani ad invadere per la prima volta la Britannia e la Germania e a combattere in Spagna, Grecia, Egitto, Ponto e Africa.

Giulio Cesare venne ucciso e fu l'ultimo "martire", vittima dell'oligarchia senatoriale che vedeva sempre più compromessi i suoi privilegi: Augusto continuerà poi questo progetto e riuscirà a trasformare la Repubblica in un Impero. 

Cesare fu assassinato il 15 marzo 44 a.c. e la cerimonia funebre ebbe luogo pochi giorni dopo. Il corpo venne esposto e Marco Antonio, come collega console di Cesare, fece su di lui un'orazione funebre. 
Anche se non si sa cosa disse, perchè nessuna fonte l'ha riportata, ebbe un effetto strepitoso e catartico, perchè le masse dei romani insorsero con gli assassini di Cesare, bruciarono le loro case, e li fecero fuggire dalla città che essi volevano liberare. 

Nel 42 a.c., appena due anni dopo il suo assassinio, il Senato lo deificò ufficialmente, elevandolo a divinità. L'eredità riformatrice e storica di Cesare fu raccolta da Ottaviano Augusto, suo nipote e figlio adottivo, che ne fece le vendette.

L'opera di Giulio Cesare fu molto più duratura di quella di Alessandro Magno tanto che l'impero di Roma tra, alti e bassi, durò fino al 1453.

GIULIO CESARE

CESARE E ALESSANDRO PER SIGMUND FREUD

Di Alessandro Magno, Freud ebbe a dire: "Alessandro il Macedone fu certamente uno degli uomini più ambiziosi che siano mai esistiti. Egli si lamentava che non avrebbe trovato un Omero che cantasse le sue gesta." Il neurologo e psicanalista austriaco pur riconoscendone la grande e mitica figura, non apprezzava particolarmente le qualità di Alessandro forse riconoscendone il grande narcisismo. 

Viceversa sembra avere grande simpatia per Giulio Cesare che è nominato, sempre da Freud, e con grande ammirazione, come uno dei più grandi condottieri della storia, alla stregua soltanto di Napoleone. Ma si sa che Freud ebbe smisurata considerazione per tutto ciò che riguardava l'antica Roma con i suoi personaggi e i suoi reperti. Tanto che riuscì a recarsi in Italia con un viaggio tanto agognato, ma non riuscì a recarsi a Roma perchè, come confessò, non reggeva alla forte emozione che i resti romani potevano dargli. Come guardare le vestigia di un mondo meraviglioso purtroppo scomparso.



CESARE E ALESSANDRO SECONDO APPIANO

Appiano di Alexandria (95-165): uno dei più grandi storici greci, purtroppo sovente sottostimato, fu autore della "Storia Romana". La parte delle guerre civili romane sopravvive interamente mentre per il resto mancano molti testi.

All'epoca, un ragazzo che sognava un ruolo importante nella sua città, doveva frequentare una scuola retorica, dove imparava a parlare e a comportarsi in pubblico. Spesso un insegnante avrebbe chiesto ai suoi allievi di fare un discorso su un tema storico, in modo che potessero mostrare le loro abilità come retori e la loro capacità di trattare con fonti storiche. Un tema ben noto è stato il confronto tra Alessandro Magno e  Gaio Giulio Cesare (100-44).

Il testo seguente, scritto da Appiano di Alessandria, è una parte della storia che egli scrisse sulle guerre civili romane (2.149-154). Egli descrive la fine della carriera di Cesare, e non dimentichiamo che è greco, per cui fa a Cesare il massimo dei complimenti paragonandolo ad Alessandro Magno.

" - Così Cesare è morto il giorno che chiamano le "idi di marzo", verso la metà del Anthesterion, il giorno che il veggente aveva predetto che Cesare non sarebbe sopravvissuto. Al mattino Cesare si fece gioco di lui, e disse: 'Le idi sono giunte.' Imperturbabile, il veggente rispose: ' Ma non non sono finite', e Cesare, ignorando non solo le previsioni di questo tipo che con tanta sicurezza gli aveva dato il veggente, ma anche gli altri portenti citati in precedenza, lasciò la casa e trovò la morte. Era nel cinquantaseiesimo anno della sua vita, un uomo che è stato estremamente fortunato in tutto, dotato di una scintilla divina, disposto a grandi imprese, e opportunamente confrontato con Alessandro.

 - Erano entrambi estremamente ambiziosi, bellicosi, rapidi nell'eseguire le loro decisioni, incuranti del pericolo, incuranti dei loro corpi, e credenti non tanto nella strategia, come nella fortuna audace e benevola. Uno di loro ha fatto un lungo viaggio attraverso il deserto nella stagione torrida fino al santuario di Ammon, e quando il mare è stato spinto indietro attraversato il golfo Pamphylian dal potere divino, dal profondo cielo, l'acqua frenata fino al suo passaggio, piovve per lui mentre era in marcia.

 - In India si avventurò in un mare senza sale. Inoltre si inerpicò da solo sulle mura avversarie su una scala a pioli, subendo ben tredici ferite. Non è mai stato sconfitto e ha portato tutte le sue campagne per raggiungere un fine, dopo uno o al massimo due battaglie campali. In Europa ha conquistato molto territorio estero e sottomesso i greci, che sono un popolo estremamente difficile da governare e appassionato alla loro indipendenza, e non avevano mai obbedito a nessuno prima di lui, tranne Filippo, e che solo per un breve periodo di tempo, con il pretesto che egli era stato il loro capo in una guerra. Per quanto riguarda l'Asia, l'ha traversato quasi tutta. Per riassumere la fortuna e l'energia di Alessandro in una frase, ha conquistato le terre che ha visto, e morì intento ad affrontare il resto.

ALESSANDRO MAGNO

 - [2.150] Nel caso di Cesare, navigò l'Adriatico divenuto calmo e tranquillo in pieno inverno. Inoltre traversò l'oceano occidentale in un tentativo senza precedenti per attaccare i britannici, e ordinò ai suoi capitani di distruggere le loro navi scagliandole sulle scogliere britanniche. Ha proseguito la sua strada da solo di notte in una piccola barca; in un altro mare in tempesta, quando ha ordinato al capitano di stendere le vele e di prendere il coraggio non dalle onde, ma dalla buona sorte di Cesare. 

 - In molte occasioni è stato l'unico uomo a scattare in avanti da una massa di uomini terrorizzati e attaccare il nemico. Ha affrontato trenta volte in battaglia i Galli, conquistando 400 delle loro tribù, che i Romani sentivano così minacciose, tanto che in una delle loro leggi in materia di immunità dal servizio militare per i sacerdoti e gli uomini più anziani c'era la clausola di: 'a meno che i Galli invadano'- nel qual caso i sacerdoti e gli anziani dovevano servire la patria. 

 - Nella guerra alessandrina, quando è stato intrappolato da solo su un ponte e la sua vita era in pericolo, Cesare gettò via il mantello viola e si lanciò in mare. Il nemico gli dava la caccia, ma lui nuotò per lungo tempo sotto l'acqua senza essere visto, respirando solo a intervalli, fino a quando si avvicinò una nave amica, per cui stese le mani, si rivelò, e fu salvato. 

 - Quando fu coinvolto in queste guerre civili, dovute sia dalla paura, come egli stesso diceva, o da un desiderio di potere, Cesare si battè contro i migliori generali del suo tempo e diversi grandi eserciti che non erano composti da popoli incivili, come prima, ma da Romani al culmine del loro successo e fortuna, e anche lui (come Alessandro) aveva bisogno solo di uno o due battaglie campali in ogni caso per sconfiggerli definitivamente.

 - Non che le sue truppe fossero imbattute come quelle di Alessandro, da quando i romani erano stati umiliati dai Galli nel grande disastro che li raggiunse quando Cotta e Titurius erano al comando, in Hispania Petreio e Afranio li avevano accerchiati sotto un assedio virtuale. A Durazzo e in Africa corsero grandi rischi, e in Hispania erano terrorizzati dal giovane Pompeo. 

CESARE
- Ma Cesare era impossibile da terrorizzare ed è stato vittorioso alla fine di ogni campagna. Con l'uso della forza e e la tattica, ha superato la potenza dello stato romano, che già spadroneggiava su terra e mare dal lontano ovest verso il fiume Eufrate, e si è fatto re contro la volontà dei romani, anche se lui non ha ricevuto quel titolo. Ed egli è morto, come Alessandro, mentre stava pianificando nuove campagne.

 - [2.151] Ambedue avevano eserciti, che erano altrettanto entusiasti e si dedicavano a loro e assomigliavano a belve quando si trattava di andare in battaglia, ma erano spesso difficili da gestire e sovente irruenti per le molte prove sopportate. Quando questi loro capi morirono, i soldati li piansero, sentirono la loro mancanza, e concessero loro onori divini in modo simile. Entrambi gli uomini erano ben formati nel corpo e di apparenza fine. 

 - Ognuno risaliva la sua stirpe a Zeus, quello per essere un discendente di Eaco ed Eracle, l'altro di Anchise e di Afrodite. Erano insolitamente pronti a combattere gli avversari determinati, ma molto veloci ad offrire un insediamento. A loro piaceva perdonare i loro prigionieri, davano loro aiuto così come il perdono, e volevano niente più se non semplicemente di essere i supremi. In questo senso possono essere strettamente confrontati, ma era con le risorse disuguali che si prefissero di cercare il potere. Alessandro possedeva un regno che era stato fermamente stabilito sotto Filippo, mentre Cesare era un privato, di una famiglia nobile e celebre, ma molto a corto di soldi.

 - [2.152] Nessuno dei due fece caso ai presagi che si riferivano a loro e non mostrarono alcun fastidio per i veggenti che profetizzavano la loro morte. In più di una occasione i presagi erano simili e indicarono un termine simile per entrambi. Due volte per ognuno venne confrontato il presagio con la lettura di un fegato. Nel caso di Alessandro questo è stato tra i Oxydracans, quando, dopo aver salito sul muro del nemico con una scala a pioli, alla testa delle sue truppe macedoni, è stato lasciato isolato in cima. Balzò audacemente verso il nemico, dove ricevette possenti colpi al petto e al collo con una clava enorme e rischiò di crollare, quando i Macedoni, che avevano abbattuto le porte in preda al panico, riuscirono a malapena a  salvarlo. 

 - Nel caso di Cesare accadde in Hispania, quando il suo esercito fu preso dal terrore quando dovettero affrontare il più giovane Pompeo e non riuscivano a impegnare il nemico. Cesare corse fuori davanti a tutti nello spazio tra i due eserciti e prese 200 lance sul suo scudo, fino a quando anche lui fu salvato dal suo esercito, che si catapultò in avanti per la vergogna e l'apprensione. Così la prima preveggenza di morte aveva portato entrambi in pericolo mortale, ma la seconda previsione portò la morte, come segue. 

 - Il veggente Peithagoras disse ad Apollodoro ed a Efestione che stava sacrificando, che avevano paura per Alessandro, a non avere paura, perché entrambi l'avrebbero presto allontanato. Quando Efestione morì subito, Apollodoro era nervoso pensando ci potesse essere una cospirazione contro il re, e rivelò la profezia ad Alessandro che, sorridendo, chiese a Peithagoras stesso ciò che il presagio significasse, e quando Peithagoras rispose che significava la fine della sua vita, sorrise di nuovo e ancora ringraziò Apollodoro per la sua preoccupazione e il veggente per la sua franchezza.

 - [2.153] Quando Cesare stava per entrare al Senato per l'ultima volta, come ho descritto non molte pagine indietro, apparsero gli stessi presagi. Egli si fece beffe di loro, dicendo che era stato lo stesso in Hispania, e quando il veggente ha detto che era stata davvero in pericolo in quell'occasione, e che l'auspicio ora era ancor più letale, fece qualche concessione a questa franchezza ripetendo il sacrificio, fino a quando finalmente si irritò per il ritardo dei sacerdoti e andò a morte. 

- E la stessa cosa è successa ad Alessandro, che tornava con il suo esercito da India a Babilonia e già si stava avvicinando alla città, quando i Caldei lo pregarono di rimandare il suo ingresso per il momento. Egli citò la frase 
'Questo profeta è il migliore, che indovina giustamente
ma i Caldei lo pregarono una seconda volta di non entrare con il suo esercito guardando verso il sole al tramonto, ma per andare a prendere la città, di porsi di fronte al sole nascente. A quanto pare ha ceduto a questo e ha cominciato a fare un circuito, ma presto si seccò di girare nelle paludi e nel terreno paludoso, per cui ignorò il secondo avviso e fece il suo ingresso verso ovest. 

 - In ogni caso, entrò a Babilonia, e navigò lungo l'Eufrate fino al fiume Pallacotta che prende l'acqua dell'Eufrate attraverso paludi e acquitrini e impedisce l'irrigazione del paese assiro. Si dice che, mentre stava considerando lo sbarramento di questo fiume, e prendendo una barca a guardare, colpì ai Caldei il suo divertimento, perché era entrato in modo sicuro navigando da Babilonia. Eppure era destinato a morire. 

 - Anche Cesare, si divertì a prendere in giro il presagio allo stesso modo. Il veggente aveva predetto il giorno della sua morte, dicendo che non sarebbe sopravvissuto: le idi di marzo. Quando venne il giorno di Cesare derise il veggente e disse: ' Le idi sono venute ', ma non era ancora finito quel giorno. In questo modo, quindi, hanno fatto la stessa presa in giro dei presagi che si riferivano a se stessi, senza rabbia verso i veggenti che gli annunciavano questi presagi, e nessuno era meno interessato di loro al contenuto delle profezie.

 - [2.154] Nel campo della conoscenza erano ambedue amanti entusiasti di saggezza, tradizionali o meno, greca o straniera che fosse. I bramini, che sono considerati gli astrologi dei saggi degli indiani come i magi tra i Persiani, sono stati interrogati da Alessandro alla maniera indiana, e Cesare indagò la tradizione egiziana quando era in Egitto mentre poneva Cleopatra sul trono. Come risultato ha procurato a Roma un miglioramento in ambito civile, portando l'anno, che era ancora di lunghezza variabile, dovuto all'inserimento occasionale di mesi intercalari calcolati secondo il calendario lunare, in armonia con il corso del sole, secondo l'osservanza egiziana."

ALESSANDRO MAGNO

CESARE E ALESSANDRO SECONDO PLUTARCO

Plutarco, illustre rappresentante della cultura greca durante l'età degli Antonini, storiografo ammiratissimo sia dai contemporanei che dai lettori successivi, pose tra i personaggi delle "Vite parallele" la descrizione dell’ultimo dictactor di Roma, Caio Giulio Cesare, con una biografia speculare rispetto a quella di Alessandro il Grande.


ALESSANDRO

" Il sesso e il sonno mi ricordano che sono mortale " (Alessandro)

I Macedoni temevano quel momento cruciale ed erano del parere che ad Alessandro convenisse trascurare completamente i problemi dell’Ellade e non usare la maniera forte, richiamare dolcemente al dovere i barbari che si erano ribellati e sopire le cause di rivolta. Il giovane, invece, partendo da principi opposti, pensò di ottenere la sicurezza e di garantirsi il possesso dei suoi domini usando l’audacia e la magnanimità "

ALESSANDRO
Plutarco testimonia che Cesare, come Alessandro, anelasse alla realizzazione di un impero universale, da realizzarsi, come l'altro, attraverso la conquista. Cesare, poco prima della sua morte, progettava di conquistare il territorio dei Parti, di spingersi oltre il Mar Nero per giungere sino alla Scizia e da Oriente attaccare la Germania. 

[Alessandro] impetuoso e sfrenato in tutto il resto, era difficile che si lasciasse eccitare dai piaceri corporei e li praticò con molta moderazione. L’ambizione invece lo rese precocemente fermo nelle sue alte risoluzioni e grande di animo. […] Non cercava infatti piaceri o ricchezze, ma virtù e gloria."

Quanto a Cesare, si dice che possedesse ottime qualità naturali per l’oratoria civile, e coltivò con grandissima ambizione le sue doti, tanto da raggiungere indiscutibilmente il secondo posto fra gli oratori romani: al primo rinunciò votando tutti i suoi sforzi ad ottenere piuttosto il primato nella potenza politica e militare. "

Sembra verisimile ipotizzare da parte di Cesare un forte desiderio di emulazione nei confronti di Alessandro, infatti Plutarco ricorda che questi, mentre si trovava in Spagna in qualità di questore, scoppiò in lacrime di fronte alla statua di Alessandro, per l’irrilevanza delle proprie imprese al paragone con quelle compiute dal Macedone.

Non vi sembra che ci sia motivo di addolorarsi se alla mia età Alessandro regnava già su tante persone, mentre io non ho fatto ancora nulla di notevole? "

Al di là dell’attendibilità dell’aneddoto, è possibile che Cesare abbia realmente assunto Alessandro Magno come modello di riferimento, anche se ne aveva uno molto più vicino: suo zio Mario, grande condottiero. grande riformatore, grande console e grande dittatore.

Plutarco riferisce la storia secondo cui la madre Olimpiade avrebbe concepito Alessandro dall’unione con Zeus manifestatosi a lei sotto le spoglie di un grosso serpente. La presenza di questa madre, da qui in avanti, è pervasiva come le gesta del figliolo. Plutarco ricorda che, mentre Alessandro si accingeva ad intraprendere la campagna d’Asia, Olimpiade lo avrebbe preso in disparte e gli avrebbe rivelato il segreto della sua divina concezione "esortandolo a proporsi azioni degne della sua origine." Da quel momento, il destino di Alessandro sembra segnato. 

Plutarco poi descrive l’incontro di Alessandro con il sacerdote di Ammone:
"Là il sacerdote di Ammone lo salutò a nome del Dio, cioè di suo padre. Alessandro domandò se gli era sfuggito qualcuno degli assassini di suo padre. Il profeta lo invitò a non bestemmiare: suo padre non era mortale. Alessandro cambiò allora il modo com’era formulata la domanda e chiese se gli assassini di Filippo erano stati puniti tutti; interrogò inoltre l’oracolo riguardo al suo regno, domandò se gli sarebbe concesso di diventare signore del mondo intero. Il Dio rispose positivamente ad ambedue le questioni: gli sarebbe concesso di essere signore del mondo, e quanto a Filippo, era stato vendicato compiutamente. Alessandro offrì quindi degli splendidi doni al dio e regalò dei soldi ai sacerdoti."

Alessandro ebbe un importante legame con sua madre, anche se la limitò fortemente nelle sue ingerenze: "Molti doni mandò anche a sua madre ma non le permise mai di ingerirsi negli affari politici o nella condotta della spedizione; di ciò ella lo rimproverava, ma Alessandro sopportava la sua ira pazientemente." 
Ma per il resto, sua madre non era in discussione: Una volta Antipatro gli mandò una lunga lettera piena di accuse contro di lei; dopo averla letta, Alessandro disse: “ Antipatro non sa che una sola lacrima di madre cancella diecimila lettere come questa ”.

GIULIO CESARE

CESARE

"Gli uomini credono volentieri ciò che desiderano sia vero". (Cesare)

da PensieriParole
Plutarco ha uno spiccato interesse per l'immagine e l'etica di Cesare. 
"Cesare era di natura un uomo operoso ed ambizioso. I molti successi che aveva conseguito non lo spinsero a godere il frutto sudato di tante fatiche, quanto piuttosto costituirono un’esca, un incentivo a fare altrettanto in avvenire. Essi gli fecero concepire disegni d’imprese ancora maggiori, suscitarono in lui una brama di gloria nuova, come se quella di cui godeva si fosse già logorata. Null’altro era, questa passione, se non gelosia, che nutriva verso se stesso come verso un estraneo, una sorta di rivalità che esisteva in lui tra ciò che aveva e ciò che avrebbe fatto"

Il primo excursus, che si estende per tre capitoli (XV-XVII), coincide con il passaggio di Cesare dal consolato al proconsolato, prima della spedizione in Gallia. Qui Plutarco individua un punto di svolta nella gestione del potere da parte di Cesare. Il biografo parla infatti di «sistema nuovo», di «diversa strada di vita» e di «azioni nuove» (Caes. XV 3).

CESARE
"A Roma Cesare rifulse, poiché prese la parola per difendere molta gente, e molta simpatia si accattivò presso i ceti popolari salutando e incontrando chiunque con grande affabilità: era più cortese di quanto non si suole essere alla sua età. Ma contribuiva ad accrescere non poco la sua potenza politica anche la magnificenza dei suoi pranzi, dei conviti e in genere del suo tenore di vita."

Su questa direttrice, Plutarco indaga le ragioni del successo di Cesare, prima fra tutte il desiderio di gloria, nonostante per i soldati fonte di ammirazione sia piuttosto la sua "patientia", ovvero la sua resistenza alle fatiche. Segue un ritratto fisico del personaggio. che si conclude con l’episodio di Cesare che cede il letto a Oppio malato, chiaro esempio della sua generosità.

(sembra si alluda ad un episodio accaduto durante un viaggio quando, spinto da una tempesta, Cesare dovette riparare coi suoi compagni in una misera casa, composta da un'unica stanza. Al che Cesare disse: "Gli onori spettano ai più potenti, ma le comodità ai più deboli" Così si accomodò lui con i suoi fuori della porta sotto una tettoia, mentre fece riposare nel suo letto il padrone di casa, di nome Oppio)
L'inizio della Vita di Cesare, dedicata alla descrizione della gens e delle origini del personaggio, è andata purtroppo perduta, fino alle nozze tra Cesare e Cornelia, figlia di Cinna, capo della fazione mariana. Di qui l’avversione nei confronti di Silla e di Silla per lui.

Dunque Cesare riuscì a conquistarsi molti favori tramite le gesta del suo cursus honorum, ma soprattutto anche grazie ai lauti pranzi che imbandiva, alla tavola e in generale alla raffinatezza del suo modo di vivere (Caes. IV 5). Dapprima gli avversari sottovalutarono il favore di cui Cesare godeva presso i concittadini, ipotizzando che sarebbe scemato con il diminuire delle sostanze. Tuttavia, furono poi costretti ad ammettere « che non si deve ritenere trascurabile all’inizio nessuna azione, che rapidamente diventa grande se è continua, e che poi diviene irresistibile se non viene considerata per quel che è» (Caes. IV 7).

E il primo « ad aver sospettato e temuto la bonaccia dell’attività politica di Cesare, come quella del mare, e aver temuto la potenza del suo carattere, dissimulata dal tono ilare e affabile» fu Cicerone, « che disse di vedere un intendimento tirannico in tutti i suoi pensieri e in tutte le sue azioni politiche». 
Ma lo stesso Cicerone. come attesta Plutarco conveniva: « quando vedo i suoi capelli così ben curati e lo vedo grattarsi la testa con un dito, davvero non mi pare che questo uomo possa concepire un pensiero così funesto, e cioè la distruzione della costituzione romana» (Caes. IV 8-9). Come tutti i politici di un certo rilievo Cesare doveva ben conoscere e praticare la dissimulatio.

Nonostante l’atteggiamento di Cesare sin dall’adolescenza potesse essere reputato una chiara anticipazione della potenza futura, fu solo con l’elezione a pontifex maximus che apparve un politico temibile per il senato e gli ottimati.

Secondo Plutarco, il primo segnale del generale consenso di cui godeva Cesare si può collocare nel 73 a.c. quando, di ritorno dall’Asia, fu proclamato tribuno militare. Un secondo segnale si ha nel 69 a.c. in occasione della morte di Giulia, moglie di Mario. Cesare, che ne era nipote, tenne uno splendido elogio nel foro ed ebbe l’audacia di esporre, durante il trasporto funebre, le statue di Mario:

« Era la prima volta allora che le si vedeva dopo la dominazione di Silla, dato che quegli uomini erano stati nominati nemici dello stato» (Caes. V 1-3).

Il popolo lo accolse tra grida di acclamazione e ammirazione « come se riconducesse dall’Ade in città, dopo molto tempo, i ricordi di Mario» (Caes. V 3). Ulteriore motivo di stima da parte del popolo fu la laudatio che Cesare tenne in onore della giovane moglie. Un evento unico che « gli guadagnò del favore, oltre alla partecipazione al suo lutto dei più, presi d’affetto per un uomo mansueto e pieno di buoni sentimenti» (Caes. V 5).

Di fronte agli scontri tra i seguaci di Mario e di Silla, che tormentavano l’Urbe, Cesare ovviamente scelse la schiera mariana. Plutarco narra che Cesare, quando deteneva la carica di edile, fece realizzare in segreto delle statue di Mario e delle Vittorie portatrici di trofeo e di notte le fece trasportare e innalzare sul Campidoglio. 

Se da una parte in molti apprezzarono tale gesto, lodando Cesare come « l’unico della discendenza di Mario che ne fosse degno», altri invece iniziarono ad affermare che « Cesare praticava una politica tirannica, riesumando onori che erano stati affossati da deliberazioni legali e che tale gesto rappresentava una prova per controllare se il popolo, in precedenza addomesticato, era stato conquistato dalle sue larghezze e gli concedeva di scherzare in tal modo e di introdurre innovazioni» (Caes. VI 4). L’episodio fu oggetto di discussione in Senato. Lutazio Catulo si levò ad accusare Cesare, affermando: « Cesare cerca di arrivare al potere non più con gallerie, ma con macchine da guerra» (Caes. VI 6).

Nel 62 Cesare ottenne la pretura, mentre l’anno seguente fu nominato propretore nella Spagna Ulteriore. In tale occasione rivelò ottime doti di comandante e amministratore. Scrive infatti Plutarco: 
« Dopo aver bene sistemato le operazioni belliche, non meno bene amministrava i problemi della pace, rendendo concordi le città e soprattutto sanando i dissensi fra debitori e creditori. Con questo procedere si guadagnò buona fama e quando si allontanò dalla provincia era diventato ricco, aveva arricchito i soldati con le spedizioni ed era stato da loro salutato con il titolo di imperator» (Caes. XII 4). Un titolo che, concesso dai soldati in seguito a un trionfo, veniva di solito mantenuto sino al termine della carica.

Quindi, giunto a Roma, Cesare fu artefice di una vera e propria «macchinazione politica», che trasse in inganno tutti ad eccezione di Catone. Era il primo triumvirato, la riconciliazione tra Pompeo e Crasso. In particolare, « Cesare li fece incontrare, da nemici li fece diventare amici e convogliò su di sé la potenza di ambedue, e con un atto che era definito di umanità mutò, senza che alcuno se ne accorgesse, la forma costituzionale» (Caes. XIII 4). Secondo Plutarco fu proprio tale riconciliazione a segnare l'inizio delle guerre civili.


Nel 59 Cesare fu eletto console insieme all’ottimate Calpurnio Bibulo. Presentò proposte di legge, come ad esempio la Lex Iulia agraria, adatte più che a un console a « un tribuno della plebe particolarmente audace» (Caes. XIV 2). Tutti i suoi precedessori che avevano caldeggiato tale legge erano stati assassinati, ma Cesare amava il rischio. 

Crasso e Pompeo si dichiararono favorevoli alla legge agraria, e il senato apparve turbato dall’idea di dover affrontare un «mostro a tre teste». La legge, grazie all’appoggio dei Comizi Tributi, venne approvata all’unanimità. Cesare costrinse i senatori a non opporsi all’esecuzione della legge, pena l’esilio. Tutti i senatori, Catone compreso, giurarono.

Durante il consolato Cesare si impegnò a far approvare le leggi che in breve tempo gli avrebbero conferito un potere illimitato: la lex Iulia de actis Pompei, con cui convalidò l’opera compiuta in Oriente,  la lex Iulia de Ptolomaeo Aulete, con cui riconobbe l’autorità del sovrano Tolomeo Aulete, e la lex Iulia de publicanis, con cui ridusse di un terzo il canone d’appalto delle imposte d’Asia. 

Nello stesso anno presentò ai Comizi Tributi la lex Vatinia de provincia Caesaris, con cui si assicurò il governo della Gallia Cisalpina e dell’Illiria con tre legioni e con la possibilità per il proconsole di nominare direttamente i suoi legati. Su proposta di Pompeo il senato aggiunse la Gallia Transalpina. 

La scadenza dell’incarico di proconsole venne fissata per il 28 febbraio del 54, quindi per un quinquennio. Nello stesso anno fu approvata la lex Iulia che ordinava la pubblicità dei processi verbali del senato e degli atti dei magistrati, gli acta senatus et populi Romani. Seguì un’altra legge, de pecuniis repetundis, al fine di regolare la definizione giuridica del reato di concussione.

In breve tempo il potere del senato venne adombrato dal potere dei triumviri, ognuno sostenuto da un folto gruppo di clientes. In particolare Cesare si rivelò fautore di una politica di opposizione al senato e a Catone. Per questo si alleò con Clodio, peraltro protagonista di un episodio vergognoso: nel 62 era penetrato di notte nell’abitazione di Cesare in occasione della festa della Bona Dea, vietata agli uomini.

Il biografo spiega che l’elezione di Clodio a tribuno della plebe, « colui che aveva contaminato le leggi del matrimonio e quelle relative ai misteri notturni», era finalizzata alla distruzione di Cicerone: « Cesare non si allontanò da Roma per la sua azione militare prima di aver messo in difficoltà Cicerone con l’aiuto di Clodio e di averlo cacciato d’Italia» (Caes. XIV 17).

Nel febbraio del 58 infatti Clodio presentò una legge che prevedeva l’esilio, per chi condannasse o avesse condannato a morte un cittadino romano senza ricorrere all’appello del popolo, legge che colpì Cicerone e Cesare sostenne Clodio, dichiarando la colpevolezza di Cicerone. Pompeo preferì allontanarsi da Roma. Il giorno precedente alla rogazione di Clodio, il 21 marzo, Cicerone abbandonò Roma, scegliendo un esilio volontario che si sarebbe concluso nell’estate del 57. Clodio fece poi approvare un’ulteriore legge che imponeva all’oratore di rimanere almeno a 400 miglia di distanza dall’Urbe. Cesare aveva ottenuto tutto ciò che aveva previsto, e poté finalmente partire per le Gallie.

Quando per l’improvvisa morte di Metello Celere il governo della Gallia Narbonense rimase vacante, Pompeo propose di assegnare la provincia a Cesare e il senato approvò. In quanto alle guerre in Gallia, Plutarco afferma: 
« il periodo delle guerre che combatté in seguito e delle spedizioni con le quali assoggettò la Transalpina, quasi che egli avesse iniziato un sistema nuovo e si fosse messo in una diversa strada di vita e di azioni nuove, lo rivelò come combattente e stratega inferiore a nessuno dei grandissimi o di quelli che furono soprattutto ammirati per le capacità strategiche» (Caes. XV 3). 
In meno di dieci anni si assicurò più di ottocento città, assoggettò trecento popoli, si schierò contro tre milioni di uomini, uccidendone un milione in battaglia e facendone altrettanti prigionieri.

I soldati erano ben disposti nei suoi confronti e al suo seguito diventavano molto coraggiosi, perchè Cesare li incentivava con i riconoscimenti sia verbali che economici. I soldati non si stupivano tanto per l’amore per il rischio quanto, piuttosto, per la resistenza alle fatiche di Cesare, apparentemente superiore alle sue possibilità fisiche. 

Plutarco così lo descrive  « era esile di complessione, bianco e tenero di carnagione, soggetto a emicranie e ad attacchi epilettici (si dice che il primo attacco di questo male lo ebbe a Cordova). Comunque egli non prese questa sua debolezza a giustificazione di vita molle, anzi considerò l’attività militare una cura di questa debolezza, contrastando i suoi malanni con lunghissime marce, mangiando frugalmente, dormendo sempre all’aperto, faticando, e così mantenendo il corpo inattaccabile ai mali. Dormiva per lo più in carri o in lettighe, utilizzando il riposo per l’azione, di giorno andava a controllare i presidi, le città, le fortificazioni, e gli stava vicino uno schiavo di quelli abituati a scrivere sotto dettatura anche durante il viaggio, e dietro stava un soldato con la spada. Procedeva poi con tale rapidità che quando uscì la prima volta da Roma nel giro di otto giorni fu al Rodano. Andare a cavallo gli era facile fino da fanciullo: era solito infatti spingere di gran carriera il cavallo con le mani intrecciate dietro la schiena » (Caes. XVII 6).

Plutarco ci dà conto del prima e del dopo, descrivendo lo stato d’animo di Cesare la notte precedente il passaggio del Rubicone:
"Quanto più si avvicinava il momento fatale, tanto più si sentiva turbare dalla gravità di ciò che stava osando, e la riflessione sottentrava all’ardimento."
Dopo l'"alea iacta est" e l'inizio della guerra:
"Dopo che Cesare ebbe occupato Rimini sembrò che la guerra si fosse scatenata ugualmente sopra tutta la terra e tutti i mari, rovesciandosi sul mondo attraverso ampie porte; e parve che insieme ai limiti della provincia di Cesare fossero stati sconvolti anche quelli delle leggi di Roma"

Il segreto di Cesare fu comunque la strategia: se la tattica ti fa vincere una battaglia, la strategia ti fa vincere la guerra. E Cesare commiserò quei soldati il cui generale si affidasse più alla forza che non alla strategia.

Ma dopo tante vittorie e successi Cesare fu tanto grande quanto solo. Impegnato per tutta la vita in una lotta titanica della quale non avrebbe potuto aver ragione, se non per un tempo brevissimo.

"L'invidia è l'esercito più potente che esista al mondo."
Plutarco così ci espone quei segni, facendo precedere il resoconto da una felice intuizione: 
"Ma il destino sembra che si possa più facilmente prevedere che evitare. Segni e visioni miracolose si dice siano apparse durante quei giorni. Luci che brillarono nel cielo, fragori che durante la notte trascorsero un po’ dappertutto, uccelli solitari che vennero a posarsi nel Foro […] Il filosofo Strabone dice che si videro intere folle di uomini correre in preda al fuoco […] Cesare stesso fece un sacrificio e non trovò il cuore della vittima: prodigio terribile, dice Strabone, poiché in natura non esistono animali cui manchi il cuore. "

Si dice che Cesare morì colpito da ventitrè pugnalate, ma anche molti degli assalitori si colpirono tra loro, per mettere a segno tanti colpi su un corpo solo. Ma non colpirono solo Cesare, colpirono Roma intera.


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