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SESSA AURUNCA (Campania)

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Il nome Sessa deriva da "Colonia Julia Felix Classica Suessa" o semplicemente "Suessa", città appartenente alla Pentapoli Aurunca, una federazione di città fondate dall'antico popolo degli Aurunci, anche detti Ausoni (per altri sono due popoli diversi).

Le città erano:

-  Ausona . detta pure Aurunca, antica città degli Osci Ausoni (o Aurunci), probabilmente ubicata presso odierna Ausonia. Alleata dei Capuani, venne distrutta dai Romani durante la II guerra sannitica, nel 314 a.c., e i suoi abitanti passati per le armi.

- Vescia - o Veseris, collocata sulla sponda sinistra del fiume Garigliano, nell'attuale comune di Cellole e Sessa Aurunca, dove sono stati trovati dei resti di mura risalenti all'epoca pre-romana.

- Minturnae - le cui splendide vestigia sorgono lungo il percorso della via Appia, presso il fiume Garigliano, fu un centro degli Ausoni, poi occupato dagli Aurunci.

- Sinuessa - antica città sommersa dal mare, che pian piano sta riaffiorando: anfore, aggregati di monoliti, ancore, opere antropiche, resti di antichi pavimenti stradali: l’antica colonia romana di Sinuessa, II sec. a.c. che dal 2012 viene esplorato e classificato dal Laboratorio di Chimica Ambientale del Centro di Ricerca ENEA di Portici (Napoli). Ad una profondita’ di circa 8-10 m sono stati rinvenuti 24 massi cubici impiegati nella costruzione di banchine a protezione dei porti, a 3 m di profondita’, resti di un antico pavimento stradale, con blocchi in pietra da 50 cm a 1 m.,  a 9 m un’ancora di piombo romana. A 11 m un’anfora integra.

Successivamente i Romani assoggettarono o distrussero, durante la Guerra Latina, le città della federazione.

Durante la II guerra sannitica, i Romani, distrussero completamente le cinque città della Pentapoli per la loro mancata collaborazione, ma successivamente, fondarono le colonie di Sessa Aurunca e Minturnae, città che ne conservavano il nome e più o meno la posizione.

Si presume che il nome possa derivare dalla felice posizione sessio, cioè sedile, dolce collina dal clima mite del territorio denominato dai Romani Campania felix. Corrispondente poi alla Terra di Lavoro divenne una regione storico-geografica dell'Italia del sud, la ex-romana Campania Felix, oggi suddivisa tra Campania, Lazio e Molise

Sessa Aurunca dislocata fra una a collinare e la fertilissima "Piana del Garigliano", fu famosa per la produzione di olio e vini in epoca romana (numerose sono sul territorio le tracce di grossi insediamenti produttivi di età imperiale).

L'ACQUEDOTTO

IL FALERNO

Da queste terre, fino alle pendici del Massico proviene quel famoso vino di Falerno, che si affermò fin dalla tarda età repubblicana, tanto decantato da essere ritenuto un dono del Dio Dioniso alle ospitali genti del luogo:

Marziale - Falernum CXI 
"De sinuessanis venerunt Massica prelis: condita quo quaeris consule? Nullus erat."
"Questo vino massico è venuto dai torchi di Sinuessa. Mi chiedi sotto quale console fu imbottigliato? Non c'erano ancora i consoli."

Plinio: 
«...i vini d'oltremare mantennero il proprio prestigio e questo fino al tempo dei nostri nonni, persino quando il Falerno era già stato scoperto...»
.
Anche maggiore longevità mostra il Falerno, poi, rispetto al Cecubo se ai tempi di Plinio, che muore nell'eruzione del Vesuvio del 79 d.c., quest'ultimo è ormai scomparso al contrario del Falerno che si continua a produrre anche se Plinio critica che il vino sia «in mano a gente che bada più alla quantità che alla qualità».

Gran parte degli scrittori latini hanno tessuto l'elogio di questo vino: Cicerone, Macrobio, Varrone, Diodoro Siculo, Virgilio, Orazio, Dionigi d’Alicarnasso, Tito Livio, Vitruvio, Tibullo, Ovidio, Plinio il Vecchio, Marziale, Silio Italico, Stazio, ecc., ma soprattutto Catullo in epoca repubblicana a celebrarne le lodi. Della qualità e della fama da esso raggiunta ne è prova anche il costo elevatissimo: pregnante è la scritta ritrovata a Pompei ove:
 «Edone fa sapere: qui si beve per 1 asse; se ne paghi 2, berrai un vino migliore; con 4, avrai vino Falerno» (CIL IV 1679).

Ben noto a Plinio per le sue doti terapeutiche, ad Orazio, Marziale, Petronio ed altri per il suo gusto asciutto e forte, il Falerno è ancora oggi oggetto di una qualificata richiesta anche dall'estero.



IL CECUBO

STRADA ROMANA DI SESSA AURUNCA
O Abbuoto, ha origini sono antichissime, tanto che Orazio  lo cita per invitare gli amici a festeggiare, danzare e a bere in occasione della morte di Cleopatra. Quando la regina egiziana tramava contro l'Impero, non si poteva portare fuori dalle cantine degli antenati questo pregiato vino: ma ora che Cleopatra è morta, ci si può deliziare con questo vino che con l'invecchiamento diviene più forte e dolce. Orazio specifica che questo vino delizioso era prodotto nella zona del Caleno.

Il cecubo era originario dell'ager Caecubus, territorio che da Formia si estendeva fino a Fondi e Terracina. Plinio elogia quello prodotto ad Amyclae, sul Monte Pianara presso Sperlonga, poiché qui le viti crescevano in un terreno palustre e venivano sposate ai pioppi. 



L'ANTICA AURUNCA

Sessa Aurunca è collocata al confine Nord-Ovest della Campania e della Provincia di Caserta, ed è separata dal Lazio, Provincia di Latina, dal fiume Garigliano. Come dimostrano le tracce di insediamenti preistorici e le necropoli dell'VIII sec. a.c., essa è antichissima e popolata dagli Aurunci, un antico popolo osco qui insediato da circa un millennio a.c..


GAIO LUCILIO

Tra i personaggi illustri di Sessa è da citare Gaio Lucilio, nato a Sessa intorno al 148 a. c.,l’inventore della satira. Appartenente al "circolo degli Scipioni", partecipò attivamente alla vita culturale dell'età degli Scipioni e dei Gracchi. Scrisse trenta libri di satire, di cui ci restano frammenti per 1.300 versi, portando alla maturazione e alla fama questo componimento poetico.

Da giovane militò nella guerra Numantina (134-133), e visse agiatamente a Roma, tranne che per un breve periodo durante il quale fu colpito da una legge che prescriveva l'allontanamento dei non cittadini romani (126-124). Amico intimo di Scipione Emiliano e di Lelio, dell'annalista Aulo Postumio Albino, del grammatico Elio Stilone, partecipò alla cultura scipionica e alle idee graccane. Morì forse forse il 114.

La satira era un genere già coltivato a Roma da Ennio e Pacuvio, con spunto dalla vita reale, per considerazioni sui vizi umani, per un fine didascalico e uno polemico divertente. La satira luciliana, fu una delle creazioni più vive e tipiche della letteratura latina, con composizione in esametri.  L. attaccò tutti gli uomini più in vista del suo tempo:
- dai democratici Gaio Cassio e Marco Papirio Carbone,
- agli aristocratici della fazione antiscipionica, come Quinto Opimio, Lucio Aurelio Cotta, Scevola l'Augure, Quinto Metello Macedonico, Lucio Cornelio Lentulo Lupo.

Unì alla polemica politico-moralistica quella filosofica e quella letteraria, con ricchezza d'interessi e di cultura. Ma il suo forte moralismo non fu senza grettezza, e la sua satira mancò di quella ricchezza etica che pure rappresentava l'ideale dell'aristocrazia grecizzante tra la quale egli visse.

Le satire di Lucilio ebbero larga fama nella latinità, come dimostrano non solo la successiva storia della satira (Orazio e i satirici dell'età imperiale, Persio e Giovenale, ne dipenderanno o comunque ne saranno influenzati), ma anche le varie menzioni e lodi che si ritrovano in Velleio Patercolo, in Plinio il Vecchio, in Quintiliano.

RESTI DEL TEATRO

I RESTI ARCHEOLOGICI

Numerosi sono i resti archeologici databili all’età antica giunti sino ad oggi: il teatro, il criptoportico, il ponte romano, l'acquedotto, le mura.

- Nel 337 a.c. la postazione fu abbandonata, sotto la pressione dei Sidicini, in favore della zona dell'attuale centro storico di Sessa. 

- Nel 337 a.c. i Sidicini, alleati degli Ausoni di Cales (odierna Teano), dichiararono guerra agli Aurunci che, sconfitti, furono espulsi da Sessa Aurunca. Però i Romani difesero gli Aurunci, sconfiggendo i Sidicini e gli Ausoni. 

- Fu un centro importante degli Aurunci, ma nel IV secolo a.c. fu conquistato dai Romani che sconfissero nel 313 a.c. la Pentapoli Aurunca, insediandovi una colonia di diritto latino, Suessa.

- Alla distruzione dei centri aurunci, seguì la deduzione della colonia latina di Suessa Aurunca, nel 313 a.c. (Liv. 9, 28, 7), affiancata, nel 296/5 a.c., dalle colonie romane di Minturnae, alla foce del Liri, e Sinuessa, ai limiti del territorio vescino, nella zona di confine con l’ager Falernus.

- Le due colonie di diritto romano dovevano assolvere alla funzione di praesidia militari, tanto che, come racconta Livio, fu difficile trovare chi fosse disposto a iscriversi nelle liste di reclutamento, essendo chiaro che i coloni erano mandati a montare quasi perennemente la guardia, in una regione esposta al pericolo continuo di attacchi nemici (Liv. 10, 21, 7-10: 296 a.c.; Vell. 1, 14, 6: 295 a.c.).
- I cittadini di entrambe furono ascritti alla tribù Teretina, creata nel 299 a.C. (Liv. 10, 9, 14. Sulla creazione della tribù e sulla sua originaria collocazione nella fascia costiera compresa tra il Liri e il Volturno.

CRIPTOPORTICO
- Nel 297 a.c. il territorio era già sotto la dominazione romana, come alleati o sottomessi, dal momento che in quell'anno ci fu un attacco contro i Sanniti da parte delle forze romane partendo dal loro territorio.

- A Suessa fu concesso di battere moneta a partire dal 270 a.c. 

- Durante la II guerra punica (219-202 a.c.), si rifiutò di fornire armi, soldati e denari a Roma che si vendicò distruggendole la città. Successivamente però la ricostruì.

- La notevole incidenza dell’economia schiavistica, a partire dalla II metà del II sec. a.c., è attestata dalle fonti letterarie ed epigrafiche, che riportano la notizia della crocifissione di 2000 schiavi a Sinuessa, in seguito alla rivolta servile, scoppiata sulla scia della ribellione degli schiavi in Sicilia nel 133 a.c. (Oros. 5, 9).
Riguardo alla documentazione epigrafica, un dato eloquente è fornito dagli elenchi di magistri di collegia locali, incisi su 29 cippi, riutilizzati nel podio del tempio A, cui si aggiungono altri due frammenti di provenienza diversa, ma riconducibili allo stesso nucleo documentario (CIL I², 2678-2708). Dei circa 330 personaggi menzionati, l’80% risulta costituito da schiavi e il resto da liberti.

- Nel 180 a.c. la città è ricordata da Catone il Censore come centro commerciale e luogo opportuno per l’acquisto di macchine agricole, sporte e cesti.

- Nell'età imperiale Suessa conosce la sua massima espansione urbana: il centro abitato si estendeva su un'area quasi doppia rispetto a quella attuale e contava numerosi e importanti monumenti.

- Nel 90 a.c., grazie alla Lex Julia municipalis, Sessa, col suo centro militare, commerciale e agricolo diviene Municipium con diritto alla cittadinanza romana ed entrò a far parte della tribù Aemilia. Durante la guerra civile si schierò al fianco di Silla prima e più tardi di Pompeo. Nel periodo immediatamente successivo ricevette diverse opere di abbellimento ed anche un ampliamento delle mura, in opera reticolata.

- Poco prima dell’ascesa al potere di Augusto, intorno agli anni 30 – 28 a.c., ricevette una nuova colonia che prese il titolo di Colonia Julia felix classica. A questo periodo risale, probabilmente, l’ultima edificazione della cinta muraria i cui resti sono ancora oggi visibili in varie zone dell’abitato. 

- In età imperiale la cittadina sessana viveva certamente un periodo estremamente florido, tanto da essere definita da Cicerone: “lautissimum oppidum”, città ricchissima.  Inoltre la posizione vantaggiosa tra la Via Appia e la Via Latina ne fa un centro di produzione agricola, i cui prodotti venivano trasportati verso Roma o verso Capua. Notevole il potenziamento della viabilità esterna anche per la realizzazione del Ponte degli Aurunci che collegava la città con il mare e con le vie consolari Appia e Latina.
- Al declinare dell'Impero romano, Sessa lentamente decadde.

MATIDIA MINORE

LE MATRES MATUTAE

Vero e proprio simbolo della feracità del territorio sono le Matres Matutae, antiche statue in tufo, realizzate, in un periodo compreso tra il VI al I sec. a.c., dalle popolazioni Osche. I manufatti, di diverse dimensioni, rappresentano, tutte, eccetto una, donne con uno o più neonati tra le braccia.

L'eccezione è, invece, la rappresentazione di Mater Matuta, divinità italica dell'aurora e delle nascite, che tiene una melograno (simbolo di fecondità) nella mano destra, e una colomba (simbolo di pace) nella mano sinistra. Le Matres Matutae, rappresentavano al provvida natura fertile e generosa, che accorda abbondanti i frutti del lavoro della terra.

Presso la foce del Garigliano, c'era il santuario della Dea Marica, che secondo le fonti  prevedeva un lucus, una palude e dell’acqua, sia del fiume che del mare. Marica era una Dea matronale, preposta alla riproduzione e alla fertilità, con connotazioni ctonie. 

Essa venne collegata a Diana, Hekate Trivia e Circe. Tra la fine del VI e l’inizio del V sec. a.c., il nome di Trivia, che compare inciso su una ciotola di impasto rinvenuta nell’area del santuario. La Dea triplice era sempre la ricca natura della zona, che forniva, oltre ai frutti reperiti dall'uomo, un lato selvaggio ma sempre produttivo, legato alle acque e ai boschi.



TERRA DI LAVORO

Liburia e Terra di Lavoro

La Terra di Lavoro è la romana Campania Felix, oggi suddivisa tra Campania, Lazio e Molise
In origine, prima di chiamarsi Terra di Lavoro, la regione si denominava Liburia, probabilmente dal nome di un'antica popolazione, quella dei Leborini (o Liburi). Secondo un'altra versione, invece, l'origine del nome Liburia è da individuarsi nel nome gentilizio Libor, probabilmente divenuto Labor per un errore di trascrizione o per una distorsione fonetica.

Il toponimo Leboriae (o, nella variante più accreditata, Leboria) compare per la prima volta nel I sec. d.c. con Plinio il Vecchio (nell'opera Naturalis Historia - 23 - 79 d.c.), che menziona la Liburia come il territorio che i Greci denominavano Campi Flegrei. Quindi Liburia, Leboria, Leboriae o, secondo un'ulteriore variante, Liguriae andava ad indicare una specifica area della Campania Felix.

Dopo Plinio il Vecchio, però, il toponimo sembra cadere in disuso, poiché scompare dai documenti
Lo storico romano Flavio Biondo indica nella volontà delle popolazioni locali di non essere più identificati con l'antica Capua, nemica di Roma, la reintroduzione del termine Leborini (nome di una precedente popolazione campana). 

Da ciò il territorio sarebbe stato detto Leborio o terra di Lebore, mutato in Labore. Nell'XI sec., al toponimo Liburia, si sostituisce quello di Terra Laboris, andando ad identificarsi con la Campania e divenendone la denominazione ufficiale nella suddivisione amministrativa normanna. In maniera emblematica le carte geografiche, dal 1500 al 1700 circa, riportano l'indicazione Terra Laboris olim Campania felix.

Scipione Mazzella, nella sua descrizione del Regno di Napoli, fa cenno al toponimo Campi Leborini (o Leborini Campi) che egli identifica come il territorio appresso Capua. I toponimi Leboria e Campi Leborini sono strettamente connessi, derivando l'uno dall'altro. Si desume che le basi tematiche dei due vocaboli (Leboria ha come tema Lebor) sono differenti e lascia presupporre un'origine prelatina del termine Leboria. Il passaggio da Leboria-Liburia a Laboris, e quindi Terra Laboris, deriva solo da un'assonanza.



LA CINTA MURARIA

Sessa fu fortificata con mura ciclopiche che circondano una superficie di circa 1 ettaro, evidentemente l'originario nucleo di Suessa, città preromana, che aderiva a una federazione di città aurunche, nota come Pentapoli Aurunca.

La superficie tuttavia appare troppo esigua per un centro abitato e si ipotizza che le mura proteggessero solo un forte militare a difesa degli abitanti.

Ne restano tracce: lunga due Km e mezzo con cinque-sei porte, fu realizzata in opus quadratum.

Come ogni importante città imperiale, Suessa vantava un grande teatro, un grande criptoportico, terme, un anfiteatro, templi (tra questi è da ricordare il tempio dedicato alla divinità tutelare cittadina, Ercole) e il ponte Ronaco, sito a poca distanza dalla cittadina, tra i meglio conservati della Campania settentrionale.

IL TEATRO

IL TEATRO

Il Teatro romano di Sessa Aurunca, portato alla luce e restaurato soprattutto tra il 1999 ed il 2003, è uno degli edifici pubblici di età romana più imponenti scoperti sinora in Campania. Edificato sotto l’impero di Augusto, nel I sec. d.c., fu ristrutturato ed ampliato nel II secolo d.c., sotto Antonino Pio.  

Venne edificato sul versante occidentale di una collina che guarda verso il mare, con il golfo di Gaeta all'orizzonte, è stato totalmente restaurato ed è ancora molto ben conservato.

Costruito nel II secolo a.c., fu poi fatto ampliare e migliorare da Matidia minore, cognata dell'imperatore Adriano, quattro secoli dopo. 

Matidia si tenne lontana dalla vita politica e non si sposò mai, pur essendo una donna molto bella. Ebbe vaste proprietà nella zona di Minturno e di Sessa Aurunca, che sorgeva lungo il percorso della via Appia, presso il fiume Garigliano, e dove le furono dedicate delle statue onorarie. . 

A Sessa città operò la ricostruzione del teatro, La scena dava una stupenda suggestione, con tre ordini sovrapposti, per un’altezza di circa 25 metri, con 28 colonne per ogni ordine, intervallate da 30, 40 statue di divinità o personaggi della famiglia imperiale. Matidia nel quale si fece raffigurate al centro della scena in veste di Aura, circondata dagli altri membri della famiglia imperiale.

MATIDIA MINORE
Il teatro conserva murature fino a m 20,00 di altezza, con una cavea di m 110 di diametro, scavata nella collina e superiormente impostata su gallerie, con tre ordini di gradinate in calcare per cui potevano ospitare da 7000 a 10000 spettatori. 

Imponenti sono anche i resti della struttura che sosteneva il velarium, usato per proteggere gli spettatori dal sole o dalla pioggia leggera, e del grande edificio scenico, lungo m 40,00 ed alto in origine m 24,00, dotato di tre ordini sovrapposti di 84 colonne.

La scena era un vero capolavoro dove gli artisti e gli scalpellini romani usarono molte qualità di marmi per realizzare le decorazioni architettoniche, costituite da fregi, architravi e capitelli. 

Le colonne furono realizzate con cinque diverse qualità di marmi colorati, provenienti dalle isole greche, dalla Numidia e dall’Egitto, mentre gli architravi ed i capitelli vennero scolpiti in marmo bianco proveniente da Carrara e da Atene. 

Alle spalle della scena sorgeva la porticus pone scaenam, per la sosta degli spettatori negli intervalli degli spettacoli. Ai lati di essa sorgevano due aule a pianta basilicale di cui quella a Sud affrescata e dotata di ninfeo, quella a Nord con crpyta e collegata alla viabilità extraurbana, presso la cui entrata è un sacello con l’affresco del Genius loci. Addossata ad essa fu costruita nel III secolo d.c. una latrina con pavimento tessellato e pareti a rivestimenti marmorei.

Un numero incredibile di reperti come iscrizioni dedicatorie e commemorative, e moltissimi frammenti delle sculture che decoravano il teatro, pertinenti alla galleria in cui erano celebrati i membri della casa imperiale, quali ad esempio gli imperatori Traiano ed Adriano, e le rispettive mogli Plotina e Sabina; le statue colossali di Livia e Agrippina maggiore. Dal sacello in summa cavea provengono inoltre le sculture di Matidia maggiore, Sabina, Plotina e di Matidia minore.

AFFRESCO DEL GENIO DEL TEATRO
Alle spalle della edificio scenico si sviluppava la porticus pone scaenam, per la sosta degli spettatori negli intervalli degli spettacoli. Ai lati di essa sorgevano due aule a pianta basilicale di cui quella a Sud affrescata e dotata di ninfeo, quella a Nord con crpyta e collegata alla viabilità extraurbana, presso la cui entrata è un sacello con l’affresco del Genius loci. Addossata ad essa fu costruita nel III sec. d.c. una latrina con pavimento tessellato e pareti a rivestimenti marmorei.

In seguito il teatro fu abbandonato e progressivamente sepolto sotto il terreno, fino agli anni '20 del XX secolo, quando i lavori cominciarono sotto la guida dell'archeologo Amedeo Maiuri; interrotti per la II guerra mondiale, questi furono poi veramente ripresi solo nel 1999, per poi essere finiti nel 2003.  È il secondo teatro romano più grande della Campania dopo quello di Napoli.

Si dice sia stato completamente restaurato, ma il fatto che sia chiuso al pubblico; e che per entrare serva un'autorizzazione del comune, qualche dubbio lo fa venire: un teatro romano lo si adopera, per spettacoli ed eventi, porta turisti e benessere. E allora? Ecco qua come al solito in Italia:



UN MONUMENTO IN ABBANDONO

Scritto da: Generazione Aurunca, settembre 10, 2015

E’ un reportage molto interessante, quello effettuato dal Il Mattino ieri sul nostro Teatro Romano. Finalmente si sono chiarite le responsabilità sulla chiusura, per i mancati spettacoli e per le difficoltà ad usufruirne per tanti visitatori che sono tornati da Sessa Aurunca senza poterlo visitare e costretti a guardarlo dall’alto.

Secondo il Soprintendente sono cinque anni che l’Amministrazione Comunale Tommasino e Calenzo in testa non hanno inviato la documentazione necessaria per poter permettere la gestione comunale nonostante gli inviti e la disponibilità dell’Ente.

Nella propaganda di questi anni, invece, qualcun altro aveva insinuato che fosse colpa della Soprintendenza, ma alla fine i nodi vengono al pettine. Unica certezza: cinque anni persi di turismo per Sessa Aurunca. E chi paga?




IL CRIPTOPORTICO

A poca distanza dal teatro sulla terrazza ad Ovest della città antica, presso il Foro, sorge il criptoportico, edificio adibito ad uso pubblico che si affacciava su un’area scoperta pavimentata in opus spicatum, dove si pensa sorgesse un sacello. 

Per le sue caratteristiche costruttive sembra risalire ad età sillana o tardo sillana. e si articola in tre bracci, divisi in due navate separati da file di pilastri e coperte da volte a botte, illuminate da finestre strombate. Le pareti conservano il rivestimento in stucco bianco con membrature architettoniche a rilievo, attribuibile ai primi decenni del I sec. d.c., che riportano interessanti grafiti con nomi di poeti e versi virgiliani. 

Ciò ha fatto ipotizzare ad alcuni studiosi che l'edificio fosse usato pure come scuola pubblica. Oppure si riportavano semplicemente i versi di poeti che rimanevano impressi, con autori contemporanei e passati.


Per gli autori dell’Historia Augusta, Vibia Sabina, la moglie di Adriano, era tacciata dal marito di essere donna «morosa et aspera»: capricciosa e intrattabile. Purtuttavia se la portava sempre appresso nei suoi viaggi. unitamente a sua sorella.

Sembra invece che Adriano andasse più d'accordo con, Matidia Minore, appunto la sorella minore di Vibia, che nella raffigurazione della coppia imperiale appare sempre e talvolta perfino al centro tra i due augusti. 

Nel Teatro Romano di Sessa Aurunca, uno degli edifici pubblici per spettacoli di epoca imperiale più grandiosi della Campania antica è stata rinvenuta una bellissima Matidia, raffigurata come una munifica divinità salvatrice (Aura), con vesti gonfiate dal vento e atteggiamento imperiale.

Di grande qualità nei materiali e raffinata nell’esecuzione, la scultura è tra le poche al mondo in marmo bianco e nero.

L'ERARIO

L'ERARIO

Il termine Erario viene dal latino ærarium, a sua volta da aes "bronzo", a indicare la riserva statale o comunale delle monete che all'inizio erano solo di bronzo.

Il primo che ce ne parla è Tito Livio, al tempo dell'età regia di Roma, sotto il re Servio Tullio. Il tesoro veniva custodito nel tempio di Saturno nel Foro dell'Urbe. Il controllo della cassa era affidato a diversi magistrati.

Durante la Repubblica romana nell'erario confluirono tutte le rendite dello Stato. Con l'instaurazione del Principato di Augusto, l'ærarium diventò il tesoro amministrato dal Senato. I tributi venivano raccolti nelle province senatorie dai quaestores.

Però anche le città avevano un erario per far fronte alle spese comunali, esattamente come oggi. Suessaurunca aveva pertanto un Erarium e un Tabularium.



IL TABULARIO

Roma conservava gli atti pubblici (tabulae publicae) in luoghi diversi della città, ma dal sec. V si destinò un edificio ad archivio di stato, il tabularium, ove deporre i testi delle leggi, i senatus consulta, i plebisciti, che fu nelle dipendenze del tempio di Saturno, all'estremità del Foro, verso il Campidoglio, ove si conservava il tesoro dello stato. 

L'istituzione di questo primo nucleo degli archivi pubblici di Roma si attribuisce a Valerio Publicola, console nell'anno 509 a.c. 

Col passare del tempo vennero ad aggiungersi altri documenti, quali i processi verbali del senato, le liste censorie, i rapporti dei governatori delle provincie senatorie, ecc. 

Il tabularium senatus divenne, presso il tempio di Saturno, una sezione dell'aerarium,

Ed è alla ricchissima Matidia Minore si deve anche la realizzazione di un complesso monumentale, ubicato nell’area nord-orientale del foro romano di Sessaurunca, che comprendeva l'Erario e il Tabulario.

Ora esso è inglobato all’interno di Palazzo Tiberio, ad angolo con l’antico cardo maximus, l’odierno Corso Lucilio, intitolato al famoso poeta satirico che qui nacque nel 90 a.c.
A protezione sia dell’erario che del tabulario vi era un piccolo vano adibito a postazione di guardia in cui alloggiavano gli addetti alla sorveglianza. 

Dalla loro stanza era possibile scendere mediante una gradinata direttamente al tabulario, un’ampia sala a pianta rettangolare illuminata da due lucernari, per poi accedere da lì all’interno dell’erario. 

In realtà l’ingresso del caveau era protetto ulteriormente da una grata o una saracinesca metallica in scorrimento verticale come testimoniato dagli incavi di alloggiamento perfettamente visibili ai lati dell’apertura.

L’aerarium vero e proprio presenta una suggestiva pianta trilobata costituita da tre bracci chiusi da absidi con semicupole e illuminato da tre lucernari, uno per braccio.

Il complesso verrà definitivamente abbandonato in epoca tardoantica, tra il IV e il V sec. d.c. e verrà riutilizzato come fondamenta in strutture di epoca medievale.

LA VILLA DI MATIDIA

LA VILLA DI MATIDIA

Nei pressi del teatro nell’area dell’attuale Porta Cappuccini, è stata di recente scoperta ed esplorata una vasta villa residenziale extraurbana, probabilmente appartenuta a Matidia, dotata di pars rustica con torcularium per la produzione vinaria, e pars urbana, con gli ambienti residenziali.

Sembra logico che appartenesse alla cognata dell'imperatore, dopo aver ricostruito praticamente tutto il teatro a sue spese era logico che si riservasse una villa con vista sul teatro, ed è logico pure che ne adibisse una parte alla produzione agricola, visto che di certo Matidia, sempre al seguito di Vibia e di Adriano, a Sessaurunca ci stesse poco.

Costruita in opus incertum nel II sec. a.c., venne ristrutturata in opus reticulatum tra I sec. a.c. ed il I d.c. Venne ancora rimaneggiata nel II sec. d.c. prima dell’abbandono.


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