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IPOGEO DI VIBIA

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Vibia era sepolta, insieme al marito Vincenzo, in un arcosolio del cimitero sotterraneo che da lei stessa ha preso il nome. All’ipogeo si accede oggi direttamente dalla via Appia Antica, al numero civico 101, dove nel Medioevo fu costruito un casale, detto “Casale della Torretta”.
All’interno del cimitero, costituito da diverse gallerie, si conservano alcuni arcosoli dipinti e un cubicolo monumentale.

Il rinvenimento, del tutto casuale, risale al XVIII secolo, quando lo scopritore, Giovanni Gaetano Bottari, ritenne erroneamente di essersi imbattuto in gallerie pertinenti al complesso di Callisto, ubicato nelle immediate vicinanze. in realtà, anche se l'archeologo non specifica quando, venne scavato anche in precedenza; egli si limitò a pubblicare, nella sua opera Sculture e pitture sagre estratte dai cimiteri di Roma del 1754, alcune particolari pitture con chiare allusioni a culti orientali non-cristiani legati al dio Sabazio e al dio Mitra.

Per circa un secolo della catacomba si perse memoria, finché alla metà dell’Ottocento essa fu riscoperta dal padre gesuita Giuseppe Marchi, il quale si convinse invece che l’ipogeo dovesse essere identificato con il cimitero comunitario di Pretestato.

Da qui prese il via un ampio dibattito sulla presenza in un cimitero cristiano di sepolture pagane; solo alla metà del XX secolo dopo ulteriori scavi, ci si rese conto che l'intero complesso sotterraneo era composto da più ipogei privati, collegati tra loro in epoche diverse.

Il nome dell'ipogeo deriva appunto da Vibia, il personaggio sepolto nella tomba più famosa e meglio conservata dell'intero complesso, e per un certo periodo è stato anche conosciuto come “ipogeo delle monachelle” per la presenza di una pittura con sei personaggi velati.

Questa catacomba di diritto privato, costituita da otto distinti ipogei, è databile alla seconda metà del IV secolo e fu usata per circa un cinquantennio.



DESCRIZIONE

Il complesso è composto da tre livelli, scavati in momenti successivi; il più antico, e anche meglio conservato, è quello che si trova più in profondità, dove è situato l'ipogeo di Vibia.

L'attuale ingresso è posto lungo la via Appia antica, quello originale era collocato più all'interno, alla fine di un viottolo. 

La scala, molto ripida, scende fino ad un livello di 6 metri rispetto al piano stradale e conduce ad una galleria che nel corso degli anni, per esigenze di spazio, venne ulteriormente proseguita e ampliata.

In fondo alla galleria venne scavata una scala da pozzo che scende per ulteriori 12 m fino ad intercettare la falda freatica.

La falda acquifera albergò in un bacino circolare profondo tre m e largo due di cui nessuno parla.

Ben si sa invece che i pozzi avevano tra i pagani un grande senso sacrale, tanto che dentro di essi si ponevano speso immagini di divinità che venivano così a proteggere il luogo in questione senza che l'immagine fosse visibile e pertanto priva di rischi di trafugamento.

Sempre a partire dalle scale d'ingresso, si sviluppa un'altra galleria che, attraverso undici alti gradini, scende fino a nove m di profondità dove appunto si trova l'ipogeo di Vibia. 

Qui si trova il famoso arcosolio con le magnifiche e misteriose pitture, dove il primo affresco raffigura il ratto di Proserpina da parte di Plutone sulla quadriga, molti vorrebbero però riconoscere nella fanciulla rapita Vibia, rapita appunto alla luce e come la Dea portata nelle tenebre degli inferi.

Nel sotto arco compare l'immagine di Mercurio nuntius (o psicopompo) che accompagna Vibia per essere giudicata mentre viene tenuta per mano da Alcesti (la donna che Ercole trasse dal buio degli inferi).

Nella scena centrale invece dominano le due divinità Dispater (Plutone), con la testa coronata di fiori e Aeracura (Proserpina), vestita con una tunica color acqua marina, seduti su un alto podio e sulla sinistra le tre Parche, le Dee del Fato, che presiedono al destino dell'uomo. 

Nell'immagine della lunetta Vibia, preceduta dall'angelus bonus, che la tiene per mano, viene introdotta al convito dei beati e, subito dopo, sul lato destro, è rappresentata mentre in un campo di fiori banchetta tra i bonorum iudicio iudicati, tra brocche di vino e vivande.

In un'iscrizione dipinta con lettere rosse, suo marito Vincenzo, sacerdote di Sabazio, un culto molto simile ai Misteri Dionisiaci, esorta tutti a vivere una vita gioiosa. Strano però con una moglie morta, perchè sua moglie non ne può usufruire dell'esortazione. 

Dunque a destra sta Vibia accompagnata da due figure, identificabili grazie alle iscrizioni di Alcestis e Mercurius nuntius, al cospetto di due personaggi imponenti che siedono su un podio, Dispatere e una figura femminile indicata col nome di Aeracura, nella quale si deve sicuramente riconoscere Proserpina, in qualità di consorte di Plutone

Ora Erecura (o Herecura, Aerecura, Eracura) era una Dea preromana (forse di derivazione celtica), rappresentata con gli attributi di Proserpina e associata al Dis Pater. Lei appare con quest'ultimo in Svizzera, Germania, Italia, Gran Bretagna e Francia e in molti testi magici austriaci, una volta in compagnia di Cerbero.

Altre donne sono in piedi a sinistra, come coro o sfondo alla scena principale.
Poco più avanti altri due arcosoli fanno riferimento a culti non cristiani, precisamente a quelli Mitraici: nel primo il defunto, non identificato, è raffigurato nei panni del miles, il soldato, che nel culto di Mitra rappresenta il terzo grado dei riti d'iniziazione.


Sull'altro, dove sono sepolti un certo Caricus e un altro personaggio sconosciuto, è riportata un'iscrizione: M. Aurelio sacerdos dei Solis Invicti Mithrae.

Nell'ipogeo sono presenti altri due ambienti importanti, il primo è un vasto cubicolo quadrato con una volta a crociera ribassata; ai quattro lati quattro colonne con capitello,  scolpite a tutto tondo nel tufo e che sorreggono gli archi. Intorno una ventina di loculi ancora chiusi con materiale laterizio ma privi di epigrafi, non è presente pavimentazione e le pareti non sono intonacate. 

Il secondo ambiente, da collocare nell'ultimo periodo di vita della struttura, è il cosiddetto arcosolio dei vinai: dipinto in modo grossolano, che rappresenta scene tratte dalla vita dei vignaioli, con riferimento ad attività di acquisto e vendita del vino, probabilmente l'attività del defunto.

Le gallerie, molte delle quali sono crollate, continuano in altre direzioni e vanno a intercettare altre piccole necropoli sotterranee e cave di tufo scavate in tempi più recenti.

In realtà l’ipogeo di Vibia non è che uno dei cimiteri di diritto privato che si incontrano, uscendo da Roma, lungo il lato sinistro della via Appia Antica. Esso, inoltre, non è isolato ma fa parte di un più ampio complesso, chiamato anch’esso “di Vibia”, comprendente ben sette ipogei, collegati tra loro soltanto in epoca tarda. Dopo il Padre Marchi diversi studiosi si sono pronunciati circa la possibile interpretazione del cimitero di Vibia, come Raffaele Garrucci, Enrico Stevenson, Franz Cumont e Carlo Cecchelli. Fu infine Padre Antonio Ferrua ad effettuare gli ultimi scavi, negli anni ’50 del XX secolo.

Anticamente non si accedeva come oggi dalla via Appia, bensì da un viottolo che si dipartiva dalla stessa. Della scala che conduceva a un primo pianerottolo si conservano soltanto alcuni gradini, in quanto essa, così come altri settori della catacomba, fu tagliata dalle moderne gallerie realizzate per lo sfruttamento della cava di pozzolana.

Dal pianerottolo si diramava verso nord una galleria che conduceva a un pozzo realizzato per poter attingere l’acqua, necessaria ai riti in onore dei defunti all’interno della catacomba.

Verso ovest partiva invece una seconda galleria, da cui si diramavano a loro volta altre due gallerie.
L’arcosolio in cui erano sepolti Vibia e Vincenzo è databile all’ultimo approfondimento della stessa, quindi alla seconda metà del IV secolo d.c.



Le pitture che lo decorano raffigurano nell’ordine:

- il rapimento di Vibia da parte di Plutone che la conduce all’Ade sulla sua quadriga, 

- il giudizio a cui essa è sottoposta una volta giunta negli Inferi e, nella lunetta di fondo, 

- l’angelus bonus che fa entrare Vibia nei Campi Elisi, dove la defunta, che è stata ben giudicata, può finalmente godere delle gioie del banchetto, al quale prende posto in posizione centrale.

 Mentre il nome di Vibia è indicato nelle didascalie delle pitture, quello del marito lo si legge anche in un’iscrizione posta presso la tomba, dove è scritto che Vincenzo, sacerdote del Dio orientale Sabazio, invita tutti a godersi la vita.
Sulla parete di fronte, sempre nella stessa galleria si trovano altri due arcosoli di cui il primo è  detto “dei misteri”, per via delle raffigurazioni di soldati che hanno fatto pensare a un legame con i riti iniziatici legati al culto del dio Mitra.

L’iniziazione prevedeva infatti diversi gradi, uno dei quali era per l’appunto quello del miles (soldato). Secondo tale interpretazione, a questo arcosolio si legherebbe quello adiacente in cui era sepolto un certo Caricus, probabilmente un maestro di scuola, come ci dice l’iscrizione nella quale è menzionato, tra l’altro, proprio il dio Mitra.




GLI STUDIOSI

La presenza di queste tre sepolture, legate da una parte al culto di Sabazio e dall’altra alla religione mitraica, provocò un notevole trambusto al momento della scoperta, in quanto si trattava di prove certe dell’esistenza all’interno dell’ipogeo di sepolture di pagani, che coesistevano con quelle dei cristiani.

E perchè mai non avrebbero dovuto? Solo i cristiani successivi trovarono scandaloso coabitare da morti coi pagani, ma il fato si è che a volte si trovavano credo religiosi diversi nell'ambito della stessa famiglia.

A quei tempi infatti però si rifiutava l’idea che pagani e cristiani potessero trovare sepoltura in uno stesso cimitero, come fosse una contaminazione, poi si appurò che perfino la tomba di San Pitreo (presunta) condivideva la locazione coi pagani.

Gli studiosi si divisero dunque tra chi, come il Bottari, si arrampicava sugli specchi pur di difendere ad ogni costo la cristianità della catacomba e chi invece, come il Padre Marchi, accettando l’evidenza di fronte a delle sepolture indiscutibilmente pagane, immaginò l’originaria esistenza di due muri che sarebbero stati eretti proprio per dividere queste tombe da quelle cristiane. 

I muri, di cui egli sosteneva di aver addirittura rinvenuto dei blocchi, sarebbero venuti a trovarsi proprio nella galleria V3, l’uno prima dell’arcosolio “dei misteri” e l’altro immediatamente dopo l’arcosolio del seguace di Mitra Caricus.

In realtà la galleria non era affatto interrotta, ma continuava verso sud con ulteriori sepolture, alcune pagane e altre cristiane. Sulla destra si apriva l’ingresso a un cubicolo monumentale (Va), interamente scavato nel tufo, a pianta quadrata e con un soffitto alto circa 3 m. Per accedervi è tuttora necessario scendere alcuni gradini, in quanto il suo piano pavimentale è leggermente più basso rispetto a quello della galleria V3.

Ai lati del cubicolo, sempre ricavate nel tufo,si levavano quattro colonne sormontate da capitelli appena abbozzati con delle fogliette, come sorreggessero idealmente la volta a crociera che lo copre. Numerosi sono i loculi scavati sulle quattro pareti e in alcuni casi le iscrizioni evidenziano trattarsi di sepolture cristiane.

Un ultimo arcosolio degno di nota per la sua decorazione dipinta si trova all’interno della più recente galleria del cimitero, cioè la galleria V6, un proseguimento di V2 scavato alla fine del IV secolo.

L’arcosolio, proprio per via delle sue pitture, che presentano scene legate al trasporto dei vini, è detto “dei vinai”. Nel sottarco, sulla destra, sono infatti raffigurate delle botti, mentre al centro della lunetta di fondo è dipinta una nave che trasporta anfore e che, con le vele alzate, sta arrivando al porto.

Se è evidente dunque che in questa catacomba fossero presenti sepolture sia cristiane che pagane, ciò non desta più meraviglia come un tempo. È questa infatti una tipica caratteristica dei cimiteri di diritto privato, quale è appunto l’ipogeo di Vibia. Il che significa che spesso gli antichi romani fossero più civili degli studiosi moderni.




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