ELEFANTI IN ORIENTE
Gli elefanti da guerra erano esclusivamente animali maschi, scelti perché più veloci, più pesanti e più aggressivi delle femmine. La capacità di domare gli elefanti nacque nella Valle dell'Indo (Pakistan) circa 4.000 anni fa. In realtà venivano catturati selvatici e poi domati e addestrati per vari usi, soprattutto gli elefanti asiatici per le attività agricole.
Per quel che si sa l'uso degli elefanti per la guerra iniziò attorno al 1100 a.c., come è menzionato in diversi inni in sanscrito. Sicuramente vennero introdotti nell'esercito persiano da Dario I (550 - 486 a.c.), proprio perchè aveva conquistato la valle dell'Indo e scoperto il loro uso.
Il I ottobre del 331 a.c. Alessandro Magno (365 - 323 a.c.) dovette scontrasi con gli elefanti da guerra nella battaglia di Gaugamela, contro l'impero achemenide di Dario III (380-330 ac.). I quindici elefanti delle linee persiane fecero tremare le truppe macedoni si che Alessandro compì un sacrificio al dio della "Paura" (Phobos) la notte prima dell'attacco. Alessandro vinse la battaglia ma non se ne hanno i particolari, ma sicuramente tenne la cavalleria lontano dagli elefanti.
Passando alla conquista della Persia, Alessandro ormai conosceva talmente gli elefanti da usarne lui stesso nel suo esercito.
Arrivato ai confini dell'India, Alessandro si scontrò con il re Poro nella battaglia del fiume Idaspe e si ritrovò ad affrontare una schiera di un centinaio di elefanti, che terrorizzò i soldati di Alessandro. Il re Poro dispose gli elefanti molto distanti l'uno dall'altro ma Alessandro fece allentare i ranghi dei suoi, permettendo agli elefanti di passare senza calpestarli, per poi colpirli con giavellotti e frecce quando cercarono di rigirarsi.
Arrivato ai confini dell'India, Alessandro si scontrò con il re Poro nella battaglia del fiume Idaspe e si ritrovò ad affrontare una schiera di un centinaio di elefanti, che terrorizzò i soldati di Alessandro. Il re Poro dispose gli elefanti molto distanti l'uno dall'altro ma Alessandro fece allentare i ranghi dei suoi, permettendo agli elefanti di passare senza calpestarli, per poi colpirli con giavellotti e frecce quando cercarono di rigirarsi.
Molti conducenti di elefanti vennero uccisi dai giavellotti e in preda al panico gli elefanti scapparono, calpestando anche alcuni soldati indiani. Anche se Alessandro riuscì a vincere e a conquistare la zona, perse un gran numero di soldati ed il suo fidato cavallo Bucefalo, ma per l'attaccamento dell'elefante al re indiano, il re macedone risparmiò la vita a Poro e ai suoi 200 elefanti (che sopravvissero tutti).
Alessandro venne a sapere in seguito, che i re dell'Impero indiano Magadha e Gangaridai avrebbero potuto schierare fra i 3000 e i 6000 elefanti da guerra, per cui interruppe l'avanzata in India. Al suo ritorno a Babilonia, Alessandro Magno istituì una forza di elefanti di guardia al suo palazzo e creò la posizione di "elefantarca", al quale fu affidato il compito di guidare le sue unità di elefanti durante le battaglie. I successori di Alessandro, i Diadochi usarono centinaia di elefanti indiani nelle loro guerre.
I Seleuicidi fecero un largo uso degli elefanti da guerra, in particolare nel conflitto contro i Murya, conclusosi con un patto con cui l'impero Seleuicide cedette vasti territori orientali in cambio di 500 elefanti da guerra.
Alessandro venne a sapere in seguito, che i re dell'Impero indiano Magadha e Gangaridai avrebbero potuto schierare fra i 3000 e i 6000 elefanti da guerra, per cui interruppe l'avanzata in India. Al suo ritorno a Babilonia, Alessandro Magno istituì una forza di elefanti di guardia al suo palazzo e creò la posizione di "elefantarca", al quale fu affidato il compito di guidare le sue unità di elefanti durante le battaglie. I successori di Alessandro, i Diadochi usarono centinaia di elefanti indiani nelle loro guerre.
I Seleuicidi fecero un largo uso degli elefanti da guerra, in particolare nel conflitto contro i Murya, conclusosi con un patto con cui l'impero Seleuicide cedette vasti territori orientali in cambio di 500 elefanti da guerra.
ELEFANTI DA GUERRA IN OCCIDENTE
Il successo dei questi animali in guerra si propagò ovunque. Egizi, Cartaginesi e Numidi iniziarono ad addomesticare gli elefanti, soprattutto un elefante nordafricano più piccolo di quello asiatico che si estinguerà a causa dell'eccessivo sfruttamento. Questa sottospecie, usata dagli eserciti punici, numidi e dagli egiziani tolemaici, non era equipaggiati con torrette perchè probabilmente più deboli. Si sa invece che l'esercito di Giuba I di Numidia pose le torrette sugli elefanti nel 46 a.c.
Plinio il Vecchio riporta come "gli elefanti vengano spaventati dal più piccolo stridio di un maiale" (VIII, 1.27). Si ricorda inoltre come un assedio di Megara sia stato infranto dopo che i Megaresi avevano imbrattato di olio dei maiali, dato loro fuoco e spinti verso la massa degli elefanti da guerra del nemico. Gli elefanti da guerra si imbizzarrirono per il terrore dei maiali incendiati e stridenti. In alcuni casi il problema veniva prevenuto allevando gli elefanti insieme a dei maiali, in modo da abituarli al loro stridio.
Lo scrittore romano Vegezio nella Epitoma rei militaris (III libro) riporta, esempi, attrezzi e stratagemmi contro gli elefanti: per esempio uccidere i conducenti utilizzando i frombolieri o spaventarli col fuoco. Inoltre gli elefanti si muovono in maniera assai impacciata su un terreno sconnesso o montagnoso.
Pirro, accorso in aiuto di Taranto con 25000 uomini e 20 elefanti da guerra determinò il primo scontro tra il mondo ellenistico e quello romano, vinto dai Tarantino-Epiroti proprio grazie all'uso degli elefanti, che terrorizzarono i legionari. Ma i romani riuscirono ben presto a trovare il modo per sconfiggere gli elefanti, si che anche se persero nuovamente contro Pirro gli distrussero quasi tutto l'esercito.
- 279 a.c. - L’utilizzo di elefanti da guerra è attestato anche nella battaglia di Ascoli Satriano, nella quale, ci riferisce Dionigi di Alicarnasso (Antichità romane, XX, 12, 3 e 1, 6-8), i diciannove elefanti indiani di Pirro erano guidati da Indiani. In quest’occasione lo spavento che gli animali avevano suscitato in precedenza si era dissipato, come dimostra l’aneddoto riportato da Floro su Caius Minucidus, astato della IV Legione: avendo questi reciso la proboscide di un elefante ne aveva causato la morte, dimostrando come tali animali non fossero invincibili.
- 275 a.c. - I Romani avevano ormai imparato a conoscere gli elefanti: infatti, nella battaglia di Benevento riuscirono ad avere la meglio sulle truppe epirote e tarantine (Floro, Bellorum omnium annorum DCC), facendo scagliare dai propri arcieri frecce infuocate e torce contro le torri montate dagli elefanti, in modo da farli imbizzarrire scompigliando le loro stesse truppe. Non solo i romani uccisero degli elefanti ma ne portarono vivi a Roma, dove suscitarono grande curiosità tra il popolo.
MONETA CARTAGINESE |
- 262 a.c. - Nella battaglia di Agrigento (I guerra punica) quando i Cartaginesi assediati ricevettero tra i rinforzi sessanta elefanti (Diodoro, Op. cit., XXIII, 8), i Romani li catturarono e li inviarono a Roma.
- 255 a.c. - Ma i Cartaginesi vinsero poi grazie all’utilizzo di cento elefanti nella battaglia di Tunisi, combattuta contro Marco Atilio Regolo (Frontino, Stratagemmi).
- 251 a.c. - Plinio il Vecchio (Storia naturale, VIII) e Floro (Bellorum omnium annorum DCC)) narrano che dopo il secondo assedio della città i Romani di Lucio Cecilio Metello, dopo la vittoria ottenuta sui Cartaginesi, catturarono centoquarantadue o centoventi elefanti. Frontino nei suoi Stratagemmata ci riferisce che dieci di questi elefanti furono catturati con gli stessi conducenti indiani e trasportati a Roma utilizzando delle file di botti unite fra loro.
- 218 a.c. - Annibale Barca valicò le Alpi, giungendo in Italia con ventuno elefanti superstiti e durante la battaglia della Trebbia, a destra e a sinistra dello schieramento, pose davanti alle ali di cavalleria gli elefanti, e vinse la battaglia. I romani tuttavia imparavano a difendersi dagli elefanti.
« I velites infatti, predisposti per questo, riuscirono a mettere in fuga i pachidermi con il lancio di dardi. E quelli che fuggivano erano colpiti sotto la coda, dove la pelle è meno spessa e possono essere colpiti»
(Livio, XXI)
Come narra Polibio, alla fine però gli elefanti, non abituati al freddo della Pianura Padana, essendo di origine nordafricana, morirono tutti eccetto Surus, il leggendario elefante di Annibale, passato alla storia come il più valoroso elefante di tutte le guerre puniche, che sopravvisse ma morì di malaria poco dopo. Alla sua morte Annibale costruì una città in suo onore.« I velites infatti, predisposti per questo, riuscirono a mettere in fuga i pachidermi con il lancio di dardi. E quelli che fuggivano erano colpiti sotto la coda, dove la pelle è meno spessa e possono essere colpiti»
(Livio, XXI)
- 217 a.c. - Anche gli elefanti egiziani di Tolomeo IV (244-204 a.c.) nella battaglia di Raphia avevano delle torrette, e altrettanto gli elefanti cartaginesi. L'elefante della savana africana, molto più grande e aggressivo di quelli asiatici e nordafricani, non era facile da domare per cui raramente venne usato nelle battaglie.
- 216 a.c. - Dopo Cartagine fece sbarcare a Locri circa quaranta elefanti in aiuto all’esercito di Annibale. Con la sconfitta di Asdrubale però gli altri venti elefanti che dovevano essere inviati ad Annibale fossero inviati in Spagna.
- 207 a.c. - Asdrubale riuscì a portare attraverso le Alpi dieci elefanti addestrati in Spagna, che utilizzò poi nella battaglia del Metauro.
- 207 a.c. - Asdrubale riuscì a portare attraverso le Alpi dieci elefanti addestrati in Spagna, che utilizzò poi nella battaglia del Metauro.
- 204 a.c. - Sette pachidermi furono mandati da Cartagine a Magone Barca in Liguria in aiuto di Annibale in Calabria.
Massinissa, che era posto di fronte a questa con i suoi cavalieri, approfittò della disorganizzazione per sbaragliare totalmente gli avversari diretti. Qualche elefante che non si era spaventato si avventò contro la fanteria romana. I manipoli degli hastati romani, utilizzando lo spazio libero, semplicemente si fecero da parte lasciando passare i bestioni lasciandoli alla mercé di princepes e velites che colpendoli di fianco e davanti li costrinsero alla fuga. Questi elefanti si avventarono contro l'altra ala della cavalleria cartaginese. Tra le condizioni di pace imposte ai Cartaginesi, Polibio riferisce che i romani richiesero la consegna di tutti gli elefanti.
ELEFANTI ROMANI
Dopo le guerre puniche, Roma riportò molti elefanti come premio e furono usati ampiamente nelle sue campagne militari per molti anni dopo.
- 197 a.c. - Nella II guerra macedonica (200-196 a.c.) Filippo V di Macedonia si alleò con il re di Siria Antioco III conquistando possedimenti egiziani nell'Egeo, ma anche minacciando flotte e città greche che si rivolsero a Roma, che, sebbene reduce dalla guerra contro Cartagine, decise di intervenire.
I romani, già stremati dalla guerra si rivolsero allora agli stati greci, ma poté poi contare solo su pochi aiuti. Dopo inutili battaglie Roma affidò il comando a Tito Quinzio Flaminino che sconfisse Filippo nel 197 a.c. nella battaglia di Cinocefale (Tessaglia). Il ruolo degli elefanti a Cinocefale fu particolarmente determinante, in quanto la loro carica rapida mandò in frantumi la fascia sinistra Macedone, permettendo così ai romani di circondare e distruggere l'ala destra Macedone. Soltanto una anno dopo, nel 196 a.c. Flaminino proclamò la libertà della Grecia e nel 194 a.c. lasciò la Grecia insieme alle legioni.
- 191 a.c. - Gli elefanti furono presenti anche negli schieramenti romani, nella battaglia delle Termopili tra l'esercito seleucide di Antioco III il Grande e quello romano comandato da Manio Acilio Glabrione.
- 190 a.c. - Per la battaglia di Magnesia Eumene II di Pergamo mise a servizio degli alleati romani sedici elefanti ma le forze seleucidi che ne avevano cinquantaquattro. Narra Tito Livio che nella Battaglia di Magnesia le truppe della Repubblica romana e della Dinastia seleucide di Siria (provincia romana) si affrontarono con un divario fra i 54 elefanti di Antioco, e i soli 16 elefanti romani.
«Quando Publio Scipione era in Lidia [poco prima dell'inizio della battaglia di Magnesia], osservò che l'esercito di Antioco era demoralizzato dalla pioggia, che cadeva giorno e notte senza interruzione, che sia i soldati sia i cavalli erano esausti, che anche gli archi erano stati resi inutili dagli effetti dell'umidità sulle loro corde, invitò il fratello ad iniziare la battaglia il giorno successivo, anche se era consacrata a feste religiose. L'adozione di questo piano portò infatti alla vittoria.»(Frontino, Stratagemata, IV, 7.30.)
- 168 a.c. - Nella III guerra macedonica (171-168 a.c.) i romani guidati del console Lucio Emilio Paolo, si servirono di trentaquattro elefanti (secondo altri 22) e sconfissero la falange macedone di Perseo nella battaglia di Pidna. I romani ottennero gran successo nonostante secoli prima fu proprio Pirro a schierare gli elefanti in battaglia. La Macedonia fu divisa in quattro repubbliche, ognuna delle quali amministrate da un'assemblea composta dai rappresentanti di città e villaggi.
- 134 a.c. - Viene richiamato in Hispania Publio Cornelio Scipione Emiliano, console per la seconda volta, con Gaio Mario, allora ventitreenne, e il greco Polibio, consigliere e amico personale del vincitore di Cartagine. C'è anche, alleato dei romani, il principe numida Giugurta che porta con sé dodici elefanti e si distingue per il proprio valore. Dopo quasi un anno di strenua resistenza, Numanzia capitola, Roma impone la sua signoria sulla massima parte della penisola iberica.
- 46 a.c. - Nella battaglia di Tapso, Quinto Cecilio Metello si servì di centoventi elefanti, ai quali se ne aggiunsero poi sessanta di Giuba I (Cesare, La guerra d’Africa). La V Alaudae o V Gallica di Cesare, fu arruolata tra i nativi Galli e partecipò alle guerre galliche fino al 49 a.c., dando prova di essere una delle legioni più coraggiose di Cesare. Si racconta, infatti, che Giulio Cesare armò la sua Legio V (Alaudae - Allodole) con delle assi e comandò ai legionari di colpire le zampe degli elefanti. Così nella battaglia di Tapso nel 46 a.c., dopo aver sostenuto e respinto con grande coraggio una carica di grandi pachidermi africani, alla stessa fu dato come simbolo l'elefante.
Floro (Op. cit., IV, II) riporta che gli elefanti di Giuba, da poco catturati dalle foreste e, quindi, non ancora addestrati al combattimento, si spaventarono al suono delle trombe, rivoltandosi contro le linee amiche.
Secondo Appiano gli elefanti erano trenta, ai quali poi se ne aggiunsero sessanta del re numida. A causa di questo scontro l’elefante divenne l’emblema delle insegne della V Legione dei cesariani (Alaudae), poiché aveva resistito alla carica dei pachidermi (Appiano, Op. cit., II, 96). Cesare non fece mai uso di elefanti, basandosi soprattutto sulle strategie e la velocità delle sue truppe.
Da allora i Romani non utilizzarono più gli elefanti per scopi bellici, ma li impiegarono per i giochi da circo.