CARNARIA
- 1 giugno festa in onore di Carna, Dea romana protettrice degli organi interni e della buona digestione, soprattutto dei bambini. Si offriva alla Dea un piatto di farro, fave e lardo. Aveva un tempio sul Caelius, costruito da Marcus Iunius Brutus primo console di Roma.
- In tempi remoti Carneio era una divinità dei Dori, fusa in seguito con Apollo creando la divinità dell'Apollo Carneo, molto seguito nelle città doriche tanto che durante le sue feste ci si asteneva dalla guerra.
Il sacro boschetto del Dio Alerno, per il quale, sostiene Ovidio, i pontefici ancora sotto Augusto eseguivano i riti sacri, era il luogo di nascita della ninfa Cranea, figlia di Alerno, che doveva essere un Dio ctonio, visto che gli si immolava un bue nero, e le vittime scure si offrivano agli Dei inferi.
CARNEIO
- In tempi remoti Carneio era una divinità dei Dori, fusa in seguito con Apollo creando la divinità dell'Apollo Carneo, molto seguito nelle città doriche tanto che durante le sue feste ci si asteneva dalla guerra.
Carneo in alcune città, tuttavia, restò la divinità protettrice delle greggi, Il sacrificio solenne delle feste carnee era appunto quello d'un capro; probabilmente le sembianze del Dio erano rappresentate con testa, o almeno con corna di capro. Insomma simile a un fauno.
CARNEO
- La festa nazionale di tutti i Dori in Grecia, le Carnee, furono istituite per espiare l'uccisione dell'indovino Carneo, feste dunque di carattere naturalistico ed espiatorio, certamente derivate alla religione greca da un culto preellenico.
Le due cerimonie principali che si sono tramandate per le feste carnee ci confermano il carattere originario del culto; una è la festa di corsa di giovani, che, sorreggendo grappoli d'uva, si lanciavano all'inseguimento di un corridore, partito per primo, tutto incoronato di bende; l'altra cerimonia era quella delle tende: si drizzavano nella campagna nove tende, o pergole, entro ciascuna delle quali prendevano posto nove cittadini che banchettavano in onore del Dio.
CRANEA
La ninfa Cranaë era una cacciatrice, spesso scambiata con Diana, tranne che usava giavellotti e reti piuttosto che arco e frecce. Quando i suoi innumerevoli aspiranti tentarono di sedurla, lei si giocò di ognuno: "Apriti la strada verso una caverna isolata, e io seguirò". Invece Cranaë si nascondeva tra i cespugli (6.105-118).
Non potè fare la stessa cosa col Dio Giano, anch'egli preso da lei. perchè Giano con una faccia guardava anche dietro. Così il Dio la possiede ma "In cambio del nostro rapporto , il diritto del cardine sarà tuo, prendilo come pagamento per la verginità perduta"(6.119-128). Come pegno, le dette il biancospino, che protegge le case da influenze negative.
Ovidio inizia osservando che il primo giorno del mese è dedicato a Carna, che identifica come la Dea della cerniera, altrove conosciuta come Cardea, e Ovidio specifica che:
"Per mezzo della sua presenza divina apre le cose che sono state chiuse e chiude le cose che sono state aperte ".
La fonte dei suoi poteri è oscurata dal tempo, ma Ovidio li svelerà. E' chiaro che si tratta di un'antica Dea Madre.
Suoi aiutanti erano altri due Dei: Forculus e Limentinus (o Limentinum). Forculus proteggeva l'integrità delle porte per la parte lignea e Limentium proteggeva la soglia della casa.
Secondo altre fonti, tra cui Servio Onorato, Cardea era la Dea del cardine, Forculus del battente e Portunus della chiave. Per altri ancora Forculus custodiva le imposte; Limentinus la soglia e l'architrave e Cardea i cardini.
Poichè la Dea: "può aprire ciò che è chiuso; può chiudere ciò che è aperto." apriva l'anno nuovo e chiudeva l'anno vecchio, ed era la Dea del principio e della fine, della nascita e della morte. Le era sacra la pianta del biancospino e del corbezzolo, ambedue con fiori candidi.
Secondo altre fonti, tra cui Servio Onorato, Cardea era la Dea del cardine, Forculus del battente e Portunus della chiave. Per altri ancora Forculus custodiva le imposte; Limentinus la soglia e l'architrave e Cardea i cardini.
Le due cerimonie principali che si sono tramandate per le feste carnee doriche ci confermano íl carattere originario del culto; una è la festa di corsa di giovani, che, sorreggendo grappoli d'uva, si lanciavano all'inseguimento di un corridore, partito per primo, tutto incoronato di bende; l'altra cerimonia era quella delle tende: si drizzavano nella campagna nove tende, o pergole, entro ciascuna delle quali prendevano posto nove cittadini che banchettavano in onore del Dio.