ROMA SECURITY
I problemi di sicurezza a Roma furono sempre una nota dolente dell’Impero, con emergenze più gravi di qualsiasi altra grande città dell'epoca per il semplice fatto che era molto più grande e trafficata di qualsiasi città dell'epoca.
Marziale scrive ironicamente che solo un pazzo può uscire di notte a Roma senza aver fatto testamento. Se pensiamo per un attimo a una città con un milione e pure con un milione e mezzo di abitanti senza una luce notturna comprendiamo quanto potesse far paura di notte.
C'erano le ronde notturne munite di fiaccole e armate ma rarissime da incontrare. Rarissimi erano anche i viandanti, a parte gli ospiti di un ricco banchetto che dovevano circondarsi di schiavi muniti di fiaccole e di armi per non essere assaliti dalla malavita locale.
A guardia dei malintenzionati a Roma c'era la Celere, truppe formate da 300 uomini a cavallo che accorrevano in caso di sommossa o altro e i vigilantes che spegnevano gli incendi e le risse, nonchè attaccavano i malviventi. Ma rispetto alle dimensioni della città erano ben poca cosa, per cui difficilmente le gente si azzardava a girare per strada al buio, tranne vagabondi, ubriachi e malintenzionati.
Le strade di Roma di notte erano anche un luogo prediletto dai ladri per rubare ai passanti oggetti di valore. Per questo era importante non portare con sé ricchezze o per lo meno procurarsi un gruppo di accompagnatori, ma questo era possibile solo ai benestanti. Nelle altre città del vasto Impero Romano la situazione non era diversa, anzi, forse era peggiore, visto che almeno a Roma erano presenti le coorti cittadine e i vigili del fuoco che di tanto in tanto potevano intervenire contro i criminali.
Ma c'era una delinquenza più nascosta e insidiosa. Oggetto di particolare attenzione erano le coppie benestanti senza figli. Queste ricevevano molte lusinghe, erano invitate ai banchetti, ricevevano doni preziosi, offerte di ospitalità e assistenza legale gratuita. Alcuni si dedicavano a questa attività in modo professionale e poteva accadere che si ricorresse anche a pratiche criminali come l’avvelenamento per conquistare l’eredità. In ogni caso i cacciatori di eredità erano delle persone intraprendenti e riuscivano a conquistare grandi ricchezze.
A volte succedeva invece che fossero le supposte vittime ad approfittare delle situazioni, per sfruttare le cure e le attenzioni di coloro che aspiravano alla loro eredità. Per questo fingevano di essere deboli e malate, modificavano continuamente il loro testamento o minacciavano di farlo, se non ricevevano quello che volevano.
Chi doveva spostarsi a lunga distanza in genere ricorreva alle carrozze, sia di giorno che di notte, anche perchè nelle vie solitarie Roma era pericolosa anche di giorno. Ma questo non fu appannaggio solo dell'antica Roma, perchè perdurò per tutto il medioevo e molto oltre. La prima illuminazione notturna a Roma, quella a gas, fu introdotta molti secoli dopo, solo dopo la nomina di papa Pio IX, nel 1846.
SUOLO ITALICO SECURITY
Strutture criminali organizzate o associazioni gerarchizzate tipo mafia sembra non esistessero a Roma, ma abbondavano i furti e le aggressioni. Pur senza gerarchia sembra però che alcuni ladri formassero una specie di corporazione, ad esempio alla Verna, il cui nome richiama gli inferi (Averno).
Risulta infatti che la zona umbra della Verna, sacra poi a san Francesco, si chiamasse prima Lavernia, perchè il bosco era, prima che al santo, sacro alla Dea dei ladri, nonchè Dea infera, Laverna, i quali ladri in quel bosco avevano rifugio e riunioni segrete nonchè ricettazioni varie. Chi non era un ladro non si azzardava ad avventurarsi in quei luoghi.
Per la maggior parte della storia è stato il mondo rurale a dar adito alla criminalità organizzata, esportando nell’ambiente urbano le azioni delle principali organizzazioni criminali. Pirati, banditi e briganti attaccavano le vie commerciali, incidendo in maniera pesante sull’aumento dei costi dei beni, dei tassi assicurativi e dei prezzi al consumatore.
Comunque dalle fonti antiche, non viene mai menzionata una banda o un gruppo di criminali specifico, con una identità autonoma e ben definita, in grado di sopravvivere alla morte o cattura del proprio capo.
Eccettuati i fenomeni di ribellione contro il potere romano (azioni con un fine politico, non mirate alla rapina), la storiografia dell'epoca ci presenta il quadro di una criminalità su piccola scala, di bande che controllavano zone ristrette, per lo più impervie o di confine, senza essere radicate nel tessuto sociale o urbano, e prive al contempo di una rete di conniventi e fiancheggiatori.
In quanto ai conquistatori barbari, sia vandali, che goti, normanni, o le orde turche e mongole, non sono normalmente considerate gruppi criminali organizzati, ma hanno in comune con le organizzazioni criminali di successo molte caratteristiche. Essi non avevano, per la maggior parte, una base ideologica o etnica predominante, facevano uso di violenza e intimidazione, e rispettavano codici di legge propri.
I BRIGANTI
Però le più grandi preoccupazioni di Roma non furono i ladri, ma i pirati e i banditi, o briganti che dir si voglia. Mentre il termine "bandito" equivale a "fuorilegge" o "bandito dalla società", il termine Brigante deriva dalla Dea celtica Brigantia, un'antica Dea trinitaria che riguardava i tre aspetti della vita: la nascita, la crescita e la morte. Brigantia personificava il terzo aspetto della Dea, era la Dea della morte e quindi della guerra. A lei si rivolgevano i soldati ma pure i rivoltosi o i ribelli, e si rivolsero a lei i Britanni per combattere l'occupazione romana.
BRIGANTIA, DEA CELTICA |
Giovenale, poeta e scrittore del II sec. d.c., descrive un padre romano che esorta il figlio a conquistarsi la gloria distruggendo le fortezze dei Briganti, una serie di tribù che erano state una spina nel fianco per i romani in Britannia. Non potendo competere con la supremazia romana i briganti facevano scorrerie e agguati, depredando e uccidendo tutto ciò che era possibile.
BRIGANTIA DEA CELTICA Ma il brigantaggio era già un vecchio problema nell'antica Roma, quando a Taranto intorno al 185 a.c. avvenne un'insurrezione sociale composta perlopiù da pastori, stanchi di essere oppressi da tasse così gravose, che arrivarono a formare vere e proprie bande. A volte il brigantaggio era una risposta alle ingiustizie dello stato.
Per risolvere la questione, il pretore Lucio Postumio Tempsano attuò una dura repressione in cui furono condannati circa 7.000 rivoltosi, alcuni dei quali furono giustiziati mentre altri riuscirono ad evadere.
Anche Lucio Cornelio Silla prese provvedimenti contro i briganti, anche detti sicari o latrones, con la Lex Cornelia de sicariis nell'81 a.c., che prevedeva pene capitali durissime come la crocifissione e l'esposizione alle belve (ad bestias).
Giulio Cesare affidò nel 45 a.c. al pretore Gaio Calvisio Sabino, uno che gli restò fedele fino alla morte e oltre, il compito di combattere il brigantaggio che imperversava un po' su tutto il suolo italico.
Qualche brigante lasciò il segno o le gesta delle proprie avventure, ed eccone qualcuno:
SELEURO
Strabone ricorda la figura di Seleuro, allevatore, chiamato figlio dell'Etna, che messosi a capo di una banda armata, per molto tempo razziò le città dell'area etnea. Catturato, fu portato a Roma, nel Foro e con la scusa di farlo assistere a un combattimento di gladiatori, fu posto su di un palco che rappresentava il vulcano Etna, posizionato sopra gabbie contenenti bestie feroci. Come una trappola, il palco si aprì, Seleuro cadde giù e morì sbranato.
COROCOTTA
Plinio il Vecchio narra del brigante Corocotta (dal nome di un animale mitico generato dalla leonessa etiopica con il maschio della iena) in Cantabria (Spagna), con al seguito parecchi uomini, per sedare i quali Ottaviano Augusto, nel 26 a.c. fu costretto ad impegnare una delle migliori legioni. I briganti furono uccisi e le loro teste esposte sui pali a monito di altri eventuali ribelli.
Secondo una tradizione invece Corocotta, saputo che Augusto aveva posto una taglia sulla sua testa, si presentò a riscuoterla. Ammirato da tanto coraggio l'imperatore non solo gli consegnò la taglia ma gli comminò pure tutti reati passati. Naturalmente è di pura invenzione.
AI TEMPI DI AUGUSTO
Verso la fine della Repubblica, data la grande insicurezza, moltissimi portavano sempre con sè armi da usare alla prima occasione, ma quando la situazione divenne più tranquilla, con la fine delle guerre civili, Augusto emanò la Lex iulia de vi publica et privata che vietava il possesso di armi.
Essere sorpresi a girare armati senza poterlo giustificare era grave reato, per cui vi fu una drastica diminuzione delle armi in circolazione per cui le risse si facevano a pugni, bastoni o sassi, con danni minori.
Analizzando i circa 300 morti dell’eruzione di Ercolano, si è osservato che uno solo di loro era armato, ed era un militare, ossia autorizzato a portare armi.
Tiberio invece preferì prevenire le ribellioni, per cui trasferì 4.000 ebrei in Sardegna, nel timore che le loro bande si trasformassero in insorgenze, istigate da rivali politici.
BULLA FELIX |
BULLA FELIX
Bulla Felix (la bulla era un amuleto portato dai bambini) fu attivo tra il 205 e il 207 a.c. sotto l'imperatore Settimio Severo. Egli disponeva di una banda di 600 uomini, soprattutto schiavi fuggiti e liberti imperiali, e riuscì ad eludere la cattura per due anni.Cassio Dio presenta le imprese di Bulla Felix come un affronto a Settimio Severo che mentre stava vincendo le guerre in Gran Bretagna, un fuorilegge in Italia lo eludeva.
Bulla Felix (la bulla era un amuleto portato dai bambini) fu attivo tra il 205 e il 207 a.c. sotto l'imperatore Settimio Severo. Egli disponeva di una banda di 600 uomini, soprattutto schiavi fuggiti e liberti imperiali, e riuscì ad eludere la cattura per due anni.Cassio Dio presenta le imprese di Bulla Felix come un affronto a Settimio Severo che mentre stava vincendo le guerre in Gran Bretagna, un fuorilegge in Italia lo eludeva.
AUTENTICA BULLA ROMANA |
Il bandito è un modello sovrano, che prende solo una parte equa ai ricchi per distribuire alla comunità, e che sostiene i membri creativi della società. Si è lanciato come vendicatore di coloro che hanno sofferto dalle guerre civili e per la pesante tassazione. Cassio Dio racchiude la sua percezione di Severo per contrasto con un aneddoto sul letto di morte, in cui si suppone che l'imperatore abbia detto ai suoi figli di "arricchire i soldati, e di nutrire disprezzo per tutti gli altri uomini".
Felix era un cognomen adottato da generali romani e capi di stato dal tempo del dittatore Silla, ed era stato utilizzato anche da Commodo. Felix indicava un leader dotato di Felicitas, fortuna che porta al successo a sé, e a coloro che lo circondano. "Bulla" ricorda l'amuleto a bulbo (bulla) indossati dai bambini e generali trionfa come un fascino protettivo.
Bulla Felix operava sui trasporti per terra e per mare tra il porto di Brundisium e le campagne presso Roma. Valendosi di una nutrita banda e di una fine organizzazione conosceva ogni carico ed ogni contenuto del carico che venisse spedito a Roma. I liberti imperiali che componevano la sua banda probabilmente erano stati estromessi da posizioni privilegiate a causa delle guerre civili in seguito alla morte di Commodo, e all'ascesa di Settimio Severo (193-211).
Cassio suppose che una banda di briganti con tale capacità organizzativa poteva valersi di uomini degradati della guardia pretoriana, dei seguaci di usurpatori, di quelli che avevano perso le proprietà >confiscate durante le guerre civili. Sembra che Bulla non avesse mai ucciso nessuno ma solo rubato, e se assaliva degli artigiani si serviva del loro lavoro e poi li lasciava andare con un generoso dono.
Su di lui corsero parecchi aneddoti. In uno due dei suoi uomini erano stati condannati alle bestie nell'arena, Bulla, vestito come un governatore provinciale, fa visita al direttore del carcere. Dice che ha bisogno di alcuni uomini per un duro lavoro, come usava tra gli uomini condannati, e mostra tali esigenze che il direttore sceglie proprio i banditi di Bulla e glieli consegna.In un altro aneddoto gli si avvicina un centurione al comando della forza romana inviato a catturarlo, Bulla finge di essere qualcun altro, e si offre di rivelare la posizione del covo dei banditi. Il centurione va con lui, e cade in un'imboscata.
Bulla convoca un tribunale finto, si veste da magistrato e ordina che la testa del centurione venga parzialmente rasata alla maniera degli schiavi. Poi lo lascia andare, a condizione che egli consegni un messaggio ai suoi "maestri": "Alimenta bene i tuoi schiavi, così non si daranno al brigantaggio"
La storia potrebbe essere inventata, ma la preoccupazione per l'alimentazione e l'abbigliamento degli schiavi venne espressa dal giurista Ulpiano, che servì come assessore allo stesso prefetto del pretorio che alla fine portò Bulla Felix a processo.
Dopo due anni, Bulla viene catturato attraverso un tradimento disonorevole piuttosto che con il confronto diretto. Un tribuno militare a cui è stato affidato un gruppo di cavalieri per catturare Bulla Felix vivo. Il tribuno appreso che Bulla aveva una relazione con una donna sposata, la mette sotto pressione, promettendole l'immunità in cambio di informazioni. Così il tribuno catturò Bulla mentre dormiva in una caverna usata come nascondiglio.
Bulla viene condotto dinanzi al prefetto del pretorio Papiniano, che gli chiede perché fosse un bandito. "Be ', perché sei un prefetto?" risponde Bulla ha risposto, equiparando i due lavori.
Ricorda l'aneddoto in cui Alessandro Magno chiede a un pirata catturato cosa lo ha spinto a molestare il mare; l'uomo ha risposto: "La stessa cosa che richiede a molestare il mondo lo faccio con una piccola barca e sono chiamato un bandito, lo fai con una grande flotta, e sei chiamato imperatore."
Una storia simile su Clemens schiavo fuggitivo, spacciatosi da Agrippa Postumo e portato davanti Tiberio: l'imperatore ha chiesto come si era trasformato in Agrippa, e l'impostore rispose"Allo stesso modo in cui si diventa Cesare".
VIGILES IN AZIONE |
LOCUSTA
Nata in un luogo imprecisato della Gallia, nel 69 d.c. si trasferì adolescente a Roma. Possedeva un emporio sul colle Palatino, dove vendeva veleni ed elisir di ogni tipo; aveva una buona conoscenza sulla farmacologia ed era molto popolare come avvelenatrice. Era molto richiesta soprattutto dalle classi ricche per sbarazzarsi di parenti o amanti, ma talvolta usò le sue conoscenze per diletto personale.
Venne chiamata da Agrippina Minore per uccidere l'Imperatore Claudio, forse avvelenato con un piatto di funghi. Nel 55 fu condannata a morte per questo omicidio, ma Nerone, venutone a conoscenza, mandò un tribuno del pretorio per salvarla dall'esecuzione. In cambio di ciò, le fu ordinato di avvelenare Britannico. Riuscita nel suo obiettivo, ebbe da Nerone il perdono e perfino possedimenti terrieri. Quando scoppiò l'ultima rivolta contro Nerone, fornì del veleno all'imperatore, probabilmente perché lo usasse per suicidarsi.
Sette mesi dopo il suicidio di Nerone, Locusta fu condannata a morte dall'imperatore Galba, condotta in catene per tutta Roma e giustiziata durante le Agonalia dedicate a Giano. Non si sa di preciso con quale metodo venne giustiziata: la leggenda vuole che sia stata violentata da una giraffa e poi fatta a pezzi da vari animali feroci, ma è evidentemente una leggenda. Un'altra ipotesi vuole che sia stata strangolata e il suo cadavere dato successivamente alle fiamme, il che appare molto più probabile.
C'è fa aggiungere che tutto ciò sa molto di caccia alle streghe, i romani temevano molto sia la magia che le streghe, non a caso vigeva ancora la pena di morte per le fatture che re4cassero danno, e questo ancora ai tempi di Augusto. Pertanto una donna che vendesse pubblicamente veleni era inammissibile, probabilmente questa fu l'accusa che le venne rivolta perchè aveva un negozio di erboristeria, così come nel medioevo le donne che praticavano con le erbe furono accusate di stregoneria e messe al rogo.
Anche il fatto che Agrippina avesse avvelenato il marito e si fosse servita di Locusta era sicuramente un'invenzione, Nerone era già stato nominato successore di Claudio per cui l'imperatrice non aveva ragione di correre un rischio così grave.
L'imperatore era stato avvelenato con un'amannite falloide, un fingo velenoso molto frequente in ogni zona e molto conosciuto sia nell'aspetto che nei sintomi una volta ingerito. Nell'avvelenamento doveva essere implicato qualcuno di alto rango perchè neppure l'imperatrice sarebbe stata salvata da un'accusa del genere.
Il fatto che Nerone si sia servito di Locusta appare un'ennesima invenzione, un qualsiasi contadino ma pure un qualsiasi soldato era in grado di fornirgli un fungo così diffuso e noto, che poi Locusta avesse fornito il veleno a Nerone, sappiamo che morì di spada e non di veleno.
Viene da pensare che Locusta abbia fatto da capro espiatorio alla paura degli uomini delle donne con una certa scienza e indipendenza che non erano ben viste dagli uomini.
CLODIO
Secondo James Finckenauer, il primo vero “Padrino” di un’organizzazione criminale fu Clodio,che operò nell’antica Roma, in particolare tra gli anni 59 e 50 a.c. Il suo principale rivale era Milo, ex gladiatore che aveva come guardiaspalle un gruppo di schiavi armati.
Esponente dell'importante gens aristocratica dei Claudii, venne naturalmente accusato dagli optimates di sovversione e corruzione. In occasione della congiura di Catilina, nel 63 a.c., collaborò con Cicerone, che tuttavia ebbe la memoria corta e testimoniò contro di lui nel 61 a.c., durante il processo per lo scandalo della Bona Dea, processo nel quale fu tuttavia assolto perché i giurati furono corrotti da Crasso e Cesare non si pose tra gli accusatori.
Fu causa di parecchi tumulti a Roma anche perchè i plebei erano in tumulto e comunque durante la repubblica erano stati uccisi due tribuni inviolabili e cioè i Gracchi, pe giunta uccisi dagli optimates. Milone del resto assassinò Clodio soverchiandolo con numero stragrande di seguaci armati, perloppiù ex gliadiatori. Però nel processo di Cicerone il bandito sembra l'ucciso mentre l'uccisore appare un'ottima peresona. Diciamo che Cicerone che infangò di molto l'immagine di Clodio, fu tutt'altro che obiettivo.
VIRIATUS
Fu il leader più importante del popolo lusitano che si oppose a Roma nella sua espansione verso la Spagna occidentale, per questo venne molto idealizzato nella letteratura che li definì: "Perfetti esecutori, in base alla fedeltà incondizionata dei seguaci ai loro capi e caratterizzati da disciplina assoluta".
Sant'Agostino avrebbe poi affermare che un gruppo di banditi (latrocinium), come esemplificato dalla comunità organizzata sotto Spartacus nella terza guerra servile, non poteva essere distinto strutturalmente da un regnum legittimo ("regola, regno»), e una regola poteva essere considerata solo se i suoi benefici venivano condivisi nella comunità.
Tuttavia S. Agostino non era così imparziale vedendo nei romani pagani i demoni da combattere per cui chi era contro Roma era nel giusto. Dimenticò invece che i compagni di Spartacus non si limitarono a derubare i paesi rurali, ma sgozzarono uomini donne e bambini con stupri di ogni genere.
Il fenomeno si ripresenta nella metà del IV sec. sotto il regno di Costanzo, durante l'invasione degli Alemanni. Sebbene il controllo imperiale era stato ristabilito dal generale Silvano, i rivali di corte annullarono il suo lavoro.
ROMA MUOVE GUERRA ALLA PIRATERIA |
I PIRATI
Il termine “pirata”deriva dal greco "peiran" che significa "attentare", "attaccare". Per pirateria si intende l’esercizio della navigazione al fine di attaccare e depredare navi mercantili per appropriarsi del bottino, per un proprio guadagno.
In effetti i Pirati furono per Roma il male più grande, più del banditismo e della rivolta di Spartaco. Nessuna città della costa fu salva ma tutte più o meno caddero in mani loro. Ormai i cittadini nemmeno combattevano con la speranza di avere salva la vita. Razziarono i templi e gli erari, i tesori e i gioielli, arricchendosi sproporzionatamente e aumentando così le navi e la pirateria.
BELLUM PIRATICUM DI POMPEO 67 A.C. (immagine ingrandibile) |
Le azioni di pirateria erano inoltre facilitate dal fatto che le navi mercantili navigavano all'epoca vicino alla costa e mai in mare aperto. Man mano che le città-stato della Grecia crebbero in potenza, attrezzarono delle navi scorta per difendersi dalle azioni di pirateria e iniziarono ad esercitare, a loro volta, la pirateria: erano una vera e propria minaccia soprattutto per le navi fenice che trasportavano materie pregiate come ambra, argento e rame.
« I pirati non navigavano più a piccoli gruppi, ma in grosse schiere, e avevano i loro comandanti, che accrebbero la loro fama. Depredavano e saccheggiavano prima di tutto coloro che navigavano, non lasciandolo in pace neppure d'inverno; poi anche coloro che stavano nei porti. E se uno osava sfidarli in mare aperto, di solito era vinto e distrutto. Se poi riusciva a batterli, non era in grado di catturarli, a causa della velocità delle loro navi. Così i pirati tornavano subito indietro a saccheggiare e bruciare non solo villaggi e fattorie, ma intere città, mentre altre le rendevano alleate, tanto da svernarvi e creare basi per nuove operazioni, come si trattasse di un paese amico. »
(Cassio Dione Cocceiano, Storia romana)
Con l'estendersi del dominio di Roma in occidente e in oriente e con l’intensificarsi dei traffici commerciali, i pirati attaccarono le navi romane tanto che il senato romano incaricò Pompeo Magno, di liberare i mari dal terribile flagello. Pompeo fece irruzione nel porto dell'isola di Skiathos, covo di pirati, dove crocifisse gli schiavi e tagliò le mani dei liberti che lì si erano rifugiati (87 a.c.).
In Asia numerose bande di pirati con flotte agguerrite, erano state allestite da Mitridate VI, per devastare tutte le coste romane, pensando di non poter tenere a lungo queste regioni.
POMPEO MAGNO |
Vi erano continui attacchi di porti, fortezze e città, tra cui Iassus, Samo, Clazomene, ed anche Samotracia, nei pressi della quale lo stesso Silla si trovava in quel momento, e si diceva che riuscirono a derubare il tempio che sorgeva in quel luogo, degli ornamenti del valore di 1.000 talenti attici.
Plutarco aggiunge che le navi dei pirati erano più di 1.000 e le città catturate almeno 400, avendo attaccato e saccheggiato luoghi mai violati come santuari, come quelli di Claros, Didyma, Samotracia; il tempio di Ctonia Terra a Hermione e di Asclepio ad Epidauro; quelli di Poseidone a Isthmus, Taenarum e Calauria; quelli di Apollo ad Azio e Leucade; quelle di Hera a Samo, Argo e Lacinium.
Tra il 78 ed il 75 a.c. fu la volta del proconsole di Cilicia, Publio Servilio Vatia, il quale sconfisse più volte i pirati, costringendoli a rifugiarsi nell'entroterra isaurico.Qui Vatia conquistò la città di Olympus in Licia, strappandola al capo dei pirati, Zeniceto, morto per difenderla. Poi in Pamphilia, conquistò Phaselis, ed in Cilicia la fortezza costale di Corico. Avendo strappato ai ribelli tutte le città costiere, fece traversare all'esercito il Tauro pe conquistare la capitale degli Isauri, Isaura, cosa che ottenne facendo deviare il corso di un fiume e prendendo la città per sete.
A seguito di ciò, fu acclamato imperatore dalle truppe e ricevette il titolo di Isaurico. Tornato a Roma, nel 74 a.c. celebrò il trionfo. A queste campagne prese parte anche il giovane Gaio Giulio Cesare in qualità di tribuno militare.
Poco dopo nuove incursioni piratiche videro prendere d'assalto la città di Brindisi, le coste dell'Etruria, oltre al sequestro di alcune donne di nobili famiglie romane e addirittura un paio di pretori. Allora fu la volta di Marco Antonio Cretico, padre di Marco Antonio, che condusse una spedizione attorno a Creta, ma venne sconfitto e il suo soprannome gli fu dato in senso derisorio e sprezzante.
Sempre nello stesso anno una nuova spedizione venne affidata a Quinto Cecilio Metello Cretico, e portò alla conquista graduale dei principali centri della resistenza antiromana (Cydonia, Cnosso, Eleutera, Lappa, Lytto e Hierapytna), e assunse il cognome di "Cretico", ma stavolta con onore.
La pirateria comunque non era debellata tanto che il giovane Giulio Cesare, sempre nel 74 a.c., mentre si recava a Rodi, meta di pellegrinaggio per i giovani romani delle classi più elevate, desiderosi di apprendere la cultura e la filosofia greca, venne fatto prigioniero dai pirati che lo portarono sull'isola di Farmacussa, una delle Sporadi meridionali a sud di Mileto.
Quando gli chiesero di pagare venti talenti, Cesare rispose che ne avrebbe pagati cinquanta e mandò i suoi compagni a Mileto perché ottenessero la somma di denaro con cui pagare il riscatto, mentre lui sarebbe rimasto a Farmacussa con due schiavi ed il medico personale.
Dopo trentotto giorni di prigionia nell’isola di Pharmacusa e il pagamento di un riscatto, una volta liberato, Cesare con quattro galere da guerra e cinquecento soldati, attaccò il rifugio dei pirati, recuperò i cinquanta talenti del riscatto e fece centinaia di prigionieri.
Nel 70 a.c. il pretore Cecilio Metello sconfisse i pirati che infestavano i mari della Sicilia e della Campania, i quali si erano spinti a saccheggiare Gaeta, Ostia (69-68 a.c.) e rapito a Miseno la figlia di Marco Antonio Oratore.
Nel 67 a.c., due anni dopo il suo consolato, Pompeo fu nominato comandante di una flotta speciale per condurre una campagna contro i pirati che infestavano il Mar Mediterraneo per tre anni,con il controllo assoluto sul mare ed anche sulle coste per 400 stadi all'interno (70 km circa), ponendolo al di sopra di ogni capo militare in oriente. Poteva inoltre scegliere 15 legati dal Senato, da distribuire nelle principali zone di mare, prendere il denaro che desiderava dal Tesoro pubblico e dagli esattori delle tasse, 200 navi armate ed equipaggiate.
« In principio [i pirati] si aggiravano con un paio di piccole imbarcazioni, preoccupando gli abitanti della zona come ladri. Protraendosi la guerra, divennero sempre più numerosi e costruirono navi più grandi. Il fatto di avere grandi guadagni, non smisero quando Mitridate fu sconfitto e chiese la pace, e poi si ritirò. Avendo perso sia i mezzi di sussistenza sia il paese a causa della guerra, caduti in miseria estrema, utilizzarono il mare al posto della terra-ferma; in un primo momento utilizzando imbarcazioni come le pinnaces e le hemiolie, poi con biremi e triremi, che navigavano in vere e proprie squadre sotto dei capi-pirata, che erano come i generali di un esercito. Occuparono una città non-fortificata.
Abbatterono le mura delle altre, catturate dopo un regolare assedio, saccheggiandole. Poi portarono via i cittadini più ricchi presso le loro sedi nascoste, tenendoli in ostaggio e chiedendone il riscatto. Disprezzavano l'appellativo di ladri, definendo le loro prede quali premi di guerra. Avevano incatenato artigiani a svolgere per loro dei lavori, e portando loro continuamente materiali di legno, ottone e ferro.»
(Appiano di Alessandria, Guerre mitridatiche)
Pompeo distrusse il nucleo piratico occidentale, riducendolo completamente all'obbedienza, dal Mar Tirreno, a quello libico, di Sardegna, Corsica e Sicilia in soli quaranta giorni, poi passò per Roma e proseguì per Brindisi, procedendo quindi contro i nuclei dei pirati orientali, certamente più "importanti" per numero, navi ed armamenti.
« Alcune delle bande dei pirati che erano ancora libere, ma che chiesero perdono, furono trattate umanamente, tanto che, dopo il sequestro delle loro navi e la consegna delle persone, non gli fu fatto alcun male ulteriore; gli altri ebbero allora la speranza di essere perdonati, cercarono di scappare dagli altri comandanti e si recarono da Pompeo con le loro mogli e figli, arrendendosi a lui. Tutti questi furono risparmiati e, grazie al loro aiuto, furono rintracciati, sequestrato e puniti tutti coloro che erano ancora liberi nei loro nascondigli, poiché consapevoli di aver commesso crimini imperdonabili. »
(Plutarco, Vita di Pompeo,)
Le bande dei pirati più numerose e potenti, che si erano rifugiate in cittadelle fortificate presso i monti del Tauro, si arresero insieme alle città ribelli e le isole sotto il loro controllo. La guerra alla piraterie si era così conclusa in meno di tre mesi con la consegna di tutte le navi (71 catturate e 306 consegnate), tra le quali una novantina con la prua d'ottone. I pirati catturati erano più di 20.000, altri 10.000 erano stati uccisi.
Frattanto Metello si trovava a Creta per debellare anch'egli i pirati dell'isola, da prima che la guerra contro i pirati fosse affidata a Pompeo. Egli era parente di quel Metello che era stato collega, sempre di Pompeo, in Spagna. Del resto Creta era una specie di seconda base dei pirati per importanza, accanto alla Cilicia. Metello, pur avendone uccisi molti di loro, non era riuscito ancora a distruggerli completamente.
Plutarco racconta che quelli che ancora sono sopravvissuti ed erano sotto assedio da parte dei Romani, inviarono messaggi supplicando Pompeo di recarsi da loro. Il proconsole romano accettò l'invito e scrisse a Metello di sospendere l'assedio, inviando poi un suo legato, Lucio Ottavio, il quale entrò in tre roccaforti dei pirati e combatté al loro fianco, rendendo così Pompeo non solo odioso, ma in una situazione ridicola, per invidia e gelosia nei confronti di Metello. Metello, tuttavia, non cedette ed alla fine riuscì a catturare punire i pirati, rimandando indietro Ottavio, dopo averlo insultato e picchiato davanti all'esercito.
BANDITISMO BEL TARDO ROMANO IMPERO
LATRONES
Gli storici imperiali romani usano la parola latina latro (plurale latrones) o la parola greca leistes (plurale leistai) per più di 80 individui, non "banditi" o "ladri" ma "ribelli, rivoltosi, vendicatori" . La burocrazia imperiale collezionava ormai crimini da record. Banditi appaiono frequentemente nella narrativa della tarda antichità, come ad esempio romanzi greci e le Metamorfosi di Apuleio.
I Latrones in letteratura sono di due tipi di carattere: comuni e spregevoli, o nobile e giusto. Il bandito nobile, come Bulla Felix, di solito può essere catturato solo attraverso il tradimento; Dio scrive su diversi banditi idealisti, come Corocotta, attivi in Spagna romana sotto Augusto e un Claudio in Giudea pochi anni prima Bulla Felix. In Palestina romana, banditi ebrei divennero simboli della resistenza contadina.
LE BAGAUDAE
Nel tardo impero, Bagaudae erano i gruppi di insorti contadini che emerse durante la crisi del III secolo, e continuò fino alla fine dell'Impero d'Occidente, in particolare nelle aree meno romanizzate di Gallia e Hispania, dove sono stati "esposti alle depredazioni dello stato tardo-romana, ei grandi proprietari terrieri e chierici che erano i suoi servi".
Le invasioni e l'anarchia militare del III secolo produssero un degrado caotico, all'interno di un impero in declino in cui le Bagaudae raggiunsero alcuni successi temporanei e sparsi, sotto la guida dei membri del sottoproletariato, nonché di ex membri di classi dirigenti locali.
Quando le Bagaudae divennero un serio problema nel 284, il ripristino dell'ordine sociale avvenne in modo rapido e duro: i contadini insorti vennero schiacciati nel 286 da Cesare Massimiano e il suo subordinato Carausio, sotto l'egida di Diocleziano.
I loro leader sono citati come Amandus e Eliano, anche se EM Wightman, nella sua "Gallia Belgica" propone che i due appartenessero alla classe dei proprietari terrieri gallo-romana locale che poi divennero "tiranni" e molto probabilmente ribelli contro la tassa della macinazione e sulle loro terre, sui raccolti e sulla forza lavoro da parte degli agenti predatori dello stato.
Il panegirico di Massimiano, risalente al 289 e attribuito a Claudio Mamertino, riferisce che durante le rivolte Bagaudae del 284-285 nei distretti intorno Lugdunum (Lione), "semplici agricoltori cercarono un abito militare, il contadino imitò il fante, il pastore il cavaliere, il rustico mietitore della propria produzione il nemico barbaro". Infatti condivisero caratteristiche simili con la gente germanica degli Eruli. Mamertino li chiamò "mostri biformi", perchè mentre erano agricoltori imperiali e cittadini, erano anche saccheggiatori ladri e nemici per l'Impero.