Corriere della Sera (15 Settembre 96)
"TITOLO: Sulle acque venete c'e' una Dea, Reithia.....RHEITIA VENETA
Era una Dea, non un Dio, la divinita' che tutelava le acque sacre agli antichi veneti. Incisa a sbalzo su una lamina circolare di bronzo che risale al quarto secolo a.c., coperta da un manto e con in mano un fiore che si schiude, Reithia, la divinita' paleoveneta arcaica, e' da oggi in mostra nella basilica paleocristiana di Concordia Sagittaria (Venezia).
La figura mitologica, analoga a quelle gia' rinvenute, era ritenuta dagli abitanti del Veneto antico tutelatrice delle acque e del parto, delle piante e degli animali. Una divinita' forse autoctona, cui poi si sovrapposero influenze celtiche e colonizzazione romana.
Il disco bronzeo di Reithia e' stato rinvenuto in un pozzo santuario nel Veneziano, in localita' Millepertiche di Musile di Piave, nel corso di una campagna di scavo del Gruppo Archeologico di Meolo. Si tratta del pezzo principale dell' esposizione "La protostoria tra Sile e Tagliamento", promossa dalla Soprintendenza Archeologica del Veneto e dalla Soprintendenza ai Beni Ambientali, Architettonici, Archeologici, Artistici e Storici del Friuli Venezia Giulia in concorso con le Province di Venezia e di Pordenone e il Comune di Concordia.
Per la soprintendente veneta Pierangela Croce Da Villa, il santuario da cui proviene l' immagine di Reithia era "un' importante tappa votiva delle antiche comunita' venete del territorio".
"Sotto la basilica del santo Antonio c'è un tempio alla dea Reithia"
SANTUARIO ROMANO del MONTE CASTELON
presso Marano in Valpolicella
Fonte: http://soprintendenza.pdve.beniculturali.it/
"Il santuario sul monte Castellon di Marano di Valpolicella fu scoperto nel 1835 da G.G. Orti Manara, un fanum dedicato a Minerva, grazie ad una decina di iscrizioni - otto delle quali ex voto dedicati alla divinità, realizzato su una terrazza creata tramite il taglio della parete rocciosa, che fa da quinta scenografica. Un canale di isolamento e di drenaggio era con ogni probabilità connesso al culto, collegato ad una fessura presente nella roccia tufacea da cui sgorgava l'acqua.
Lo scavo ha evidenziato la presenza di tracce di un' area cultuale protostorica e di un tempio di età tardorepubblicano al di sotto delle strutture viste da Orti Manara. Il rogo votivo, ascrivibile all'area retica e alpina tra V sec e II sec. a.c., ha restituito al momento una quarantina di anelli digitali. Tra il II e l'inizio del I sec. a.c., fu realizzato un edificio in muratura di cui restano due muri perimetrali, una pavimentazione in battuto cementizio a base fittile cocciopesto e resti di intonaci parietali (crollati) con decorazioni che rientrano nella fase del c.d. I stile pompeiano.
La presenza di queste testimonianze pittoriche, in un edificio "periferico" non romano, presuppone una committenza di cultura romana e suggerisce una certa importanza del santuario. Si tratta di in una cella quasi quadrangolare (m 8, 20 x 7,10), circondata da gallerie su tre lati, con colonne doriche poggiate alle murature e un colonnato libero sulla facciata, uno stretto corridoio separa l'edificio dal canale.
I pavimenti che circondano l'aula sono battuti cementizi in malta bianca con scaglie litiche, quello dell'aula centrale un battuto a base fittile con tessere bianche che definiscono cornici geometriche. Il modello architettonico è il "tempio o fanum di tradizione celtica"
In questo fanum venne rinvenuto un altare con un sacerdote e con una sacerdotessa definita "flaminica" (che si occupava poi del culto di Giunone, con Minerva che ci azzecca?), questa sopra, che però appare tutt'altro, con una specie di turbante sul capo, con una veste di tipo ellenico o orientale come orientali appaiono i suoi lineamenti. Per giunta ha un'immagine centrale sul petto che riproduce una Grande Madre coi pargoli, con tre medaglioni più piccoli aldisotto che potrebbero ricordare i tre aspetti della Dea Trina.
Il suo costume invece somiglia stranamente al costume della Dea Reitia, e diversi studiosi ipotizzano che il Fanum, prima di essere dedicato a Minerva fosse dedicato alla antica Dea Reitia, che del resto aveva molto in comune con Minerva, a cominciare dal potere guaritore, alle acque, alla guerra e al lato ctonio che in Minerva è rappresentato dalla civetta, l'animale che vede nel buio.
REITIA A CA'ODDO DI MONSELICE (V sec. a.c.)
Reitia è una divinità di 3500 anni fa, nell’epoca pre-romana, la Dea creatrice veneta, la Dea misericordiosa e benevola, la Dea del matriarcato che sopravvisse anche nel patriarcato. Reithia fu sempre illustrata in atteggiamenti benevoli e materni, spesso tra un lupo e un’anatra, matrona delle belve e delle creature più indifese. Ma era anche Dea della navigazione, delle bestie feroci e della guarigione. Se ne trova traccia a Vicenza (anche se ora sopra vi è stata costruita una chiesa) e, specialmente, ad Este nel padovano.
La femminilità paleoveneta influenzò persino i nomi delle cose, ad esempio un piccolo corso d’acqua s’indicava al maschile, ma diventava femminile nel caso di un fiume. Questo accadeva pure per i villaggi e le città, o tra un picco e una montagna. Ciò che era femminile nel matriarcato indicava qualcosa di più esteso o più importante.
SCHIO
Il centro storico della città ruota intorno al Castello e al Duomo. I primi segni degli antichi insediamenti risalgono al Paleolitico superiore. Principalmente, la zona più abitata era la frazione di Magrè, dove gli antichi popoli veneravano la Dea Reithia tramite un tempietto costruito in suo onore. Probabilmente i Romani la associarono alla Dea Diana.
Un'altra area abitata all'epoca è la zona del Castello di Schio che era attraversata dalla via dei Veneti, che collegava il luogo alla Valle dell'Adige. Per questo motivo i Romani utilizzarono la città come stazione militare.
MONTE SUMMANO
Fonte: http://www.antika.it/006550_monte-summano.html
Gli ultimi scavi, dal 2008 al 2010, sono stati proficui poiché hanno portato alla luce due statuine d’argento, alte 4 cm.
La prima raffigurante un eroe o dio dotato di scudo, asta, corto mantello oleontè (pelle del leone di Nemea, ucciso da Ercole) ed elmo, identificabile quindi con Marte o Ercole.
L’altra è una divinità femminile in trono, protettrice della fertilità e dell’abbondanza ma anche legata al mondo ctonio come ricordano i serpenti e la patera per libare (probabilmente si tratta di Cerere o della divinità retico-venetica Reitia).
La presenza degli alberi anzichè delle messi. del trono e della patera relativa al mondo ctonio, nonchè i numerosi serpenti che la rivelano Dea Terra, ci fanno pensare possa riferirsi a Reitia.
Probabilmente il guerriero a fianco potrebbe essere il figlio della Dea. forse col relativo mito di morte e resurrezione.
Probabilmente il guerriero a fianco potrebbe essere il figlio della Dea. forse col relativo mito di morte e resurrezione.
LA SIGNORA DELLE CHIAVI
Reithia fu pure una dea clavigera, che possedeva le chiavi, attributo che conservò inalterato per secoli, allorché al patriarca delle famiglie venete, avente potere indiscusso ovunque, era però escluso il potere decisionale in ambito casalingo. Il focolare e il territorio domestico erano governati con autorevolezza dalla sola donna e il capo famiglia non poteva contraddirla.
Ma la chiave che la Dea tiene nella mano destra non allude tanto alla casa, quanto al destino degli uomini. Con questa chiave ella poteva aprire o chiudere le porte, e indirizzare gli umani per le vie che ella decideva. Oppure aprire la porta egli Inferi. Ma è pure la Dea del parto e delle nascite, tanto umane che animali.
Grazie alle famose “situle”, e ad altre raffigurazioni su lamine in bronzo, abbiamo oggi un’idea abbastanza precisa sui costumi dell'epoca.
La Dea Reithia indossava un bell’abito lavorato, probabilmente di colori vivaci, composto da gonna a campana, con grembiule legato in vita. Una collana di ambra e pietre dure, unita a varie altre collane, assieme a un imponente corsetto (forse di cuoio a sbalzo) completano il paludamento.
La capigliatura sembra una specie di toupet, forse fatto con crine di cavallo, in genere apotropaico.
Non mancano i bracciali ad ambedue le braccia.
Si notano anche le calzature, due bei stivaletti in pelle, a volte disegnati con le punte girate in su. I Veneti, secondo gran parte degli studiosi europei, provenivano dall’area baltica (nord est d’Europa) dove infatti ancora oggi sono presenti quelle calzature con le punte in su.
Si notano anche le calzature, due bei stivaletti in pelle, a volte disegnati con le punte girate in su. I Veneti, secondo gran parte degli studiosi europei, provenivano dall’area baltica (nord est d’Europa) dove infatti ancora oggi sono presenti quelle calzature con le punte in su.
Nel tempio trovato ad Este operava una classe sacerdotale per lo più femminile, ed erano le sacerdotesse ad occuparsi dell'ospitalità dei pellegrini che numerosi venivano al santuario da ogni parte, che eseguivano riti e cerimonie, e che soprattutto si occupavano dell'insegnamento della scrittura venetica (le scritture nascono ovunque nel matriarcato), e dell'insegnamento della magia alle donne.
Nel santuario si sono trovate coppe e vasi sia d’uso cerimoniale che miniaturizzati, evidentemente come offerte alla Dea. Dal ritrovamento di ossa nei focolari si desumono sacrifici di animali, ma la cosa diversa da altri culti, è che si sacrificava l’animale intero e non solo una sua parte.
Questo attesta probabilmente una condizione di ricchezza e benessere, evidentemente data dalla ricchezza della zona ma pure dall'afflusso di pellegrini, molto numerosi visto che sono state rinvenute 16.000 lastre votive, oltre alle coppe e vasi sia d’uso che miniaturizzati. Il santuario, sorto per invocare la protezione della Dea, offriva guarigioni, miracoli e speranze.
Spesso si offriva a Reitia un’immagine votiva di sé col proprio eventuale rango, ruolo, età, nella società, come testimonianza di fede e ringraziamento. Oppure si rappresentava su una lamina la parte del corpo guarita.
Ci sono pervenuti persino bronzi raffiguranti le modalità di preghiera: in piedi con le gambe allargate e le braccia protese verso l’alto con i palmi aperti. nel suolo italico infatti non ci si inginocchiava, non ci si prostrava e non si giungevano le mani. Nemmeno i romani lo fecero mai. L'usanza di inginocchiarsi e di giungere le mani in gesto di supplica e sudditanza verrà imposto dal cristianesimo copiando l'uso orientale.
Le donne erano vestite con vesti semplici fino al polpaccio e il capo coperto, mentre bambini non avevano accesso al tempio. Giustamente i bambini devono giocare, a stare composti e pregare c'è tempo da grandi. Segno di rispetto dell'età infantile che non doveva essere costretta, come anche oggi si fa, ad una innaturale immobilità ascoltando cose incomprensibili.
Faceva parte dei rituali porre sul terreno, delle lamine di bronzo che venivano arse e fuse, forse contenenti in venetico parole ritualistiche, o desideri, o suppliche, nonchè si bruciavano fibule, armille, stili scrittori, frammenti di ceramica e ossa di animali. Solo i roghi più grandi contengono tracce di ceramica.
Il rogo situato a Nord è quello che più di tutti è stato usato e contiene tracce più evidenti di ossa di animali, polli o giovani maiali, sempre bruciati in modo completo. Insieme agli animali veniva offerto anche del miglio.
I santuari sorgevano in prossimità dell'acqua e anche in quello di Reitia si è trovato, poco distante dall’antico corso dell’Adige, un gradino in cui avvenivano le attività di sacrificio. Il museo di Este, Padova, ospita un reparto dedicato ai resti del tempio di Reitia, e alcune delle 16.000 lastre votive, che riportano formule magiche.
Nel santuario si sono trovate coppe e vasi sia d’uso cerimoniale che miniaturizzati, evidentemente come offerte alla Dea. Dal ritrovamento di ossa nei focolari si desumono sacrifici di animali, ma la cosa diversa da altri culti, è che si sacrificava l’animale intero e non solo una sua parte.
Questo attesta probabilmente una condizione di ricchezza e benessere, evidentemente data dalla ricchezza della zona ma pure dall'afflusso di pellegrini, molto numerosi visto che sono state rinvenute 16.000 lastre votive, oltre alle coppe e vasi sia d’uso che miniaturizzati. Il santuario, sorto per invocare la protezione della Dea, offriva guarigioni, miracoli e speranze.
Spesso si offriva a Reitia un’immagine votiva di sé col proprio eventuale rango, ruolo, età, nella società, come testimonianza di fede e ringraziamento. Oppure si rappresentava su una lamina la parte del corpo guarita.
Ci sono pervenuti persino bronzi raffiguranti le modalità di preghiera: in piedi con le gambe allargate e le braccia protese verso l’alto con i palmi aperti. nel suolo italico infatti non ci si inginocchiava, non ci si prostrava e non si giungevano le mani. Nemmeno i romani lo fecero mai. L'usanza di inginocchiarsi e di giungere le mani in gesto di supplica e sudditanza verrà imposto dal cristianesimo copiando l'uso orientale.
Le donne erano vestite con vesti semplici fino al polpaccio e il capo coperto, mentre bambini non avevano accesso al tempio. Giustamente i bambini devono giocare, a stare composti e pregare c'è tempo da grandi. Segno di rispetto dell'età infantile che non doveva essere costretta, come anche oggi si fa, ad una innaturale immobilità ascoltando cose incomprensibili.
Faceva parte dei rituali porre sul terreno, delle lamine di bronzo che venivano arse e fuse, forse contenenti in venetico parole ritualistiche, o desideri, o suppliche, nonchè si bruciavano fibule, armille, stili scrittori, frammenti di ceramica e ossa di animali. Solo i roghi più grandi contengono tracce di ceramica.
Il rogo situato a Nord è quello che più di tutti è stato usato e contiene tracce più evidenti di ossa di animali, polli o giovani maiali, sempre bruciati in modo completo. Insieme agli animali veniva offerto anche del miglio.
I santuari sorgevano in prossimità dell'acqua e anche in quello di Reitia si è trovato, poco distante dall’antico corso dell’Adige, un gradino in cui avvenivano le attività di sacrificio. Il museo di Este, Padova, ospita un reparto dedicato ai resti del tempio di Reitia, e alcune delle 16.000 lastre votive, che riportano formule magiche.