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APOTEOSI ROMANA

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APETEOSI DI GERMANICO (FIG.1)

L'immagine della fig. 1 rappresenta l'apoteosi di Augusto, illustrata in tre fasce. Nella fascia inferiore si trovano barbari prigionieri. Al centro i personaggi all'epoca viventi della dinastia giulio-claudia: Tiberio al centro, con scettro e lituo, a fianco la madre Livia e la moglie Giulia Livia. Di fronte a lui vi è Nerone Cesare, figlio maggiore di Germanico, e alle sue spalle vi è Claudia Livilla, con il giovanissimo Caligola in uniforme militare.
Ai piedi del trono imperiale un barbaro seduto afflitto dalla sconfitta. Alle spalle di Tiberio e Livia ci sono Druso Cesare secondogenito di Germanico e la madre Agrippina maggiore che guardano l'avo Augusto.

In alto vi sono gli Dei, cioè Augusto al centro vestito da pontifex maximus, con Iulo, figlio di Enea e nipote di Venere quale capostipite della gens Giulia; alle sue spalle Druso minore, figlio di Tiberio, e  in groppa a Pegaso tirato da un Amorino, vi è Germanico, figlio adottivo ed erede di Tiberio morto in Siria nel 19.



APOTHEOSIS

L'apoteosi, o deificatio, era non solo l'esaltazione dei pregi di un individuo nell'espletazione di un suo compito o nell'intera vita, ma una vera e propria remunerazione a questi pregi e meriti che provocava  l'ascesa di un mortale fra gli Dei.

Per i Romani in particolare, significò l' elevazione di un imperatore defunto agli onori divini. Bisogna distinguere, perchè l'imperatore divinizzato non era un  Dio a tutti gli effetti, solo Augusto fece eccezione e divenne una divinità con i suoi templi e i suoi sacerdoti, ma Augusto fu amatissimo dai contemporanei e dai posteri, tanto amato che nemmeno il cristianesimo osò demonizzarlo come fece con quasi tutti i principali personaggi romani. Anzi lo cristianizzò inventando una sua visione cristiana di stampo miracolistico.

Questa pratica, che era comune in occasione della morte di quasi tutti gli imperatori, sembra che fosse originata dalla credenza dei romani che le anime o Mani dei loro antenati diventassero divinità, si che tutti i romani adoravano i Mani dei loro antenati.  Pertanto era logico che venissero pubblicamente conferiti gli onori divini ad un imperatore defunto, che era considerato, quando addirittura dichiarato pubblicamente, il "Pater patriae", il padre della patria.

L'apoteosi aveva in realtà origini orientali, o almeno era da lungo tempo già usata in oriente, dove i re o addirittura i "Re dei re" erano adorati come divini si che il popolo si prostrava di fronte al monarca. I romani al contrario non si prostravano nè di fronte all'imperatore nè di fronte agli Dei, la dignità del cives romanus era in tal senso adamantina, solo in epoca cristiana ci si piegò di fronte a imperatori e divinità avendo il cristianesimo attinto non alla religione romana occidentale ma da quella ebraica orientale, dove il singolo non contava di fronte al potere, fosse esso spirituale o temporale.

APOTEOSI DI GERMANICO (FIG.2)

CONSECRATIO

Quest' apoteosi dell' imperatore era solitamente chiamata Consecratio; e dell'imperatore oggetto dell' apoteosi si diceva "in deorum numerum referri", o che era stato consacrato "consecrari". Tale onore toccò per primo a Romolo, ammesso tra le divinità, ma dopo la sua morte, sotto il nome di Quirino (Plut., Rom. 27, 28; Liv., I, 16; Cic., de Rep., II, 10); ma nessun altro re di Roma ottenne lo stesso privilegio e nemmeno nel periodo repubblicano avvennero apoteosi, a parte quella di Giulio Cesare.

Giulio Cesare fu deificato dopo la sua morte per volere di Augusto che ne giustificò l'apoteosi attraverso le origini divine della gens Iulia a cui lui stesso apparteneva. Così vennero istituiti da Augusto giochi in onore del defunto divinizzato (Svet., Iul. Caes., 88); e altrettanto fu fatto per altri imperatori. L'apoteosi di un imperatore era anche un atto politico del successore dell'imperatore che appoggiava così l'operato del predecessore.

Così descrive la cerimonia  Erodiano (V, 2)

"È costume dei Romani deificare gli imperatori che muoiono lasciando successori; e chiamano questo rito apoteosi. In questa occasione si vedono per la città forme di lutto unite a celebrazioni e riti religiosi. 
Onorano il corpo del morto secondo il rito degli uomini, con un sontuoso funerale; e dopo aver modellato un' immagine di cera il più possibile somigliante, la espongono nel vestibolo del palazzo, su un alto letto d' avorio di grandi dimensioni, ricoperto da un lenzuolo d' oro. La figura è pallida, come quella di un uomo malato. 
Durante buona parte della giornata i senatori siedono attorno al letto sul lato sinistro vestiti di nero; e le donne nobili siedono sulla destra, vestite con semplici abiti bianchi, come prefiche, senza ori o collane. Questo cerimoniale continua per sette giorni; e i medici si avvicinano uno ad uno spesso al letto, e guardando l' uomo malato, dicono che peggiora sempre di più. 
E quando ritengono che sia morto, i più nobili tra i cavalieri e giovani scelti dell' ordine senatoriale tirano su il letto, e lo trasportano lungo la Via Sacra, e lo espongono nel Foro antico. 
Palchi come gradini vengono costruiti su ogni lato; su uno sta un coro di giovani nobili, e su quello opposto un coro di donne di alto rango, che cantano inni e canzoni di encomio del defunto, modulate in una solenne e dolente melodia. In seguito portano il letto attraverso la città fino al Campus Martius, nella parte più larga del quale viene costruita una catasta quadrata di legname della misura più grande, a forma di camera, riempita di fascine e all' esterno ornata con tende intrecciate con immagini d' oro e d' avorio. 
Sopra questa una camera simile ma più piccola, con porte e finestre aperte, e sopra ancora, una terza e una quarta, sempre più piccole, così che si può compararla ai Phari. Al primo piano mettono un letto, e raccolgono incenso e ogni sorta di aromi, frutta, erba, succhi; perché tutte le città e le persone eminenti gareggiano nel contribuire con questi ultimi doni ad onorare l' imperatore. 
E quando è stato radunato un grande cumulo di aromi, c'è una processione di cavalieri e carri attorno alla catasta, con gli aurighi che indossano maschere per assomigliare ai generali e imperatori romani più insigni. 
Quando è stato fatto tutto questo, gli altri appiccano ad ogni lato il fuoco, che prende facilmente grazie alle fascine e agli aromi; e dal piano più alto e più piccolo, come da un pinnacolo, un' aquila viene lasciata libera di volare in cielo mentre il fuoco sale, aquila che i romani credono porti l' anima dell' imperatore dalla terra ai cieli; e da quel momento viene adorato con gli altri Dei."

APOTEOSI DI SABINA (ARCO DI PORTOGALLO FIG.3)
A conferma del racconto, sovente si osservano sulle medaglie coniate in occasione di un' apoteosi un altare con del fuoco sopra, e un' aquila, l' uccello di Giove, prendere il volo nell' aria. Le medaglie con questa raffigurazione sono sono state di grande aiuto per ricostruire la cerimonia dell'apoteosi, dove appare spesso la parola Consecratio mentre su alcune monete greche la parola ΑΦΙΕΡΩϹΙΣ.

Sul rilievo del basamento della Colonna di Antonina è rappresentata l'apoteosi di Antonino Pio e di sua moglie Faustina mentre ascendono verso gli Dei sorretti da un genio alato, Aion, simbolo dell'eternità. Il genio regge in mano i simboli del globo celeste e del serpente ed è affiancato da due aquile, che alludono all'apoteosi. Ai due lati, in basso, assistono alla scena la Dea Roma, in abito amazzonico e seduta presso una catasta di armi, e la personificazione del Campo Marzio, rappresentato come un giovane che sorregge l'obelisco importato da Augusto da Eliopoli ed utilizzato per la grandiosa meridiana del Campo Marzio.

Su un altro lato sono raffigurati i membri del rango equestre intenti a celebrare il decursius, la giostra a cavallo durante la cerimonia funebre, coi relativi vessilliferi, all'esterno, e un gruppo di pretoriani all'interno. Questo rito, che doveva aver avuto luogo attorno all'ustrinum dove si era svolta la cerimonia di cremazione, si era svolta in due tempi (prima la processione a piedi, poi la giostra a cavallo), ma nella raffigurazione è usato l'espediente della contemporaneità, collocando una parata dentro l'altra.

APOTEOSI DI ANTONINO PIO E FAUSTINA (BASE COLONNA ANTONINA)

L'Apoteosi dunque non era un processo automatico, soprattutto all'inizio dell'era imperiale. Gli imperatori che non erano ricordati con benevolenza o non erano graditi ai loro successori, generalmente non venivano divinizzati.

Gli imperatori che venivano divinizzati, venivano chiamati con l'appellativo di divus, titolo che precedeva tutti i loro nomi. Ma il divus, cioè il divino, non era però sinonimo di divinità. Attraverso la cremazione all'aperto dei resti mortali o di un simulacro dell'imperatore si simboleggiava la sua ascensione tra gli Dei della religione romana, ma solo in qualità di semidei. Tanto è vero che per onorare Cesare come divinità Augusto fu costretto a erigere un tempio a Quirino e inserirci la statua di Cesare.

D'altronde anche Romolo divinizzato fu associato al Dio Quirino per poter ricevere dai posteri la "devotio" riservata agli Dei. Perfino Augusto dovette associarsi per essere divinizzato addirittura da vivo alla Dea Roma condividendone onori e culto.

Nel tardo impero, questo onore divenne invece associato in modo automatico agli imperatori defunti, si che diventò quasi un sinonimo della moderna espressione "fu". Il fatto che divus avesse perso molto in pratica il suo significato religioso lo si capisce dal fatto che venne attribuito anche ai primi imperatori cristiani dopo la loro morte (p.es., divus Constantinus), cosa inammissibile dato il culto dell'unico Dio.

Il contrario dell'apoteosi dell'imperatore era la Damnatio Memoria, dove non solo l'imperatore non veniva divinizzato ma veniva cancellato nelle immagini e nelle iscrizioni pubbliche incise sulla pietra. Gli si toglieva così il privilegio non solo di venire onorati come Dei, ma di venire ricordati dai posteri e ricevere così il privilegio di essere annoverati tra i Mani, sia di Roma che dei congiunti. Pertanto essi non ricevevano più nè preghiere, nè offerte, nè sacrifici, e restavano soli e dimenticati dal mondo presente e futuro nel buio regno dell'Ade.


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