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CULTO DI MARICAE

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LA DEA MARICA

La Dea Marica è una divinità italica, una Grande Madre, dell'acqua e delle paludi, signora degli animali, protettrice di neonati e bambini e Dea della fecondità. Ricorda Diana, la triplice Dea della vita, della crescita e della morte. Il suo nome deriva probabilmente dalla base mediterranea "mara" che significa "palude".

Nella fase primitiva c'era solo un lucus, privo di edificio templare, probabilmente con un altare graminaceo degli inizi del VII sec.a.c.. Seguirono poi i templi in muratura.

PINETA DI BAIA DOMITIA - LUCUS MARICAE


TEMPIO DI MARICA A MINTURNAE

Il tempio più antico, edificato dagli Aurunci (Ausonui) tramite maestranze etrusche presso Minturno, nel VII - VI sec. a.c. sulla riva destra del fiume, era orientato ad ovest (dove all'epoca doveva scorrere il Garigliano), a circa 400 m dalla foce, ed il primo gradino della scala d'accesso doveva trovarsi a livello dell'acqua, così che si accedeva solo per mezzo di imbarcazioni.

STATUINA ARCAICA DELLA DEA MARICA
Sulla sponda sinistra-Sud si estendeva invece il bosco sacro, il Lucus Maricae a lei dedicato, oggi la pineta di Baia Domizia. Il tempio era costruito con blocchi di tufo grigio provenienti dalle cave a sud del monte Massico (prov. Caserta in Campania)..
La finalità del tempio, collegata alla navigabilità del suo corso, ha condizionato tanto il suo orientamento originale quanto quello di epoca romana e, da questo punto di vista, definisce il tempio di Marìca come anomalo rispetto agli altri edifici templari italici.

Infatti verso la fine del I sec. i Romani dovettero riedificarlo su un podio in opera cementizia eretto sull'antica platea del VI sec. ma con orientamento opposto, cioè verso il fiume, il cui corso, presso la foce, era evidentemente cambiato. Infatti il materiale più antico è in tufo nero, mentre quello romano è un conglomerato cementizio rivestito da mattoni con zoccolo in travertino.
Il tempio venne edificato in antis (mura laterali fino all'altezza delle colonne), con due colonne sul fronte, cella quadrata ed opistòdomo (con cella davanti e tesoreria dietro, ambedue colonnate sui fronti).

«Questo bosco sacro nessuno profani, né alcuno asporti su carro o a braccia ciò che al bosco sacro appartenga, né lo tagli, se non nel giorno in cui sarà fatto il sacrificio annuo; in quel giorno sia lecito tagliarlo senza commettere azione illegale in quanto lo si faccia per il sacrificio. Se qualcuno [contro queste disposizioni] lo profanerà, faccia espiazione offrendo un bue a Giove ed inoltre paghi 300 assi di multa. Il compito di far rispettare l'obbligo tanto dell'espiazione quanto della multa sia svolto dal dicator.»

RESTI DEL TEMPIO DI MARICA PRESSO LA FOCE DEL GARIGLIANO A 500 M DALLA RIVA
Questa epigrafe è della lex spoletina relativa al lucus di Spoleto, ma era anche relativa a qualsiasi lucus, o bosco sacro. Infatti il bosco non poteva essere tagliato e se un ramo cadeva si lasciava a terra, nessun frutto, nessuna bacca poteva essere colta, nè si poteva uccidere o togliere qualsiasi animale dal bosco perchè in quanto abitatore del lucus era anch'esso sacro. 

Si facevano eccezioni per la festa della divinità del lucus, in cui i sacerdoti tagliavano ritualmente dei rami (in genere con un falcetto d'argento) e li donavano ai fedeli che li portavano prima in processione con la statua della Dea e infine alle proprie case, dove il ramo veniva cosparso di olii profumati e infine bruciato ritualmente.

Come si vede nella figura sopra, ancora oggi qualcuno accorre ai resti del santuario della Dea Marica facendola oggetto del proprio culto e offrendole candele rituali. Certi culti restati da sempre nelle campagne furono la causa della Santa Inquisizione che vide la stregoneria in queste manifestazioni.

AFRODITE PONTIA ED ARTEMIDE, SANTUARIO EMPORICO DEA MARICA
ANTIQUARIUM DI FRAGELLAE
Di certo le religioni politeiste furono molto più poetiche, suggestive e mitiche delle severe e cupe religioni monoteiste basate sui doveri e sull'obbedienza. Nelle politeiste i fedele poteva scegliere la divinità che più gradiva e sentiva affine. Le guerre di religione non si fecero mai per le religioni politeiste, ma solo per le monoteiste, piuttosto cupe, intransigenti e molto tese all'acquisizione del potere. A volte però le religioni dovevano la loro durezza non al culto originario ma alla loro interpretazione successiva.

Il poeta Claudius Claudianus (370 – 404) in un suo panegirico, ci informa che il bosco in questione era un querceto (querceta Maricae), probabilmente costituito da Lecci ed alloro. Plutarco ribadisce che qualsiasi oggetto rituale venisse introdotto nel bosco non potesse essere asportato, ed era assolutamente vietato tagliare gli alberi. I romani portavano le offerte nel bosco in genere costituite da primizie, vino ed altri frutti della terra, e piccole statuette votive in terracotta.

Si appendevano ai rami o si poggiavano sulle are, oltre ai nastri votivi, i "satura lanx", cioè le ciotole con il misto di primizie della terra destinate all'offerta per la Dea. Le offerte per La Grande Madre non erano mai cruente perchè anche gli animali erano figli della Dea.

A 26 SECOLI DI DISTANZA LA PIETAS POPOLARE
OFFRE ANCORA CERI ALLA DEA MARICA
I riti per onorare la Dea erano pertanto molto semplici, bruciare un'erba odorosa su un'ara o sugli altri altari improvvisati con rami d'albero, o gettare nell'acqua del fiume o della palude coroncine di fiori oppure le statuette votive in terracotta. Nel bosco i luoghi più sacri erano le sorgenti, le radure, i massi di roccia, le caverne naturali, le cascatelle dei fiumi, gli stagni, gli alberi, una zona satura di funghi, o piante acquatiche, o piante medicamentose. 

Nel traversare un bosco, dopo aver ottenuto il consenso dei sacerdoti, nel raccogliere erbe curative o mangerecce selvatiche, nell'attingere acque a una fonte o nel bagnarsi in un fiume, ci si rivolgeva alla divinità del luogo e le si faceva una preghiera e un'offerta.

Il Lucus era allora circondato da un'estesa e profonda palude, la cosiddetta "palus maricae" che si estendeva su entrambe le sponde del fiume, traversata dal fiume Liri prima di allargarsi alla foce. La palude aveva un significato di morte e di resurrezione, in quanto il suo fondo era limaccioso e pericoloso come il mondo infero. nella palude si nascondeva infatti il lato infero della Dea, a cui era associata sia la vita che la morte, ma anche il ciclo della rinascita.

A Marica vennero associate dai greci campani, cioè della Magna Grecia, Afrodite pontia e Artemide, come si vede dale statuine reperite nel santuario dell'emporio campano.


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