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CASA DEL BRACCIALE D'ORO - (Pompei)

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La casa del bracciale d'oro, una delle più ricche ville urbane dell’Insula Occidentalis di Pompei, detta pure Domus di Marco Fabio Rufo, prende il nome dal ritrovamento di un bracciale d'oro dell'incredibile peso di 610 g composto da un laccio che termina con due teste di serpente, i cui occhi sono rappresentati con pietre preziose, che reggono con la bocca una medaglia con la rappresentazione di Selene.

Un bracciale di peso eccezionale e di ottima fattura, che dimostra anche che la sua proprietaria fosse particolarmente seguace del culto di Selene, un culto più orientale che italico, anche se poi venne assimilato a Diana. Molti sono gli affreschi ritrovati anche se in parte sono stati staccati per ragioni di conservazione.

IL BRACCIALE D'ORO CHE DA IL NOME ALLA VILLA

IL BRACCIALE D'ORO
 
L'armilla, ora al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, è costituita da una verga che termina con due teste di serpente i cui occhi sono composti da pietre preziose. Le teste tengono nelle fauci un disco sul cui è rappresentato un busto di Selene, sormontata da un crescente lunare e da sette stelle, che regge un velo rigonfio a forma di nimbo. 

Questo fu rinvenuto in un sottoscala della domus dove si erano rifugiati due adulti con un bambino in tenera età il giorno dell'eruzione del Vesuvio. Evidentemente uno dei due adulti aveva tentato di salvare il prezioso bracciale, un altro fuggiasco portava invece con sé una cassettina in legno e bronzo con 40 monete d’oro e 175 in argento. Ma naturalmente tutti vi trovarono la morte e i loro calchi sono tutt'ora esposti al museo. 

CASA DEL BRACCIALE D'ORO VISTA DALL'ESTERNO


GLI SCAVI

La casa venne esplorata in epoca borbonica tra il 1758 e il 1763 e di conseguenza senza metodicità e con grande asporto di oggetti. 

Il pianoterra, che ha ingresso dal vico del Farmacista, presenta l’impianto della domus con l’atrio tuscanico fiancheggiato da cubicoli e, sul lato nord, un triclinio dai pavimenti asportati e un’ala che subì almeno tre trasformazioni.

Da cubicolo, con decorazione pavimentale databile in età repubblicana, fu infatti trasformato in ala alla fine del I secolo a.c. come mostra la decorazione in III stile a candelabri. Forse agli inizi del I secolo d.c. divenne un’apotheca e vi fu collocato un armadio sostenuto da una base in mattoni.


Per quanto riguarda il cubicolo, dai tondi spicconati, l’ambiente dovrebbe essere la “picciola camera” ricordata dal Paderni in cui nel 1759 fu rinvenuta una cassetta di legno con 11 denari d’oro tra i quali il noto medaglione di Augusto come provato secondo R. Cantilena dalla descrizione del pavimento in opus sectile di marmo giallo e africano. (“…ci sembra degno di essere qui rammentato un medaglione d’oro di Augusto” da Le Antichità di ercolano, II, Napoli 1760). 

Gli ambienti più esterni del piano erano i tre triclinia, con terrazza a vista panoramica sul golfo, edificati poggiandosi alle mura e sopravanzandole, cosicchè il terrapieno tra le due cortine murarie venne sfruttato per lussuosi ambienti di rappresentanza fin dagli inizi del I sec. d.c.. 

Dopo l'occupazione della città da parte dei veterani di Silla avvennero dei mutamenti. Fatta eccezione per l’ala, gli ambienti mostrano una decorazione in IV stile ma lo sviluppo planimetrico e le decorazioni di II stile del I piano sottostante lasciano supporre che, già in età repubblicana, la Villa fosse articolata almeno su due piani.



LA VILLA

Era dotata di un ingresso di servizio al n. 44 con una scala, posta lungo il muro di confine meridionale, che collegava il pianterreno al primo piano sottostante, poggiato sulle mura. Infatti parte della cortina muraria della città era stata utilizzata come appoggio per il I piano sottostante della casa e dall’altro era stata sfruttata come parete di una ampia cisterna che alimentava il triclinio-ninfeo.

Il I piano sottostante riceveva luce solo dalle finestre degli ambienti termali e dell’ambiente aperto verso occidente, ed è organizzato in triclini, un cubicolo, un altro ambiente e il settore termale. Alcuni di essi conservano le più antiche decorazioni in II stile. 



LE FINESTRE

Per il triclinio, il cubicolo, l’ambiente e la cucina c'erano dunque finestre interne mentre gli ambienti di servizio rimanevano bui per una temperatura costante in tutte le stagioni, visto che erano adibiti a magazzini. Il cubicolo decorato in II stile finale mostra un consistente restauro in IV stile sulla parete nord e nella volta dipinta con cerchi concentrici allacciati.

In origine la cucina e il cubicolo dovevano essere un unico ambiente come si evince dalla volta che è divisa in due tra la cucina e il cubicolo. Forse divisione avvenne in età neroniana, quando tutta la casa venne ristrutturata.

Sulla parete sud della cucina è ancora visibile una porta che conduceva all’ambiente della Casa di Marco Fabio Rufo, decorato in IV stile e attribuito alla cd. Bottega dei Vettii, che comunque  doveva essere stata parte della Casa del Bracciale d’Oro.

Al I secolo d.c. risale l’impianto termale costituito da un tepidarium, un calidarium e un frigidarium con una terrazza affacciata a mare. Tutti gli ambienti del lato ovest subirono consistenti restauri negli anni tra il 1974 e il 1978 a seguito dei quali sono stati fortemente rimaneggiati ma almeno i suddetti ambienti sono riconosciuti dalle suspensurae. 

Nei primi due piani manca una fase giulio claudia che è invece attestata invece nel II piano sottostante. Interessante è la decorazione del triclinio realizzata probabilmente dalla cosiddetta Bottega dei Vettii i cui quadri centrali e i medaglioni laterali sono stati distaccati per ragioni di sicurezza e conservazione.

MATRIMONIO DI ALESSANDRO MAGNO

IL MATRIMONIO DI ALESSANDRO MAGNO

La parete sud mostra al centro il quadro famoso con Alessandro e Rossane, figlia del satrapo di Bactra, da cui all'inizio la villa veniva chiamata “Casa delle Nozze di Alessandro”.  Secondo la tradizione le nozze con Rossane sarebbero state “d’amore” mentre quelle con Statira “politiche”, in quanto Alessandro avrebbe ricevuto con la fanciulla tutta la regione tra l’Ellesponto e il fiume Halys.

Il Moreno l'ha invece letta come il matrimonio tra Alessandro e Statira, figlia di Dario III di Persia, per lo scettro nelle di lei mani. Inoltre l’abito persiano è proprio dei guerrieri che costituivano la scorta dei sovrani achemenidi, i melophóroi, ricostituita da Alessandro non prima del 324 a.c., escludendo così la possibilità che si tratti di Rossane sposata nel 327 a.c. Inoltre i pilastri e le arcate dello sfondo potrebbero essere del padiglione innalzato per la festa nuziale a Susa.

Sulla parete nord dove sono rappresentati, insieme ad un satiro, Dioniso ed Arianna, il Moreno riconosce ancora una volta le nozze regali di Alessandro, questa volta con Parisatide, figlia di Artaserse III Oco, predecessore di Dario.


Tutta la decorazione della triclinio sarebbe dunque l’apoteosi di Alessandro attraverso la rappresentazione delle sue seconde e terze nozze celebrate a Susa nel 324 a.c. Al centro del soffitto, la Nike con trofeo avrebbe sottolineato le infinite vittorie di Alessandro. Tuttavia nella seconda raffigurazione (detta di Dioniso e Arianna) c'è una figura maschile in partenza su una nave che potrebbe invece alludere all’abbandono di Arianna da parte di Teseo.

D'altronde i personaggi principali sono stati abbondantemente assimilati anche ad Afrodite e Ares la cui iconografia si ritrova nello Zeus in trono dipinto nella zona superiore dell’oecus della Casa dei Vettii e nel quale si è riconosciuto l’Alessandro kerauno - phóros di Apelle. (Lagi De Caro, Alessandro e Rossane come Ares e Afrodite in un dipinto della casa Regio VI).

Nel piano più basso della casa e ad essa collegato per mezzo di una seconda scala, sempre posta lungo il muro perimetrale meridionale, si sviluppava un’area verde, sulla quale nel I sec. d.c. vennero aperti degli oeci tricliniari. Questi vennero ricavati sfruttando gli archi sostegno del piano superiore e decorati in III stile con pitture raffiguranti dei giardini dipinti e un ninfeo a mosaico.

Non risultano fasi abitative precedenti l’età imperiale documentata dalle decorazioni in III stile anche se il confronto con le adiacenti case di M. Fabio Rufo e M. Castricio lasciano presupporre che i piani più bassi di tutta l’insula furono, in precedenza utilizzate come aree verdi. 



L'ACQUEDOTTO DEL SERINO

L'acquedotto romano del Serino, detto anche acquedotto augusteo, fu costruito intorno al 10 d.c. per risolvere l'approvvigionamento idrico della città di Napoli. Il percorso della grandiosa opera partiva dalla sorgente del Serino, sull'altopiano irpino nei pressi del monte Terminio, per giungere fino alla Piscina mirabilis, a Miseno, dopo 96 Km. Era una vera e propria rete regionale, che riforniva 8 città e svariate villae: su dieci diramazioni, sette rifornivano le città e tre portavano l'acqua alle villae.

La moda dei giardini si stabilì proprio grazie a questo notevolissimo apporto d'acqua che permetteva non solo di irrigare i giardini ma pure di alimentarne le fontane con acqua corrente. Come detto, anche le ville potevano usufruire tramite pagamento (forse) oppure tramite raccomandazioni (che all'epoca non mancavano).

Infatti il grande triclinio della Villa del Bracciale presenta alle pareti pitture di giardino su uno zoccolo in opus sectile e sul fondo una nicchia-fontana rivestita di mosaici policromi in pasta vitrea e di schiuma di lava per dare l’effetto di una grotta dove scorre davvero e continuamente un getto d'acqua frastagliato dalle escrescenze naturali.

RICOSTRUZIONE DEL NINFEO

IL NINFEO

Durante la stagione estiva i banchetti si svolgevano al piano inferiore della villa, in un lussuoso triclinio aperto su un grande spazio verde rinfrescato dalle acque di un monumentale ninfeo. Questo è bordato da una cornice in aggetto al centro della quale si trova una scaletta di 12 gradini dipinti di azzurro dalla cui sommità scendeva l’acqua che si raccoglieva nella vasca posta nel giardino. 

Le pareti della cascata sono rivestite di “schiuma di lava” che aveva lo scopo di imitare una grotta naturale dalla quale sgorgava l’acqua, in realtà fornita dalla retrostante cisterna che era stata costruita sfruttando l’intercapedine tra le due cortine murarie della città.

Le pitture ed il ninfeo sono state asportate in seguito allo scavo dell’ambiente per cui ne è emerso il disegno preparatorio utilizzato dai decoratori come guida durante l’esecuzione del mosaico del ninfeo. 

La sinopia era una traccia di colore rossastro d'incerta composizione, usato un tempo dai pittori di affreschi per i disegni preparatori, e qui una sinopia mostra alcuni elementi come ad esempio il catino a conchiglia al quale furono aggiunti pendenti terminanti in fiori stilizzati.

Inoltre furono modificate la fascia decorativa ad archetti, che nella sinopia non compare, e la ghirlanda che si arricchisce, nella realizzazione finale, di foglie, fiori e frutti. Lo schema della decorazione pittorica presenta una tripartizione con un settore centrale con nicchia a fondo azzurro e due settori laterali simmetrici. 

I pannelli sono spesso separati tra loro da sottili colonne ornate da nastri e interrotte da medaglioni a fondo nero con figurine volanti o amorini. Essa dava l’illusione di trovarsi sotto un pergolato dal quale si poteva vedere un giardino lussureggiante con uccelli, statue egittizzanti, fontane, maschere, pinakes ed oscilla racchiusi tutt’intorno da un graticcio di canne che in alto forma un timpano e in basso una balaustra. 

Sullo sfondo di uno dei pannelli laterali è dipinta una vasca su alto piede, piena di acqua, ai cui lati si trovano statuine egizie mentre sull’altra sono raffigurate due sfingi di marmo bianco su una base di pavonazzetto poste ai lati di un pinax con il toro Apis. Le piante del giardino dipinto sono realizzate mediante una serie di sfumature cromatiche che rendono profondità e volume. 

Varie tonalità di verde sono infatti utilizzate per dare profondità ai cespugli. La decorazione è stata ricomposta per le pareti sud ed est, mentre della parete nord, schiacciata dal crollo della volta, si è salvata solo la parte inferiore.


Il ninfeo costituiva quindi il fulcro scenografico di uno straordinario triclinio estivo con letti in muratura dietro ai quali si scorge la decorazione pittorica di IV stile. Come è stato già osservato per la decorazione del ninfeo a mosaico anche le pitture in III stile, danneggiate dal terremoto del 62 d.c., furono in parte riparate e in parte sostituite. 

Lo zoccolo e il tratto ovest delle pareti sud e nord mostrano infatti tracce evidenti di un restauro particolarmente evidente nelle sfingi che appaiono goffe e tozze se confrontate con quelle della parete est. Si suppone che i letti in muratura venissero appoggiati allo zoccolo in finto rivestimento marmoreo in IV stile. 

Dinnanzi al triclinio con ninfeo si trova anche una fontana centrale semicircolare con pergola ed è stato possibile grazie ad analisi paleobotaniche ricostruire l’andamento delle aiuole del giardino nonché la tipologia delle piante presenti. Si tratta di due grandi aiuole con un viale centrale mentre sul muro nord le cavità lasciate dalle radici lasciano ritenere probabile la fitta presenza di vite rampicante. 

Le piante reali trovavano quindi una suggestiva continuità in quelle dipinte sulle pareti dell’oecus del triclinio, decorato da bellissime pitture di giardino che, per l’ottimo stato di conservazione dei colori dell’intonaco, nonostante le condizioni di frammentarietà, cui si è ovviato con una attenta e curatissima opera di distacco e ricomposizione realizzata tra il 1979 e il 1983, si pongono al primo posto fra quelle ritrovate nelle città vesuviane.



IL GIARDINO DIPINTO

La decorazione, rinvenuta negli anni ‘70 in numerosi frammenti sotto il crollo della volta, è stata minuziosamente recuperata e ne è riemerso un bellissimo viridarium con diversi tipi di piante, con erme di marmo, muretti elaborati, graticci di vimini ed uccelli di varia specie. Le pareti si aprono così illusoriamente in un giardino colto attraverso una grande finestra che si apre per tutta la sua larghezza.

La fauna e la flora sono rappresentate con grande perizia. Tra gli uccelli si riconoscono l’alzavola che si leva in volo, l’usignolo, la cornacchia grigia, la garzetta; tra le piante gli oleandri, i corbezzoli, il pino e le rose. 

Si pensa che dette piante avessero significato simbolico, ad esempio la palma da datteri, simbolo di vittoria e immortalità; l’alloro, sacro ad Apollo; il corbezzolo, simbolo di eternità; il papavero, attributo di Demetra; il pino, simbolo di fecondità e sacro ad Attis e Cibele; il viburno, consacrato nei trionfi; l’oleandro velenoso simbolo di morte, e la rosa, simbolo di amore e sacra a Venere. 

Anche negli uccelli raffigurati si è riscontrato un significato simbolico, come nel caso della colomba sacra a Venere simbolo della fedeltà coniugale o della coturnice simbolo dell’amore. A noi questa necessità di simbolizzazione non appare così frequente presso i romani, che nelle domus cercavano più la bellezza e la natura, senza ossessioni riguardo ai simboli.

A sinistra di un bacino di fontana zampillante si riconosce l’usignolo poggiato su di una canna utilizzata come sostegno alle rose. Dall’alto pendono degli oscilla con maschere dionisiache. La zona superiore a fondo nero è decorata con paraste rosse dinnanzi alle quali stanno anfore marmoree a rilievo poggiate su alti pilastrini, attraverso i quali si vedono padiglioni a graticcio separati da oscilla o da un pinax a fondo rosso con mascherine di Gorgone o di leone a rilievo.

La parete di fondo presenta una lunetta a fondo nero con quattro colombe presso un bacino dorato colmo d’acqua. La volta conserva tracce della decorazione di III stile imitante un pergolato di rose ed altri fiori dei quali rimangono solo scarsissime tracce visibili nella parte più interna dell’ambiente.

La datazione del dipinto si basa sull’acconciatura giulio-claudia dell’erma di fanciulla con una treccina sul capo, di moda nella prima metà del I secolo d.c. A seguito del terremoto del 62 d.c. la casa venne ridecorata in buona parte in IV stile. Infatti nel 1983 vennero rinvenuti molti frammenti dipinti appartenenti alla decorazione di un ambiente dei piani superiori spicconata e gettata in giardino. Dai frammenti si ricomposero quattro pannelli di una raffinatissima parete del III stile.




LA PARETE DEL III STILE

La parete ricomposta misura 3,10 m con uno zoccolo a fondo nero con piccoli riquadri e una predella con infiniti dettagli decorativi. Sormontata da una fascia decorativa delimitata superiormente da una banda a cuori, quest’ultima presenta al centro personaggi del tiaso dionisiaco che si dilettano con la musica: un vecchio Sileno suona il doppio flauto e una Menade suona la lyra alla presenza di altre due.

Un secondo gruppo presenta una Menade che guarda un satiro che corre portando sul dorso un’altra Menade. Il registro mediano presenta un quadro centrale, su fondo nero, con un personaggio maschile nel quale si riconoscerebbe il poeta Euforione. L'interpretazione però è confutata dalla presenza, a destra, di una figura femminile con tavoletta cerata riflessa in uno specchio di ossidiana o d’argento con cornice d’oro.

Il tratto della parete a sinistra del quadro, dipinto a fondo rosso, mostra uno splendido giardino composto da edere, racemi di vite, bianche rose selvatiche, oleandri, pomi e pigne; dalla fitta vegetazione emergono una testa di Sileno, un flauto di Pan, una situla d’argento e altri oggetti legati al mondo dionisiaco.

In alto è invece stato ricomposto uno scorcio architettonico con esili colonne ioniche oltre le quali svettano porticati che sostengono un architrave decorato con maschere, pantere, grifi, sirene, una figura femminile con cornucopia e colonne alle quali si arrampicano lucertole, lumache e campanule.

Il pannello del registro superiore a fondo giallo era costituito al centro da un quadretto a forma di ghianda a fondo nero con satiro e Menade. Nei pannelli laterali vi erano quadri con ritratti; si conserva quello di destra, nel quale appaiono in primo piano, come affacciati ad una finestra, due personaggi accompagnati da una fanciulla posta in secondo piano.

La giovane matrona indossa un diadema sul capo ed un dittico nella mano, mentre il coniuge veste una clamide rossa e una corona d’edera sul capo. I restanti pannelli presentano un secondo ovale e un frammento della predella di grande raffinatezza dove su fondo nero delimitato in alto da una fascia con motivo cuoriforme spicca al centro un kantharos ai cui lati vi sono cespi vegetali con lepri.



LE LASTRE FITTILI

Sempre in giardino furono inoltre rinvenute una serie di lastre fittili a rilievo, con tracce di policromia, decorate con divinità, girali ed eroti facenti parte di un fregio architettonico. Esse erano state reimpiegate nel muro perimetrale ovest, in parte come riempimento della parete, in parte come ornamento di una parete nel giardino della casa e in parte come copertura della canaletta di scarico del giardino.

Originariamente esse dovevano costituire la decorazione di un piccolo edificio sacro in un fregio raffigurante il mito di Apollo e Marsia oppure una scena dionisiaca. Le lastre avevano una vivace policromia databili al II secolo a.c.

La domus in età repubblicana risalente ai primi decenni del I secolo a.c.. già fruivano di un tratto esterno alle mura in relazione all’utilizzo dell’accesso esterno alle mura (Porta Occidentalis) e ai materiali di carattere sacro riferibili ad un edificio religioso extra moenia dedicato ad una divinità femminile (Minerva Italica).
Tra il 30-35 d.c. e il terremoto del 62 d.c., la dimora fu abbellita  e dotata di ambienti termali. In particolare l’atrio, i triclinia e il cubiculum furono completamente ridipinti e le murature furono ampiamente restaurate in opera vittata.

Nel primo piano sottostante furono realizzati alcuni restauri integrativi mentre nel piano più basso, probabilmente più solido in quanto addossato alle pendici della collina, fu necessario apportare solo qualche riparazione.

Non appaiono in alcun modo modificati, invece, l’ala e l’oecus che conservano la decorazione in III stile. La domus denota quindi un notevole livello di ricchezza e raffinatezza soprattutto nelle pitture di III stile che presuppongono preziosi artigiani.

La ricca famiglia non si impoverì con il disastroso terremoto del 62 d.c., come dimostra il cospicuo nucleo di monete e gioielli fra cui quaranta aurei e centosettanta denari d’argento rinvenuti sparsi, evidentemente in quanto caduti dalla teca di legno nella quale erano custoditi e portata da uno dei quattro fuggiaschi rinvenuti ai piedi della scala che conduceva al giardino.

Proprio uno dei denari d’argento appartenenti al tesoretto ha consentito di stabilire una nuova datazione per l’eruzione del 79 d.c. Infatti l’indicazione del titulus “IMP XV” impresso sulla moneta e ricevuto da Tito non prima del settembre 79 dà l'esatta data della distruzione della città.



Biblio

R. Cantilena - Le Antichità di ercolano (II, Napoli 1760)
R. Ciardiello - Alcune riflessioni sulla Casa del Bracciale d’Oro a Pompei
C. Paderni -  Monumenti antichi rinvenuti ne reali scavi di Ercolano e Pompei delineati e spiegati da D. Camillo Paderni Romano (Napoli - 2000)




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