Si dissero un insieme di popoli con la stessa lingua, costituiti in tribù, di origine indoeuropea e in parte autoctoni, provenienti dalla Scandinavia meridionale e la Germania settentrionale, che occuparono un'ampia area dell'Europa centro-settentrionale, dalla Scandinavia all'alto corso del Danubio e dal Reno alla Vistola. Nel III sec., molte tribù germaniche migrarono nel basso continente europeo con varie guerre e battaglie.
All'epoca di Gaio Giulio Cesare (58-53 a.c.) i Germani ad est del Reno erano più alti rispetto ai romani che superavano di rado il metro e mezzo di statura, i Germani invece superavano i 170 cm.
Secondo Tacito avevano occhi azzurri e capelli fulvi, dotati di un fisico robusto ma incapace di resistere alla sete e al caldo, sebbene ottimi per il combattimento che per resistere al gelo.
« senza essersi mescolati con altre nazioni esser gente propria, e schietta, solamente a sé stessa e non ad altri simile. Onde ancora l'aspetto dei corpi, quantunque in tanto gran numero d'uomini, è in tutti il medesimo: gli occhi fieri, di colore ceruleo, i capelli biondi, grandi di statura, vigorosi solamente nell'impeto, ma non già nelle fatiche e nel patire, come neanche possono tollerare la sete e il caldo, ma sono abituati dalla qualità del paese e dell'aria a sopportare il freddo e la fame »
I Germani si scontrarono con Roma nel II sec. a.c., con le incursioni di Cimbri e Teutoni che penetrarono fino alla provincia romana della Gallia Narbonense. Qui discesero il Rodano sollevando le tribù celtiche appena assoggettate a Roma sconfiggendo più volte le legioni romane.
Poi i Cimbri penetrarono in Iberia, e i Teutoni nella Gallia settentrionale, minacciando la Gallia cisalpina. Fu Gaio Mario che in due battaglie annientò entrambi i popoli: i Teutoni ad Aquae Sextiae nel 102 a.c., i Cimbri ai Campi Raudii nel 101 a.c. Fu poi Giulio Cesare che, con una lunga serie di vittorie, fissò stabilmente il confine dei territori soggetti a Roma sullo stesso Reno.
Augusto tentò di spostare il Limes romano dal Reno all'Elba (12 a.c.), ma costò la perdita di tre legioni nella battaglia di teutoburgo, come nel caso della Battaglia della foresta di Teutoburgo (9 d.c.): comandate da Publio Quintilio Varo.
Dopo la disfatta di Publio Quintilio Varo nella foresta di Teutoburgo, i Romani avevano deciso di abbandonare la nuova provincia di Germania, ad est del fiume Reno, lasciando solo dei forti costieri lungo il Mare del Nord nei territori di Frisoni e Cauci.
Seguirono altre campagne guidate da Tiberio, a cui partecipò anche Germanico, per volere di Augusto, nel 10 ed 11 d.c., Tiberio era orientato ad utilizzare la diplomazia nei territori germani, ma Germanico, inviato come proconsole della Gallia per un censimento, cambiò i suoi piani.
Germanico, infatti, spinto dal desiderio o forse dall'ossessione, di dover emulare il padre, Druso, senza aver richiesto alcuna autorizzazione al suo princeps, invase nuovamente i territori germanici.
I GUERRA GERMANICA
« (nell'11 dc.) ... Tiberio e Germanico, quest'ultimo in veste di proconsole, invasero la Germania e ne devastarono alcuni territori, tuttavia non riportarono alcuna vittoria, poiché nessuno gli si era opposto, né soggiogarono alcuna tribù... nel timore di cadere vittime di un nuovo disastro non avanzarono molto oltre il fiume Reno. »
(Velleio Patercolo, Storia di Roma II, 121.)
Tiberio riuscì a schierare un esercito composto da otto legioni:
- per il fronte "inferiore": la legio XXI Rapax, la legio V Alaudae, la legio I Germanica e la legio XX Valeria Victrix;
- per quello "superiore": legio II Augusta, legio XIII Gemina, legio XVI Gallica e legio XIV Gemina.
« (Germanico)... abbatté le forze nemiche in Germania, con spedizioni navali e terrestri, e placate più con la fermezza che con i castighi la pericolosissima situazione nella Gallia e la ribellione sorta tra la popolazione degli Allobrogi... (del 13 dc.). »
(Cassio Dione Cocceiano, Storia Romana, LVI, 25.)
DOPO LA MORTE DI AUGUSTO
Le campagne militari (14-16)
Subito dopo la morte di Augusto, si ribellarono le legioni di Germania chiedendo una riduzione della leva a 16 anni ed un aumento della paga. Presso la riva sinistra del Reno c'erano due eserciti: quello della Germania superiore agli ordini del luogotenente Gaio Silio, e quello della Germania inferiore affidato ad Aulo Cecina Severo, sotto l'alto comando di Germanico, occupato ad effettuare un censimento nelle Gallie.
La rivolta ebbe inizio presso l'esercito "inferiore" con 4 legioni:
- la legio XXI Rapax,
- la legio V Alaudae,
- la legio I Germanica
- la legio XX Valeria Victrix.
Germanico raggiunse le truppe e riuscì a placarle, concedendo: il congedo ai soldati che avevano 20 anni di servizio militare; a quelli che ne avevano 16 anni di servizio, il passaggio automatico nella riserva senza altro obbligo che quello di respingere il nemico; il lascito che pretendevano, pagato immediatamente anzi raddoppiato.
Cecina poté così tornare nella città degli Ubi, ad Ara Ubiorum (l'attuale Colonia) con le legioni I e la XX, mentre Germanico, recatosi presso l'esercito superiore, ricevette il giuramento di fedeltà anche da parte delle altre 4 legioni:
- legio II Augusta,
- legio XIII Gemina,
- legio XVI Gallica
- legio XIV Gemina.
II GUERRA GERMANICA ( 14 d.c. )
I soldati presi dal rimorso e dalla paura, poiché era giunta un'ambasceria del Senato presso Ara Ubiorum, temevano che ogni concessione fatta da Germanico fosse stata annullata a causa del loro comportamento. Cominciarono, così, a punire i fomentatori della rivolta, e così accadde anche nella fortezza legionaria di Castra Vetera sessanta miglia a nord (dove svernavano la V e XXI legione).
Germanico, per calmare gli animi delle legioni, sognando di seguire le orme del padre Druso, pur non avendo l'autorizzazione di Tiberio, decise di gettare un ponte sul fiume Reno, dove vi passò con vexillationes di quattro legioni (pari a 12.000 armati), 26 coorti di fanteria ausiliaria ed 8 ali di cavalleria, ed invase la Germania.
I Romani penetrarono nella selva Cesia, dove posero il loro campo sui resti di una precedente fortezza legionaria augustea. Germanico, sapendo che quella era una notte di festa per i Germani, dispose che il suo luogotenente, Cecina, si addentrasse nei boschi, portandosi innanzi le coorti leggere, per togliere di mezzo tutto ciò che nel bosco ne ostacolava il cammino, e a breve distanza lo avrebbero seguito le legioni. Si giunse, così, ai villaggi dei Marsi, già distesi sulle brande o ancora ubriachi a tavola.
Germanico divise le legioni in quattro cunei, per aumentare il raggio di devastazione nell'arco di 50 miglia, e mise a ferro e fuoco ogni cosa. Fu un massacro. Vennero sterminati i soldati, le mogli e i loro figli. Anche il tempio di Tanfana, il più famoso per quei popoli, fu dato alle fiamme. Quella orribile strage fece, però, sollevare i Bructeri, i Tubanti e gli Usipeti, che si appostarono nelle gole boscose dei loro territori, attraverso i quali l'esercito romano doveva passare, per rientrare ai quartieri invernali.
Germanico, avuto notizia dell'imboscata, fece avanzare i soldati in pieno assetto di combattimento: all'avanguardia pose parte della cavalleria e le coorti ausiliarie, a seguire la I legione, i bagagli nel mezzo, la XXI legione a sinistra, la V legione a destra, ed infine alla retroguardia la XX legione ed il resto degli alleati.
I nemici attesero le schiere romane nel bosco e attaccarono la retroguardia. La fanteria leggera era in allarme, ma Germanico in persona, incitò la XX legione affinché cancellasse il ricordo di Teutoburgo. Il coraggio dei legionari allora si infiammò sgominando il nemico, per poi far ritorno ai quartieri d'inverno.
III GUERRA GERMANICA - PRIMAVERA ANNO 15
Tiberio al termine della prima campagna di Germanico, decise di decretargli il Trionfo, mentre ancora si combatteva la guerra. Germanico sperava, prima di passare il Reno, di dividere i nemici in due partiti: uno filo-romano, guidato dal suocero di Arminio, un certo Segeste contro l'altro, capeggiato da Arminio, per la Germania libera dall'oppressore romano.
Egli divise l'esercito in due colonne: la prima affidata ad Aulo Cecina Severo, mosse dai Castra Vetera (Xanten), al comando di vexillationes di quattro legioni della Germania inferiore (12/15.000 legionari), 5.000 ausiliari ed alcune schiere di alleati germani, abitanti sulla riva sinistra del Reno; la seconda, guidata da Germanico stesso, mosse da Mogontiacum (Magonza), al comando di vexillationes delle quattro legioni della Germania superiore (12/15.000 legionari) e di un doppio numero di alleati germani, abitanti sulla riva sinistra del Reno.
BATTAGLIA CONTRO I CATTI
Germanico andò ad accamparsi sulle rovine di un forte costruito dal padre Druso (nel 10-9 a.c.), presso il monte Tauno. Lasciò Lucio Apronio a protezione della strada e dei passaggi dei fiumi, poi, liberatosi dei bagagli, si addentrò velocemente nel territorio dei Catti, dove compì orrende stragi di tutti coloro che per età o sesso non avevano le forze per resistere, mentre i più giovani fuggivano e si lanciavano nel fiume Adrana (Eder), sopra il quale i Romani stavano costruendo un ponte per attraversarlo.
Passati sull'altra sponda i Romani si spinsero fino alla capitale dei Catti, Mattium (nei pressi di Niedenstein), che incendiarono e saccheggiarono. Infine tornarono sul Reno, senza che i nemici ormai terrorizzati osassero inseguirlo.
BATTAGLIA CONTRO I MARSI
- Cecina Severo intanto dissuase i Cherusci ad aiutare i Catti combattendoli lungo i loro confini, poi sconfisse i Marsi che l'avevano attaccato.
- Germanico informato da alcuni ambasciatori che Segeste, il suocero di Arminio suo alleato, era assediato dal suo stesso popolo (i Cherusci), si precipitò a salvarlo mettendo in fuga gli assedianti.
- Intanto Arminio, venuto a conoscenza della resa di Segeste, e che sua moglie e suo figlio erano stati consegnati ai Romani, chiese alleanze a tutti i suoi confinanti (tra cui lo stesso zio, Inguiomero).
- Germanico allora divise ancora una volta l'esercito in più colonne:
« ...nel mezzo del campo biancheggiavano le ossa ammucchiate e disperse... sparsi intorno... frammenti di armi e carcasse di cavalli e teschi conficcati sui tronchi degli alberi. Nei vicini boschi sacri si vedevano altari su cui i Germani avevano sacrificato i tribuni ed i centurioni di grado più elevato. I superstiti di quella disfatta, sfuggiti alla battaglia od alla prigionia, ricordavano che qui erano caduti i legati e là erano state strappate le Aquile; e mostravano dove Varo ricevette la prima ferita e dove si colpì a morte, suicidandosi; mostravano il rialzo da dove Arminio aveva parlato ai suoi, i numerosi patiboli preparati per i prigionieri, le fosse scavate e con quanta tracotanza Arminio avesse schernito le insegne e le Aquile imperiali... »
(Cornelio Tacito, Annali I, 61)
- Germanico, seppelliti i resti delle legioni, inseguì Arminio con la cavalleria, Ma Arminio preparò loro un'imboscata, poiché prima ripiegò verso le foreste, poi tornò improvvisamente indietro, mentre una parte dei suoi uomini, appostata nelle foreste, attaccarono i cavalieri romani ai fianchi. La cavalleria romana presa dal panico, cominciò a scomporsi, Germanico inviò le coorti ausiliarie, ma la confusione aumentò; e tutti sarebbero stati cacciati verso una pericolosa palude, se Germanico non avesse fatto avanzare le legioni schierate a battaglia.
- Allora il panico passò fra i nemici, mentre i soldati romani ripresero a combattere con ardore, ma nessuno vinse. Ricondotto l'esercito indietro, Germanico lo divise nuovamente in tre colonne:
BATTAGLIA DEI PONTES LONGI
I pontes longi erano delle strade in legno costruite dai Romani su terreni paludosi o acquitrinosi, che i romani appresero dai celti-germani. Molti ne costruì il generale Enobarbo, usati poi da Germanico per invadere appunto le terre dei Germani.
Arminio precedette l'esercito romano, e, disponendo i suoi armati per un nuova imboscata, aspettò l'arrivo di Cecina ma questi, pur ripristinando i vecchi ponti, fece costruire a una parte degli uomini l'accampamento. I Germani attaccarono, abituati al terreno molle e insidioso, i Romani provarono a difendersi ma erano appesantiti dalle corazze, e non riuscivano a calibrare i lanci in mezzo all'acqua.
Finalmente giunse la notte che evitò il disastro. I Germani, senza riposarsi, cercarono di convogliare tutte le acque circostanti dove si trovavano i Romani, per allagare il terreno e far crollare i terrapieni.
Allora Cecina decise di contrattaccare, cacciando il nemico dentro le foreste, e permettendo ai feriti a ai carriaggi della colonna di essere protetti dalle schiere romane, disponendo:
- la V Alaudae sul lato destro,
- la XXI Rapax su quello sinistro,
- la I Germanica in avanguardia
- la XX Valeria Victrix come retroguardia.
Tacito narra del sogno fatto quella notte Aulo Cecina Severo: « ...gli parve di vedere Publio Quintilio Varo uscire dalle paludi, interamente coperto di sangue, e gli sembrò di udirlo come se lo chiamasse, egli invece non lo seguiva e spingeva lontano da sé la mano che Varo gli tendeva.... »
(Cornelio Tacito, Annali I, 65)
E' evidente che Cecina non voleva fare la stessa fine di Varo, per cui la mattina seguente, le legioni inviate per proteggere i fianchi, abbandonarono la posizione, per occupare la zona di terra oltre la palude. Arminio, quando vide i carriaggi impantanati nel fango e i romani che procedevano in modo disordinato, ordinò l'assalto gridando:
« Ecco Varo e le sue legioni, dello stesso destino sono ormai presi in una morsa!»
I Germani spezzarono la colonna romana, colpendo i cavalli che disarcionavano i cavalieri, finchè il cavallo di Cecina fu colpito al ventre, travolgendo il suo generale. I Germani si precipitarono verso di lui ma lo salvò la legio I Germanica accorsa in aiuto.
Trascorsa la giornata a combattere, le legioni riuscirono a trovare un terreno aperto ed asciutto per costruire un nuovo vallo con terrapieno per la notte, ma gran parte degli attrezzi con cui scavare era andata perduta. Mancavano tende per i soldati, medicine per i feriti, ed i soldati imprecavano a quello che poteva essere l'ultimo loro giorno di vita.
La mattina seguente i Germani attaccarono l'accampamento, cercando di colmare il fossato con graticci e provando a sfondare la palizzata, dove erano schierati solo pochi soldati. Ma in quello giunsero le legioni, che con una manovra di aggiramento, colpirono alle spalle i Germani.
I Romani vinsero e Arminio con Inguiomero, ferito gravemente, fuggirono mentre gran parte dei suoi veniva massacrata dai Romani. Intanto si era sparsa la voce che le legioni erano state accerchiate e che i Germani minacciavano di invadere le Gallie. Ma Agrippina, moglie di Germanico, mantenne la calma nell'accampamento, distribuendo ai feriti vesti e medicine, per poi rendere lodi e ringraziamenti alle legioni che tornavano.
Germanico, intanto, affidò a Publio Vitellio le legioni II Augusta e XIV Gemina per riportarle nei quartieri invernali via terra, per alleggerire la flotta e permetterle di navigare lungo le coste poco profonde del Mare del Nord, evitando così di arenarsi a causa del riflusso della marea, ma ciononostante la colonna venne travolta e trascinata in mare. Le onde provocarono un grande disastro, trascinando tra i flutti animali, salmerie ed uomini.
Alla fine Vitellio riuscì a portare la colonna di soldati, ormai allo sbando, su una leggera altura salvandone molti. La mattina del giorno seguente, la marea si era ritirata, e poterono ricongiungersi a Germanico ed alla sua flotta, imbarcandosi anche loro e facendo ritorno ai quartieri d'inverno.
Intanto Stertinio, inviato ad accogliere la resa di Segimero, fratello di Segeste, aveva già ricondotto lui e suo figlio nella città degli Ubi, ed a loro fu concesso il perdono, nonostante si dicesse che il figlio di Segimero avesse recato oltraggio alla salma di Publio Quintilio Varo.
Al termine delle operazioni militari, vennero decretate le insegne trionfali ad Aulo Cecina Severo, Lucio Apronio ed a Gaio Silio per i meriti acquisiti nelle operazioni compiute sotto il comando di Germanico.
V GUERRA GERMANICA - ANNO 16
Giunta nuovamente la primavera, Germanico, resosi conto che:
- Se da una parte i Germani, erano battibili in campo aperto su terreni compatti e piani, dall'altra partivano favoriti se protetti dalle foreste, dalle paludi, dall'estate breve e dall'inverno precoce del loro paese;
- I legionari romani, invece, penavano a percorrere grandi distanze in percorsi difficili ed accidentati, con interminabili colonne cariche di equipaggiamenti, esposti a continue imboscate.
- Inoltre le Gallie, il cui popolo doveva sostentare con continui rifornimenti (di cibo ed armi) gli eserciti romani, erano allo stremo avendo esaurito le loro risorse di cavalli.
- Germanico allora decise di avanzare in territorio nemico, via mare. L'intero esercito romano, inclusi i rifornimenti sarebbero giunti attraverso i fiumi, con le forze pressoché intatte.
- Delegò a Publio Vitellio e a Gaio Anzio il censimento delle Gallie, mentre Silio, Anteio e Cecina si sarebbero occupati della costruzione della Classis Germanica, una flotta di 1.000 navi, molte fornite di ponte per trasportare macchine da guerra, cavalli e carriaggi; tutte con vela e remi, concentrate sull'l'isola dei Batavi, presso la foce del Reno.
- Quindi Germanico ordinò al legato Gaio Silio di attaccare i Catti con le truppe ausiliarie, mentre lui, saputo che il forte sul fiume Lupia era stato assediato, vi si recò con 6 legioni. Silio rapì la moglie e la figlia di Arpo, capo dei Catti, ma gli assedianti fuggirono dopo aver distrutto il tumulo eretto alle legioni di Varo e l'ara in memoria di Druso.
- Germanico, ricostruita l'ara paterna, fece proteggere con barriere tutte le zone comprese tra il forte d'Aliso ed il Reno. Intanto la flotta entrò nel canale scavato da Druso, raggiunse la riva sinistra dell'Amisia, anzichè la destra e fu un errore, poiché avrebbe dovuto costruire un ponte più oltre, dove traghettare le truppe e che richiese alcuni giorni.
- Intanto gli Angrivari avevano defezionato e Germanico inviò Stertinio, con reparti di cavalleria e truppe ausiliarie leggere, a devastare i loro territori. Poi con l'esercito, si recò al fiume Visurgi (Weser), dove i due eserciti si schierarono, i Romani sulla riva sinistra, e i Germani, con Arminio su quella destra.
LA BATTAGLIA DI IDISTAVISO (16 d.c.)
« Il fiume Visurgi divideva i Romani dai Cherusci. Sulla riva opposta si fermò Arminio con altri capi e domandò se Cesare Germanico era arrivato.
Come venne a sapere che c'era, chiese di poter parlare con il fratello, il quale militava nell'esercito romano con il nome di Flavo, soldato di straordinaria fedeltà e privo di un occhio, perduto, in seguito ad una ferita pochi anni prima, sotto il comando di Tiberio.
Concessagli l'autorizzazione al colloquio, Flavo avanzò salutato da Arminio, il quale, allontanata la sua scorta, chiese il ritiro dei nostri arcieri schierati lungo la riva del fiume.
Dopo che questi si furono ritirati, chiese al fratello l'origine di quello sfregio sul volto. Quest'ultimo gli riferì il luogo e la battaglia.
Arminio chiese ancora quale compenso avesse ricevuto. Flavo rammentò lo stipendio accresciuto, la collana, la corona e gli altri doni militari, mentre Arminio irrideva la sua servitù a Roma per quegli insignificanti e vili compensi ricevuti... continuarono a parlare, Flavo esaltando la grandezza di Roma... Arminio ricordando la religione della patria, l'antica libertà... la madre di entrambi, alleata a lui nelle preghiere, perché Flavo non volesse abbandonare parenti, amici e tutta la sua gente... e non preferisse essere traditore piuttosto che capo... A poco a poco passati ad insultarsi, poco mancò che si gettassero l'uno contro l'altro... se Stertinio non avesse trattenuto Flavo... »
(Cornelio Tacito, Annali II, 9-10.)
Il giorno dopo i Germani si schierarono a battaglia al di là del Visurgi. Germanico, dovendo finire i ponti sul fiume con i relativi presidi, mandò avanti la cavalleria divisa in due ali. La guidavano Stertinio ed Emilio (uno dei centurioni primipili), i quali scesero in campo in luoghi distanziati per dividere l'esercito nemico.
La battaglia volse a favore dei Romani, grazie alla superiorità tattica di manovra, d'addestramento e di armamento. Anche se poco dopo, ma i Germani prepararono un nuovo agguato ai Romani presso Idistaviso. Vennero ancora battuti e Germanico fece innalzare un secondo trofeo con l'iscrizione:
« L'esercito di Tiberio Cesare, vinte le popolazioni tra l'Elba e il Reno, consacrò questo monumento a Marte, a Giove e ad Augusto»
(Cornelio Tacito, Annali II, 22.)
Sopraffatti i Cheruschi, Germanico mosse contro gli Angrivari, ma questi passarono dalla sua parte come alleati. Germanico decise di rimandare alcune legioni nei campi invernali via terra, mentre la maggior parte andò via mare, ma una terribile tempesta si abbattè sulla flotta, si che molte navi, per evitare di arenarsi o di affondare, furono costrette a buttare a mare: cavalli, muli, salmerie, perfino le armi, per alleggerire le carene che imbarcavano acqua. La stessa trireme di Germanico approdò nella terra dei Cauci mentre quest'ultimo colto da sconforto:
« Cesare, aggirandosi per tutti quei giorni e quelle notti tra scogli e promontori, gridava di essere il responsabile di un così grave disastro; a stento gli amici lo trattennero dal cercare la morte nelle stesse onde.»
(Cornelio Tacito, Annali II, 24.)
Alla fine della tempesta, la maggior parte delle navi tornarono, piuttosto danneggiate. Alcune furono mandate in perlustrazione sulle isole, dove recuperarono numerosi dispersi. Altri furono restituiti dagli Angrivari e altri ancora furono restituite dalla Britannia.
Alla notizia della distruzione della flotta, spinse i Germani si risollevarono ma Germanico inviò Silio, contro i Catti con 30.000 fanti e 3.000 cavalieri; ed egli attaccò i Marsi che arresi gli fecero recuperare una seconda Aquila legionaria di Varo:
« (I Germani) Andavano dicendo che i Romani erano invitti, e che nessuna sciagura poteva piegarli, poiché distrutta la flotta, perdute le armi, le spiagge coperte di carcasse di cavalli e di cadaveri, erano tornati ad assalire con lo stesso indomito valore e fierezza, quasi che si fossero persino moltiplicati in numero. La campagna di quest'anno si concluse con una nuova incursione nella regione dei Catti e dei Marsi, i quali però, all'apparire delle legioni, si dispersero nelle foreste.»
(Cornelio Tacito, Annali II, 25.)
A Roma fu accolto con grande favore, ma Tiberio, pur permettendogli la celebrazione del trionfo, lo aveva richiamato a sé non tanto per invidia, ma più per timore di un nuovo disastro in Germania, e che non fosse necessario inglobarne altri territori.
« (Germanico) Era quasi sicuro che il nemico germanico stesse per cedere e fosse ormai orientato a chiedere la pace, tanto che, se le operazioni fossero proseguite nell'estate successiva, era possibile portare a termine la guerra. (seguita da una possibile nuova occupazione) Ma Tiberio, con frequenti lettere, consigliava Germanico di tornare per il trionfo già decretato: tutti quegli avvenimenti, felici o meno felici, potevano bastare. Germanico aveva raccolto numerosi successi in grandi battaglie, ma doveva ricordarsi dei gravi danni provocati, pur senza sua colpa, dal vento e dall'Oceano. (Tiberio ricordava che) inviato ben 9 volte in Germania dal divo Augusto, aveva compiuto la sua missione più con la prudenza che con la forza.
Egli aveva accettato la resa dei Sigambri, costretto alla pace i Suebi ed il re Maroboduo. Anche i Cherusci e gli altri popoli che si erano ribellati, ora i Romani si erano vendicati, si potevano lasciare alle loro discordie interne. E quando Germanico gli chiese ancora un anno per concludere la guerra... gli offrì un secondo consolato... ed aggiungeva che, se fosse stato ancora necessario combattere, Germanico avrebbe dovuto lasciare una possibilità di gloria anche per il fratello Druso. Germanico non indugiò oltre, pur comprendendo che si trattava di finzioni e che per odio Tiberio gli voleva strappare quell'onore che già aveva conseguito.»
(Cornelio Tacito, Annali II, 26.)
Germanico la prese male anche se lo stesso Augusto lo aveva ammonito di non oltrepassare i fiumi Reno e Danubio. Tuttavia egli ottenuto solo dei successi parziali e il suo luogotenente, Aulo Cecina Severo per poco non cadeva in un'imboscata con 3-4 legioni, scampando a mala pena ad un nuovo e forse peggiore disastro di quello della foresta di Teutoburgo. Tiberio decise di sospendere ogni attività militare oltre il Reno, strinse alleanze con alcuni popoli contro altri, in modo da tenerli in guerra tra di loro.
"È certo che Germanico riuniva, ad un grado che nessuno mai raggiunse, tutte le qualità di corpo e di spirito: una bellezza e un valore senza paragoni, doti superiori dal punto di vista dell'eloquenza e della cultura, sia greche, sia latine, una bontà straordinaria, un enorme ardore e una meravigliosa capacità decisionista che gli dava la simpatia e l'affetto degli uomini.
La magrezza delle sue gambe non era in armonia con la sua bellezza, ma a poco a poco anche queste si irrobustirono, grazie alla sua abitudine di montare a cavallo dopo il pasto. Spesso uccise qualche nemico in combattimento a corpo a corpo (pur essendo un generale, cioè combattendo come un soldato). Sostenne cause giuridiche anche dopo il suo trionfo e tra gli altri frutti dei suoi studi lasciò pure alcune commedie greche. Semplice e democratico, sia nella vita pubblica, sia in quella privata, entrava senza littori nelle città libere e alleate.
Dovunque sapeva di trovare tombe di uomini illustri, portava offerte funebri agli dei Mani. Quando volle far seppellire in un unico sepolcro gli antichi resti dispersi dei soldati morti nel disastro di Varo fu il primo a raccoglierli e a trasportarli con le sue mani. Anche nei confronti dei suoi detrattori, chiunque fossero e per quanto gravi potessero essere i loro torti, si mostrò cosi poco vendicativo che, vedendo Pisone revocare i suoi decreti e perseguitare i suoi clienti, non si decise a esprimergli il suo risentimento se non quando venne a sapere che questi impiegava contro di lui perfino i malefici e i sortilegi. Ma anche allora si limitò a togliergli l'amicizia, secondo l'usanza antica e a raccomandare ai suoi intimi di vendicarlo se avesse dovuto succedergli qualcosa.
Queste virtù produssero largamente il loro frutto; egli fu talmente stimato e amato dai suoi parenti che Augusto (di tutti gli altri tralascio di parlare), dopo essersi a lungo domandato se non doveva sceglierlo come successore, lo fece adottare da Tiberio. Era talmente ben visto dal popolo che, stando a quanto dicono molti autori, ogni volta che arrivava in qualche posto o quando ne partiva, la folla gli correva incontro o si metteva al suo seguito, col rischio, non di rado, di soffocarlo; in particolare, quando ritornò dalla Germania, dopo aver tenuto sotto controllo la rivolta dell'armata, tutte le coorti pretoriane gli si fecero incontro, benché due sole di loro avessero ricevuto l'ordine di lasciare Roma, e il popolo romano, senza distinzione di sesso, di età e di condizione si dispose lungo la strada fino a venti miglia dalla città. "
POPOLAZIONI GERMANICHE (Ingrandibile) |
Poi i Cimbri penetrarono in Iberia, e i Teutoni nella Gallia settentrionale, minacciando la Gallia cisalpina. Fu Gaio Mario che in due battaglie annientò entrambi i popoli: i Teutoni ad Aquae Sextiae nel 102 a.c., i Cimbri ai Campi Raudii nel 101 a.c. Fu poi Giulio Cesare che, con una lunga serie di vittorie, fissò stabilmente il confine dei territori soggetti a Roma sullo stesso Reno.
Augusto tentò di spostare il Limes romano dal Reno all'Elba (12 a.c.), ma costò la perdita di tre legioni nella battaglia di teutoburgo, come nel caso della Battaglia della foresta di Teutoburgo (9 d.c.): comandate da Publio Quintilio Varo.
Dopo la disfatta di Publio Quintilio Varo nella foresta di Teutoburgo, i Romani avevano deciso di abbandonare la nuova provincia di Germania, ad est del fiume Reno, lasciando solo dei forti costieri lungo il Mare del Nord nei territori di Frisoni e Cauci.
Seguirono altre campagne guidate da Tiberio, a cui partecipò anche Germanico, per volere di Augusto, nel 10 ed 11 d.c., Tiberio era orientato ad utilizzare la diplomazia nei territori germani, ma Germanico, inviato come proconsole della Gallia per un censimento, cambiò i suoi piani.
Germanico, infatti, spinto dal desiderio o forse dall'ossessione, di dover emulare il padre, Druso, senza aver richiesto alcuna autorizzazione al suo princeps, invase nuovamente i territori germanici.
I GUERRA GERMANICA
« (nell'11 dc.) ... Tiberio e Germanico, quest'ultimo in veste di proconsole, invasero la Germania e ne devastarono alcuni territori, tuttavia non riportarono alcuna vittoria, poiché nessuno gli si era opposto, né soggiogarono alcuna tribù... nel timore di cadere vittime di un nuovo disastro non avanzarono molto oltre il fiume Reno. »
(Velleio Patercolo, Storia di Roma II, 121.)
Tiberio riuscì a schierare un esercito composto da otto legioni:
- per il fronte "inferiore": la legio XXI Rapax, la legio V Alaudae, la legio I Germanica e la legio XX Valeria Victrix;
- per quello "superiore": legio II Augusta, legio XIII Gemina, legio XVI Gallica e legio XIV Gemina.
« (Germanico)... abbatté le forze nemiche in Germania, con spedizioni navali e terrestri, e placate più con la fermezza che con i castighi la pericolosissima situazione nella Gallia e la ribellione sorta tra la popolazione degli Allobrogi... (del 13 dc.). »
(Cassio Dione Cocceiano, Storia Romana, LVI, 25.)
DOPO LA MORTE DI AUGUSTO
Le campagne militari (14-16)
Subito dopo la morte di Augusto, si ribellarono le legioni di Germania chiedendo una riduzione della leva a 16 anni ed un aumento della paga. Presso la riva sinistra del Reno c'erano due eserciti: quello della Germania superiore agli ordini del luogotenente Gaio Silio, e quello della Germania inferiore affidato ad Aulo Cecina Severo, sotto l'alto comando di Germanico, occupato ad effettuare un censimento nelle Gallie.
La rivolta ebbe inizio presso l'esercito "inferiore" con 4 legioni:
- la legio XXI Rapax,
- la legio V Alaudae,
- la legio I Germanica
- la legio XX Valeria Victrix.
Germanico raggiunse le truppe e riuscì a placarle, concedendo: il congedo ai soldati che avevano 20 anni di servizio militare; a quelli che ne avevano 16 anni di servizio, il passaggio automatico nella riserva senza altro obbligo che quello di respingere il nemico; il lascito che pretendevano, pagato immediatamente anzi raddoppiato.
Cecina poté così tornare nella città degli Ubi, ad Ara Ubiorum (l'attuale Colonia) con le legioni I e la XX, mentre Germanico, recatosi presso l'esercito superiore, ricevette il giuramento di fedeltà anche da parte delle altre 4 legioni:
- legio II Augusta,
- legio XIII Gemina,
- legio XVI Gallica
- legio XIV Gemina.
II GUERRA GERMANICA ( 14 d.c. )
I soldati presi dal rimorso e dalla paura, poiché era giunta un'ambasceria del Senato presso Ara Ubiorum, temevano che ogni concessione fatta da Germanico fosse stata annullata a causa del loro comportamento. Cominciarono, così, a punire i fomentatori della rivolta, e così accadde anche nella fortezza legionaria di Castra Vetera sessanta miglia a nord (dove svernavano la V e XXI legione).
GERMANICO |
I Romani penetrarono nella selva Cesia, dove posero il loro campo sui resti di una precedente fortezza legionaria augustea. Germanico, sapendo che quella era una notte di festa per i Germani, dispose che il suo luogotenente, Cecina, si addentrasse nei boschi, portandosi innanzi le coorti leggere, per togliere di mezzo tutto ciò che nel bosco ne ostacolava il cammino, e a breve distanza lo avrebbero seguito le legioni. Si giunse, così, ai villaggi dei Marsi, già distesi sulle brande o ancora ubriachi a tavola.
Germanico divise le legioni in quattro cunei, per aumentare il raggio di devastazione nell'arco di 50 miglia, e mise a ferro e fuoco ogni cosa. Fu un massacro. Vennero sterminati i soldati, le mogli e i loro figli. Anche il tempio di Tanfana, il più famoso per quei popoli, fu dato alle fiamme. Quella orribile strage fece, però, sollevare i Bructeri, i Tubanti e gli Usipeti, che si appostarono nelle gole boscose dei loro territori, attraverso i quali l'esercito romano doveva passare, per rientrare ai quartieri invernali.
Germanico, avuto notizia dell'imboscata, fece avanzare i soldati in pieno assetto di combattimento: all'avanguardia pose parte della cavalleria e le coorti ausiliarie, a seguire la I legione, i bagagli nel mezzo, la XXI legione a sinistra, la V legione a destra, ed infine alla retroguardia la XX legione ed il resto degli alleati.
I nemici attesero le schiere romane nel bosco e attaccarono la retroguardia. La fanteria leggera era in allarme, ma Germanico in persona, incitò la XX legione affinché cancellasse il ricordo di Teutoburgo. Il coraggio dei legionari allora si infiammò sgominando il nemico, per poi far ritorno ai quartieri d'inverno.
III GUERRA GERMANICA - PRIMAVERA ANNO 15
Tiberio al termine della prima campagna di Germanico, decise di decretargli il Trionfo, mentre ancora si combatteva la guerra. Germanico sperava, prima di passare il Reno, di dividere i nemici in due partiti: uno filo-romano, guidato dal suocero di Arminio, un certo Segeste contro l'altro, capeggiato da Arminio, per la Germania libera dall'oppressore romano.
Egli divise l'esercito in due colonne: la prima affidata ad Aulo Cecina Severo, mosse dai Castra Vetera (Xanten), al comando di vexillationes di quattro legioni della Germania inferiore (12/15.000 legionari), 5.000 ausiliari ed alcune schiere di alleati germani, abitanti sulla riva sinistra del Reno; la seconda, guidata da Germanico stesso, mosse da Mogontiacum (Magonza), al comando di vexillationes delle quattro legioni della Germania superiore (12/15.000 legionari) e di un doppio numero di alleati germani, abitanti sulla riva sinistra del Reno.
BATTAGLIA CONTRO I CATTI
Germanico andò ad accamparsi sulle rovine di un forte costruito dal padre Druso (nel 10-9 a.c.), presso il monte Tauno. Lasciò Lucio Apronio a protezione della strada e dei passaggi dei fiumi, poi, liberatosi dei bagagli, si addentrò velocemente nel territorio dei Catti, dove compì orrende stragi di tutti coloro che per età o sesso non avevano le forze per resistere, mentre i più giovani fuggivano e si lanciavano nel fiume Adrana (Eder), sopra il quale i Romani stavano costruendo un ponte per attraversarlo.
Passati sull'altra sponda i Romani si spinsero fino alla capitale dei Catti, Mattium (nei pressi di Niedenstein), che incendiarono e saccheggiarono. Infine tornarono sul Reno, senza che i nemici ormai terrorizzati osassero inseguirlo.
BATTAGLIA CONTRO I MARSI
- Cecina Severo intanto dissuase i Cherusci ad aiutare i Catti combattendoli lungo i loro confini, poi sconfisse i Marsi che l'avevano attaccato.
DRUSO MAGGIORE |
- Intanto Arminio, venuto a conoscenza della resa di Segeste, e che sua moglie e suo figlio erano stati consegnati ai Romani, chiese alleanze a tutti i suoi confinanti (tra cui lo stesso zio, Inguiomero).
- Germanico allora divise ancora una volta l'esercito in più colonne:
- mandò Cecina, con 40 coorti (quasi 20.000), attraverso il territorio dei Bructeri fino al fiume Amisia (l'attuale Ems);
- mandò il prefetto Pedone, con la cavalleria, nel paese dei Frisoni in direzione dello stesso fiume; - egli stesso, imbarcate 4 legioni (20.000 legionari), le guidò verso l'estuario del fiume Amisia, così da trovarsi tutti presso il fiume.
- Poi Germanico chiese ai Cauci gli aiuti promessi, arruolandoli nel suo esercito.
- Quindi inviò contro i Bructeri, Lucio Stertinio, con forze armate leggere (fanteria e cavalleria ausialiarie). Questi, devastati i territori di queste popolazioni, ritrovò l'insegna della XIX Legione, caduta in mano ai Germani sei anni prima, dopo il massacro delle legioni di Varo nella foresta di Teutoburgo.
- Il grosso dell'esercito, intanto, procedeva devastando l'intero territorio tra i fiumi Amisia (Ems) e Lupia (Lippe), fino a raggiungere i resti delle legioni di Teutoburgo.
« ...nel mezzo del campo biancheggiavano le ossa ammucchiate e disperse... sparsi intorno... frammenti di armi e carcasse di cavalli e teschi conficcati sui tronchi degli alberi. Nei vicini boschi sacri si vedevano altari su cui i Germani avevano sacrificato i tribuni ed i centurioni di grado più elevato. I superstiti di quella disfatta, sfuggiti alla battaglia od alla prigionia, ricordavano che qui erano caduti i legati e là erano state strappate le Aquile; e mostravano dove Varo ricevette la prima ferita e dove si colpì a morte, suicidandosi; mostravano il rialzo da dove Arminio aveva parlato ai suoi, i numerosi patiboli preparati per i prigionieri, le fosse scavate e con quanta tracotanza Arminio avesse schernito le insegne e le Aquile imperiali... »
(Cornelio Tacito, Annali I, 61)
- Germanico, seppelliti i resti delle legioni, inseguì Arminio con la cavalleria, Ma Arminio preparò loro un'imboscata, poiché prima ripiegò verso le foreste, poi tornò improvvisamente indietro, mentre una parte dei suoi uomini, appostata nelle foreste, attaccarono i cavalieri romani ai fianchi. La cavalleria romana presa dal panico, cominciò a scomporsi, Germanico inviò le coorti ausiliarie, ma la confusione aumentò; e tutti sarebbero stati cacciati verso una pericolosa palude, se Germanico non avesse fatto avanzare le legioni schierate a battaglia.
- Allora il panico passò fra i nemici, mentre i soldati romani ripresero a combattere con ardore, ma nessuno vinse. Ricondotto l'esercito indietro, Germanico lo divise nuovamente in tre colonne:
- - le legioni, condotte da Germanico, caricate sulla flotta tornarono al punto di partenza;
- - parte della cavalleria raggiunse il Reno lungo la costa dell'Oceano;
- - Cecina, con 40 coorti, tornò attraverso i pontes longi (uno stretto passaggio tra foreste e paludi, costruito da Domizio Enobarbo, il 3 - 1 a.c..
AGRIPPINA E GERMANICO |
BATTAGLIA DEI PONTES LONGI
I pontes longi erano delle strade in legno costruite dai Romani su terreni paludosi o acquitrinosi, che i romani appresero dai celti-germani. Molti ne costruì il generale Enobarbo, usati poi da Germanico per invadere appunto le terre dei Germani.
Arminio precedette l'esercito romano, e, disponendo i suoi armati per un nuova imboscata, aspettò l'arrivo di Cecina ma questi, pur ripristinando i vecchi ponti, fece costruire a una parte degli uomini l'accampamento. I Germani attaccarono, abituati al terreno molle e insidioso, i Romani provarono a difendersi ma erano appesantiti dalle corazze, e non riuscivano a calibrare i lanci in mezzo all'acqua.
Finalmente giunse la notte che evitò il disastro. I Germani, senza riposarsi, cercarono di convogliare tutte le acque circostanti dove si trovavano i Romani, per allagare il terreno e far crollare i terrapieni.
Allora Cecina decise di contrattaccare, cacciando il nemico dentro le foreste, e permettendo ai feriti a ai carriaggi della colonna di essere protetti dalle schiere romane, disponendo:
- la V Alaudae sul lato destro,
- la XXI Rapax su quello sinistro,
- la I Germanica in avanguardia
- la XX Valeria Victrix come retroguardia.
Tacito narra del sogno fatto quella notte Aulo Cecina Severo: « ...gli parve di vedere Publio Quintilio Varo uscire dalle paludi, interamente coperto di sangue, e gli sembrò di udirlo come se lo chiamasse, egli invece non lo seguiva e spingeva lontano da sé la mano che Varo gli tendeva.... »
(Cornelio Tacito, Annali I, 65)
E' evidente che Cecina non voleva fare la stessa fine di Varo, per cui la mattina seguente, le legioni inviate per proteggere i fianchi, abbandonarono la posizione, per occupare la zona di terra oltre la palude. Arminio, quando vide i carriaggi impantanati nel fango e i romani che procedevano in modo disordinato, ordinò l'assalto gridando:
« Ecco Varo e le sue legioni, dello stesso destino sono ormai presi in una morsa!»
I Germani spezzarono la colonna romana, colpendo i cavalli che disarcionavano i cavalieri, finchè il cavallo di Cecina fu colpito al ventre, travolgendo il suo generale. I Germani si precipitarono verso di lui ma lo salvò la legio I Germanica accorsa in aiuto.
Trascorsa la giornata a combattere, le legioni riuscirono a trovare un terreno aperto ed asciutto per costruire un nuovo vallo con terrapieno per la notte, ma gran parte degli attrezzi con cui scavare era andata perduta. Mancavano tende per i soldati, medicine per i feriti, ed i soldati imprecavano a quello che poteva essere l'ultimo loro giorno di vita.
La mattina seguente i Germani attaccarono l'accampamento, cercando di colmare il fossato con graticci e provando a sfondare la palizzata, dove erano schierati solo pochi soldati. Ma in quello giunsero le legioni, che con una manovra di aggiramento, colpirono alle spalle i Germani.
I Romani vinsero e Arminio con Inguiomero, ferito gravemente, fuggirono mentre gran parte dei suoi veniva massacrata dai Romani. Intanto si era sparsa la voce che le legioni erano state accerchiate e che i Germani minacciavano di invadere le Gallie. Ma Agrippina, moglie di Germanico, mantenne la calma nell'accampamento, distribuendo ai feriti vesti e medicine, per poi rendere lodi e ringraziamenti alle legioni che tornavano.
Germanico, intanto, affidò a Publio Vitellio le legioni II Augusta e XIV Gemina per riportarle nei quartieri invernali via terra, per alleggerire la flotta e permetterle di navigare lungo le coste poco profonde del Mare del Nord, evitando così di arenarsi a causa del riflusso della marea, ma ciononostante la colonna venne travolta e trascinata in mare. Le onde provocarono un grande disastro, trascinando tra i flutti animali, salmerie ed uomini.
Alla fine Vitellio riuscì a portare la colonna di soldati, ormai allo sbando, su una leggera altura salvandone molti. La mattina del giorno seguente, la marea si era ritirata, e poterono ricongiungersi a Germanico ed alla sua flotta, imbarcandosi anche loro e facendo ritorno ai quartieri d'inverno.
Intanto Stertinio, inviato ad accogliere la resa di Segimero, fratello di Segeste, aveva già ricondotto lui e suo figlio nella città degli Ubi, ed a loro fu concesso il perdono, nonostante si dicesse che il figlio di Segimero avesse recato oltraggio alla salma di Publio Quintilio Varo.
Al termine delle operazioni militari, vennero decretate le insegne trionfali ad Aulo Cecina Severo, Lucio Apronio ed a Gaio Silio per i meriti acquisiti nelle operazioni compiute sotto il comando di Germanico.
V GUERRA GERMANICA - ANNO 16
Giunta nuovamente la primavera, Germanico, resosi conto che:
- Se da una parte i Germani, erano battibili in campo aperto su terreni compatti e piani, dall'altra partivano favoriti se protetti dalle foreste, dalle paludi, dall'estate breve e dall'inverno precoce del loro paese;
- I legionari romani, invece, penavano a percorrere grandi distanze in percorsi difficili ed accidentati, con interminabili colonne cariche di equipaggiamenti, esposti a continue imboscate.
- Inoltre le Gallie, il cui popolo doveva sostentare con continui rifornimenti (di cibo ed armi) gli eserciti romani, erano allo stremo avendo esaurito le loro risorse di cavalli.
- Germanico allora decise di avanzare in territorio nemico, via mare. L'intero esercito romano, inclusi i rifornimenti sarebbero giunti attraverso i fiumi, con le forze pressoché intatte.
- Delegò a Publio Vitellio e a Gaio Anzio il censimento delle Gallie, mentre Silio, Anteio e Cecina si sarebbero occupati della costruzione della Classis Germanica, una flotta di 1.000 navi, molte fornite di ponte per trasportare macchine da guerra, cavalli e carriaggi; tutte con vela e remi, concentrate sull'l'isola dei Batavi, presso la foce del Reno.
- Quindi Germanico ordinò al legato Gaio Silio di attaccare i Catti con le truppe ausiliarie, mentre lui, saputo che il forte sul fiume Lupia era stato assediato, vi si recò con 6 legioni. Silio rapì la moglie e la figlia di Arpo, capo dei Catti, ma gli assedianti fuggirono dopo aver distrutto il tumulo eretto alle legioni di Varo e l'ara in memoria di Druso.
- Germanico, ricostruita l'ara paterna, fece proteggere con barriere tutte le zone comprese tra il forte d'Aliso ed il Reno. Intanto la flotta entrò nel canale scavato da Druso, raggiunse la riva sinistra dell'Amisia, anzichè la destra e fu un errore, poiché avrebbe dovuto costruire un ponte più oltre, dove traghettare le truppe e che richiese alcuni giorni.
- Intanto gli Angrivari avevano defezionato e Germanico inviò Stertinio, con reparti di cavalleria e truppe ausiliarie leggere, a devastare i loro territori. Poi con l'esercito, si recò al fiume Visurgi (Weser), dove i due eserciti si schierarono, i Romani sulla riva sinistra, e i Germani, con Arminio su quella destra.
LA BATTAGLIA DI IDISTAVISO (16 d.c.)
« Il fiume Visurgi divideva i Romani dai Cherusci. Sulla riva opposta si fermò Arminio con altri capi e domandò se Cesare Germanico era arrivato.
Come venne a sapere che c'era, chiese di poter parlare con il fratello, il quale militava nell'esercito romano con il nome di Flavo, soldato di straordinaria fedeltà e privo di un occhio, perduto, in seguito ad una ferita pochi anni prima, sotto il comando di Tiberio.
Concessagli l'autorizzazione al colloquio, Flavo avanzò salutato da Arminio, il quale, allontanata la sua scorta, chiese il ritiro dei nostri arcieri schierati lungo la riva del fiume.
Dopo che questi si furono ritirati, chiese al fratello l'origine di quello sfregio sul volto. Quest'ultimo gli riferì il luogo e la battaglia.
Arminio chiese ancora quale compenso avesse ricevuto. Flavo rammentò lo stipendio accresciuto, la collana, la corona e gli altri doni militari, mentre Arminio irrideva la sua servitù a Roma per quegli insignificanti e vili compensi ricevuti... continuarono a parlare, Flavo esaltando la grandezza di Roma... Arminio ricordando la religione della patria, l'antica libertà... la madre di entrambi, alleata a lui nelle preghiere, perché Flavo non volesse abbandonare parenti, amici e tutta la sua gente... e non preferisse essere traditore piuttosto che capo... A poco a poco passati ad insultarsi, poco mancò che si gettassero l'uno contro l'altro... se Stertinio non avesse trattenuto Flavo... »
(Cornelio Tacito, Annali II, 9-10.)
Il giorno dopo i Germani si schierarono a battaglia al di là del Visurgi. Germanico, dovendo finire i ponti sul fiume con i relativi presidi, mandò avanti la cavalleria divisa in due ali. La guidavano Stertinio ed Emilio (uno dei centurioni primipili), i quali scesero in campo in luoghi distanziati per dividere l'esercito nemico.
La battaglia volse a favore dei Romani, grazie alla superiorità tattica di manovra, d'addestramento e di armamento. Anche se poco dopo, ma i Germani prepararono un nuovo agguato ai Romani presso Idistaviso. Vennero ancora battuti e Germanico fece innalzare un secondo trofeo con l'iscrizione:
« L'esercito di Tiberio Cesare, vinte le popolazioni tra l'Elba e il Reno, consacrò questo monumento a Marte, a Giove e ad Augusto»
(Cornelio Tacito, Annali II, 22.)
Sopraffatti i Cheruschi, Germanico mosse contro gli Angrivari, ma questi passarono dalla sua parte come alleati. Germanico decise di rimandare alcune legioni nei campi invernali via terra, mentre la maggior parte andò via mare, ma una terribile tempesta si abbattè sulla flotta, si che molte navi, per evitare di arenarsi o di affondare, furono costrette a buttare a mare: cavalli, muli, salmerie, perfino le armi, per alleggerire le carene che imbarcavano acqua. La stessa trireme di Germanico approdò nella terra dei Cauci mentre quest'ultimo colto da sconforto:
« Cesare, aggirandosi per tutti quei giorni e quelle notti tra scogli e promontori, gridava di essere il responsabile di un così grave disastro; a stento gli amici lo trattennero dal cercare la morte nelle stesse onde.»
(Cornelio Tacito, Annali II, 24.)
Alla fine della tempesta, la maggior parte delle navi tornarono, piuttosto danneggiate. Alcune furono mandate in perlustrazione sulle isole, dove recuperarono numerosi dispersi. Altri furono restituiti dagli Angrivari e altri ancora furono restituite dalla Britannia.
Alla notizia della distruzione della flotta, spinse i Germani si risollevarono ma Germanico inviò Silio, contro i Catti con 30.000 fanti e 3.000 cavalieri; ed egli attaccò i Marsi che arresi gli fecero recuperare una seconda Aquila legionaria di Varo:
« (I Germani) Andavano dicendo che i Romani erano invitti, e che nessuna sciagura poteva piegarli, poiché distrutta la flotta, perdute le armi, le spiagge coperte di carcasse di cavalli e di cadaveri, erano tornati ad assalire con lo stesso indomito valore e fierezza, quasi che si fossero persino moltiplicati in numero. La campagna di quest'anno si concluse con una nuova incursione nella regione dei Catti e dei Marsi, i quali però, all'apparire delle legioni, si dispersero nelle foreste.»
(Cornelio Tacito, Annali II, 25.)
A Roma fu accolto con grande favore, ma Tiberio, pur permettendogli la celebrazione del trionfo, lo aveva richiamato a sé non tanto per invidia, ma più per timore di un nuovo disastro in Germania, e che non fosse necessario inglobarne altri territori.
PARTICOLARE DELLA CORAZZA DI GERMANICO |
Egli aveva accettato la resa dei Sigambri, costretto alla pace i Suebi ed il re Maroboduo. Anche i Cherusci e gli altri popoli che si erano ribellati, ora i Romani si erano vendicati, si potevano lasciare alle loro discordie interne. E quando Germanico gli chiese ancora un anno per concludere la guerra... gli offrì un secondo consolato... ed aggiungeva che, se fosse stato ancora necessario combattere, Germanico avrebbe dovuto lasciare una possibilità di gloria anche per il fratello Druso. Germanico non indugiò oltre, pur comprendendo che si trattava di finzioni e che per odio Tiberio gli voleva strappare quell'onore che già aveva conseguito.»
(Cornelio Tacito, Annali II, 26.)
Germanico la prese male anche se lo stesso Augusto lo aveva ammonito di non oltrepassare i fiumi Reno e Danubio. Tuttavia egli ottenuto solo dei successi parziali e il suo luogotenente, Aulo Cecina Severo per poco non cadeva in un'imboscata con 3-4 legioni, scampando a mala pena ad un nuovo e forse peggiore disastro di quello della foresta di Teutoburgo. Tiberio decise di sospendere ogni attività militare oltre il Reno, strinse alleanze con alcuni popoli contro altri, in modo da tenerli in guerra tra di loro.
"È certo che Germanico riuniva, ad un grado che nessuno mai raggiunse, tutte le qualità di corpo e di spirito: una bellezza e un valore senza paragoni, doti superiori dal punto di vista dell'eloquenza e della cultura, sia greche, sia latine, una bontà straordinaria, un enorme ardore e una meravigliosa capacità decisionista che gli dava la simpatia e l'affetto degli uomini.
La magrezza delle sue gambe non era in armonia con la sua bellezza, ma a poco a poco anche queste si irrobustirono, grazie alla sua abitudine di montare a cavallo dopo il pasto. Spesso uccise qualche nemico in combattimento a corpo a corpo (pur essendo un generale, cioè combattendo come un soldato). Sostenne cause giuridiche anche dopo il suo trionfo e tra gli altri frutti dei suoi studi lasciò pure alcune commedie greche. Semplice e democratico, sia nella vita pubblica, sia in quella privata, entrava senza littori nelle città libere e alleate.
Dovunque sapeva di trovare tombe di uomini illustri, portava offerte funebri agli dei Mani. Quando volle far seppellire in un unico sepolcro gli antichi resti dispersi dei soldati morti nel disastro di Varo fu il primo a raccoglierli e a trasportarli con le sue mani. Anche nei confronti dei suoi detrattori, chiunque fossero e per quanto gravi potessero essere i loro torti, si mostrò cosi poco vendicativo che, vedendo Pisone revocare i suoi decreti e perseguitare i suoi clienti, non si decise a esprimergli il suo risentimento se non quando venne a sapere che questi impiegava contro di lui perfino i malefici e i sortilegi. Ma anche allora si limitò a togliergli l'amicizia, secondo l'usanza antica e a raccomandare ai suoi intimi di vendicarlo se avesse dovuto succedergli qualcosa.
Queste virtù produssero largamente il loro frutto; egli fu talmente stimato e amato dai suoi parenti che Augusto (di tutti gli altri tralascio di parlare), dopo essersi a lungo domandato se non doveva sceglierlo come successore, lo fece adottare da Tiberio. Era talmente ben visto dal popolo che, stando a quanto dicono molti autori, ogni volta che arrivava in qualche posto o quando ne partiva, la folla gli correva incontro o si metteva al suo seguito, col rischio, non di rado, di soffocarlo; in particolare, quando ritornò dalla Germania, dopo aver tenuto sotto controllo la rivolta dell'armata, tutte le coorti pretoriane gli si fecero incontro, benché due sole di loro avessero ricevuto l'ordine di lasciare Roma, e il popolo romano, senza distinzione di sesso, di età e di condizione si dispose lungo la strada fino a venti miglia dalla città. "