Il Campo Esquilino era una zona locata sul Colle Esquilino, dove sorgevano belle e stravaganti domus insiema a terme e giardini, ma fu anche luogo di esecuzioni e le sepolture, anche se alla fine venne trasformato in un parco da Augusto.
Trattavasi di una zona di terreno pianeggiante fuori le Mura Serviane e il doppio bastione dell'Agger, tra la Porta Querquetulana e la porta Collina.
Quest'area è riferita in particolare alla parte del colle Esquilino che si trovava al di fuori del porta Esquilina durante la fine della Repubblica e l'ascesa dell'Impero.
Anche se la sua posizione esatta non è nota, si sa però che il Campus Esquilinus era nei pressi di via Labicana, e comprendeva oggi Piazza Vittorio Emanuele e la zona a nord di esso.
La parte del colle Esquilino, che conteneva il Campus Esquilinus era molto decorativa.
La collina si era coperto di molti giardini eleganti, tra cui gli Horti Pallantiani, gli Horti Maecenatis e gli Horti Lamiani.
La parte del colle Esquilino, che conteneva il Campus Esquilinus era molto decorativa.
La collina si era coperto di molti giardini eleganti, tra cui gli Horti Pallantiani, gli Horti Maecenatis e gli Horti Lamiani.
L'imperatore Nerone, che non vi aveva neppure soggiornato, colse l'occasione per costruire la Domus Aurea, che completò nel 68 dc e che si estendeva dal Palatino al colle Esquilino.
A causa della popolarità del colle Esquilino, il Flavi ha deciso di costruire le Terme di Tito a destra per la Domus Aurea.
Più tardi, 104-109 dc, le Terme ancora più elaborate di Traiano furono costruite dall'architetto Apollodoro in cima alla collina.
Questi bagni pubblici non sono stati utilizzati solo come luogo per fare il bagno, ma anche come luogo di aggregazione sociale.
I bagni contenevano gran parte della Domus Aurea, e insieme sono stati i più grandi strutture romane costruite all'epoca.
L'uso principale del Campus Esquilinus era stato quello di luogo di sepoltura. Editto di un pretore vietava la cremazione dei corpi e lo scarico di letame o di carcasse all'interno dell'area del Campus Esquilinus.
Le carcasse di cui l'editto erano molto probabilmente da animali utilizzati per i carri, giochi vari romani, o bestie semplicemente selvatici. A causa di queste regole, il Campus Esquilinus divenne un luogo per le sepolture umane.
Il Campus Esquilinus conteneva parte della necropoli di anticipo Roma, che era principalmente un luogo di sepoltura per i poveri, ma è stato un luogo di sepoltura anche per i romani più ricchi pure.
Vi si compivano pure le esecuzioni, finchè l'imperatore Augusto prese il controllo del Campus e ne fece un parco.
Facevano parte del Campus Esquilinus:
L'ARA DI MERCURIO
La sua locazione corrisponde ora alle cantine del palazzo al civico 8 di via di S. Martino ai Monti, un'ara di marmo su un alto podio sistemato su una piattaforma di blocchi di tufo.
Dall'iscrizione sappiamo che l'ara, (in origine sosteneva una statua) era stata eretta nel 10 a.c. in corrispondenza di un incrocio stradale, tradizione diffusa a Roma fin dall'epoca regia e collegata con una festività annuale di origine agricola, durante la quale si facevano sacrifici in onore delle divinità (Lari) che sorvegliavano i confini dei poderi.
In città tali feste si svolgevano principalmente davanti alle are poste agli incroci delle strade che dividevano i quartieri (vici).
La festività, soppressa più volte, venne ripresa da Augusto, al quale si deve la costruzione dì questo altare.
L'ara è dedicata a Mercurio, divinità che presiedeva alle attività commerciali in generale.
L'ARCO DI GALLIENO
Posto tra la chiesa di S. Vito e un palazzo moderno posto sul lato opposto della strada, costruito presso l'antica Porta Esquilina del recinto delle mura repubblicane del IV secolo ac., dalla quale usciva il clivo Suburano, strada che traversava la parte orientale della città.
Costruito all'epoca di Augusto, l'arco venne costruito in sostituzione dell'antica porta poichè le mura repubblicane non servivano più. In origine era a tre fornici divisi da paraste, che terminavano con capitelli corinzi e poggiavano su basi sagomate.
Il fornice centrale era più alto e più ampio dei laterali ed era sormontato da un attico che terminava con un cornicione. Dall'iscrizione ancora leggibile sull'epistilio, si è a conoscenza che nel III secolo l'arco fu restaurato e dedicato all'imperatore Gallieno (253-268 d.c).
Costruito all'epoca di Augusto, l'arco venne costruito in sostituzione dell'antica porta poichè le mura repubblicane non servivano più. In origine era a tre fornici divisi da paraste, che terminavano con capitelli corinzi e poggiavano su basi sagomate.
Il fornice centrale era più alto e più ampio dei laterali ed era sormontato da un attico che terminava con un cornicione. Dall'iscrizione ancora leggibile sull'epistilio, si è a conoscenza che nel III secolo l'arco fu restaurato e dedicato all'imperatore Gallieno (253-268 d.c).
GLI HORTI DI MECENATE
Tutta quest'area era ricca di verde poichè dall'Esquilino passavano la maggior parte degli acquedotti che entravano a Roma, mettendo così a disposizione una notevole quantità d'acqua per il mantenimento dei giardini.
Negli horti, lasciati alla sua morte da Mecenate in eredità ad Augusto, si andò a ritirare Tiberio al ritorno dal suo esilio di Rodi.
Grazie a Filone di Alessandria, venuto a Roma nel 38 d.c. alla guida di un'ambasceria ebraica presso Caligola, ci ha lasciato una precisa descrizione dei giardini imperiali sull'Esquilino: gli horti di Mecenate e quelli Lamiani erano limitrofi, vicini alla città, ed erano ambedue di proprietà dell'imperatore, provvisti di sale a due piani, finestre schermate con lastre di marmi preziosi e di ogni altro lusso.
Gli horti di Mecenate passarono poi in proprietà del retore Frontone alla metà del II secolo.
AUDITORIUM DI MECENATE
L'Auditorio di Mecenate è quanto resta oggi di un grande complesso residenziale, demolito poco dopo la scoperta del secolo XIX, datato al seconda metà del 1 secolo a.c.
Il ritrovamento di un tratto di conduttura con impresso il nome di M. Cornelio Frontone, che dalle fonti si è a conoscenza che doveva abitare vicino Mecenate e la tecnica edilizia utilizzata per la costruzione dell'edificio (opera reticolata di tufo di epoca tardo-repubblicana) vanno a confermare questa ipotesi.
L'aula absidata (metri 10,5 per 24,5 circa), venne incassata per alcuni metri entro la pendice collinare, a cavallo dell'antico percorso delle mura urbane, in blocchi squadrati di tufo, ancora oggi visibili all'interno dell'ambiente.
Il dislivello tra l'esterno e il pavimento dell'aula sono raccordati mediante la rampa inclinata attualmente percorribile.
L'interno visibile oggi è il risultato di diverse fasi edilizie e decorative che hanno in parte cancellato l'originaria forma dell'ambiente.
L'abside è in parte occupata da una gradinata rivestita in marmo, che sembra connessa a un sottostante sistema di canalizzazioni mediante una serie di fori ancora oggi visibili.
La destinazione dell'ambiente sembra fosse per banchetti in occasione dei quali c'erano spettacoli; era dunque un triclinio legato alla ricca residenza.
Le pareti appaiono rivestite in marmo fino ad una certa altezza, oltre la quale il rivestimento è di intonaco dipinto di rosso e sono presenti delle nicchie.
TROFEI DI MARIO
Situata all'estremità settentrionale di piazza Vittorio, in laterizio, è la parte rimanente di una grande fontana, fatta costruire da Alessandro Severo (222-235 d.c.) e alimentata da un ramo dell'acqua Claudia.
Dalle parti superstiti e dalle rappresentazioni in alcune monete del 226 d.c., è stato possibile ricostruire la struttura, che si elevava per tre piani e terminava con un attico dove erano una quadriga e alcune statue mentre gli ambienti e le canalizzazioni per la raccolta e la distribuzione dell'acqua erano posti nella parte centrale.
Nella parte bassa della fontana c'erano una serie di nicchie rettangolari e semicircolari contenenti varie statue e una grande vasca, nella quale veniva raccolta l'acqua proveniente da alcune aperture poste nella parte superiore della fontana, mentre all'interno di due archi, vi erano i cosiddetti «Trofei di Mario», monumentali trofei marmorei, poi collocati nel 1590 sulla balaustra del Campidoglio.
I «Trofei di Mario», che durante il Medioevo erano creduti dell'epoca di Mario, sono in realtà di età domizianea e si riferiscono alle vittorie di Domiziano avvenute nell'89 d.c. sui Catti e sui Daci.
TEMPIO DI MINERVA MEDICA
Il ritrovamento di un tratto di conduttura con impresso il nome di M. Cornelio Frontone, che dalle fonti si è a conoscenza che doveva abitare vicino Mecenate e la tecnica edilizia utilizzata per la costruzione dell'edificio (opera reticolata di tufo di epoca tardo-repubblicana) vanno a confermare questa ipotesi.
L'aula absidata (metri 10,5 per 24,5 circa), venne incassata per alcuni metri entro la pendice collinare, a cavallo dell'antico percorso delle mura urbane, in blocchi squadrati di tufo, ancora oggi visibili all'interno dell'ambiente.
Il dislivello tra l'esterno e il pavimento dell'aula sono raccordati mediante la rampa inclinata attualmente percorribile.
L'interno visibile oggi è il risultato di diverse fasi edilizie e decorative che hanno in parte cancellato l'originaria forma dell'ambiente.
L'abside è in parte occupata da una gradinata rivestita in marmo, che sembra connessa a un sottostante sistema di canalizzazioni mediante una serie di fori ancora oggi visibili.
La destinazione dell'ambiente sembra fosse per banchetti in occasione dei quali c'erano spettacoli; era dunque un triclinio legato alla ricca residenza.
Le pareti appaiono rivestite in marmo fino ad una certa altezza, oltre la quale il rivestimento è di intonaco dipinto di rosso e sono presenti delle nicchie.
TROFEI DI MARIO
Situata all'estremità settentrionale di piazza Vittorio, in laterizio, è la parte rimanente di una grande fontana, fatta costruire da Alessandro Severo (222-235 d.c.) e alimentata da un ramo dell'acqua Claudia.
Dalle parti superstiti e dalle rappresentazioni in alcune monete del 226 d.c., è stato possibile ricostruire la struttura, che si elevava per tre piani e terminava con un attico dove erano una quadriga e alcune statue mentre gli ambienti e le canalizzazioni per la raccolta e la distribuzione dell'acqua erano posti nella parte centrale.
Nella parte bassa della fontana c'erano una serie di nicchie rettangolari e semicircolari contenenti varie statue e una grande vasca, nella quale veniva raccolta l'acqua proveniente da alcune aperture poste nella parte superiore della fontana, mentre all'interno di due archi, vi erano i cosiddetti «Trofei di Mario», monumentali trofei marmorei, poi collocati nel 1590 sulla balaustra del Campidoglio.
I «Trofei di Mario», che durante il Medioevo erano creduti dell'epoca di Mario, sono in realtà di età domizianea e si riferiscono alle vittorie di Domiziano avvenute nell'89 d.c. sui Catti e sui Daci.
TEMPIO DI MINERVA MEDICA
Situati in via Giolitti presso i binari della ferrovia, sono i resti di un complesso più ampio, composto da un'aula coperta a cupola, a pianta dodecagonale, con ampie nicchie semicircolari sui lati.
Sulle pareti sono presenti dieci grandi finestre, che già in antico hanno costretto a realizzare alcuni pilastri esterni per sostenere la struttura.
Sul lato settentrionale dell'aula era situato l'ingresso, preceduto da un atrio, mentre altri ambienti di forma semicircolare (di cui rimane ben poco) erano addossati all'esterno dell'aula, contenendo le spinte delle alte pareti.
Il monumentale edificio, databile al IV secolo d.c., viene generalmente identificato con un ninfeo degli Horti Liciniani, la grande villa che si estendeva in questa parte dell'Esquilino e che prendeva nome da Licinio Gallieno (260-268 d.c.).
Si trattava di una proprietà di grandi dimensioni, in grado di accogliere l'intera corte quando l'imperatore si trasferiva nella villa.
Negli scavi effettuati, sono state scoperte numerose sculture, tra cui due statue di magistrati conservate nei Musei Capitolini, e una di Minerva, che ha dato poi il nome all'edificio.
IPOGEO DEGLI AURELI
Sulle pareti sono presenti dieci grandi finestre, che già in antico hanno costretto a realizzare alcuni pilastri esterni per sostenere la struttura.
Sul lato settentrionale dell'aula era situato l'ingresso, preceduto da un atrio, mentre altri ambienti di forma semicircolare (di cui rimane ben poco) erano addossati all'esterno dell'aula, contenendo le spinte delle alte pareti.
Il monumentale edificio, databile al IV secolo d.c., viene generalmente identificato con un ninfeo degli Horti Liciniani, la grande villa che si estendeva in questa parte dell'Esquilino e che prendeva nome da Licinio Gallieno (260-268 d.c.).
Si trattava di una proprietà di grandi dimensioni, in grado di accogliere l'intera corte quando l'imperatore si trasferiva nella villa.
Negli scavi effettuati, sono state scoperte numerose sculture, tra cui due statue di magistrati conservate nei Musei Capitolini, e una di Minerva, che ha dato poi il nome all'edificio.
IPOGEO DEGLI AURELI
Situato tra viale Manzoni e via Luzzatti, è un complesso funerario del III secolo d.c.; un ipogeo, rinvenuto nel 1919, composto da un ambiente superiore e da due stanze sotterranee. Attraverso la porta antica si entra in un vestibolo e per mezzo di una scala si accede all'ipogeo.
Il settore superiore è costituito da una sala con fosse per inumazione nel pavimento. Le pareti sono affrescate con scene tratte dal Vecchio Testamento e con figure di filosofi.
La parte sotterranea è formata da due camere scavate nel tufo; nella prima, situata a sinistra della scala d'accesso, è visibile un pavimento a mosaico con i nomi delle persone che furono sepolti nell'ipogeo.
Le pareti sono affrescate con le figure dei dodici apostoli, con scene di banchetto simbolico e di trionfo, con rappresentazioni di città, ecc.
Il soffitto, diviso in riquadri, è decorato con figure di uomini togati e animali mitologici, mentre nel pannello centrale è raffigurato il Buon Pastore.
Nella seconda stanza la decorazione delle pareti è costituita da riquadri contenenti figure isolate che recano tra le mani un'asta e un rotolo.
Nel tondo della volta si può notare la figura di un vecchio in atto di compiere esorcismi nei confronti di una donna, pratica decisamente cristiana.
SEPOLCRETO DI VIA STATILIA
L'attuale via Statilia, in prossimità dell'incrocio con la via di S. Croce, corrispondeva all'antica via Caelimontana.
Su questa strada erano situati numerosi sepolcreti, tra cui un complesso di quattro sepolcri allineati scoperto all'inizio del secolo, sul lato destro della strada in direzione di Porta Maggiore, all'interno di un'area recintata.
Il primo era del liberto Publio Quinzio (faceva il libraio), della moglie e della concubina, come recita l'iscrizione relativa, del 100 a.c.
Il monumento è costituito da un prospetto in blocchi tufacei, nel quale si apre una piccola porta inquadrata da due scudi scolpiti, di forma rotonda, che immette in un piccolo vano in parte scavato nella roccia.
Il secondo sepolcro, riferibile a sei diversi liberti della famiglia Clodia, Marcia e Annia, e databile all'inizio del 1 secolo a.c., è costituito da due celle, alle quali si accede mediante porticine che si aprono esternamente su un prospetto marcato da un basamento in tufo con i ritratti dei defunti scolpiti.
Il terzo sepolcro notevolmente rovinato è del tipo a colombario. Il quarto monumento funerario è il più recente di tutti (metà del 1 secolo a.c.) e presenta una forma ad ara.
Era di proprietà di due Auli Caesonii e di una certa Telgennia e presenta anche un ampliamento molto probabilmente successivo.
Il settore superiore è costituito da una sala con fosse per inumazione nel pavimento. Le pareti sono affrescate con scene tratte dal Vecchio Testamento e con figure di filosofi.
La parte sotterranea è formata da due camere scavate nel tufo; nella prima, situata a sinistra della scala d'accesso, è visibile un pavimento a mosaico con i nomi delle persone che furono sepolti nell'ipogeo.
Le pareti sono affrescate con le figure dei dodici apostoli, con scene di banchetto simbolico e di trionfo, con rappresentazioni di città, ecc.
Il soffitto, diviso in riquadri, è decorato con figure di uomini togati e animali mitologici, mentre nel pannello centrale è raffigurato il Buon Pastore.
Nella seconda stanza la decorazione delle pareti è costituita da riquadri contenenti figure isolate che recano tra le mani un'asta e un rotolo.
Nel tondo della volta si può notare la figura di un vecchio in atto di compiere esorcismi nei confronti di una donna, pratica decisamente cristiana.
SEPOLCRETO DI VIA STATILIA
L'attuale via Statilia, in prossimità dell'incrocio con la via di S. Croce, corrispondeva all'antica via Caelimontana.
Su questa strada erano situati numerosi sepolcreti, tra cui un complesso di quattro sepolcri allineati scoperto all'inizio del secolo, sul lato destro della strada in direzione di Porta Maggiore, all'interno di un'area recintata.
Il primo era del liberto Publio Quinzio (faceva il libraio), della moglie e della concubina, come recita l'iscrizione relativa, del 100 a.c.
Il monumento è costituito da un prospetto in blocchi tufacei, nel quale si apre una piccola porta inquadrata da due scudi scolpiti, di forma rotonda, che immette in un piccolo vano in parte scavato nella roccia.
Il secondo sepolcro, riferibile a sei diversi liberti della famiglia Clodia, Marcia e Annia, e databile all'inizio del 1 secolo a.c., è costituito da due celle, alle quali si accede mediante porticine che si aprono esternamente su un prospetto marcato da un basamento in tufo con i ritratti dei defunti scolpiti.
Il terzo sepolcro notevolmente rovinato è del tipo a colombario. Il quarto monumento funerario è il più recente di tutti (metà del 1 secolo a.c.) e presenta una forma ad ara.
Era di proprietà di due Auli Caesonii e di una certa Telgennia e presenta anche un ampliamento molto probabilmente successivo.