Sono state rinvenute a Fermo tombe appartenenti a necropoli Picene e Villanoviane risalenti al IX sec. a.c., il che dà la misura dell'antichità dell'insediamento.
Nel IX secolo ac. infatti gruppi di Sabini, dal Lazio migrarono verso l'area centro-meridionale. La leggenda narra che durante la migrazione fossero guidati da un Picchio, da cui deriverebbe il nome "Piceni" (o Picenti).
Più recente e maggiormente credibile l'ipotesi che il nome Piceni derivi da picea (ambra), che era abbondante in questa zona (ritrovata in tutte le tombe picene), oppure da picem (pece) ampiamente utilizzata dai piceni per la costruzione ed impermeabilizzazione delle loro tombe (e quindi presumibilmente anche le abitazioni).
Altri studiosi invece desumono che dall'uso della pece e/o dell'ambra, i Romani dovevano aver attribuito a questi Sabini il soprannome di Piceni, o Picenti (Picentes). Alcuni di loro si stabilirono sul colle chiamato Sàbulo (in latino sabulus = sabbia, essendo di formazione sabbiosa, tufacea) dando origine a Fermo.
La scelta del sito per Firmum fu strategica: in posizione dominante e vicinissima al mare, proseguiva la logica delle colonie già dedotte in precedenza, cioè Ariminium (Rimini) e Hatria (Atri, in Abruzzo), e, in più, esattamente a metà strada fra le due città rimaste ancora indipendenti di Asculum e Ancona.
ORIGINE PICENA DI FERMO
(Fonte: http://www.luoghifermani.it/?p=3328)
E’ facile stabilire la data precisa della fondazione di Fermo. Recentissimi scavi effettuati nel 1984 e nel 2000 in contrada Mossa, tra viale Trento e via Ottorino Respighi, hanno portato alla luce nuove tombe picene ricche di suppellettili (fibule, rasoi lunati, armille, pendagli, ambra, asce in ferro ecc.).
Dalle suppellettili ritrovati si evince che nove o otto secoli prima di Cristo vi era Fermo un insediamento umano costituito dai Piceni i quali come ci narrano i classici latini e greci erano venuti dalla Sabina per voto della primavera sacra (voto vere sacro) e si erano insediati a sud e al Nord del Tronto, fondando Fermo, Potenza, Teramo, Giulianova, ecc. Essi erano guidati dal Picchio, uccello “totem” (pico ave duce) che diede il nome alla regione (unde nomen genti).
L’esistenza di Fermo nell’antichità è comprovata da:
1) - alcune monete (aes grave) con l’iscrizione FIR (MUM), molto diverse dalle monete romane
2) - un passo di Velleio Patercolo, di cui si è fatto cenno, che parla di occupazione di Fermo all’inizio della prima guerra punica. Non si poteva certo occupare una città, se non esisteva.
3) - Le mura preromane, costituite da possenti blocchi, visibili in alcune parti della città. Notevoli quelli nei pressi dell’abside della chiesa di San Gregorio e quelli sottostanti il palazzo del Comune in via Vittorio Veneto; dalle mura risalgono al IX secolo a.c. Il nome Fermo, come già accennato, ricorre spesso negli autori greci e latini: è il Firmun Picenum, per distinguerlo da Firmum Picenum e Firma Augusta nella Spagna.
Nel 190 a.c., nella guerra contro Antioco terzo, re di Siria, alcuni fermani compirono prodigi di valore, per cui i Romani vinsero alle Termopili. Un’altra corte romana si coprì di gloria a Pidna, nel 170 a.c. nella guerra contro Perseo, re di Macedonia.
Così era di certo più importante la via litoranea che collegava la Flaminia, all'altezza di Ancona, alla Salaria all'altezza di Truentum (dove oggi sorge Porto d'Ascoli) passando per Potentia, Cluentum (Civitanova Marche) e Castellum Firmanorum, che non la via che collegava Firmum alla Flaminia passando nell'entroterra per Urbs Salvia (Urbisaglia), Septempeda (San Severino Marche) fino a Nuceria (Nocera Umbra).
Allo stesso modo si ritiene che le mercantili Castellum Firmanorum e Truentum (dotate di piccoli porti-canale alle foci dei fiumi Lete e Truentus) siano probabilmente più popolate (o meglio "frequentate", considerando anche la resienza avventizia) delle istituzionali, e comunque più importanti, Firmum e Asculum.
Se le ripetute deduzioni di colonie comportarono successivi interventi sulla struttura urbana della città, ampliandola sempre di più (nuove cerchie di mura), i primi due secoli di "pace operosa" dell'età imperiale sono segnati a Fermo dalle imponenti realizzazioni urbanistiche che hanno lasciato intatto il loro segno fino ad oggi (cisterne romane, rete idraulica, teatro) o dagli interventi di decoro urbano, voluti spesso direttamente dall'imperatore, attestati da documentazioni epigrafiche.
Dopo trecento anni di prosperità economica e sociale, dalla metà del terzo secolo d. C. inizia la decadenza dell'impero e di tutte le città italiane, Firmum compresa.
In epoca augustea vennero realizzate le Cisterne - o Piscine - Romane, per raccogliere e conservare l'acqua piovana e sorgiva destinata a rifornire la città e il navale che Fermo possedeva sul mare Adriatico (il porto era distante 7 km, alla foce del fiume Ete).
Le cisterne sono costituite da trenta vaste sale sotterranee che occupano una superficie di oltre 2000 mq e 10.854 mc sotto il centro storico di Fermo, ancora oggi ben conservate e impermeabilizzate (tant'è che hanno funzionato anche recentemente come serbatoi).
Di epoca augustea anche un teatro all'aperto (37 m di diametro, oltre 2000 spettatori) i cui resti oggi sono visibili sul versante nord sotto la Cattedrale e due cerchie di mura, una dell'epoca della prima colonia latina e un'altra dell'epoca augustea, ancor oggi in parte visibili e - forse - un grandioso anfiteatro della cui esistenza, però, non si è ancora avuta prova certa (secondo le due ipotesi prevalenti avrebbe potuto essere localizzato sopra le cisterne romane oppure nella parte nord dell'odierna di piazza del popolo); avrebbe contenuto circa 7000 spettatori.
A Fermo risiedette a lungo la famiglia dei Pompei che qui possedevano terre e ville; tuttora una via nel centro storico e un palazzo sono intitolati a Pompeo Strabone, (console romano, comandante della Legio Firmana, padre del triunviro Gneo Pompeo Magno), in quanto nel 1739 proprio nel sottosuolo di quel palazzo furono rinvenute lastre di verde antico appartenenti ad un insigne edificio romano ritenuto l'abitazione di Pompeo; la principale via che all'epoca collegava Fermo al porto era - ed è tuttora - chiamata via Pompeiana.
Sulla scelta del nome Fermo (Firmum Picenum) si fanno solo ipotesi: la radice indoeuropea "Fir" significa "vetta, cima"; il nome sarebbe stato poi ripreso dai romani in Firmum per per sottolineare la salda posizione in cima al colle, oppure la fedeltà della nuova colonia: nello stemma della città (e del Comune tutt'oggi) c'è la dicitura FIRMUM FIRMA FIDES ROMANORUM COLONIA, cioè "Fermo colonia dei Romani dalla ferma fede".
Di non secondaria importanza anche la parte marittima dell'abitato, alla foce del fiume Ete, dove sorgeva il porto-canale. Probabilmente per la notevole diffusione di piante di palma lungo la costa, i latini chiamavano la zona "ager palmensis", terminologia conservata nel nome delle due odierne frazioni di Fermo site nelle vicinanze: Torre di Palme e Marina Palmense. A questo insediamento, di funzione prevalentemente mercantile, appartengono alcuni ritrovamenti durante i lavori di costruzione dell'autostrada nel tratto tra S. Maria a Mare e Marina Palmense.
L'ACROPOLI
In cima al colle era l'acropoli, con tempio, edifici civili e fortificazioni. Le numerose vicende che hanno interessato la sommità della collina dopo il periodo romano (numerose ricostruzioni del Duomo, dei palazzi medievali dei Priori e dell'Episcopio, l'edificazione della rocca medievale e la sua totale distruzione due secoli dopo) hanno reso quasi illeggibile il quadro diacronico delle presenze antiche, romane e preromane, che sono in ogni caso testimoniate da numerosi rinvenimenti:
- due fosse a sud del Duomo;
- tombe del periodo italico (villanoviane) contenenti tanto di corredo funebre, individuate durante gli scavi nel sottosuolo del Duomo negli anni Quaranta e nel piazzale dei giardini durante i lavori di realizzazione dell'impianto di irrigazione negli anni Novanta;
- 17 vasi in terracotta scoperti nell'area della collina posta sopra la chiesa di San Rocco contenenti monete e altro;
- strutture romane messe in luce durante gli scavi della basilica paleocristiana, tradizionalmente attribuite ad un tempio, poste sotto al pavimento del Duomo;
- frammenti di statue colossali, rinvenuti sotto al Duomo;
- una cisterna rettangolare sotto ai giardini a sud del Duomo;
- un cunicolo accessibile da un pozzo aperto alla testa della navata destra della chiesa paleocristiana e preesistente a questa.
IL FORO
Nel 1877, nel corso di lavori nei sotterranei di una casa privata (Giannini) posta dove oggi si trova il palazzo della ex Banca Nazionale dell'Agricoltura (tra Largo Matteotti e via Paccaroni, poco più in basso di Piazza del Popolo), sono stati rinvenuti resti di un edificio e di un lastricato,di un pozzo profondo oltre 10 m che immetteva in un cunicolo praticabile, e di statue, pertinenti al foro.
Le lastre erano di finissimo marmo bianco, come quelle di un pavimento, legate fra loro da cemento. In precedenza, nei sotterranei di un edificio adiacente, era stata rinvenuta una statua marmorea colossale di una persona togata, databile in età claudia, acquistata dal Municipio, ora conservata nel Museo Archeologico di Fermo.
Nel 1915, durante i lavori di sistemazione dello stesso stabile, nel frattempo acquistato dal Consorzio Agrario Provinciale di Fermo (che ne è stato proprietario fino agli anni Cinquanta, quando lo ha ceduto alla Bna per trasferirsi nella nuova sede fuori Porta San Francesco), venne in luce una statua iconica marmorea, di età giulio claudia, ora conservata ad Ancona nel Museo Nazionale delle Marche (dopo una lunga vertenza che coinvolse Comune, Consorzio Agrario, Ministero e anche i cittadini); successivamente vennero alla luce anche grossi blocchi e un podio che sosteneva una serie di statue onorarie.
Sia gli ispettori locali che gli esperti del Ministero dei Beni Culturali, convennero che per le loro caratteristiche le strutture e i reperti erano da riferire al foro o ad un edificio pubblico eretto in vicinanza di questo. A conferma di ciò c'è la quota dei rinvenimenti: il lastricato era posto a quota 279 (a cui arrivavano gli scavi per le fondazioni del Consorzio Agrario); la quota esterna della cisterna romana più grande, posta sotto al foro, che costituiva un sostegno di parte dell'area forense, è di 279 metri sul livello del mare.
Le statue appartenevano ad un ciclo onorario giulio - claudio raffigurante membri della famiglia imperiale, collocate in un edificio pubblico o religioso ubicato su un lato o in prossimità del foro.
IL TEATRO
Come a Roma, anche a Fermo i ludi scaenici venivano organizzati periodicamente e con cadenza regolare per rendere omaggio ad alcune divinità, ma erano piuttosto diffusi anche i ludi triumphales e iludi funebres.
I primi per celebrare un successo militare, i secondi per commemorare una personalità illustre della società che era venuta a mancare.
Fino al Cinque - Seicento il teatro era ancora "leggibile", come dimostrano alcune vedute della città. Nel 1739, nei lavori di ampliamento dell'ospedale di S. Maria Novella della Carità (nucleo originario dietro all'odierno Monte di Pietà), furono rinvenute antiche lastre di marmo di colore verde nonché resti di un edificio importante.
Attorno al 1780, durante i lavori per l'ampliamento dell'ex ospedale, per ospitarvi il Conservatorio delle Projette (poi degli Esposti: edificio che oggi ospita il Collegio Artigianelli), vennero alla luce resti di edificio che portavano segnato il nome dell'Imperatore Antonino Pio nonché moltissimi pezzi di marmo, iscrizioni epigrafiche e statue.
I lavori però portarono alla distruzione di buona parte delle restanti strutture del teatro, soprattutto quelle concernenti l'area della scena; le altre furono inglobate. Nel 1853, nel corso di scavi effettuati per restauri alla chiesa del Carmine vennero alla luce un muro romano, elementi architettonici, lucerne, monete.
Nel 1934, durante i lavori effettuati nei sotterranei della sede centrale della Cassa di Risparmio di Fermo (ex Palazzo Matteucci) furono messi in luce un muro romano con nicchie. Oggi restano visibili le strutture che appartengono alla cavea, al corridoio anulare e all'area dietro alla scena (queste ultime incorporate nei palazzi anzidetti o sottoterra), mentre le strutture della scena vera e propria sono andate distrutte nei lavori del 1780.
La struttura oggi più evidente è il corridoio anulare esterno del teatro (foto qui a lato), costituito da due muri che corrono paralleli a circa 3,5 metri di distanza l'uno dall'altro, seguendo l'area perimetrale del teatro dal Duomo a Via Ognissanti; in mezzo ai due muri passa una strada, oggi anche carrabile, detta del Teatro Antico. Il muro concentrico più interno costituisce oggi il muro perimetrale esterno del cortile del Collegio Artigianelli. Parte di un terzo muro, anch'esso concentrico ai precedenti, è visibile nella parte orientale del cortile del Collegio Artigianelli, purtroppo incorporato nel muro perimetrale di locali di servizio al Collegio, di recente costruzione.
L'estremità della parete ovest, coperta con volta a botte, è oggi conservata all'interno della casa Vitali - Rosati (già Matteucci) nella quale venne incorporata nel 1949. Appartenente invece all'estremità ovest è un corridoio angolare, coperto con volta a botte, conservato in un vano del Collegio, che aveva la funzione di accesso.
Altri resti sono conservati nel terrapieno sotto a Via Don Ernesto Ricci. Nel corso dei già citati lavori del Settecento e Ottocento vennero alla luce una statua di un Genio, una statua femminile priva di testa e braccia che forse personificava la Tragedia o la Commedia, una testa in travertino e un gorgoneion in marmo.
Appartengono al teatro i due capitelli e le due colonne, in calcare e scaglia rosa dell'Appennino, oggi conservati, dal 1884, nel cortile del Palazzo Vitali Rosati in Corso Cefalonia. Trattasi di capitelli e colonne che risultano canonici nelle forme e nelle proporzioni, databili al III sec. d.c. sulla base del confronto con capitelli Severiani.
I resti rinvenuti nel 1739 nei lavori di scavo nelle fondamenta dell'Ospedale secondo la volontà del Borgia dovevano essere conservati a Fermo, invece essi furono furtivamente venduti al mecenate Marefoschi, amico del Vanvitelli, che li reimpiegò nella ricca decorazione policroma all'interno della chiesa della Misericordia a Macerata.
Nella ricostruzione assonometrica a lato (tratta da "Firmum Picenum") il teatro visto da nord: in marrone le sopravvivenze odierne, molte delle quali incorporate nelle superfetazioni Medievali, Sei - Ottocentesche e, purtroppo, anche del Novecento. Il teatro è databile al primo secolo dell'Impero (I sec. a.c.), quindi coevo della cisterna più grande e di poco precedente alla ristrutturazione urbanistica augustea dovuta alla deduzione della colonia di veterani.
L'edificio subì più interventi di restauro e di arricchimento come dimostrano laterizi bollati Antonino Pio e una iscrizione relativa a Marco Aurelio, quindi appartenenti al II sec., d.c., mentre i due capitelli oggi conservati nel cortile del Palazzo Vitali Rosati appartengono al III sec. d.c. Le monete rinvenute nei lavori Sette-Ottocenteschi sono databili da Augusto (I sec. a.c.) a Gordiano Pio (III sec. d.c.).
Rinvenute anche tessere bronzee, aghi crinali in osso e avorio, lastre marmoree, elementi della decorazione architettonica, anfore incomplete. Le Cisterne Il sistema di drenaggio del sottosuolo urbano e la rete di approvvigionamento e distribuzione idrica sono in parte noti grazie alla sopravvivenza di alcune componenti isolate. Essi formano un complesso di notevole rilevanza monumentale e urbanistica, unico al mondo, consistente in pozzi, condotti sotterranei, fontane e soprattutto tre cisterne che sono il monumento più noto e menzionato di Fermo.
CISTERNA PRINCIPALE
La più grande e famosa delle tre cisterne è conosciuta anche come "Piscine epuratorie (o limarie)"; è ubicata sotto parte di via Paccarone, Vicolo Chiuso I, Via degli Aceti e di Largo Maranesi e sotto gli edifici adiacenti, fra cui il Convento di San Domenico e fu costruita con ampi tagli e riempimenti del versante orientale della collina tra le quote 273 (pavimento) e 279 (volta esterna) metri s.l.m..
È una grande vasca di tenuta a pianta rettangolare, delle dimensioni di 65 x 29 metri (planimetria nell'immagine a lato). Il muro perimetrale è in opus caementicium dello spessore da 1,5 a 1,65 metri con paramenti in laterizio; all'interno: rivestimento impermeabilizzante in opus signinum (così denominato forse perché prodotto a Segni, città del Lazio).
L'opus caementicium è costituito da ciottoli fluviali di piccole e medie dimensioni, frammenti di calcare e malta in abbondanza.
L'interno è diviso da muri ortogonali in opus testaceum (di mattoni) e impermeabilizzati con rivestimento in opus signinum che formano 30 camere intercomunicanti a pianta rettangolare disposte su tre file.
Le camere comunicano attraverso aperture di varie dimensioni sormontate dai tipici archi a tutto sesto romani, realizzati utilizzando mattoni in laterizio uniti da abbondanti strati di malta spessi fino a quasi 3 cm. Il pavimento è in leggera pendenza verso N-NE in modo da assicurare il deflusso delle acque verso le aperture degli emissari e quindi ai canali di distribuzione. Le camere sono coperte da volte a botte di opus caementicium gettato su armature di legno la cui impronta è ancora visibile. I blocchi di caementa sono costituiti da materiale tufaceo, più leggero.
Lo spessore della gettata arriva fino a 57 cm. Al centro di alcune volte si aprono pozzetti, molti dei quali realizzati in età post romana per accedere alla cisterne dalle nuove abitazioni sovrastanti che le utilizzavano come cantine. Un pozzetto porta direttamente all'aperto, in Largo Maranesi (davanti a San Domenico).
La cisterna poggia su una robusta e spessa platea in opera cementizia formata da conglomerato di malta e caementa di piccole dimensioni con superficie abbastanza levigata; in alcune camere il pavimento è stato ricoperto con mattoni durante i lavori di restauro e ripristino del complesso occorsi tra la fine dell'Ottocento e il Novecento.
La cisterna era alimentata con acqua captata all'interno della sovrastante collina dai numerosi pozzi e canali sotterranei: essi, a diverse quote, captavano abbondante acqua potabile e la convogliavano verso la nostra vasca di tenuta attraverso un grosso condotto che terminava all'interno della cisterna con tanti piccoli tubuli.
L'esame delle malte, dei laterizi e della tecnica edilizia porta a concludere che questa cisterna è contemporanea all'altra, posta tra Via Mazzini e Viale Vittorio Veneto (sotto al Comune) e a gran parte della rete di cunicoli e canali sotterranei, quindi fa parte di un vasto, organico e contemporaneo intervento di sistemazione dell'approvvigionamento idrico e di altri aspetti dell'urbanistica cittadina.
Un impegno pubblico così notevole è ricollegabile solo ai grossi lavori di ristrutturazione urbanistica della città che seguirono, in età augustea, la deduzione dei veterani ad opera di Ottaviano, quindi la realizzazione delle cisterne è databile verso la fine del I sec. a.c.; datazione che non contrasta nemmeno con la tipologia dei laterizi: nell'area picena l'uso del mattone cotto fu più precoce che in altre parti dell'impero.
Da un bollo IMP. ANTO. AUG. (diffuso anche a Ravenna, Rimini, Bologna, Ferrara, Trieste e in Istria), presente all'interno della cisterna si può dedurre che essa - a causa dell'usura derivante dalla sua stessa funzione - ebbe bisogno di essere sottoposta a primi lavori di restauri già in un periodo databile tra Antonino Pio e i Severi (150 - 300 d.c.).
Come già accennato, nel contesto urbanistico di Firmum, la principale cisterna non ebbe solo la funzione di vasca di tenuta per l'acqua, ma anche funzione di contenimento e sostruzione per parte dello spazio forense.
Verso la fine dell'Ottocento la cisterna fu svuotata dai notevoli detriti accumulatisi nel corso dei secoli, fu restaurata, con l'eliminazione dei numerosi strappi (realizzati, nelle volte e nei muri perimetrali, dai proprietari delle abitazioni sovrastanti per utilizzare le sale della cisterna come cantine) ed è stata in parte riutilizzata come vasca di tenuta dell'acquedotto fermano fino al 1980 quando sono stati completati gli ultimi lavori di restauro che rendono la cisterna oggi interamente visitabile e ammirabile nel suo splendore.
Oggi vi si accede da un ingresso moderno aperto in Via degli Aceti (foto a lato), l'unico praticabile dopo la chiusura di quelli antichi da Vicolo Chiuso 1, da Largo Maranesi (ex Convento di San Domenico) e di quelli medievali aperti da alcuni edifici privati sovrastanti.
CISTERNA SECONDARIA
La seconda cisterna è stata costruita sul versante sud della collina, fra le quote 290 e 295, all'interno di un terrazzamento contenuto a sud da un muro in opus quadratum oggi prospicente su Viale Vittorio Veneto. Sopra di essa nel XIV sec. è stato costruito il convento dei Frati Apostoliti, edificio che oggi ospita gli uffici comunali di Via Mazzini.
L'accesso alla cisterna (oggi utilizzata come Museo Archeologico) è da Largo Calzecchi Onesti. L'interno è a pianta rettangolare (28 x 12,6, planimetria nell'immagine a lato); la muratura perimetrale può essere oggi osservata, nella facciavista e in sezione, in corrispondenza della parete est, che oggi prospetta su Largo Calzecchi Onesti (capolinea degli autobus, immagine sopra) e nella quale sono state aperte in epoca succesiva a quella romana due porte e due finestre.
Trattasi di opera cementizia con ciottoli fluviali di medie e grandi dimensioni e piccoli e medi frammenti di pietra misti a malta abbondante.
L'interno è suddiviso in sei settori rettangolari coperti con volte a botte (altezza circa 4,75 m) da pareti ortogonali nelle quali si aprono passaggi con archi a tutto sesto e rivestito da laterizi tranne le volte che sono in opera cementizia a vista, gettata in armature lignee di cui sono visibili le impronte.
Secondo il De Minicis (1841) l'interno era impermeabilizzato da un rivestimento di uno spesso strato di opus signinum che però deve essere stato asportato nel corso di lavori abusivi compiuti dopo l'ultimo dopoguerra. La cisterna poggia su una platea in opera cementizia; il pavimento è in conglomerato di malta con pietre di piccole dimensioni.
L'acqua era immessa nelle camere da numerose bocchette; non ci sono più tracce di emissari, ma l'acqua poteva essere attinta anche dai numerosi pozzetti aperti sulle volte. L'ingresso antico era posto sul lato ovest, nella parte superiore della parete verso la volta, poi coperto in epoca medievale.
Oggi vi si accede dal lato est (prospicente su Largo T. C. Onesti) attraverso una apertura realizzata in epoca tardo medievale, assieme alle due vicine finestre e ad un nuovo passaggio che la metteva in comunicazione col palazzo sovrastante: in epoca post-romana la cisterna è stata utilizzata per diversi scopi, il più importante, dal Cinquecento all'Ottocento, quello di carcere, quando il palazzo sovrastante era la sede del Governatore o della Prefettura.
Le caratteristiche strutturali e la tecnica edilizia del complesso sono analoghe a quella della cisterna principale e inducono a datarla nella prima età imperiale (I sec. a.c. - d.c.) se non addirittura ad un'epoca precedente, tardo repubblicana; in questa seconda ipotesi la costruzione di questa cisterna avrebbe preceduto l'altra e non sarebbe legata ai lavori di ampliamento urbanistico conseguenti alla deduzione della colonia di veterani effettuata in periodo augusteo.
Dopo svariati usi e numerose modifiche subite nel corso dei secoli (non da ultimo quella di essere diventata, dal XIV sec., le fondamenta del convento degli Apostoliti che gli è stato costruito sopra: odierno palazzo del Comune nella sola ala prospiciente su Viale Vittorio Veneto), la cisterna è destinata dal 1957 a raccogliere la raccolta archeologica del Comune, già collocata nella Biblioteca e nel Palazzo dei Priori; ristrutturata negli anni Sessanta e Settanta, oggi ospita l'Antiquarium, Museo Archeologico di Fermo.
TERZA CISTERNA
Nel 1927, durante i lavori per la costruzione di un serbatoio eseguiti sul Girfalco, venne alla luce una piccola cisterna rivestita di un laterizio che aveva caratteristiche affini a quelle della cisterna più importante.
Essa è costituita da quattro ambienti non comunicanti tra loro e coperti con volte a botte; la larghezza totale della struttura (6,8 x 4,6) è compatibile con le dimensioni tipiche di cisterne romane, non invece l'altezza, che è solo un metro e mezzo (planimetria e sezione a lato).
È ubicata a 14 metri di distanza dall'estremità sud-est della Chiesa Cattedrale alla profondità di 2 metri dall'attuale piano di calpestio dei giardini, in corrispondenza del punto ove essi presentano una sopraelevazione, volutamente non carrabile, utilizzata per bambinopoli.
A differenza delle altre due, dopo i rilievi del 1927 essa è stata di nuovo interrata e oggi non è visibile.
(Fonte: http://www.luoghifermani.it/?p=3328)
E’ facile stabilire la data precisa della fondazione di Fermo. Recentissimi scavi effettuati nel 1984 e nel 2000 in contrada Mossa, tra viale Trento e via Ottorino Respighi, hanno portato alla luce nuove tombe picene ricche di suppellettili (fibule, rasoi lunati, armille, pendagli, ambra, asce in ferro ecc.).
In precedenza nel 1956, nella zona dell’ospedale Civile, erano venute alla luce tombe di tipo villanoviano, alcune ad incinerazione, altre ad inumazione indicative di una vasta necropoli. Altri rinvenimenti affiorarono nel 1908; tra essi un elmo conico di tipo italico, ora al Museo di Ancona è un elmo crestato di tipo etrusco.
RESTI DELLE MURA DI FERMO |
Il voto della primavera sacra, consisteva nell’offrire a agli dei tutto ciò che sarebbe nato nel periodo tra il 1° marzo e il 30 aprile. Ad essi venivano offerti caprini, ovini, bovini, suini; i bambini nati in quel periodo, non venivano immolati, ma, raggiunta l’età adulta, erano spinti fuori dal territorio di origine e dovevano cercarsi nuove sedi. Alcuni di tali Sabini, ribattezzati Piceni, venendo dal reatino e costeggiando il Tronto, si spinsero al Nord e si stanziarono sul colle Sabulo, che sarà, poi, denominato Girfalco. Gli diedero origine ad un insediamento, documentato come visto dagli scali del 1985, 1984, 1908 ed anteriori.
L’esistenza di Fermo nell’antichità è comprovata da:
1) - alcune monete (aes grave) con l’iscrizione FIR (MUM), molto diverse dalle monete romane
2) - un passo di Velleio Patercolo, di cui si è fatto cenno, che parla di occupazione di Fermo all’inizio della prima guerra punica. Non si poteva certo occupare una città, se non esisteva.
3) - Le mura preromane, costituite da possenti blocchi, visibili in alcune parti della città. Notevoli quelli nei pressi dell’abside della chiesa di San Gregorio e quelli sottostanti il palazzo del Comune in via Vittorio Veneto; dalle mura risalgono al IX secolo a.c. Il nome Fermo, come già accennato, ricorre spesso negli autori greci e latini: è il Firmun Picenum, per distinguerlo da Firmum Picenum e Firma Augusta nella Spagna.
PERIODO ROMANO
A mano a mano, l’insediamento nel Piceno si andava sviluppando. Lo documentano la cerchia di mura preromane, costruita prima del 264 a.c., la cerchia romana e, successivamente, la cerchia augustea, quando la città si sviluppò notevolmente per l’arrivo dei veterani di Augusto in tal modo Fermo, "castrum vocabulo et natura firmum", come dice Liutprando, costituiva un caposaldo inespugnabile.
A mano a mano, l’insediamento nel Piceno si andava sviluppando. Lo documentano la cerchia di mura preromane, costruita prima del 264 a.c., la cerchia romana e, successivamente, la cerchia augustea, quando la città si sviluppò notevolmente per l’arrivo dei veterani di Augusto in tal modo Fermo, "castrum vocabulo et natura firmum", come dice Liutprando, costituiva un caposaldo inespugnabile.
Nel 280 a.c. vennero a svernare a Fermo le truppe romane battute da Pirro sul Siri e l’anno dopo da qui ripartono per combattere nuovamente contro lo stesso re. Nel 264 i romani che, quattro anni prima, avevano sottomesso i Piceni, deducono a Fermo una colonia con diritto di battere moneta. È la prima colonia romana, quella di cui parla Velleio Patercolo.
Fermo partecipa alla I e II guerra punica, con l’invio di armi ed armati. Nella prima, manda marinai a Caio Duilio e ad Attilio Regolo; nella seconda, mentre le altre colonie latine si ribellano e tra le 18 che rimangono fedeli a Roma e combattono contro Annibale. E’ il 207 a.c. a tali fatti si riferisce il motto dello stemma della città "Firmun firma fides Romanorun colonia" (Fermo dalla ferma fede, colonia dei Romani).
SANTUARIO DI MONTERINALDO |
Non a tutti è noto che nella guerra sociale (91 a.c.) la prima scintilla, anche se indiretta, partì da Fermo. Infatti il proconsole romano Caio Servilio, che risiedeva a Fermo, si reca in compagnia del suo legato Fonteio ad Ascoli, perché aveva sentore di ribellione e per avere notizie di un ostaggio. La popolazione era riunita a teatro per una cerimonia. Al vedere i magistrati romani fu tutt’uno nello scagliarsi contro di loro e di ucciderli. È lo scoppio della guerra sociale.
Il Senato manda allora un esercito al comando di Pompeo Strabone, in esso militano anche il figlio di costui, il futuro Pompeo Magno, ed il giovane Cicerone. Strabone è sconfitto e si ritira a Fermo che viene subito assediata da Afranio e Ventidio.
Roma spedisce un altro esercito che, giunto a Fermo prende alle spalle gli assediati. Questi presi tra due fuochi, in conseguenza di una sortita di Strabone, aiutato dai frombolieri Fermani, si danno alla fuga, inseguiti, si ritirano verso Ascoli che viene anch’essa assediata e poi espugnata.
Nell’assedio c’è Catilina oltre Cicerone e Pompeo Magno. È il 25 dicembre dell’anno 89 a.c. I fermani ottengono la piena cittadinanza romana. Cicerone li chiama fratelli e grande è l’amicizia con la famiglia di Pompeo.
Gneo Pompeo Magno che abbiamo visto insieme a Cicerone combattere nei pressi di Fermo, qui possedeva terre e ville come ci attesta Cicerone (Filippica XXIII); esiste ancor oggi la strada “pompeiana” e sembra che la casa di Pompeo fosse entro la città, dove è ora la chiesa di San Domenico.
Quando Pompeo combattè contro Carbone e contro il pretore Censorino a Senigallia, nell’anno 85 a.c. i Fermani fecero parte della sua legione.
Nell’anno 83 a.c., Silla, vittorioso sul re del Ponto, riunisce a Fermo le truppe per fronteggiare ben quattro eserciti speditigli contro dal partito di Mario. Due di essi venuti attraverso la Salaria, sono subito sconfitti; gli altri due, accampati nei pressi di Urbino, vengono sbaragliati.
Nel 49 a.c. dopo il passaggio del Rubricone e, dopo aver conquistato Pesaroro, Fano, Ancona, Osimo, Cesare nella sua marcia nel Piceno, prende Fermo; si reca poi a Castrun Truentinum, quindi si dirige in Ascoli per fare rifornimento. Nel De bello civili (lib.I cap.XV) dice testualmente: “dopo aver preso Fermo di averne cacciato Lentulo, prosegue per Ascoli dove si ferma un giorno per rifornirsi di grano”.
Nel 49 a.c. dopo il passaggio del Rubricone e, dopo aver conquistato Pesaroro, Fano, Ancona, Osimo, Cesare nella sua marcia nel Piceno, prende Fermo; si reca poi a Castrun Truentinum, quindi si dirige in Ascoli per fare rifornimento. Nel De bello civili (lib.I cap.XV) dice testualmente: “dopo aver preso Fermo di averne cacciato Lentulo, prosegue per Ascoli dove si ferma un giorno per rifornirsi di grano”.
Nella guerra contro Marco Antonio nel 45 a.c., i Fermani si distinsero inviando soldati e denaro, alché furono lodati da Cicerone, in pubblica seduta del Senato: “sono da lodare i Fermani che sono stati i primi ad disporre aiuti in denaro”.
Nel 82 d.c. Fermo è in lite con Falerone per territori di confine. L’imperatore Domiziano decide a favore di Falerone e ciò è attestato da un decreto, inciso sul bronzo, e ritrovato nel 1593 nei pressi del teatro romano di Falerone .
Plinio il giovane fu il difensore di Fermo nella causa intentata da Falerone e ciò su invito del giureconsulto fermano Sabino. Plinio sebbene oberato da impegni accettò di essere difensore di Fermo, che viene da lui chiamata città ornatissima e splendida (splendens).
Plinio il giovane fu il difensore di Fermo nella causa intentata da Falerone e ciò su invito del giureconsulto fermano Sabino. Plinio sebbene oberato da impegni accettò di essere difensore di Fermo, che viene da lui chiamata città ornatissima e splendida (splendens).
Dopo Augusto ha luogo, nel 40 a.c. la costruzione delle Cisterne romane, cisterne che servivano per deposito e di depurazione di acque destinate alla città ed al Navale Fermano.
A questo periodo della storia romana si riferisce la Tavola Peutingeriana conservata a Vienna e che riporta le grandi vie dell’Impero Romano e le città più importanti. Fermo vi figura col toponimo: Firmum Picenum. -
VELLEIO PATERCOLO
Lo storico latino Velleio Patercolo scrive dell'occupazione di Fermo da parte dei Romani all'inizio della prima guerra punica (264 a.c.), pertanto Fermo già esisteva per suo conto. I Romani la denominarono Firmum Picenum che divenne una colonia importante, ma bisogna attendere il 90 a.c. perchè la città venga eletta al rango di Municipium, ottenendo così i fermani piena cittadinanza romana. (Ep 8; Lib. IV ad Att.).
Secondo uno studioso americano (Frank, Baltimora, 1933) nelle colonie dedote in questo periodo c'erano circa 4000 coloni; unitamente alla restante popolazione indigena, per la Fermo del primo periodo latino si può ipotizzare una popolazione all'incirca di diecimila abitanti.
Si trattava di una colonia molto importante, come dimostra il diritto di battere moneta, accordatole nella prima fase della sua esistenza.
Lo status di municipium dura solo cinquant'anni: nel 43 a.c. inizia la Roma imperiale con il primo imperatore Ottaviano Augusto e due anni dopo, nel 41 a.c.. inizia per Firmum la terza fase istituzionale della sua storia romana: resta insignita del titolo di colonia (ornatissima e, secondo qualche attestazione epigrafica anche Iulia) ma sui suoi territori, confiscati, Antonio deduce una colonia triunvirale di veterani di guerra; successivamente sembra esserci stata anche una deduzione di una colonia augustea, più probabilmente però nella confinante Falerio (Piane di Falerone) che non proprio a Fermo.
A seguito della deduzione antonina, nell'età del principato Firmum Picenum raggiunge una notevole consistenza demografica: è certamente in questo periodo tra le città più popolose del centro Italia. Lo si deduce, ad. es., dal numero di tredici pretoriani provenienti da Fermo (un terzo di tutto il Piceno), quando le altre città ne presentano uno o due (solo Falerio, confinante con Fermo ne presenta tre, probabilmente a seguito della deduzione augustea). Anche per quanto riguarda i legionari, sono di Firmum l'unico piceno attestato sotto Augusto e Caligola, e i tre sotto Vespasiano e Traiano.
Nei successivi due secoli dell'impero, più che di Firmum si parla di Castellum Firmanorum (Castello dei Fermani), cioè il Porto di Fermo (presso l'odierna Santa Maria a Mare, alla foce dell'Ete, subito a sud dell'attuale Porto San Giorgio, da non confondere con la rocca medievale oggi visibile): lo sviluppo dei traffici commerciali e dei trasporti, favorito dalla tranquillità politica-sociale e dalla prosperità economica, avevano incentivato la crescita delle città poste lungo il litorale e lungo le vie pianeggianti costiere, più comode delle pur numerose vie interne.
Lo storico latino Velleio Patercolo scrive dell'occupazione di Fermo da parte dei Romani all'inizio della prima guerra punica (264 a.c.), pertanto Fermo già esisteva per suo conto. I Romani la denominarono Firmum Picenum che divenne una colonia importante, ma bisogna attendere il 90 a.c. perchè la città venga eletta al rango di Municipium, ottenendo così i fermani piena cittadinanza romana. (Ep 8; Lib. IV ad Att.).
Secondo uno studioso americano (Frank, Baltimora, 1933) nelle colonie dedote in questo periodo c'erano circa 4000 coloni; unitamente alla restante popolazione indigena, per la Fermo del primo periodo latino si può ipotizzare una popolazione all'incirca di diecimila abitanti.
Si trattava di una colonia molto importante, come dimostra il diritto di battere moneta, accordatole nella prima fase della sua esistenza.
Lo status di municipium dura solo cinquant'anni: nel 43 a.c. inizia la Roma imperiale con il primo imperatore Ottaviano Augusto e due anni dopo, nel 41 a.c.. inizia per Firmum la terza fase istituzionale della sua storia romana: resta insignita del titolo di colonia (ornatissima e, secondo qualche attestazione epigrafica anche Iulia) ma sui suoi territori, confiscati, Antonio deduce una colonia triunvirale di veterani di guerra; successivamente sembra esserci stata anche una deduzione di una colonia augustea, più probabilmente però nella confinante Falerio (Piane di Falerone) che non proprio a Fermo.
A seguito della deduzione antonina, nell'età del principato Firmum Picenum raggiunge una notevole consistenza demografica: è certamente in questo periodo tra le città più popolose del centro Italia. Lo si deduce, ad. es., dal numero di tredici pretoriani provenienti da Fermo (un terzo di tutto il Piceno), quando le altre città ne presentano uno o due (solo Falerio, confinante con Fermo ne presenta tre, probabilmente a seguito della deduzione augustea). Anche per quanto riguarda i legionari, sono di Firmum l'unico piceno attestato sotto Augusto e Caligola, e i tre sotto Vespasiano e Traiano.
Nei successivi due secoli dell'impero, più che di Firmum si parla di Castellum Firmanorum (Castello dei Fermani), cioè il Porto di Fermo (presso l'odierna Santa Maria a Mare, alla foce dell'Ete, subito a sud dell'attuale Porto San Giorgio, da non confondere con la rocca medievale oggi visibile): lo sviluppo dei traffici commerciali e dei trasporti, favorito dalla tranquillità politica-sociale e dalla prosperità economica, avevano incentivato la crescita delle città poste lungo il litorale e lungo le vie pianeggianti costiere, più comode delle pur numerose vie interne.
Così era di certo più importante la via litoranea che collegava la Flaminia, all'altezza di Ancona, alla Salaria all'altezza di Truentum (dove oggi sorge Porto d'Ascoli) passando per Potentia, Cluentum (Civitanova Marche) e Castellum Firmanorum, che non la via che collegava Firmum alla Flaminia passando nell'entroterra per Urbs Salvia (Urbisaglia), Septempeda (San Severino Marche) fino a Nuceria (Nocera Umbra).
Allo stesso modo si ritiene che le mercantili Castellum Firmanorum e Truentum (dotate di piccoli porti-canale alle foci dei fiumi Lete e Truentus) siano probabilmente più popolate (o meglio "frequentate", considerando anche la resienza avventizia) delle istituzionali, e comunque più importanti, Firmum e Asculum.
Se le ripetute deduzioni di colonie comportarono successivi interventi sulla struttura urbana della città, ampliandola sempre di più (nuove cerchie di mura), i primi due secoli di "pace operosa" dell'età imperiale sono segnati a Fermo dalle imponenti realizzazioni urbanistiche che hanno lasciato intatto il loro segno fino ad oggi (cisterne romane, rete idraulica, teatro) o dagli interventi di decoro urbano, voluti spesso direttamente dall'imperatore, attestati da documentazioni epigrafiche.
Dopo trecento anni di prosperità economica e sociale, dalla metà del terzo secolo d. C. inizia la decadenza dell'impero e di tutte le città italiane, Firmum compresa.
I RESTI
In epoca augustea vennero realizzate le Cisterne - o Piscine - Romane, per raccogliere e conservare l'acqua piovana e sorgiva destinata a rifornire la città e il navale che Fermo possedeva sul mare Adriatico (il porto era distante 7 km, alla foce del fiume Ete).
Le cisterne sono costituite da trenta vaste sale sotterranee che occupano una superficie di oltre 2000 mq e 10.854 mc sotto il centro storico di Fermo, ancora oggi ben conservate e impermeabilizzate (tant'è che hanno funzionato anche recentemente come serbatoi).
TEATRO ROMANO |
A Fermo risiedette a lungo la famiglia dei Pompei che qui possedevano terre e ville; tuttora una via nel centro storico e un palazzo sono intitolati a Pompeo Strabone, (console romano, comandante della Legio Firmana, padre del triunviro Gneo Pompeo Magno), in quanto nel 1739 proprio nel sottosuolo di quel palazzo furono rinvenute lastre di verde antico appartenenti ad un insigne edificio romano ritenuto l'abitazione di Pompeo; la principale via che all'epoca collegava Fermo al porto era - ed è tuttora - chiamata via Pompeiana.
Sulla scelta del nome Fermo (Firmum Picenum) si fanno solo ipotesi: la radice indoeuropea "Fir" significa "vetta, cima"; il nome sarebbe stato poi ripreso dai romani in Firmum per per sottolineare la salda posizione in cima al colle, oppure la fedeltà della nuova colonia: nello stemma della città (e del Comune tutt'oggi) c'è la dicitura FIRMUM FIRMA FIDES ROMANORUM COLONIA, cioè "Fermo colonia dei Romani dalla ferma fede".
Di non secondaria importanza anche la parte marittima dell'abitato, alla foce del fiume Ete, dove sorgeva il porto-canale. Probabilmente per la notevole diffusione di piante di palma lungo la costa, i latini chiamavano la zona "ager palmensis", terminologia conservata nel nome delle due odierne frazioni di Fermo site nelle vicinanze: Torre di Palme e Marina Palmense. A questo insediamento, di funzione prevalentemente mercantile, appartengono alcuni ritrovamenti durante i lavori di costruzione dell'autostrada nel tratto tra S. Maria a Mare e Marina Palmense.
L'ACROPOLI
In cima al colle era l'acropoli, con tempio, edifici civili e fortificazioni. Le numerose vicende che hanno interessato la sommità della collina dopo il periodo romano (numerose ricostruzioni del Duomo, dei palazzi medievali dei Priori e dell'Episcopio, l'edificazione della rocca medievale e la sua totale distruzione due secoli dopo) hanno reso quasi illeggibile il quadro diacronico delle presenze antiche, romane e preromane, che sono in ogni caso testimoniate da numerosi rinvenimenti:
- due fosse a sud del Duomo;
- tombe del periodo italico (villanoviane) contenenti tanto di corredo funebre, individuate durante gli scavi nel sottosuolo del Duomo negli anni Quaranta e nel piazzale dei giardini durante i lavori di realizzazione dell'impianto di irrigazione negli anni Novanta;
- 17 vasi in terracotta scoperti nell'area della collina posta sopra la chiesa di San Rocco contenenti monete e altro;
- strutture romane messe in luce durante gli scavi della basilica paleocristiana, tradizionalmente attribuite ad un tempio, poste sotto al pavimento del Duomo;
- frammenti di statue colossali, rinvenuti sotto al Duomo;
- una cisterna rettangolare sotto ai giardini a sud del Duomo;
- un cunicolo accessibile da un pozzo aperto alla testa della navata destra della chiesa paleocristiana e preesistente a questa.
IL FORO
Nel 1877, nel corso di lavori nei sotterranei di una casa privata (Giannini) posta dove oggi si trova il palazzo della ex Banca Nazionale dell'Agricoltura (tra Largo Matteotti e via Paccaroni, poco più in basso di Piazza del Popolo), sono stati rinvenuti resti di un edificio e di un lastricato,di un pozzo profondo oltre 10 m che immetteva in un cunicolo praticabile, e di statue, pertinenti al foro.
Le lastre erano di finissimo marmo bianco, come quelle di un pavimento, legate fra loro da cemento. In precedenza, nei sotterranei di un edificio adiacente, era stata rinvenuta una statua marmorea colossale di una persona togata, databile in età claudia, acquistata dal Municipio, ora conservata nel Museo Archeologico di Fermo.
Nel 1915, durante i lavori di sistemazione dello stesso stabile, nel frattempo acquistato dal Consorzio Agrario Provinciale di Fermo (che ne è stato proprietario fino agli anni Cinquanta, quando lo ha ceduto alla Bna per trasferirsi nella nuova sede fuori Porta San Francesco), venne in luce una statua iconica marmorea, di età giulio claudia, ora conservata ad Ancona nel Museo Nazionale delle Marche (dopo una lunga vertenza che coinvolse Comune, Consorzio Agrario, Ministero e anche i cittadini); successivamente vennero alla luce anche grossi blocchi e un podio che sosteneva una serie di statue onorarie.
Sia gli ispettori locali che gli esperti del Ministero dei Beni Culturali, convennero che per le loro caratteristiche le strutture e i reperti erano da riferire al foro o ad un edificio pubblico eretto in vicinanza di questo. A conferma di ciò c'è la quota dei rinvenimenti: il lastricato era posto a quota 279 (a cui arrivavano gli scavi per le fondazioni del Consorzio Agrario); la quota esterna della cisterna romana più grande, posta sotto al foro, che costituiva un sostegno di parte dell'area forense, è di 279 metri sul livello del mare.
Le statue appartenevano ad un ciclo onorario giulio - claudio raffigurante membri della famiglia imperiale, collocate in un edificio pubblico o religioso ubicato su un lato o in prossimità del foro.
IL TEATRO
Come a Roma, anche a Fermo i ludi scaenici venivano organizzati periodicamente e con cadenza regolare per rendere omaggio ad alcune divinità, ma erano piuttosto diffusi anche i ludi triumphales e iludi funebres.
I primi per celebrare un successo militare, i secondi per commemorare una personalità illustre della società che era venuta a mancare.
Fino al Cinque - Seicento il teatro era ancora "leggibile", come dimostrano alcune vedute della città. Nel 1739, nei lavori di ampliamento dell'ospedale di S. Maria Novella della Carità (nucleo originario dietro all'odierno Monte di Pietà), furono rinvenute antiche lastre di marmo di colore verde nonché resti di un edificio importante.
Attorno al 1780, durante i lavori per l'ampliamento dell'ex ospedale, per ospitarvi il Conservatorio delle Projette (poi degli Esposti: edificio che oggi ospita il Collegio Artigianelli), vennero alla luce resti di edificio che portavano segnato il nome dell'Imperatore Antonino Pio nonché moltissimi pezzi di marmo, iscrizioni epigrafiche e statue.
TEATRO DI FALERIO PICENO |
Nel 1934, durante i lavori effettuati nei sotterranei della sede centrale della Cassa di Risparmio di Fermo (ex Palazzo Matteucci) furono messi in luce un muro romano con nicchie. Oggi restano visibili le strutture che appartengono alla cavea, al corridoio anulare e all'area dietro alla scena (queste ultime incorporate nei palazzi anzidetti o sottoterra), mentre le strutture della scena vera e propria sono andate distrutte nei lavori del 1780.
La struttura oggi più evidente è il corridoio anulare esterno del teatro (foto qui a lato), costituito da due muri che corrono paralleli a circa 3,5 metri di distanza l'uno dall'altro, seguendo l'area perimetrale del teatro dal Duomo a Via Ognissanti; in mezzo ai due muri passa una strada, oggi anche carrabile, detta del Teatro Antico. Il muro concentrico più interno costituisce oggi il muro perimetrale esterno del cortile del Collegio Artigianelli. Parte di un terzo muro, anch'esso concentrico ai precedenti, è visibile nella parte orientale del cortile del Collegio Artigianelli, purtroppo incorporato nel muro perimetrale di locali di servizio al Collegio, di recente costruzione.
L'estremità della parete ovest, coperta con volta a botte, è oggi conservata all'interno della casa Vitali - Rosati (già Matteucci) nella quale venne incorporata nel 1949. Appartenente invece all'estremità ovest è un corridoio angolare, coperto con volta a botte, conservato in un vano del Collegio, che aveva la funzione di accesso.
Altri resti sono conservati nel terrapieno sotto a Via Don Ernesto Ricci. Nel corso dei già citati lavori del Settecento e Ottocento vennero alla luce una statua di un Genio, una statua femminile priva di testa e braccia che forse personificava la Tragedia o la Commedia, una testa in travertino e un gorgoneion in marmo.
ANTICHE COLONNE DEL TEATRO |
I resti rinvenuti nel 1739 nei lavori di scavo nelle fondamenta dell'Ospedale secondo la volontà del Borgia dovevano essere conservati a Fermo, invece essi furono furtivamente venduti al mecenate Marefoschi, amico del Vanvitelli, che li reimpiegò nella ricca decorazione policroma all'interno della chiesa della Misericordia a Macerata.
Nella ricostruzione assonometrica a lato (tratta da "Firmum Picenum") il teatro visto da nord: in marrone le sopravvivenze odierne, molte delle quali incorporate nelle superfetazioni Medievali, Sei - Ottocentesche e, purtroppo, anche del Novecento. Il teatro è databile al primo secolo dell'Impero (I sec. a.c.), quindi coevo della cisterna più grande e di poco precedente alla ristrutturazione urbanistica augustea dovuta alla deduzione della colonia di veterani.
L'edificio subì più interventi di restauro e di arricchimento come dimostrano laterizi bollati Antonino Pio e una iscrizione relativa a Marco Aurelio, quindi appartenenti al II sec., d.c., mentre i due capitelli oggi conservati nel cortile del Palazzo Vitali Rosati appartengono al III sec. d.c. Le monete rinvenute nei lavori Sette-Ottocenteschi sono databili da Augusto (I sec. a.c.) a Gordiano Pio (III sec. d.c.).
Rinvenute anche tessere bronzee, aghi crinali in osso e avorio, lastre marmoree, elementi della decorazione architettonica, anfore incomplete. Le Cisterne Il sistema di drenaggio del sottosuolo urbano e la rete di approvvigionamento e distribuzione idrica sono in parte noti grazie alla sopravvivenza di alcune componenti isolate. Essi formano un complesso di notevole rilevanza monumentale e urbanistica, unico al mondo, consistente in pozzi, condotti sotterranei, fontane e soprattutto tre cisterne che sono il monumento più noto e menzionato di Fermo.
CISTERNA PRINCIPALE |
CISTERNA PRINCIPALE
La più grande e famosa delle tre cisterne è conosciuta anche come "Piscine epuratorie (o limarie)"; è ubicata sotto parte di via Paccarone, Vicolo Chiuso I, Via degli Aceti e di Largo Maranesi e sotto gli edifici adiacenti, fra cui il Convento di San Domenico e fu costruita con ampi tagli e riempimenti del versante orientale della collina tra le quote 273 (pavimento) e 279 (volta esterna) metri s.l.m..
È una grande vasca di tenuta a pianta rettangolare, delle dimensioni di 65 x 29 metri (planimetria nell'immagine a lato). Il muro perimetrale è in opus caementicium dello spessore da 1,5 a 1,65 metri con paramenti in laterizio; all'interno: rivestimento impermeabilizzante in opus signinum (così denominato forse perché prodotto a Segni, città del Lazio).
L'opus caementicium è costituito da ciottoli fluviali di piccole e medie dimensioni, frammenti di calcare e malta in abbondanza.
L'interno è diviso da muri ortogonali in opus testaceum (di mattoni) e impermeabilizzati con rivestimento in opus signinum che formano 30 camere intercomunicanti a pianta rettangolare disposte su tre file.
Le camere comunicano attraverso aperture di varie dimensioni sormontate dai tipici archi a tutto sesto romani, realizzati utilizzando mattoni in laterizio uniti da abbondanti strati di malta spessi fino a quasi 3 cm. Il pavimento è in leggera pendenza verso N-NE in modo da assicurare il deflusso delle acque verso le aperture degli emissari e quindi ai canali di distribuzione. Le camere sono coperte da volte a botte di opus caementicium gettato su armature di legno la cui impronta è ancora visibile. I blocchi di caementa sono costituiti da materiale tufaceo, più leggero.
Lo spessore della gettata arriva fino a 57 cm. Al centro di alcune volte si aprono pozzetti, molti dei quali realizzati in età post romana per accedere alla cisterne dalle nuove abitazioni sovrastanti che le utilizzavano come cantine. Un pozzetto porta direttamente all'aperto, in Largo Maranesi (davanti a San Domenico).
La cisterna poggia su una robusta e spessa platea in opera cementizia formata da conglomerato di malta e caementa di piccole dimensioni con superficie abbastanza levigata; in alcune camere il pavimento è stato ricoperto con mattoni durante i lavori di restauro e ripristino del complesso occorsi tra la fine dell'Ottocento e il Novecento.
La cisterna era alimentata con acqua captata all'interno della sovrastante collina dai numerosi pozzi e canali sotterranei: essi, a diverse quote, captavano abbondante acqua potabile e la convogliavano verso la nostra vasca di tenuta attraverso un grosso condotto che terminava all'interno della cisterna con tanti piccoli tubuli.
L'esame delle malte, dei laterizi e della tecnica edilizia porta a concludere che questa cisterna è contemporanea all'altra, posta tra Via Mazzini e Viale Vittorio Veneto (sotto al Comune) e a gran parte della rete di cunicoli e canali sotterranei, quindi fa parte di un vasto, organico e contemporaneo intervento di sistemazione dell'approvvigionamento idrico e di altri aspetti dell'urbanistica cittadina.
Un impegno pubblico così notevole è ricollegabile solo ai grossi lavori di ristrutturazione urbanistica della città che seguirono, in età augustea, la deduzione dei veterani ad opera di Ottaviano, quindi la realizzazione delle cisterne è databile verso la fine del I sec. a.c.; datazione che non contrasta nemmeno con la tipologia dei laterizi: nell'area picena l'uso del mattone cotto fu più precoce che in altre parti dell'impero.
Da un bollo IMP. ANTO. AUG. (diffuso anche a Ravenna, Rimini, Bologna, Ferrara, Trieste e in Istria), presente all'interno della cisterna si può dedurre che essa - a causa dell'usura derivante dalla sua stessa funzione - ebbe bisogno di essere sottoposta a primi lavori di restauri già in un periodo databile tra Antonino Pio e i Severi (150 - 300 d.c.).
Come già accennato, nel contesto urbanistico di Firmum, la principale cisterna non ebbe solo la funzione di vasca di tenuta per l'acqua, ma anche funzione di contenimento e sostruzione per parte dello spazio forense.
Verso la fine dell'Ottocento la cisterna fu svuotata dai notevoli detriti accumulatisi nel corso dei secoli, fu restaurata, con l'eliminazione dei numerosi strappi (realizzati, nelle volte e nei muri perimetrali, dai proprietari delle abitazioni sovrastanti per utilizzare le sale della cisterna come cantine) ed è stata in parte riutilizzata come vasca di tenuta dell'acquedotto fermano fino al 1980 quando sono stati completati gli ultimi lavori di restauro che rendono la cisterna oggi interamente visitabile e ammirabile nel suo splendore.
Oggi vi si accede da un ingresso moderno aperto in Via degli Aceti (foto a lato), l'unico praticabile dopo la chiusura di quelli antichi da Vicolo Chiuso 1, da Largo Maranesi (ex Convento di San Domenico) e di quelli medievali aperti da alcuni edifici privati sovrastanti.
CISTERNA SECONDARIA
La seconda cisterna è stata costruita sul versante sud della collina, fra le quote 290 e 295, all'interno di un terrazzamento contenuto a sud da un muro in opus quadratum oggi prospicente su Viale Vittorio Veneto. Sopra di essa nel XIV sec. è stato costruito il convento dei Frati Apostoliti, edificio che oggi ospita gli uffici comunali di Via Mazzini.
L'accesso alla cisterna (oggi utilizzata come Museo Archeologico) è da Largo Calzecchi Onesti. L'interno è a pianta rettangolare (28 x 12,6, planimetria nell'immagine a lato); la muratura perimetrale può essere oggi osservata, nella facciavista e in sezione, in corrispondenza della parete est, che oggi prospetta su Largo Calzecchi Onesti (capolinea degli autobus, immagine sopra) e nella quale sono state aperte in epoca succesiva a quella romana due porte e due finestre.
Trattasi di opera cementizia con ciottoli fluviali di medie e grandi dimensioni e piccoli e medi frammenti di pietra misti a malta abbondante.
L'interno è suddiviso in sei settori rettangolari coperti con volte a botte (altezza circa 4,75 m) da pareti ortogonali nelle quali si aprono passaggi con archi a tutto sesto e rivestito da laterizi tranne le volte che sono in opera cementizia a vista, gettata in armature lignee di cui sono visibili le impronte.
Secondo il De Minicis (1841) l'interno era impermeabilizzato da un rivestimento di uno spesso strato di opus signinum che però deve essere stato asportato nel corso di lavori abusivi compiuti dopo l'ultimo dopoguerra. La cisterna poggia su una platea in opera cementizia; il pavimento è in conglomerato di malta con pietre di piccole dimensioni.
L'acqua era immessa nelle camere da numerose bocchette; non ci sono più tracce di emissari, ma l'acqua poteva essere attinta anche dai numerosi pozzetti aperti sulle volte. L'ingresso antico era posto sul lato ovest, nella parte superiore della parete verso la volta, poi coperto in epoca medievale.
Oggi vi si accede dal lato est (prospicente su Largo T. C. Onesti) attraverso una apertura realizzata in epoca tardo medievale, assieme alle due vicine finestre e ad un nuovo passaggio che la metteva in comunicazione col palazzo sovrastante: in epoca post-romana la cisterna è stata utilizzata per diversi scopi, il più importante, dal Cinquecento all'Ottocento, quello di carcere, quando il palazzo sovrastante era la sede del Governatore o della Prefettura.
Le caratteristiche strutturali e la tecnica edilizia del complesso sono analoghe a quella della cisterna principale e inducono a datarla nella prima età imperiale (I sec. a.c. - d.c.) se non addirittura ad un'epoca precedente, tardo repubblicana; in questa seconda ipotesi la costruzione di questa cisterna avrebbe preceduto l'altra e non sarebbe legata ai lavori di ampliamento urbanistico conseguenti alla deduzione della colonia di veterani effettuata in periodo augusteo.
Dopo svariati usi e numerose modifiche subite nel corso dei secoli (non da ultimo quella di essere diventata, dal XIV sec., le fondamenta del convento degli Apostoliti che gli è stato costruito sopra: odierno palazzo del Comune nella sola ala prospiciente su Viale Vittorio Veneto), la cisterna è destinata dal 1957 a raccogliere la raccolta archeologica del Comune, già collocata nella Biblioteca e nel Palazzo dei Priori; ristrutturata negli anni Sessanta e Settanta, oggi ospita l'Antiquarium, Museo Archeologico di Fermo.
TERZA CISTERNA
Nel 1927, durante i lavori per la costruzione di un serbatoio eseguiti sul Girfalco, venne alla luce una piccola cisterna rivestita di un laterizio che aveva caratteristiche affini a quelle della cisterna più importante.
Essa è costituita da quattro ambienti non comunicanti tra loro e coperti con volte a botte; la larghezza totale della struttura (6,8 x 4,6) è compatibile con le dimensioni tipiche di cisterne romane, non invece l'altezza, che è solo un metro e mezzo (planimetria e sezione a lato).
È ubicata a 14 metri di distanza dall'estremità sud-est della Chiesa Cattedrale alla profondità di 2 metri dall'attuale piano di calpestio dei giardini, in corrispondenza del punto ove essi presentano una sopraelevazione, volutamente non carrabile, utilizzata per bambinopoli.
A differenza delle altre due, dopo i rilievi del 1927 essa è stata di nuovo interrata e oggi non è visibile.