I FIUMI COME STRADE
Uno dei criteri principali sulla scelta del sito dove fondare una città era la presenza di un fiume. Essendo le vie di terra poco praticabili a causa dei folti boschi, se non addirittura foreste, con la necessità di trascinare dietro alla gente, sia militare che di commercio, i vettovagliamenti, nonchè i carri, e gli animali da traino con relativo vettovagliamento, sia le merci ecc. ecc., risultava molto più pratico spostarsi via fiume.
Non solo risultava più veloce ed economico ma anche meno rischioso, essendo boschi e foreste piene di animali predatori che potevano assalire le carovane, per non parlare della laboriosa manutenzione dei carri. Inoltre le strade nella boscaglia non si mantenevano tali a lungo, perchè finchè i romani non costruirono strade di basolato, la foresta si riguadagnava in breve il sentiero liberato dalla vegetazione e dalle rocce.
Se una città sorgeva su un fiume non solo godeva di acqua in quantità per le necessità dei cittadini, onde bere, lavarsi e scaricare i rifiuti delle fogne, ma aveva una via di comunicazione con il mare e i vari porti con cui commerciare. Tutte le grandi città, antiche moderne, sono per questo sorte sui fiumi.
La fluitazione, cioè il trasporto lungo i fiumi di legname o di merci trasportate su zattere è più antica del trasporto navale via mare, perché riguarda acque interne e quindi più sicure.. Del resto lo stesso trasporto marittimo, in epoche passate, avveniva solo costa a costa, perchè più sicuro per l'orientamento e per le tempeste.
A 900 mt più a valle rispetto alla frazione di Stifone, in località Le Mole (Umbria), si trova il sito archeologico del cantiere navale dove un tempo i romani costruivano le loro navi che venivano condotte, attraverso il fiume Nera, fino Roma e gli altri porti.
Qui a fianco una ricostruzione esemplificata di un cantiere navale romano, che spiega così l'immagine del cantiere navale di Stifone.
CANTIERE NAVALE ROMANO DI STIFONE |
TECNICHE COSTRUTTIVE
Le tecniche costruttive ci vengono narrate da Vitruvio; le infrastrutture portuali. potevano essere costruite in tre “modi” fondamentali. Egli descrive la tecnica dell’impasto delle malte idrauliche, ottenute mediante l’impiego della calce mescolata con la pozzolana invece che con la sabbia. La qualità dell’impasto era dovuta all’utilizzo della pozzolana, pulvis puteolanus, d’origine vulcanica tipico sia dei Campi flegrei che dell'area tra Cuma e Sorrento.
Ma come costruivano i Romani in ambiente sommerso?
Abbiamo una fonte diretta fornita da Vitruvio che in un passo della sua opera De architectura (V, XII) ci illustra le modalità costruttive di opere portuali. Per completezza dobbiamo anche constare le descrizioni fornite da altri due autori, anche se più generiche, che sono quella di Flavio Giuseppe per la costruzione di Sebastos, il porto di Caesarea Maritima, e quella di Procopio di Cesarea.
Vitruvio descrive le tre metodologie fondamentali per costruire in acqua. Logicamente le maestranze si scontravano con problemi di natura diverse a seconda dei luoghi in cui si trovavano ad operare; si adattavano un po’ al contesto, logicamente.
1) Cassaforma inondata
"Quindi, in quel punto stabilito, si debbono affondare e bloccare con sicurezza delle casseforme tenute insieme da montanti di quercia e tiranti trasversali; poi, nel vano interno, [lavorando] dalle traversine si deve livellare e pulire il fondale e gettare la malta, preparata come è spiegato sopra, mischiata al pezzame di pietra, fino a che lo spazio tra le paratie non sia riempito di calcestruzzo."
Un primo tipo di cassaforma per malta idraulica veniva costruita direttamente in acqua: il iniziava col conficcare sul fondale dei pali verticali (destinae) che dovevano sostenere e ancorare la struttura al fondo fluviale. A questi pali verticali venivano collegate travi trasversali (catenae), per contenere le spinte esercitate dall’interno all’esterno dalla cassaforma mentre il cemento era ancora fresco..
Quindi, lungo il perimetro esterno di questi travi verticali e orizzontali, venivano serrati i tavolati che costituivano le pareti della cassaforma (arca), collegati alle catenae. All'esterno dei tavolati venivano posti altri travi, questa volta di quercia e obliqui, conficcati nel fondale (stipites), che fungevano da speroni per ulteriore contenimento delle spinte interno-esterno..
A questo punto, il cemento misto a pietre, calce e pozzolana, veniva gettato in acqua.dentro la cassaforma, come confermano le impronte delle assi di legno nei resti archeologici. Si procedeva poi per casseforme accostate.
2) Cassaforma stagnata
"In quei luoghi invece, in cui non si trova la pozzolana, si dovrà seguire questo procedimento: nel punto che si sarà delimitato si impiantino delle paratie a doppia parete, tenute insieme da tavole riportate e traverse, e tra i montanti si incalchi dell'argilla in panieri fatti d'alga di palude. Quando l'argilla sarà compressa al massimo, allora con pompe a vite, ruote e tamburi acquari installati si svuoti e asciughi lo spazio circoscritto con questo recinto stagno, e tra le paratie si scavino le fondazioni".
In assenza di pozzolana, Vitruvio suggerisce la cassa-forma stagnata, realizzata da pareti a doppia paratia con l’intercapedine riempita di argilla mista ad alghe di palude. Prima di introdurre il composto, la cassaforma doveva essere svuotata dall’acqua mediante una coclea (= vite di Archimede) e ruote acquarie, poi si lasciava asciugare per quanto possibile. Si procedeva poi allo scavo delle fondazioni e si riempiva il tutto con un conglomerato di sabbia e calce. Questo metodo sostituiva le lunghe murature dei moli, con la costruzione di pilae.
3) Altri metodi
Accanto all'uso dell’opus caementicium vi fu però anche quello classico greco dei blocchi di pietra rafforzati però con la malta. Oppure venivano costruite delle casseforme in blocchi di pietra riempite con gettate cementizie. In altri siti gli impianti portuali venivano scavati direttamente in banchi rocciosi: come ad esempio nel porto di Ventotene.
Alcune strutture invece vennero costruite totalmente in legno, in ambiente fluviale e lacustre; con casseforme lignee riempite di terra e detriti, come ad esempio nel porto di Marsiglia in Francia.
Le opere in cementizio furono comunque le più utilizzate grazie alla facilità di assemblaggio delle casseforme lignee che, appoggiandosi a strutture già solide, si potevano adoperare casseforme con solo tre o due lati, a volte anche con una sola parete; praticamente una costruzione di moli a moduli.
I MOLI
Il Molo è una costruzione situata su un oceano, un mare, un lago, o un fiume, che si protende dalla terraferma verso lo specchio acqueo, la cui principale funzione è quella di fungere da ormeggio alle imbarcazioni per consentire la discesa sulla terraferma dei passeggeri e lo scarico delle merci al riparo del moto ondoso.
I moli e le banchine sui fiumi servivano per attraccare le navi e consentire di salire e scendere o caricare e scaricare.
LE BANCHINE
La Banchina portuale è quella parte del porto o della rada prospiciente all'acqua che permette di accostare in sicurezza alla terraferma navi o natanti e fissarli per l'imbarco e lo sbarco delle persone o delle merci al riparo del moto ondoso e delle correnti. Può essere realizzata in cemento armato o in legno. Per consentire l'ormeggio, la banchina è attrezzata con anelli di ormeggio.
IL FIUME TEVERE
Basilare per la fondazione e l'edificazione di Roma fu il Tevere, navigabile fin dal IV secolo a.c. con navi mercantili e barche di varie dimensioni. Sembra che dal quartiere della Magliana fino al centro dell'antica Roma vi fosse un lunghissimo porto fluviale attrezzato con banchine per l'attracco munite di rampe, nonchè di pietre forate per gli ormeggi, magazzini e accessi ai palazzi retrostanti di smistamento delle merci. Il Lanciani segnalò la scoperta di due magazzini che conservavano zanne di avorio e un deposito di cereali.
Accanto all'uso dell’opus caementicium vi fu però anche quello classico greco dei blocchi di pietra rafforzati però con la malta. Oppure venivano costruite delle casseforme in blocchi di pietra riempite con gettate cementizie. In altri siti gli impianti portuali venivano scavati direttamente in banchi rocciosi: come ad esempio nel porto di Ventotene.
Alcune strutture invece vennero costruite totalmente in legno, in ambiente fluviale e lacustre; con casseforme lignee riempite di terra e detriti, come ad esempio nel porto di Marsiglia in Francia.
Le opere in cementizio furono comunque le più utilizzate grazie alla facilità di assemblaggio delle casseforme lignee che, appoggiandosi a strutture già solide, si potevano adoperare casseforme con solo tre o due lati, a volte anche con una sola parete; praticamente una costruzione di moli a moduli.
I MOLI
Il Molo è una costruzione situata su un oceano, un mare, un lago, o un fiume, che si protende dalla terraferma verso lo specchio acqueo, la cui principale funzione è quella di fungere da ormeggio alle imbarcazioni per consentire la discesa sulla terraferma dei passeggeri e lo scarico delle merci al riparo del moto ondoso.
I moli e le banchine sui fiumi servivano per attraccare le navi e consentire di salire e scendere o caricare e scaricare.
LE BANCHINE
La Banchina portuale è quella parte del porto o della rada prospiciente all'acqua che permette di accostare in sicurezza alla terraferma navi o natanti e fissarli per l'imbarco e lo sbarco delle persone o delle merci al riparo del moto ondoso e delle correnti. Può essere realizzata in cemento armato o in legno. Per consentire l'ormeggio, la banchina è attrezzata con anelli di ormeggio.
IL FIUME TEVERE
Basilare per la fondazione e l'edificazione di Roma fu il Tevere, navigabile fin dal IV secolo a.c. con navi mercantili e barche di varie dimensioni. Sembra che dal quartiere della Magliana fino al centro dell'antica Roma vi fosse un lunghissimo porto fluviale attrezzato con banchine per l'attracco munite di rampe, nonchè di pietre forate per gli ormeggi, magazzini e accessi ai palazzi retrostanti di smistamento delle merci. Il Lanciani segnalò la scoperta di due magazzini che conservavano zanne di avorio e un deposito di cereali.
Numerose sono le testimonianze archeologiche della navigabilità del Tevere utilizzato come via di navigazione, sia ne tratto urbano che verso il mare e verso l'alto Lazio.
I proprietari di barche sul fiume erano chiamati navicularis, che esercitavano il commercio sia per conto proprio che per conto dello Stato, c'erano poi i lenunculi con imbarcazioni più modeste, però veloci, con la prora a punta e con un gran numero di remi, che trasportavano persone e carichi non pesanti.
Le scaphae erano invece delle piccole imbarcazioni a fondo piatto che servivano per i traghetti e per il trasporto da sponda a sponda del fiume. Infine le lintres avevano lo scafo allungato stretto e poco profondo, con la prua sollevata e le sponde basse, e potevano trasportare fino a 12 persone più il timoniere, adatte alla navigazione in acque poco profonde e pure con le rapide.
PORTO TIBERINO
Posto sull'Isola Tiberina, fu il primo e più importante complesso portuale e commerciale di Roma, si trovava all'altezza dell'attuale palazzo dell'Anagrafe e la chiesa di santa Maria in Cosmedin, ne occupava tutta l'area, in un'ansa del Tevere oggi scomparsa, era praticamente di fronte alla punta meridionale dell'Isola Tiberina, nei pressi dei Templi del Foro Olitorio e del Tempio di Portunus, che era la divinità a tutela del porto.
Durante gli scavi eseguiti dal Lanciani si rinvennero ampi resti di argini di opera quadrata di tufo di Grottascura del 179 a.c. collegati con le strutture terminali della Cloaca Maxima. Probabilmente l'opera si deve a Servio Tullio, da reperti rinvenuti recanti la data del VI secolo a.c.
Il censore Marco Fulvio Nobiliore nel 179 a.c. fece dei lavori di sistemazione del porto Tiberino, ma con la realizzazione del porto fluviale dell'Emporium sotto l'Aventino, nella attuale zona di Testaccio, anche questo porto venne progressivamente abbandonato, e cadde definitivamente in disuso dopo le inondazioni del 98 d.c. e del 105 d.c. fino a scomparire definitivamente.
Il porto Tiberino aveva una banchina lunga quasi 500 metri e larga 90 metri, vi era un molo pavimentato ed attrezzato. vi attraccavano le navi provenienti dal mare, ed un edificio a ridosso del molo consentiva l'immagazzinamento e la vendita dei prodotti.
Il Portus Tiberinus, era situato nella zona compresa tra i tre templi sotto la chiesa di San Nicola in Carcere ed il Tempio di Portunus. Il culto di Ercole presso l’ara maxima nel foro Boario fu uno dei primissimi culti stranieri introdotti a Roma, e lo stesso Romolo incluse il santuario di Ercole (che ora è sotto la chiesa di santa Maria in Cosmedin) nel solco primigenio della città. Il santuario di Ercole sotto Santa Maria in Cosmedin inizialmente non era altro che un luogo di ritrovo dei mercanti greci, in seguito consacrato alla divinità.
Il bacino probabilmente era delimitato a valle dal ponte Emilio e a monte dal ponte Fabricio, occupando quindi uno spazio di circa 8000 mq. Alle spalle del porto verso l’interno si estendeva la zona paludosa del Velabrum, che si insinuava nella valle compresa tra il Palatino e il Campidoglio fino a raggiungere la valle del Foro Romano.
Il censore Marco Fulvio Nobiliore nel 179 a.c. fece dei lavori di sistemazione del porto Tiberino, ma con la realizzazione del porto fluviale dell'Emporium sotto l'Aventino, nella attuale zona di Testaccio, anche questo porto venne progressivamente abbandonato, e cadde definitivamente in disuso dopo le inondazioni del 98 d.c. e del 105 d.c. fino a scomparire definitivamente.
Il porto Tiberino aveva una banchina lunga quasi 500 metri e larga 90 metri, vi era un molo pavimentato ed attrezzato. vi attraccavano le navi provenienti dal mare, ed un edificio a ridosso del molo consentiva l'immagazzinamento e la vendita dei prodotti.
A Servio Tullio, alla metà del VI secolo a.c., si deve la sistemazione del portus Tiberinus, accanto al quale vennero come già detto costruiti i santuari di Fortuna, e di Portunus. Lo stesso Servio Tullio recinse questa parte di Roma con la sua cinta muraria serviana, lasciandone fuori solo la zona del porto.
Portunus era il Dio dei porti e delle porte, il tempio a lui dedicato è nell'area del Foro Boario, sul lato meridionale del bacino fluviale. Il tempio di Portunus era subito dopo la porta Flumentana che faceva parte delle mura repubblicane ed era separato dal porto dal vicus Lucceius, una strada che portava all'antico ponte Emilio, oggi, ponte Rotto, che fungeva da collegamento tra la città e la sponda etrusca, anche il tempio di Portunus venne danneggiato dalle inondazioni del Tevere che devastarono anche la zona portuale tra il III e il II secolo a.c.
Portunus era il Dio dei porti e delle porte, il tempio a lui dedicato è nell'area del Foro Boario, sul lato meridionale del bacino fluviale. Il tempio di Portunus era subito dopo la porta Flumentana che faceva parte delle mura repubblicane ed era separato dal porto dal vicus Lucceius, una strada che portava all'antico ponte Emilio, oggi, ponte Rotto, che fungeva da collegamento tra la città e la sponda etrusca, anche il tempio di Portunus venne danneggiato dalle inondazioni del Tevere che devastarono anche la zona portuale tra il III e il II secolo a.c.
In età imperiale avvenne lo smantellamento del porto fluviale in favore del porto di Ostia. La costruzione dell’emporio di Marmorata e soprattutto i grandi rifacimenti del porto ostiense ad opera di Claudio e Traiano svuotarono di ogni importanza commerciale la zona del foro Boario e del foro Olitorio.
Durante i lavori per la costruzione del palazzo dell'Anagrafe, tra il 1936 e il 1937 di fronte alla punta meridionale dell'Isola Tiberina, furono ritrovati numerosi horrea, magazzini costruiti in laterizio e travertino, costruiti da Traiano che reimpiegò l'area dove precedentemente c'era l'antico porto fluviale Tiberino.
L'approdo del porto di Ripetta serviva per lo scarico delle merci provenienti dal nord Italia, in particolare dall'Umbria e dalla Toscana, mentre l'altro porto di Ripa Grande era preposto allo scarico di merci provenienti dal mare e dal sud Italia.
Scomparso in quanto demolito dopo l'Unità d'Italia, il porto era in zona Aventino davanti all'attuale complesso del San Michele e davanti al nuovo ponte Sublicio del porto oggi è rimasta la via che si chiama "Porto di Ripa Grande", questa strada va dal Ponte Sublicio al Lungotevere Ripa, e fa parte del Rione Trastevere, era il più grande porto di Roma.
A guardia del porto c'erano due torri, anche queste scomparse, una per la costruzione dell'Ospizio di San Michele, e l'altra per la costruzione del lungotevere, il porto è ricordato da due scalinate sotto la banchina del San Michele.
Il porto Ripa Grande, già presente in epoca romana, era un piccolo porto formato da piccole banchine nella zona di Testaccio. Nel Medio Evo, però la zona si spopolò, Testaccio era troppo lontano dal centro della città, tra la fine dell'Impero e l'alto Medio Evo, ci fu anche la decadenza dei porti di Ostia e di Porto, assunse così maggiore importanza il porto nella zona di Trastevere, sul lato ed all'interno delle mura Aureliane, vicino alla Porta Portese, che si trovava più a valle rispetto all'attuale; sui due lati del Tevere, sorgevano le due Torri di guardia, alle quali si attaccavano le catene per sbarrare il fiume in caso di scorrerie saracene.
Con lo spostamento di porta Portese, nel '600, anche lo scalo si ritirò più a monte, e le preesistenti strutture vennero usate come magazzini ed arsenale. Il Tevere poteva essere risalito solo da velieri di medio tonnellaggio, mentre le navi più grandi potevano scaricare le merci al porto di Fiumicino, che poi venivano portate a Ripa Grande per mezzo di bastimenti più piccoli, tirati verso la riva destra del Tevere mediante funi robuste, tirate o da uomini robusti o da bufali, per i quali c'era un apposito recinto subito dopo la porta Portese detto "la bufalara".
Dell'antico porto oggi rimangono solo delle moderne rampe di accesso al fiume alle quali si accede scendendo dalla riva destra del Ponte Sublicio, all'altezza del San Michele.
PORTO DELL'EMPORIO
Nel II secolo a.c. l'Urbe si era decisamente arricchita e ingrandita, si che il vecchio porto fluviale del Foro Boario non era più sufficiente. Venne quindi edificato il Porto dell'Emporio, sotto il colle Aventino, nella zona del lungotevere Testaccio e accanto al nuovo ponte Sublicio, per volere dei consoli Marco Emilio Lepido e Lucio Emilio Paolo nel 193 a.c., per l'insufficienza del porto Tiberino, e per le nuove esigenze dovute all'espansione e allo sviluppo della città di Roma.
Durante i lavori per la costruzione del palazzo dell'Anagrafe, tra il 1936 e il 1937 di fronte alla punta meridionale dell'Isola Tiberina, furono ritrovati numerosi horrea, magazzini costruiti in laterizio e travertino, costruiti da Traiano che reimpiegò l'area dove precedentemente c'era l'antico porto fluviale Tiberino.
PORTO DI RIPETTA
Era situato sulla riva sinistra del Tevere, nel rione Campo Marzio, ed era così chiamato in contrapposizione al porto Ripa Grande, che era più a valle. Il porto esisteva già dall'anno 300 ma venne riadattato da papa Clemente XI, Albani, che nel 1705 gli fece costruire una splendida gradinata che dalla riva Schiavonia degradava verso il fiume Tevere, usando il travertino di una delle arcate del Colosseo, che era caduto durante il terremoto del 1703 (SIG!). Venne poi demolito dopo l'unità d'Italia, per l'edificazione dei muraglioni, dei lungotevere e dei ponti, infatti era sull'odierno lungotevere in Augusta e lungotevere Marzio, presso piazza di Ripetta e ponte Cavour.
Era situato sulla riva sinistra del Tevere, nel rione Campo Marzio, ed era così chiamato in contrapposizione al porto Ripa Grande, che era più a valle. Il porto esisteva già dall'anno 300 ma venne riadattato da papa Clemente XI, Albani, che nel 1705 gli fece costruire una splendida gradinata che dalla riva Schiavonia degradava verso il fiume Tevere, usando il travertino di una delle arcate del Colosseo, che era caduto durante il terremoto del 1703 (SIG!). Venne poi demolito dopo l'unità d'Italia, per l'edificazione dei muraglioni, dei lungotevere e dei ponti, infatti era sull'odierno lungotevere in Augusta e lungotevere Marzio, presso piazza di Ripetta e ponte Cavour.
Il porto serviva per le merci che arrivavano nella città di Roma dall'entroterra umbro e sabino, aveva un dislivello tra la riva del fiume ed il piano stradale di 7 metri e mezzo, che veniva superato con delle scalinate. Questo porto fluviale era chiamato di Ripetta per distinguerlo da quello di Ripa Grande, L'antico porto è ricordato dalla piazza di Ripetta, la piazza si raggiunge da via di Ripetta e dal lungotevere Campo Marzio.
L'approdo del porto di Ripetta serviva per lo scarico delle merci provenienti dal nord Italia, in particolare dall'Umbria e dalla Toscana, mentre l'altro porto di Ripa Grande era preposto allo scarico di merci provenienti dal mare e dal sud Italia.
PORTO DI RIPA GRANDE
Scomparso in quanto demolito dopo l'Unità d'Italia, il porto era in zona Aventino davanti all'attuale complesso del San Michele e davanti al nuovo ponte Sublicio del porto oggi è rimasta la via che si chiama "Porto di Ripa Grande", questa strada va dal Ponte Sublicio al Lungotevere Ripa, e fa parte del Rione Trastevere, era il più grande porto di Roma.
A guardia del porto c'erano due torri, anche queste scomparse, una per la costruzione dell'Ospizio di San Michele, e l'altra per la costruzione del lungotevere, il porto è ricordato da due scalinate sotto la banchina del San Michele.
Il porto Ripa Grande, già presente in epoca romana, era un piccolo porto formato da piccole banchine nella zona di Testaccio. Nel Medio Evo, però la zona si spopolò, Testaccio era troppo lontano dal centro della città, tra la fine dell'Impero e l'alto Medio Evo, ci fu anche la decadenza dei porti di Ostia e di Porto, assunse così maggiore importanza il porto nella zona di Trastevere, sul lato ed all'interno delle mura Aureliane, vicino alla Porta Portese, che si trovava più a valle rispetto all'attuale; sui due lati del Tevere, sorgevano le due Torri di guardia, alle quali si attaccavano le catene per sbarrare il fiume in caso di scorrerie saracene.
Con lo spostamento di porta Portese, nel '600, anche lo scalo si ritirò più a monte, e le preesistenti strutture vennero usate come magazzini ed arsenale. Il Tevere poteva essere risalito solo da velieri di medio tonnellaggio, mentre le navi più grandi potevano scaricare le merci al porto di Fiumicino, che poi venivano portate a Ripa Grande per mezzo di bastimenti più piccoli, tirati verso la riva destra del Tevere mediante funi robuste, tirate o da uomini robusti o da bufali, per i quali c'era un apposito recinto subito dopo la porta Portese detto "la bufalara".
Dell'antico porto oggi rimangono solo delle moderne rampe di accesso al fiume alle quali si accede scendendo dalla riva destra del Ponte Sublicio, all'altezza del San Michele.
PORTO DI TESTACCIO (EMPORIUM) |
Il porto fluviale dell'Emporium aveva una semplice copertura in legno, lastricato in pietra e dotato di un grande magazzino, chiamato Porticus Aemilia, utilizzato per contenere le derrate alimentari. I resti di questo porto, detto dell' Emporio, sono visibili sul lato sinistro del nuovo Ponte Sublicio venendo da piazza dell'Emporio, a rione Testaccio.
Nel 174 a.c. l'Emporium venne lastricato in pietra e fu suddiviso da barriere con scalinate che scendevano al Tevere. Qui approdavano le merci, soprattutto marmi, grano, vino, olio, che, arrivate via mare dal porto di Ostia, risalivano il Tevere su chiatte rimorchiate dai bufali (alaggio).
Il porto lavorò a così alto ritmo che i cocci di anfore che si rompevano nello stoccaggio, erano talmente tanti da venir accumulati a collina, formando il Mons Testaceum, il "Monte dei cocci", Il numero delle anfore accatastate è stimato attorno ai 25 milioni e la collina è alta 54 metri..
Sotto Traiano le strutture furono rifatte in opera mista. Il porto era principalmente costituito da banchine con piani inclinati, scale, anelli per ormeggio. Trattavasi di "ripae" costruite lungo gli argini del fiume. In correlazione ad esse si trovavano i magazzini ("horrea", "cellae") per lo stoccaggio delle merci. soprattutto nella pianura del Testaccio. Sorsero così i magazzini annonari, per le distribuzioni gratuite di grano e altri generi alimentari alla popolazione cittadina, con l'Horrea Sempronia, Galbana, Lolliana, Seiana, e Aniciana.
Reperti archeologici vennero rinvenuti tra il 1868 e il 1870, in occasione della edificazione degli argini del Tevere, e dei muraglioni, interrati, vennero di nuovo riportati alla luce nel 1952 e poi dal 1974 e a tutt'oggi proseguono i lavori di scavo.
MONTE DEI COCCI (ROMA) |
Reperti archeologici vennero rinvenuti tra il 1868 e il 1870, in occasione della edificazione degli argini del Tevere, e dei muraglioni, interrati, vennero di nuovo riportati alla luce nel 1952 e poi dal 1974 e a tutt'oggi proseguono i lavori di scavo.
I resti dell'Emporium si possono vedere, affacciandosi da ponte Sublicio, da qui si vede un edificio con file di ambienti, ed una banchina lunga circa 500 metri, e profonda 90 metri. Era un molo piuttosto esteso, con pavimento a grandi lastre in travertino, utilizzato probabilmente come piazzale per lo scarico e lo smistamento delle merci.
Tutto il complesso è addossato ad un muraglione più antico che delimitava verso il fiume un'altra serie di magazzini coperti a volta chiamati horrea, che davano verso Testaccio, che era all'epoca la zona commerciale di Roma. L'attività dell'Emporio rimase in funzione fino alla creazione dei grandi porti di Cladio e Traiano di Ostia, e divenne solo un semplice deposito di materiali, specie di marmi, da cui il nome della via Marmorata.
Il porto fu scavato nel 1868-1870 durante i lavori di riarginatura e di nuovo per la costruzione del Palazzo dell’Anagrafe negli anni 1936-1937, che rivelarono un quartiere di magazzini di età traianea, costruiti interamente in laterizio e travertino. Resti simili sono stati scoperti sull’altro lato della strada (ancora visibili nei cortili degli edifici moderni).
Tutto questo complesso riguarderebbe un rifacimento imperiale degli (Horrea) Aemiliana, magazzino annonario edificato da Scipione Emiliano nel 142 a.c., che dovette servire soprattutto come deposito del grano destinato alle distribuzioni gratuite alla plebe romana.
Altri scavi risalgono al 1952, poi, stranamente, più nulla. Dei resti del porto sopravvivono il "Monte dei Cocci" e alcuni tratti visibili incassati nel muraglione del Lungotevere Testaccio: una banchina lunga circa 500 metri e profonda 90 con gradinate e rampe verso il fiume, con blocchi di travertino sporgenti per fori dove ormeggiare le navi.
I NAVICULARIS
In epoca romana i proprietari di barche, chiamati navicularis, esercitavano il commercio sia per conto proprio che per conto dello Stato, usando
- i lenunculi, imbarcazioni di medie dimensioni, veloci, con la prora a punta e munite di un gran numero di remi, trasportavano persone e carichi non pesanti.
- le scaphae erano invece delle piccole imbarcazioni a fondo piatto che servivano per i traghetti e per il trasporto da sponda a sponda del fiume.
- le lintres, avevano lo scafo allungato stretto e poco profondo, con la prua sollevata e le sponde basse, e potevano trasportare fino a 12 persone più il timoniere chiamato gubernator ed erano particolarmente adatte alla navigazione in acque poco profonde e con le rapide.
- le naves caudicariaeer erano adibite il trasporto delle merci, ed erano imbarcazioni a due alberi, senza vela, trainate lungo la riva destra del Tevere da pariglie di buoi o di uomini con un sistema di rimorchio detto alaggio, i battelli scorrevano contro corrente con corde tirate dagli animali o dagli uomini che procedevano su strade appositamente aperte per questo "tiro".
In epoca romana i proprietari di barche, chiamati navicularis, esercitavano il commercio sia per conto proprio che per conto dello Stato, usando
- i lenunculi, imbarcazioni di medie dimensioni, veloci, con la prora a punta e munite di un gran numero di remi, trasportavano persone e carichi non pesanti.
- le scaphae erano invece delle piccole imbarcazioni a fondo piatto che servivano per i traghetti e per il trasporto da sponda a sponda del fiume.
- le lintres, avevano lo scafo allungato stretto e poco profondo, con la prua sollevata e le sponde basse, e potevano trasportare fino a 12 persone più il timoniere chiamato gubernator ed erano particolarmente adatte alla navigazione in acque poco profonde e con le rapide.
- le naves caudicariaeer erano adibite il trasporto delle merci, ed erano imbarcazioni a due alberi, senza vela, trainate lungo la riva destra del Tevere da pariglie di buoi o di uomini con un sistema di rimorchio detto alaggio, i battelli scorrevano contro corrente con corde tirate dagli animali o dagli uomini che procedevano su strade appositamente aperte per questo "tiro".
Questo tipo di navigazione controcorrente riguardava le imbarcazioni che da Fiumicino dovevano arrivare a Ripa Grande, e poiché di notte la navigazione si fermava, dovevano esistere delle stazioni fluviali, per la sosta delle imbarcazioni dotate di un corpo di polizia e di vigili del fuoco che controllavano le navi dal pericolo di incendi e dalle incursioni dei ladri.
Questo tipo di navigazione ed i porti sul Tevere, rimasero attivi fino all'epoca medioevale e moderna e tutto finì dopo l'Unità d'Italia, con l'edificazione dei muraglioni e dei lungotevere.
RICOSTRUZIONE DEL PORTO ROMANO DI AQUILEIA |
IL PORTO DI AQUILEIA
Subito dopo la fondazione della colonia romana nel 181 a.c. di Aquileia, il suo porto svolse un ruolo fondamentale nei commerci marittimi dell’area del nord Adriatico, soprattutto grazie alla sua posizione geografica che lo collocava come naturale apertura al mare. La presenza di un fiume navigabile è stato un elemento determinante per la scelta del luogo in cui fondare la colonia di Aquileia; infatti la costruzione di punti di approdo fu pressoché contemporanea alla creazione della città.
Il canale Anfora, chiamato così dal Medioevo per le anfore ritrovatevi, era collegato alla portualità di Aquileia poiché congiungeva la sua zona occidentale con il mare, rendendo possibile la risalita delle barche tramite l'alaggio: le imbarcazioni erano trascinate con funi lungo tragitti costruiti appositamente, le viae helciariae, qualora non fosse possibile sfruttare la forza del vento e le maree.
Il bacino del porto era formato dalla confluenza di due corsi d’acqua, e la rete di canali artificiali unita ai corsi fluviali presenti rese facile nell'antichità il collegamento con il mare e probabilmente consentì la circumnavigazione della città.
RIVA ORIENTALE DEL PORTO DI AQUILEIA |
Si giunge al porto fluviale percorrendo la via Sacra, posta nell’alveo del fiume e lunga circa un km, creata con la terra di risulta degli scavi e lungo la quale sono stati collocati resti architettonici e monumentali. Il porto, scoperto nella parte orientale della città, ha un bacino largo 48 m e dista dal mare circa 10 km.
La sistemazione del porto monumentale risale probabilmente alla fine del I sec. d.c. Giovanni Brusin l'aveva ipotizzato studiando i moduli dei mattoni, riferibili all'età di Claudio per la struttura e anche per la fama di questo imperatore in campo di impianti portuali. La banchina della sponda occidentale del porto è lunga 380 m ed è costituita da lastre verticali in pietra d’Istria.
Vi è un primo piano di carico sovrapposto a questi lastroni e composto da blocchi con grandi anelli di ormeggio a foro passante verticale; il secondo piano di carico, 2 m più in basso, è costituito da un marciapiede lastricato largo circa 2 m e fornito di anelli di ormeggio a foro passante orizzontale.
RESTI DEL PORTO ROMANO DI AQUILEIA |
La riva orientale del porto La riva orientale è stata scavata per un breve periodo negli anni Trenta e ne sono stati riportati alla luce poco più di 150 m, anche perché ad un certo punto la struttura si interrompe. La banchina è molto stretta e composta da parallelepipedi di pietra, vi si notano solo quattro scalinate inserite nel muro e alcune pietre di ormeggio; dietro sono situati degli edifici, possibili magazzini o uffici.
Probabilmente nel 361, quando la città si schierò con Costanzo II e fu assediata da Giuliano l’Apostata, il fiume fu deviato per motivi strategici e di conseguenza la portata d’acqua diminuì.
Queste opere provocarono poi un’alluvione, che fu la causa dell’abbandono del quartiere orientale.In epoca tardo-antica, verso la fine del IV secolo, furono realizzate altre opere difensive e di queste mura è stato ritrovato il lato orientale sulla banchina, costruite in grande fretta, con materiali di recupero.
IL PORTO FLUVIALE |
Il complesso ha forma quadrata, con il lato di circa 150 m, composto da due parti collegate tra loro con ambienti porticati, corridoi e absidi disposti intorno ad un cortile in lastre di arenaria, quadrato nella parte settentrionale, rettangolare nell’altro; si può ipotizzare che alcuni di questi ambienti fossero usati come magazzini o come uffici.
I magazzini sono situati a sud della Basilica e sono horrea, cioè magazzini di grano, in seguito al ritrovamento di alcuni strati di grano bruciato. L’edificio è rettangolare, di circa 90 m per 66, ed è costituito da due spazi allungati separati da un cortile centrale. Probabilmente la copertura del magazzino era sorretta da pilastri.
Nella parte settentrionale si trovavano gli accessi dal cortile centrale e la comunicazione tra le due ali del magazzino, mentre nella parte meridionale si trovava un corridoio trasversale. Questo edificio sottolinea anche le grandi capacità dei costruttori romani verso la fine del III secolo d.c. poiché aveva spessi muri perimetrali che raggiungevano i 2 m e profonde fondamenta, di almeno 5 metri profonde.