LE EGADI
Le isole Egadi sono un arcipelago dell'Italia, in Sicilia, che consta di tre isole e due isolotti, più una serie di scogli e faraglioni, posto a circa 7 km dalla costa occidentale della Sicilia, fra Trapani e Marsala, in provincia di Trapani.
Erano note già in antichità col nome latino Aegates, dal greco Aigatai, ossia « isole delle capre»
La battaglia delle Isole Egadi fu la battaglia navale conclusiva della I Guerra Punica.
Dopo ventiquattro anni di lutti, battaglie, guerriglia, assedi e naufragi, la I Guerra Punica aveva reso insopportabili le condizioni psicologiche e finanziarie delle due città-stato.
Roma cominciava ad avere qualche problema nel chiedere rinforzi ai socii e aveva dovuto sostenere tante spese per le battaglie navali e i naufragi che l'erario non era in grado di allestire nessuna flotta degna di questo nome; per cinque anni dalla sconfitta di Trapani e dall'immane successivo "naufragio di Camarina" aveva dovuto, per necessità o per scelta, cessare di rinforzare la flotta limitandola alle sole navi onerarie e gestire la difesa marittima con qualche superstite nave da guerra.
POSIZIONE DELLE ISOLE EGADI |
Anche Cartagine si era dissanguata nella gestione della flotta, i commerci erano rallentati e non potevano generare la ricchezza necessaria a pagare le sempre più necessarie truppe mercenarie.
Roma, per la terza volta, decise di tornare sul mare e cercare di chiudere la partita. « L'impresa fu, essenzialmente, una lotta per la vita. Nell'erario, infatti, non c'erano più risorse per sostenere quanto si erano proposti. » (Polibio, Storie, I, 59, 6,)
Roma, contrariamente a Cartagine, ebbe la fortuna di avere una classe politica dilaniata all'interno ma compatta contro le minacce esterne. Una sottoscrizione di cittadini (forse forzosa) finanziò una nuova flotta di duecento quinquiremi complete di equipaggio. I finanziatori non fecero della beneficenza: alla fine della guerra sarebbero stati risarciti rivalendosi sul bottino. Se l'esito fosse stato negativo, però, i patrimoni personali sarebbero stati pesantemente intaccati.
L'ASSEDIO DI LILIBEO
Nel 251 a.c. il territorio in mano ai Cartaginesi era ridotto alla parte di costa siciliana che fronteggia l'Africa; da Trapani a Heraclea (presso Policoro, prov. di Matera) e alle isole Egusse, le Egadi. Roma aveva già occupato Agrigento, Selinunte e Palermo. La Sicilia non occupata da Romani e Cartaginesi era controllata da Siracusa che con Gerone II si era alleata a Roma.
A Roma ci si era resi conto che la guerra in Sicilia poteva durare a lungo, ma per poter combattere in Africa dovevano cacciare i Cartaginesi dalla Sicilia, rischiando altrimenti di non avere un porto da cui fare vela per Cartagine.
DINAMICA DELLA BATTAGLIA (Ingrandibile) |
« ...presso questa città da entrambe le parti e avendo bloccato le zone tra gli accampamenti con un fossato, una palizzata e un muro, cominciarono a spingere le opere per l'assedio contro la torre situata più vicino al mare, verso il mare libico. »
(Polibio, Storie, I, 42, BUR. Milano, 2001. trad.: M. Mari.)
I Romani abbatterono almeno sette torri nemiche mentre il comandante punico Imilcone incendiava le macchine da assedio e irrobustiva le fortificazioni, ma i cittadini e i diecimila mercenari non potevano resistere per molto ai romani.
I cartaginesi allora allestirono una flotta di cinquanta navi con diecimila soldati guidati da Annibale (247 - 183) che stabilì una base alle isole Egadi, e fece vela verso Lilibeo. I Romani lo inseguirono ma non riuscirono a fermarlo e Annibale fece sbarcare i suoi soldati raddoppiando così le truppe dei difensori. Imilcone, il giorno successivo, potè far uscire il suo esercito e lo lanciò contro gli assedianti mentre l'esercito di Annibale restava in città a sorvegliare le mura.
L'assedio a terra continuava; ma un giorno, però, si levò un forte vento
« ...con tale forza e impeto da scuotere violentemente anche le gallerie da assedio e sollevare con la forza le torri collocate davanti ad esse.»
(Polibio, Storie, I, 48, BUR. Milano, 2001. trad.: M. Mari.)
I mercenari proposero ad Imilcone di sfruttare il vento che soffiava verso i nemici per incendiare le macchine e così fecero.
« Alla fine avvenne che la distruzione fosse così completa che anche le basi delle torri e le aste degli arieti furono rese inutilizzabili dal fuoco.»
(Polibio, Storie, I, 48, BUR. Milano, 2001. trad.: M. Mari.)
I Romani rinunciarono allora alle torri d'assedio limitandosi a cingere la città con un fossato e un vallo e protessero l'accampamento con un muro. Gli assediati ripararono un muro crollato e coraggiosamente sostennero l'assedio.
L'assedio di Lilibeo continuò per altri otto anni, fino al 241 a.c., la data decisiva. Ventimila Cartaginesi e "ancor più numerosi" Romani si scontrarono così in una battaglia confusa con infiniti morti da entrambe le parti. Alla fine i Romani ricacciarono i nemici in città, e Annibale, compreso che non sarebbe riuscito a sconfiggere i romani, lasciò Lilibeo e si recò dal comandante in capo della spedizione, Aderbale che si era stabilito a Trapani a circa 20 km dalla città assediata.
Qui Annibale Rodio propose di forzare il blocco di Lilibeo per avere notizie precise sull'assedio e gli assediati. Anch'egli, con azione ardita e rapida, sfruttando venti e correnti favorevoli che d'altronde ben conoscevano, raggiunse Lilibeo.
L'assedio a terra continuava; ma un giorno, però, si levò un forte vento
« ...con tale forza e impeto da scuotere violentemente anche le gallerie da assedio e sollevare con la forza le torri collocate davanti ad esse.»
(Polibio, Storie, I, 48, BUR. Milano, 2001. trad.: M. Mari.)
I mercenari proposero ad Imilcone di sfruttare il vento che soffiava verso i nemici per incendiare le macchine e così fecero.
« Alla fine avvenne che la distruzione fosse così completa che anche le basi delle torri e le aste degli arieti furono rese inutilizzabili dal fuoco.»
(Polibio, Storie, I, 48, BUR. Milano, 2001. trad.: M. Mari.)
I Romani rinunciarono allora alle torri d'assedio limitandosi a cingere la città con un fossato e un vallo e protessero l'accampamento con un muro. Gli assediati ripararono un muro crollato e coraggiosamente sostennero l'assedio.
L'assedio di Lilibeo continuò per altri otto anni, fino al 241 a.c., la data decisiva. Ventimila Cartaginesi e "ancor più numerosi" Romani si scontrarono così in una battaglia confusa con infiniti morti da entrambe le parti. Alla fine i Romani ricacciarono i nemici in città, e Annibale, compreso che non sarebbe riuscito a sconfiggere i romani, lasciò Lilibeo e si recò dal comandante in capo della spedizione, Aderbale che si era stabilito a Trapani a circa 20 km dalla città assediata.
Qui Annibale Rodio propose di forzare il blocco di Lilibeo per avere notizie precise sull'assedio e gli assediati. Anch'egli, con azione ardita e rapida, sfruttando venti e correnti favorevoli che d'altronde ben conoscevano, raggiunse Lilibeo.
ANNIBALE RODIO
Nel 250 a.c., durante la I guerra punica, nell'assedio dei Romani a Lilibeo, il comandante romano Catulo aveva predisposto una flottiglia di dieci navi per impedire l'uscita delle navi cartaginesi, ma Annibale Rodio riuscì con audacia e velocità a sfuggire ai Romani fermandosi addirittura al largo con i remi alzati sfidandoli a inseguirlo.
Si suppone che l’intento principale fosse in realtà di approvvigionare gli abitanti di Lilibeo con beni di prima necessità. Altri Cartaginesi lo imitarono e i Romani, che non erano abituati alle umiliazioni, reagirono in ogni modo, addirittura cercando di chiudere il porto con un terrapieno.
Il lavoro era gravosissimo, peraltro a causa delle correnti fu un lavoro quasi inutile, ma in un punto i Romani, che non potevano ammettere di essere beffati, riuscirono a creare un bassofondo che, ignoto ai cartaginesi che conoscevano la costa, una notte fece insabbiare e quindi catturare una quadrireme punica, scoprendo così quanto fosse più leggera e veloce di quelle romane.
La notte successiva Rodio entrò nel porto e cercò di nuovo di uscirne, ma la quadrireme catturata, con l'ottimo equipaggio dei Romani, riuscì a uncinare l'imbarcazione di Rodio con un combattimento in cui il comandante cartaginese fu sconfitto e catturato.
Con i due quadriremi di ottima fattura affidate a equipaggi esperti i Romani riuscirono, quindi, a ostacolare la navigazione dei nemici nelle acque di Lilibeo, ma soprattutto i romani avevano in mano una nuova arma, che, come furono sempre usi fare, spedirono a Roma per proporla ai cantieri navali. Occorreva abilità, tempo e danaro, la prima c'era, la seconda e la terza no, mai romani non si persero d'animo. Trovarono il denaro e riprodussero con una abilità e una velocità sorprendenti.
Nel 250 a.c., durante la I guerra punica, nell'assedio dei Romani a Lilibeo, il comandante romano Catulo aveva predisposto una flottiglia di dieci navi per impedire l'uscita delle navi cartaginesi, ma Annibale Rodio riuscì con audacia e velocità a sfuggire ai Romani fermandosi addirittura al largo con i remi alzati sfidandoli a inseguirlo.
Si suppone che l’intento principale fosse in realtà di approvvigionare gli abitanti di Lilibeo con beni di prima necessità. Altri Cartaginesi lo imitarono e i Romani, che non erano abituati alle umiliazioni, reagirono in ogni modo, addirittura cercando di chiudere il porto con un terrapieno.
IL RITROVAMENTO DEL XII ROSTRO DELLA BATTAGLIA DELLE EGADI |
La notte successiva Rodio entrò nel porto e cercò di nuovo di uscirne, ma la quadrireme catturata, con l'ottimo equipaggio dei Romani, riuscì a uncinare l'imbarcazione di Rodio con un combattimento in cui il comandante cartaginese fu sconfitto e catturato.
Con i due quadriremi di ottima fattura affidate a equipaggi esperti i Romani riuscirono, quindi, a ostacolare la navigazione dei nemici nelle acque di Lilibeo, ma soprattutto i romani avevano in mano una nuova arma, che, come furono sempre usi fare, spedirono a Roma per proporla ai cantieri navali. Occorreva abilità, tempo e danaro, la prima c'era, la seconda e la terza no, mai romani non si persero d'animo. Trovarono il denaro e riprodussero con una abilità e una velocità sorprendenti.
GAIO LUTAZIO CATULO
A capo della flotta romana fu posto il giovane console Gaio Lutazio Catulo che, all'inizio dell'estate del 242 a.c., prese il mare in direzione della Sicilia.
MODELLO DI NAVE CARTAGINESE POI ROMANA |
Catulo, visto che tutta la flotta cartaginese era rientrata in patria, rinforzò le truppe che procedevano all'Assedio di Lilibeo, occupò il porto di Trapani e il territorio attorno alla città ponendola sotto assedio. Intanto manteneva gli equipaggi allenati con esercitazioni e manovre.
ANNONE
A Cartagine, quando si seppe della spedizione romana, caricarono le navi di grano e altri aiuti per sostenere le truppe di Amilcare Barca che si battevano alle falde del Monte Erice. Al comando della flotta fu posto Annone, che portò la flotta ad ancorarsi all'isola chiamata "Sacra" (una delle Isole Egadi, oggi Marèttimo) in attesa di scaricare i rifornimenti alle forze terrestri. Avrebbe così ottenuto, inoltre, di alleggerire e rendere più manovrabili le navi per le battaglie navali e di poter caricare Amilcare e i suoi migliori uomini come forze navali o truppe da sbarco contro gli assedianti.
Lutazio Catulo seppe dell'arrivo di Annone e preparò la contromossa. Imbarcò i migliori uomini a disposizione e portò la flotta fino all'isola di Egussa (Favignana). Era il 9 marzo del 241 a.c.
ROMA CREA LE NAVI LEGGERE |
LA BATTAGLIA
Il mattino del giorno successivo, il 10 marzo, Catulo vide che la flotta cartaginese avrebbe avuto un forte vento da ovest a favore e che questo avrebbe reso più difficile far salpare la flotta romana. Riflettè sul da farsi e si rese conto che, pur avendo il vento contrario, se avesse attaccato subito avrebbe avuto di fronte degli scafi ancora carichi e quindi più lenti e che questi avrebbero avuto a bordo solo forze di marina. Se avesse invece permesso lo scarico delle merci e l'imbarco degli uomini di Amilcare la situazione anche col vento in poppa non sarebbe stata altrettanto favorevole.
Catulo era uomo d'azione e immediatamente fece distendere la flotta romana su un'unica linea come per formare un muro contro le navi cartaginesi che veleggiavano verso la costa del Monte Erice. I Cartaginesi accettarono la battaglia; ammainarono le vele per avere maggiore mobilità e attaccarono i Romani.
« Poiché i preparativi per gli uni e per gli altri venivano regolati in modo opposto rispetto allo scontro navale svoltosi presso Drepana, anche l'esito della battaglia, com'è naturale, risultò opposto per gli uni e per gli altri.» (Polibio, Storie, I, 61, 2)
Infatti i Romani avevano cambiato stile di combattimento. Per prima cosa avevano cambiato la maniera di costruire le navi copiandole da quella presa ad Annibale Rodio durante l'Assedio di Lilibeo.
LUTAZIO CATULO
Gaio Lutazio Catulo (ovvero Gaius Lutatius Catulus 291 – 220 a.c.) console e comandate navale romano nella I guerra punica, era un homo novus che, nel 242 a.c., fu eletto console assieme a Aulo Postumio Albino e affrontò in battaglia i cartaginesi.
Infatti dall'estate del 242 a.c. Roma, pur dissanguata da oltre vent'anni di guerra e con l'Erario svuotato, mise in piedi una flotta di duecento quinquiremi, armata con il finanziamento di privati, cioè degli aristocratici, che sarebbero stati risarciti e premiati in caso di vittoria, ma avrebbero perso tutto (e le somme erano notevoli) in caso di sconfitta.
Roma era stata da sempre dilaniata dalle lotte tra i patrizi e i plebei e tra le gentes che cercavano di accaparrarsi le cariche pubbliche, ma di fronte al pericolo nemico erano tutti uniti. I patrizi pagarono e i plebei contribuirono con dei lavori che sarebbero stati retribuiti dopo la vittoria, consci che se non ci fosse stata la vittoria non ci sarebbe stata più nemmeno Roma. Inoltre i romani, al contrario dei Cartaginesi avevano sempre soldati di riserva che continuavano ad allenare senza interruzione.
Amilcare non fu mai sconfitto in Sicilia e i Romani gli concessero, eccezionalmente, l'onore delle armi. Egli fu geniale e innovativo: perfezionò la manovra avvolgente, ereditata dall'Oriente ellenistico e da Santippo (stratega spartano - 255 a.c.), ed ideò un metodo per frenare gli elefanti da guerra imbizzarriti, perchè non si volgessero contro le unità cartaginesi: dotò i cornac (i conducenti) di mazzuoli e grandi chiodi che, all'occorrenza, venivano conficcati nel cranio degli animali, uccidendoli.
Il console romano, saggiamente, rendendosi conto che anche Roma era sfinita da ventiquattro anni di guerra continua, « pose fine alla contesa, dopo che furono redatti i seguenti patti: "Ci sia amicizia fra Cartaginesi e Romani a queste condizioni, se anche il popolo dei Romani dà il suo consenso. I Cartaginesi si ritirino da tutta la Sicilia e non facciano la guerra a Gerone né impugnino le armi contro i Siracusani né contro gli alleati dei Siracusani. I Cartaginesi restituiscano ai Romani senza riscatto i prigionieri. I Cartaginesi versino ai Romani in vent'anni duemiladuecento talenti euboici d'argento". » (Polibio, Storie, I, 61, 4)
Catulo accettò la resa e ne dettò le condizioni con la clausola che queste dovevano essere ratificate dal popolo romano. Le richieste romane quindi furono:
- ritiro di Cartagine da tutta la Sicilia;
- nessun attacco a Siracusa e suoi alleati,
- restituzione senza riscatto dei prigionieri,
- 2.200 talenti euboici d'argento in vent'anni.
Il popolo romano, poi, per tramite di una commissione di dieci uomini, rese un po' più gravose le condizioni, ma la I Guerra Punica era terminata. Per celebrare la sua vittoria Gaio Lutazio Catulo eresse un tempio a Giuturna presso il Campo Marzio nell'area oggi nota come Largo di Torre Argentina
Cartagine dopo oltre vent'anni di scontri navali e terrestri, avendo subito alle isole Egadi una sconfitta pesante in termini di uomini e soprattutto di navi, 70 navi cartaginesi conquistate e 50 navi affondate, e altre 50 messe in fuga, con le finanze esauste, dovette chiedere la pace a Roma. La battaglia delle Isole Egadi, combattuta il 10 marzo del 241 a.c., segna la definitiva sconfitta di Cartagine e la fine della I Guerra Punica.
Roma era ancora Invicta.
Così, inaspettatamente per i cartaginesi, Lutazio Catulo era sbarcato inaspettato in Sicilia, aveva implementato le legioni che assediavano Lilibeo, occupò il Drepana (il porto di Trapani) e mise la città sotto assedio.
Ma c'era anche una questione di tempo, nessuno conosceva profondamente le capacità organizzative dei romani, nessuno poteva immaginare che in così poco tempo potessero riformare una flotta navale quasi totalmente distrutta. Gli ingegneri navali e i carpentieri velocissimi avevano riprodotto le imbarcazioni cartaginesi, migliorandole con i loro accorgimenti nella impermeabilizzazione e nella precisione dei cunei. Così ora le navi romane erano leggere al massimo, con gli equipaggi tenuti in addestramento continuo e supportati da « soldati di marina scelti, più duri ad arrendersi delle truppe di terra. » (Polibio, Storie, I, 61, 3)
Amilcare (290 – 229 a.c.) era un generale e politico cartaginese, soprannominato "Barak", che in punico significava fulmine o saetta, latinizzato poi in Barca. Affidatogli il comando delle forze cartaginesi in Sicilia nel 247 a.c., che si trovava praticamente nelle mani dei Romani.
Ma c'era anche una questione di tempo, nessuno conosceva profondamente le capacità organizzative dei romani, nessuno poteva immaginare che in così poco tempo potessero riformare una flotta navale quasi totalmente distrutta. Gli ingegneri navali e i carpentieri velocissimi avevano riprodotto le imbarcazioni cartaginesi, migliorandole con i loro accorgimenti nella impermeabilizzazione e nella precisione dei cunei. Così ora le navi romane erano leggere al massimo, con gli equipaggi tenuti in addestramento continuo e supportati da « soldati di marina scelti, più duri ad arrendersi delle truppe di terra. » (Polibio, Storie, I, 61, 3)
Così, il 10 marzo 241 a.c. le navi erano pronte.
I Cartaginesi invece avevano in quel momento le navi cariche di materiale e derrate per soccorrere gli abitanti di Lilibeo e quindi lente nella manovra, inoltre « gli equipaggi erano completamente privi di addestramento ed erano imbarcati per l'occasione, e i soldati di marina erano appena arruolati e sperimentavano per la prima volta ogni sofferenza e rischio. » (Polibio, Storie, I, 61, 4)
I cartaginesi avevano rifornito di beni la città di Lilibeo assediata, di modo che potessero resistere ad oltranza, mentre i romani erano accampati attorno ad essa e faticavano ad ottenere i rifornimenti. Le navi puniche continuavano a entrare e uscire come volevano, troppo veloci perchè le navi romane tradizionali potessero avvicinarle e combattere. Ma la situazione era cambiata.
A Cartagine si riteneva che i Romani, a seguito delle sconfitte e dei naufragi a cui avevano assistito, fossero poco capaci di governare le navi. Non conoscevano i romani, la loro forza di unione, la loro organizzazione e la loro grande capacità di apprendere continuamente armi, strategie e competenze nuove. Ora a Roma si pensava solo a lavare l'onta subita e a sconfiggere il potente nemico.
Taglialegna, trasportatori, carpentieri, falegnami, funari (costruttori di funi), tessitori, marinai, tutti si erano posti senza sosta a costruire la nuova flotta romana. Si lavorava di giorno e di notte, i carri si susseguivano senza sosta per il trasporto degli alberi dalle foreste alle falegnamerie, dalle falegnamerie all'arsenale, i turni si susseguivano, i vecchi più competenti guidavano le nuove leve di artigiani e continuamente si controllavano i lavori eseguiti.
Infine Lutazio Catulo potè guidare la flotta romana contro quella cartaginese comandata da Annone nella battaglia delle Isole Egadi, Roma doveva vendicare l'onta subita, e lo scontro decisivo della I guerra punica.
Inferiori nella manovra e nel combattimento ravvicinato, stupefatti e increduli sulla grande flotta evocata dal nulla, i Cartaginesi vennero investiti da un'onda d'urto che li scompaginò e li spezzò: si videro affondare ben cinquanta navi e altre settanta furono catturate complete di equipaggio. Solo un fortunato volgersi del vento permise alle superstiti, alzate nuovamente le vele, di sganciarsi e ritornare all'Isola Sacra.
I cartaginesi avevano rifornito di beni la città di Lilibeo assediata, di modo che potessero resistere ad oltranza, mentre i romani erano accampati attorno ad essa e faticavano ad ottenere i rifornimenti. Le navi puniche continuavano a entrare e uscire come volevano, troppo veloci perchè le navi romane tradizionali potessero avvicinarle e combattere. Ma la situazione era cambiata.
A Cartagine si riteneva che i Romani, a seguito delle sconfitte e dei naufragi a cui avevano assistito, fossero poco capaci di governare le navi. Non conoscevano i romani, la loro forza di unione, la loro organizzazione e la loro grande capacità di apprendere continuamente armi, strategie e competenze nuove. Ora a Roma si pensava solo a lavare l'onta subita e a sconfiggere il potente nemico.
Taglialegna, trasportatori, carpentieri, falegnami, funari (costruttori di funi), tessitori, marinai, tutti si erano posti senza sosta a costruire la nuova flotta romana. Si lavorava di giorno e di notte, i carri si susseguivano senza sosta per il trasporto degli alberi dalle foreste alle falegnamerie, dalle falegnamerie all'arsenale, i turni si susseguivano, i vecchi più competenti guidavano le nuove leve di artigiani e continuamente si controllavano i lavori eseguiti.
Infine Lutazio Catulo potè guidare la flotta romana contro quella cartaginese comandata da Annone nella battaglia delle Isole Egadi, Roma doveva vendicare l'onta subita, e lo scontro decisivo della I guerra punica.
Inferiori nella manovra e nel combattimento ravvicinato, stupefatti e increduli sulla grande flotta evocata dal nulla, i Cartaginesi vennero investiti da un'onda d'urto che li scompaginò e li spezzò: si videro affondare ben cinquanta navi e altre settanta furono catturate complete di equipaggio. Solo un fortunato volgersi del vento permise alle superstiti, alzate nuovamente le vele, di sganciarsi e ritornare all'Isola Sacra.
Nei giorni seguenti la battaglia, Catulo non fermò le operazioni militari; gestito il bottino di settanta navi e diecimila prigionieri che vennero inviati a Roma, riprese l'assedio di Lilibeo.
AMILCARE BARCA
Amilcare seppe dimostrare le sue grandi doti di generale, sbarcò immediatamente a nord-ovest dell'isola con un corpo di mercenari, asserragliandosi prima sul monte Pellegrino, (promontorio montuoso che chiude a Nord il Golfo di Palermo e a Sud il Golfo di Mondello) e poi sul Monte Erice (monte in prov. di Trapani), dove non solo mantenne la posizione contro i nemici, ma diresse con successo la difesa delle città di Lilibeo e di Drepano (Trapani), e a fare scorrerie sulle coste dell'Italia meridionale.
Amilcare « Avendo Lutazio accolto di buon animo le richieste, poiché era conscio che la condizione dei suoi fosse ormai logorata ed estenuata dalla guerra, pose fine alla contesa.... »
(Polibio, Storie, I, 62, 7, Milano, BUR, 2001. trad.: M. Mari.)
(Polibio, Storie, I, 62, 7, Milano, BUR, 2001. trad.: M. Mari.)
Tuttavia non accettò mai in cuor suo la pace con Roma, tanto che, nella ratifica del trattato di pace, uscì dalla sala del Consiglio cartaginese.
LA RESA
Il console romano, saggiamente, rendendosi conto che anche Roma era sfinita da ventiquattro anni di guerra continua, « pose fine alla contesa, dopo che furono redatti i seguenti patti: "Ci sia amicizia fra Cartaginesi e Romani a queste condizioni, se anche il popolo dei Romani dà il suo consenso. I Cartaginesi si ritirino da tutta la Sicilia e non facciano la guerra a Gerone né impugnino le armi contro i Siracusani né contro gli alleati dei Siracusani. I Cartaginesi restituiscano ai Romani senza riscatto i prigionieri. I Cartaginesi versino ai Romani in vent'anni duemiladuecento talenti euboici d'argento". » (Polibio, Storie, I, 61, 4)
GIUTURNA, NINFA DELLE FONTI |
- ritiro di Cartagine da tutta la Sicilia;
- nessun attacco a Siracusa e suoi alleati,
- restituzione senza riscatto dei prigionieri,
- 2.200 talenti euboici d'argento in vent'anni.
Cartagine dopo oltre vent'anni di scontri navali e terrestri, avendo subito alle isole Egadi una sconfitta pesante in termini di uomini e soprattutto di navi, 70 navi cartaginesi conquistate e 50 navi affondate, e altre 50 messe in fuga, con le finanze esauste, dovette chiedere la pace a Roma. La battaglia delle Isole Egadi, combattuta il 10 marzo del 241 a.c., segna la definitiva sconfitta di Cartagine e la fine della I Guerra Punica.
Roma era ancora Invicta.