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PORTA MAGGIORE

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LA PORTA COME APPARIVA IN EPOCA IMPERIALE
In epoca romana vi era un celebre sito, posto nel quartiere Esquilino,  che si chiamava “ad spem veterem”, cioè “alla speranza antica”, letteralmente "alla vecchia Speranza", e si riferiva ad un antico tempio innalzatovi nel 477 a.c. in onore della Dea Spes, dove  confluivano otto fra gli acquedotti, che in tutto erano 11, per rifornire d'acqua l'Urbe. Il sito era quello di Porta Maggiore, nei pressi sorgeva il tempio all'ultima Dea (Spes ultima Dea), chiamata veterem riferendosi non alla Dea ma all'antichità del tempio.

LA PORTA ROMANA IN ORIGINE
Porta Maggiore, così denominata a causa della sua grandezza e monumentalità, era stata costruita soprattutto per monumentalizzare l’acquedotto claudio mentre superava la via Labicana e la via Prenestina, facendo di ogni arcata dell’acquedotto un arco trionfale. Era il retaggio di Augusto che aveva stupito il mondo rivestendo la capitale di edifici colossali e marmi preziosi. Claudio, come molti imperatori, non volle essergli da meno e abbellì Roma riempiendola a sua volta di epigrafi che ricordassero le sue opere, emulo di Augusto.

La Porta era un enorme arco a due fornici, con i pilastri che presentano delle aperture inquadrate da edicole con timpano e semicolonne in stile corinzio. L’intera costruzione è stata realizzata in travertino e segue il modello del caratteristico bugnato rustico dell’epoca in cui regnava Claudio.

Successivamente, quando si dovette annettere la porta all’interno delle mura aureliane, proprio per volere dello stesso Aureliano nel 272 d.c., come era stato deciso anche per la Piramide Cestia e i Castra Pretoria, altri due storici monumenti, divenne ovvio usarla come porta di accesso, e fu denominata Porta Prenestina o Labicana.

Fu poi fortificata dall'imperatore Onorio, nel 402, avanzando le due aperture verso l'esterno e fecendo costruire un bastione davanti alla porta, suddividendola in due porte distinte, la Praenestina a destra e la Labicana a sinistra, rinforzate a scopo difensivo, da torri quadrate poste ai lati e da un bastione cilindrico al centro, ed erano sormontate da finestrelle ad arco, quattro sulla Praenestina e cinque sulla Labicana.

La nuova struttura era però asimmetrica e inelegante, a causa dei diversi livelli delle due strade (la Labicana era più in basso), per cui le torri erano disallineate e le finestre, con le relative camere di manovra, fuori piano.




DESCRIZIONE

La porta è realizzata interamente in opera quadrata di travertino con blocchi in bugnato rustico, secondo gli studiosi per seguire lo stile dell'epoca, ma in realtà utilizzando materiale di risulta anche se di pregio.

FORTIFICAZIONI NEL XVIII SECOLO RICOPRONO LA PORTA
È una grande unica struttura con due fornici, con finestre sui piloni, inserite in edicole con timpano e semicolonne di stile corinzio. Ii fornice di sinistra permetteva il passaggio della via Labicana, oggi via Casilina, e l'altro della via Prenestina.

L’attico è diviso da tre marcapiani in tre fasce: quelle di sopra equivalgono ai canali dell’acquedotto Ania Novus (in posizione elevata) e Claudio (in posizione inferiore), cioè la parte al centro. Sono presenti sull’attico due scritte su entrambe le facciate, fatte da Claudio nella zona superiore, cioè sul canale dell’acquedotto Ania Novus, e fatte da Vespasiano per la ristrutturazione del 71 d.c. sull’acquedotto dell’aqua claudia, e sotto, la scritta di Tito alla base dell’attico, per la ristrutturazione dell’anno 82 d.c.


L'appalto della Porta

Dal V secolo e almeno fino al XV, è attestato come prassi normale l'istituto della concessione in appalto o della vendita a privati delle porte cittadine e della riscossione del pedaggio per il relativo transito. Il libero impero romano non esisteva più e tutto era diventato occasione di guadagni o di sfruttamento.

SUCCESSIVA TRASFORMAZIONE CON DEMOLIZIONE
IN PARTE DELLE STRUTTURE ANTISTANTI
In un bando del 1467 sono specificate le modalità di vendita all’asta delle porte cittadine per un periodo di un anno. Da un altro documento, del 1474, apprendiamo che il prezzo d’appalto per la porta Maggiore era pari a ”fiorini 96, sollidi 13, den. 4 per sextaria” (rata semestrale); si trattava di un prezzo molto alto, il più caro dell’elenco di tariffe presenti nel documento, e alto doveva quindi essere anche il traffico cittadino per quel passaggio, per poter assicurare un congruo guadagno al compratore.

Esistevano precise tabelle per la tariffa di ogni tipo di merce, ma con grandi variazioni per abusi, a giudicare dalla quantità di gride, editti e minacce che venivano emessi.

Nel 537-538, in occasione dell’assedio dei Goti di Vitige, la porta fu chiusa, come anche altre, per limitare il numero delle aperture da difendere; ma era chiusa anche nel 966, limitatamente al fornice Labicano, che comunque sembra essere stato quasi sempre chiuso, forse già da poco dopo i lavori di Onorio.

STAMPA OTTOCENTESCA DOPO IL RESTAURO
DI PAPA GREGORIO XVI
Nel 1838 papa Gregorio XVI fece finalmente restaurare la porta, demolendo la struttura onoriana, forse anche perché troppo brutta, così asimmetrica e squilibrata,  ripristinando l'antico assetto aureliano, come si precisa in un’iscrizione all'estrema sinistra.

Ma gli archi erano così grandi, 6 m di larghezza per 14 di altezza, che l'eventuale difesa di esse diventava difficile, per cui si fece restringere le aperture con la costruzione di altrettante quinte merlate, il cui effetto estetico era paragonabile alla bruttura onoriana che si era voluta eliminare.



IL SEPOLCRO DEL FORNAIO EURISACE

Nel corso dell’intervento del 1838 venne in luce, rimasto inglobato nella torre cilindrica tra i due archi ed ora visibile subito fuori della porta, il sepolcro di Marco Virgilio Eurisace, fornaio e probabilmente liberto arricchito, e di sua moglie Atistia, databile intorno al 30 a.c.

LA TOMBA DEL FORNAIO
Il monumento rappresenta un antico forno per cuocere il pane, come testimonia l’incisione su di esso:
“EST HOC MONUMENTUM MARCEI VERGILEI EURYSACIS PISTORIS
REDEMPTORES APPARET “, cioè:

Questo sepolcro appartiene a Marco Virgilio Eurisace, fornaio, appaltatore, apparitore”.
Ciò vuol dire che egli distribuiva la sua produzione allo stato e che aveva la carica di ufficiale secondario, detto apparitore, di un uomo della magistratura o di un sacerdote.

Il suo lavoro risulta ancora più evidente se si osserva l’urna contenente i resti della sua consorte di nome Atistia, che si trovano attualmente al museo delle terme. Essa infatti aveva la forma di una madia da pane, detta anche panarium nell’iscrizione posta sopra. Poi un fregio che si trova in tutto il sepolcro rappresenta tutti i diversi momenti della panificazione: si comincia con la pesatura e la molitura del frumento, poi si passa al setaccio della farina e alla realizzazione dell’impasto, infine si procede con la pezzatura e mettendo nel forno le forme di pane. Il sepolcro risale al periodo conclusivo repubblicano e l’inizio dell’età imperiale, circa 30 a.c. La parte centrale di esso è formata nella parte inferiore da blocchi di tufo, e nella parte superiore di cemento.
Informazioni aggiuntive: LA TOMBA DEL FORNAIO



LE BONIFICHE PETRIGNANI

LA PORTA OGGI RESTITUITA ALLE ORIGINI
Nel 1915 il Comune di Roma effettuò dei lavori per la sistemazione del piazzale, demolendo la residua struttura eretta da Gregorio XVI, ma solo nel 1956, a seguito dei lavori effettuati dall'architetto Petrignani, la porta tornò all'antico assetto originario e la piazza all'antico livello, riscoprendo il basolato della due strade e i resti dell'antiporta.

Sulle lastre di basalto del basolato, ancora esistenti sotto la porta, sono tuttora visibili i grandi solchi lasciati dal passaggio dei carri per la Porta Prenestina sulla sinistra e per quella Labicana sulla destra. Probabilmente sempre in questo periodo fu costruita la controporta le cui tracce furono ritrovate durante alcuni lavori sul piazzale svolti poco tempo fa.


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