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BATTAGLIA DI SENTINO

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«Guida le schiere contro i Galli e lava col sangue dei nemici il sangue nostro
(Accio, Eneadi framm. 3)


I PERSONAGGI: 

- Publio Decio Mure (puntò su una tattica offensiva impegnando tutte le sue forze)
- Fabio Massimo Rolliano Quinto (convinto che Galli e Sanniti non fossero avvezzi alle battaglie prolungate, puntò su una tattica difensiva)
- Lucio Cornelio Scipione Barbato (Conquistò la Taurasia, Cisauna, il Sannio, soggiogò tutta la Lucania e liberò gli ostaggi)
- Gellio Egnazio (grande condottiero Sannita)
- Vel Lathites  (grande condottiero Etrusco)

Questi gli uomini che ebbero in mano il destino di Roma. L'Urbe sopportò una delle battaglie più rischiose e cruente della sua storia. In questa battaglia si sarebbe definito il suo destino, perchè come non mai Roma fu qui sola contro tutti, ovvero contro tutte le nazioni.

La battaglia del Sentino, detta anche delle nazioni, si svolse nel 295 a.c., durante la III guerra sannitica, ed ebbe l'esercito romano, con unici alleati i Piceni, contro un'alleanza di popolazioni, composta da Etruschi, Sanniti, Galli Senoni ed Umbri, che una volta per tutte volevano distruggere l'esercito e la città di Roma. Si chiamò "Battaglia delle Nazioni dell'antichità": perchè tutte le popolazioni (o nazioni) del centro Italia furono coinvolte nello scontro, che decise le sorti di tutto quel territorio. Era in gioco il dominio dell'Italia centrale e l'esistenza stessa del popolo Romano.

All'inizio del III secolo a.c. l'Italia centrale era divisa nelle "Nazioni" dei Sanniti nel Sannio, dei Romani nel Latium, degli Etruschi nell'Etruria, dei Piceni e dei Galli Senoni nel Picenum, degli Umbri nel territorio fra il Tevere e il Sannio settentrionale, dei Greci nel sud Italia.

Tra questi stati c'era un certo equilibrio ma Roma grazie alle vittorie sui Latini (340 - 338 a.c.), sui Sanniti nella I guerra sannitica (343 - 341 a.c.), e nella II guerra sannitica (326 - 304 a.c.), e sugli Etruschi (310 - 309 a.c.) lo stava distruggendo a proprio favore.

Allora i Sanniti, impegnati nella III guerra sannitica (296 a.c.) chiesero e ottennero l'alleanza di Etruschi, Umbri e Galli per distruggere Roma. Si formò una coalizione di quattro popoli, che radunò un grosso esercito nel territorio di Sentino. I Piceni, invece, che avevano subito l'invasione dei Galli, si allearono con i Romani fin dal 299 a.c..



L'ACCAMPAMENTO DEI ROMANI

L'accampamento dei romani per la battaglia è descritto sempre da T. Livio:
"I consoli valicato l'Appennino raggiunsero il nemico nel territorio di Sentino; ivi, a circa quattro miglia di distanza, fu posto l'accampamento. L'esercito Romano percorse tale via e giunse nei pressi della pianura dell'odierna Fabriano."

La via di collegamento toccava le località di Civita-Tuficum-Aesis-Sextia e raggiungeva Anconam. Un insediamento romano con alcune ceramiche e reperti preromani sono emersi nei pressi di S.Maria in Campo. Secondo la tradizione nel trivio di S.Croce esisteva un tempio dedicato ad Apollo, quindi si può ipotizzare che la via di comunicazione che l'attraversava era molto antica.



L'ACCAMPAMENTO DEI GALLI

Gli Umbri, gli Etruschi arrivarono sul luogo della battaglia attraverso i passi di Croce d’Appennino, Scheggia e Cagli e potrebbero aver posto gli accampamenti nella piane di S.Cassiano, Molinaccio, Pegliole e Marischio. A questi venne affidato il compito di attaccare l'accampamento romano.

I Sanniti potrebbero essere arrivati dal Molise attraversando i territori dei Peligni, Prestini, Pretuzzi e Piceni e tramite la Via gallica di Firmium, Urbs Salvia, Helvia Recina, Auximum, Aesis, penetrarono nell’area della battaglia. Essi raggiunsero i loro alleati attraverso le valli del Misa, del Cesano o Esino.

I Senoni, già padroni del territorio Sentinate, si schierarono a fianco dei Sanniti, nella stessa area, seguendo le medesime strade sicuramente adatte al transito di carri da combattimento. Ai Sanniti ed ai Galli fu affidato il compito di dare battaglia ai romani sul campo di guerra.


LA I MOSSA ROMANA

Venuti a sapere dei piani dei nemici grazie a dei delatori, i consoli romani fecero attaccare Chiusi da un loro distaccamento che era rimasto presso Roma, ottenendo che gli Etruschi si allontanassero da Sentino, per proteggere la loro città. Un nemico in meno.



PERSONAGGI DELLA BATTAGLIA

DEVOTIO DI DECIO MURE

PUBLIO DECIO MURE

La devotio per la battaglia di Sentino, eseguita dal secondo Publio Decio Mure, viene narrata da Tito Livio, con la formula che il pontefice Marco Valerio suggerisce al console Publio Decio Mure:

"Iane, Iuppiter, Mars pater, Quirine, Bellona, Lares, Diui Nouensiles, Di Indigetes, Diui, quorum est potestam nostrorum hostiumque, Dique Manes, uos precor ueneror, ueniam peto feroque, uti populo Romano Quiritium uim uictoriam prosperetis hostesque populi Romani Quiritium terrore formidine morteque adficiatis. Sicut uerbis nuncupaui, ita pro re publica populi Romani Quiritium, exercitu, legionibus, auxiliis populi Romani Quiritium, legiones auxiliaque hostium mecum Deis Manibus Tellurique deuoueo."

Traduzione:

"Oh Giano, Giove, Marte padre, Quirino, Bellona, Lari, Divi Novensili, Dei Indigeti, Dei che avete potestà su noi e i nemici, Dei Mani, vi prego, vi supplico, vi chiedo e mi riprometto la grazia che voi accordiate propizi al popolo romano dei Quiriti potenza e vittoria, e rechiate terrore, spavento e morte ai nemici del popolo romano dei Quiriti. Così come ho espressamente dichiarato, io immolo insieme con me agli Dei Mani e alla Terra, per la Repubblica del popolo romano dei Quiriti, per l'esercito per le legioni, per le milizie ausiliarie del popolo romano dei Quiriti, le legioni e le milizie ausiliarie dei nemici."



FABIO MASSIMO RULLIANO (QUINTO)

Fu uomo politico e generale romano durante le guerre sannitiche, cinque volte console (322, 310, 308, 297, 295 a.c.) e dittatore nel 315, nonchè figlio di M. Fabio Ambusto. Quand'era ancora assai giovane, nominato magister equitum dal dittatore Lucio Papirio Cursore (325), attaccò battaglia, contro il suo divieto, riportando sui Sanniti una splendida vittoria.

Condannato a morte dal dittatore, sfuggì al supplizio grazie alle minacce dell'esercito e alle suppliche del popolo e del vecchio padre. Trionfatore dei Sanniti nel 322 a.c., fu da loro sconfitto durante la dittatura del 315 al passo di Lautule, presso Terracina; ma, rieletto console, sorprese gli Etruschi con un'ardita marcia attraverso la Selva Ciminia e li costrinsero a ritirarsi dalla guerra, dando così inizio alla fase offensiva della II guerra sannitica, cui partecipò, come console, nel 308 a.c.

Censore nel 304, limitò la riforma d’Appio Claudio sulle iscrizioni dei cittadini alle tribù; negli ultimi due consolati combatté validamente la grande lega antiromana dei coalizzati della III guerra sannitica e, insieme con Decio Mure, vinse la decisiva battaglia di Sentino. Ebbe gli onori del trionfo e, primo dei Fabi, ricevette il soprannome di Massimo.



LUCIO CORNELIO SCIPIONE BARBATO

Console nel 298 a.c., guidò l'esercito di Roma alla vittoria contro gli Etruschi nei pressi di Chiusi e Volterra. Membro della nobile famiglia romana degli Corneli, fu padre di Lucio Cornelio Scipione e di Gneo Cornelio Scipione.
Il suo sarcofago, che ora si trova nei Musei Vaticani, mantiene intatta il epitaffio, scritto in latino arcaico:

CORNELIVS• LVCIVS• SCIPIO• BARBATVS• GNAIVOD• PATRE
PROGNATVS• FORTIS• VIR• SAPIENSQVE—QVOIVS• FORMA•
VIRTVTEI•PARISVMA.FVIT.CONSOL .CENSOR•AIDILIS•QVEI
•FVIT• APVD• VOS — TAVRASIA• CISAVNA . SAMNIO• CEPIT.
SVBIGIT•OMNE.•LOVCANA•OPSIDESQVE•ABDOVCIT.

"Cornelio Lucio Scipione Barbato, generato da Gnaeus suo padre, uomo forte e saggio, la cui apparenza era in armonia con la sua virtù, che fu console, censore e edile fra voi. Conquistò la Taurasia, Cisauna, il Sannio, soggiogò tutta la Lucania e liberò ostaggi."

Il suo titolo di censore del 280 a.c. è il primo di cui abbiamo una testimonianza affidabile, malgrado tale magistratura fosse già da molto tempo in vigore.



GELLIO EGNAZIO

Condottiero Sannita, fu l’ideatore della lega Italica, un’alleanza armata contro Roma. Non era facile riunire Etruschi, Umbri, Sanniti e  Galli, inoltre i Galli Senoni erano mercenari pronti a combattere per chi li pagava meglio. L’idea di G.Egnazio fu di spostare il conflitto dal Sannio, ormai accerchiato dai Romani, nell'Italia centrale e affrontare il nemico con un forte esercito Italico.

Tito Livio narra: “Mentre si conducevano diverse operazioni nel Sannio,una grossa guerra viene scatenata contro i Romani in Etruria da molte popolazioni,per istigazione del sannita G.Egnazio. Alla guerra si erano rivolti tutti i Tusci, i vicini popoli dell’Umbria e con la promessa d’un compenso si sollecitavano aiuti dai Galli.Tutta quella moltitudine si era radunata presso il campo dei Sanniti”.


Con una stupefacente marcia dal Sannio, Gellio Egnazio, con l'aiuto di un altro abile Comandante Sannita Minazio Staio, riuscì ad eludere la sorveglianza dei romani e raggiungere gli alleati, stanziati in Umbria. Si ebbe subito una clamorosa sconfitta dei romani guidati da Cornelio Scipione Barbato ad opera dei Galli e solo lo scoordinamento italico impedì a Gellio di sfruttare la situazione

Mario Egnazio, generale sannita durante la guerra sociale sconfisse presso Camerino la legione romana del propretore L. Cornelio Scipione Barbato. Dopo aver sconfitto presso Teanum Sùlicinum il console L. Giulio Cesare, prese per tradimento Venafro uccidendo due manipoli di soldati romani. Ma nell'89 a.c. Gaio Cosconio, dopo aver devastato i territori di Larinum, Asclum (Ausculum) e Venusia uccise il condottiero sannita.




VEL LATHITES

Durante la III guerra sannitica, nel corso di scontri tra gli eserciti romani e quelli della coalizione etrusco-umbro-gallo-sannita (298-295 a.c.),Tito Livio si sofferma sulla grave sconfitta subita dai Romani presso Chiusi (nel 295 a.c.): l'intera legione comandata dal propretore Lucio Cornelio Scipione (console del 298 e bisnonno di Publio Cornelio Scipione, il vincitore d’Annibale) fu annientata dai mercenari galli al soldo degli Etruschi. È probabile i Galli abbiano agito sotto il comando etrusco; del resto lo scontro si svolse in piena Etruria.

Tuttavia, poco dopo, un altro contingente romano, con abile mossa diversiva, prese a saccheggiare gravemente il territorio chiusino, costringendo l'esercito della lega etrusca a muoversi «dal territorio di Sentino per difendere il loro paese” abbandonando le schiere gallo-umbro-sannitiche poco prima dello scontro decisivo. Grazie a questa mossa i Romani ottennero la clamorosa vittoria sui Sanniti, nella battaglia di Sentino in Umbria (295 a.c.).

Gli Etruschi, pur non avendo "partecipato" all'eccidio di Sentino, furono indotti, dopo altri scontri di secondaria importanza, alla stipulazione di una tregua quarantennale (294 a.c.), implicante la clausola del pagamento (a Roma) di una penale di cinquecentomila assi per ciascuna città della lega (Livio, 10,37). Nella battaglia di Sentino, Vel Lathites potrebbe, come capo della lega etrusca, aver comandato l'esercito etrusco “nella battaglia romana” de1 298-295 a.c.

Helmut Rix ha correttamente riconosciuto in Vel Lathites un appartenente alla famiglia Leinies di Volsinii; il suo gentilizio "Lathites" indica verosimilmente che egli fu adottato dai Lathites (scritto anche Latithes o Latites) di Chiusi. Dunque Vel Lathites era, di nascita, un Leinies: ecco perchè il suo elogio funebre si trova scritto nel sepolcro gentilizio di quest'ultima famiglia, a Volsinii (la Tomba Golini I). In etrusco Lars significava 'capo militare', 'guerriero', 'coraggioso' (infatti Laran è il nome etrusco del Dio Marte; sulla radice lar- si formano i prenomi etruschi Larth e Laris).




LE AZIONI DIPLOMATICHE ETRUSCO ROMANE

L’operazione dei Romani nel devastare i territori nemici fu un segnale di avvertimento alle classi sociali etrusche filo romane che dovevano disimpegnarsi dalla Lega e collaborare con la politica di Roma per non perdere i poteri acquisiti nel territorio etrusco.

Narra Tito Livio che nel 311 a.c. tutti i popoli d'Etruria, tranne gli Aretini, presero le armi e posero l'assedio a Sutri, già città etrusca, ma allora colonia romana (dal 383 a.c.) e "ingresso dell'Etruria". Nel 310 i Romani inflissero una pesante sconfitta alle truppe etrusche con 60.000 nemici uccisi o fatti prigionieri.

Subito dopo da Perugia, Cortona e Arezzo, che a quel tempo erano come le capitali dei popoli d'Etruria, furono inviati ambasciatori a Roma con richieste di pace, ottenendo una tregua trentennale.

Nel 294 a.c., alla fine di una serie di scontri tra Roma e la coalizione gallo-etrusco-sannita di Volsinii, Perugia e Arezzo, ottennero una tregua quarantennale e un trattato di alleanza, essendo però comminata a ciascuna di loro un'ammenda di 500.000 assi, per la parte che avevano avuto nella recente guerra.




LA BATTAGLIA

La battaglia di Sentino è narrata dalle fonti antiche dagli storici Polibio II,19,6; Tito Livio X, 17-30 e Frontino Strat. 1, 8, 3. Il più dettagliato è quello di Tito Livio che descrive il conflitto con toni drammatici:

Si tennero quindi delle consultazioni fra gli alleati, e si convenne di non congiungere tutte le forze in un solo accampamento e di non scendere a battaglia contemporaneamente; i Galli si unirono ai Sanniti, gli Etruschi agli Umbri. Venne fissato il giorno del combattimento; alla battaglia furono destinati i Sanniti e i Galli; gli Etruschi e gli Umbri ebbero l'incarico di assalire il campo romano proprio nel mezzo del combattimento.

Guastarono questi piani tre disertori di Chiusi, i quali durante la notte passarono al console Fabio e gli rivelarono i progetti dei nemici; essi furono quindi congedati con dei doni, perché continuassero a spiare e riferissero qualunque nuova decisione venisse presa. I consoli scrivono a Fulvio e a Postumio di fare avanzare i loro eserciti, rispettivamente dal territorio dei Falisci e dall'Agro Vaticano, verso Chiusi e di devastare con estrema violenza il paese dei nemici. La notizia di tale devastazione indusse gli Etruschi ed Umbri ad allontanarsi dal territorio di Sentino per difendere il loro paese”.

SCHIERAMENTO
Lo scontro fu molto violento, tanto che nella prima fase della battaglia i Romani ripiegarono verso i loro accampamenti essendo stati sorpresi dalle forti urla dei Galli e dalla veloce avanzata dei loro carri da guerra. La cavalleria Romana si spaventò, indietreggiò disordinatamente, fino a travolgere la stessa fanteria che volgeva all'attacco. I carri dei Galli fecero una strage della fanteria avversaria presa di sorpresa.

Il console D. Mure tentò invano di fermare i suoi militi in fuga e visto che la situazione volgeva al peggio, decise di sacrificarsi facendo voto di morte gettandosi nella mischia, dove rimase ucciso. Questo sacrificio arrestò la ritirata dei Romani e la furia dei Galli fu contenuta. In realtà, a fermare gli avversari non fu il sacrificio di D. Mure, ma la stanchezza sopraggiunta ai Galli dovuta al clima estivo; infatti, la battaglia si svolse nel mese d’Agosto.

L'impeto dei barbari si attenuò: essi cominciarono a retrocedere travolgendo con i loro carri i propri guerrieri che battevano in ritirata. In quel difficile momento vi fu anche una forte resistenza da parte dei legionari Triari che erano molto esperti nel superare situazioni critiche. Essi entrarono in combattimento in un secondo momento ed essendo freschi ed esperti, spezzarono lo slancio degli alleati.

PRIMA FASE
I romani presero il sopravvento e spinsero i nemici verso i loro accampamenti. Incalzati da Fabio e dalle sue legioni, con una travolgente avanzata esse arrivarono fino agli accampamenti dei Sanniti e dei Galli. Nonostante una resistenza disperata, il campo dei Sanniti fu espugnato. Il loro duce Gellio Egnazio cadde nella difesa.

I Galli furono assaliti alle spalle e sterminati prima di arrivare al loro accampamento. I Romani ottennero una strepitosa vittoria che ebbe i dolorosi costi di 25.000 morti fra i Galli e i Sanniti, 8000 prigionieri e circa 8700 caduti Romani.

A dimostrare che questa può essere annoverata fra le più grandi battaglie dell'epoca, le spoglie dell'eroe Romano D.Mure furono ritrovate dopo due giorni di faticose ricerche come ci fa sapere T. Livio. In considerazione dei caduti d’entrambi i fronti, dei prigionieri da parte Romana si può presumere che le forze in campo fossero molto elevate. Infatti, fu una battaglia dove scesero in campo notevoli forze di fanteria,cavalleria e carri che richiedevano una pianura molto vasta e quella
di Fabriano era la più idonea per tali manovre militari.

«In quella giornata vennero uccisi 25.000 nemici, mentre i prigionieri catturati ammontarono a 8.000. Ma la vittoria non fu certo priva di perdite, visto che tra gli uomini di Decio vi furono 7.000 caduti, tra quelli di Fabio più di 1.700
(Livio, Ab Urbe condita libri, X, 29.)

SECONDA FASE

I BUSTA GALLORUM

Nel luogo del massacro si ritrovarono un numero così elevato di morti che per i Galli fu necessario innalzare delle pire. I cumuli di ceneri (Busta Gallorum) furono talmente numerosi che lasciarono traccia nei secoli, forse con varie esagerazioni.

Si usava nelle battaglie, dopo aver spogliato i cadaveri, di ammucchiarli a centinaia dentro le fosse naturali o artificiali, poi si riempivano le fosse di legname e gli si dava fuoco. Per personaggi particolari d’alto grado era utilizzata la cremazione diretta o indiretta. Una volta istituita la sepoltura monumentale sul posto c'era la deposizione del corredo, connessa al rito di sepoltura, entro la fossa e diversificato in base alla ricchezza del defunto.

Fra i vari oggetti della sepoltura v'erano, vasellame di diverso tipo, la moneta, quale “obolo di Caronte”; la lucerna per illuminare il viaggio nell'aldilà; il balsamario in vetro per gli unguenti. Oggetti più personali, potevano invece essere indossati dal defunto fin dal momento del funerale.

FASE FINALE

GOTI E BIZANTINI

Procopio, nel racconto sullo scontro decisivo tra i Goti e Bizantini avvenuto nel 552 d.c. riporta che le parti si affrontarono nei pressi dei " Busta Gallorum", nel crematoio dei Galli:

"Le forze romane al comando di Narsete misero poco dopo anche loro il campo sull'Appennino: Stavano ad una distanza di circa 100 stadi da quell’avversario, in una posizione pianeggiante ma circondata da molte alture assai vicine, dove si narra che una volta Camillo, generale romano, vinse e distrusse in battaglia una moltitudine di Galli.

Di questo fatto la località porta tuttora la testimonianza nel nome, serbando memoria del rovescio dei Galli: si chiama Busta Gallorum. Busta è il nome che i Latini danno ai resti della cremazione. E ci sono moltissimi tumuli, in cui furono sepolti i cadaveri."

Lo storico fa riferimento all’offensiva di Camillo del 390 a.c. quando secondo alcune fonti inseguì i Galli fino alle vicinanze di Pesaro. Questa affermazione fa presumere ad un errore di Procopio che non era informato sull’accaduto della battaglia di Sentino avvenuta proprio nelle vicinanze di Tagina, e combattuta dai consoli Decio e Fabio nel 295 a.c.

Nel conflitto del 390 a.c. secondo T. Livio i Galli furono massacrati, vicino alla capitale, in una località chiamata Carinae, situata a nord ovest dell'Esquilino. Servio invece scrive che Camillo, giunto a Roma dopo che i Galli erano partiti, li inseguì e dopo averli raggiunti presso Pesaro, li attaccò, li sconfisse e recuperò l'oro del riscatto. A quale fonte aveva attinto Procopio?

In ogni caso la sconfitta dell’Allia e il saccheggio del Campidoglio fu catastrofico: l'esercito romano dovette essere travolto in campo aperto e subire perdite gravissime. Di questo disastro narrarono diversi storici greci del IV secolo: Filisto, Eraclide, Pontico, Teopompo e perfino Aristotele.
La località secondo Varrone è definita Busta Gallorum (De Lingua latina, V,157), l’ossario dei Galli, ammassati dai Romani. Secondo altri, i morti furono ammucchiati dagli stessi Galli durante la pestilenza.

A Roma nelle vicinanze di Tor de' Conti sul Vicus Cyprius s'incontra la piccola Chiesa di S. Andrea detta in Portogallo. Nome corrotto e si vuole che fosse il luogo, che i romani chiamarono Busta Gallica da quando Furio Camillo ordinò, che i corpi dei Galli Senoni uccisi sotto il Campidoglio fossero in questo luogo bruciati. Però tra Portogallo e Busta Gallorum ce ne corre parecchio e la cosa
appare poco credibile.

Procopio descrivendo i tumuli dei sepolcreti dei Galli, ancora visibili al tempo del confronto tra Totila e Narsete, cosa poco probabile per i secoli trascorsi (800 anni!) potrebbe aver scambiato tali cumuli con le tombe picene a tumulo, che erano numerose nella piana di S.Maria, nella stazione ferroviaria e in altre aree.



IL TEMPIO DI GIOVE

Il console Fabio, dopo la battaglia, bruciò in voto a Giove vincitore le spoglie nemiche ed eresse in suo onore un tempio. Di fronte a Bastia - nella località Molinaccio - al disopra dell'odierno bivio della strada diretta a Roma, esiste un'altura chiamata "Campo della Vittoria" dove negli anni passati sono stati ritrovati resti di capitelli, colonne e altri ruderi di un tempio. Purtroppo tali reperti sono andati perduti.

Altri ritrovamenti perduti erano nei pressi della chiesa di S.Maria in Campo, ma il tempio potrebbe essere stato eretto sopra al monte Civita, un monte sacro per gli Umbri. Anche qui sono stati rinvenuti reperti archeologici oltre a due cisterne d’acqua scavate sulla roccia.



LE ALTRE PIANURE

SOLDATO SANNITA
La città romana di Sentino si trovava nel pianoro roccioso di S. Lucia di Sassoferrato, circondato da dirupi naturali nel cui fondo scorrevano i fiumi Sentino e Marena.

Essa rappresentava un passaggio obbligato per chi proveniva da ovest (Scheggia) o sud ovest (Fabriano) diretto verso la costa adriatica.

I Romani per arrivare a Sentino potevano percorrere la via della Scheggia che s’inoltrava nell'impervia gola del Corno, via pericolosa, poiché  attraversava i confini della Senonia.
Un’alternativa poteva essere la via di Camerino ovvero l’antico tracciato Piceno (futura Protoflaminia).

Un esercito, trovandosi alle porte di una città difesa dai Celti e dagli Umbri con una struttura fortificata ed in assetto di guerra doveva necessariamente assediarla, ma per quanto riguarda Sentino, non è minimamente accennato da Tito Livio.

Supponendo la posizione della città umbra vicina alla piana della Tovaglia, di S. Croce e Serragualdo, situate nel cuore del territorio gallico, sarebbe stata sicuramente attaccata e distrutta.

Non avendo alcuna notizia da T. Livio sull'assedio della città, si può dedurre o che la città umbra non era a S. Lucia o i Romani hanno affrontato gli alleati lontano dalla città ovvero a sud dell'Agro Sentinate, nella piana di Fabriano, senza coinvolgere Sentino.

Esaminate le aree pianeggianti esistenti nel territorio Sentinate, le pianure fabrianesi di S.Maria e del Maragone potrebbero essere state per la loro ampiezza e la natura del terreno le più idonee per il confronto tra i due eserciti.

(tratto da Federico Uncini)


L'ESPANSIONE ROMANA POST BATTAGLIA

I FASTI CONSOLARI

Roma celebrò la vittoria di Sentino con i fasti consolari a Roma il giorno 4 Settembre 295 a.c. come riporta T. Livio: “Quinto Fabio, lasciato a Decio il compito di presidiare l'Etruria col proprio esercito, riportò a Roma le sue legioni e ottenne il trionfo su Galli, Etruschi e Sanniti.
I soldati lo seguivano nella sfilata, e nei rozzi canti militari la valorosa morte di Decio fu celebrata non meno della vittoria di Fabio, e tra le lodi rivolte al figlio fu richiamata la memoria del padre, il cui sacrificio e i cui successi in campo pubblico erano stati adesso eguagliati. Dal bottino raccolto in guerra ogni soldato ricevette ottantadue assi di rame, un mantello e una tunica, che in quel tempo erano riconoscimenti militari non certo disprezzabili”.

Un frammento in un dei Fasti capitolini, custodito al Palazzo dei Conservatori, Sala della Lupa Capitolina di Roma, riporta i trionfi di Marco Fulvio Pitino, Gneo Fulvio Centumalo, Quinto Fabio Rulliano (avvenuto il 4 Settembre dell’anno CDLIIX 295 a.c., sui Sanniti, Etruschi e Galli..)
Nelle iscrizioni dei Fasti consolari (Museo della Civiltà Romana, Roma EUR) si notano le nomine dei censori partecipi allo scontro:

CENS.•O.FABIUS•. M.F.N.N. MAXIM. RULLIANUS. P. DECIUS. P.F.O.N.MUS. XXVIII
Rulliano e Decio sono nominati Censori (304 a.c.). A Rolliano viene dato l'appellativo di "Massimo".

O.FABIUS.M.F.N.N.MAXIM.RULLIANUS.IIII. P.DECIUS. P.F.O.N. MUS.III.
Q. Fabio Rullianoe P. Decio Mure, Consoli nel 297 a.c., rispettivamente per la IV e III volta.

O. FAB I US.M.F.N.N.MAXIM.RULLIANUS.V. P.DECIUS O.P.F.O.N.MUS. IIII.OUI.SE.DEVQVIT.

Nell'anno 295 a.c., vengono nuovamente nominati Consoli e vicino al nome di Publio Decio figura che egli si è sacrificato nella battaglia di Sentino.

Per l’evento di Sentino si coniò intorno al 289 a.c. una moneta tramite la zecca del Campidoglio e ripetuta nel 95 a.c. dal personaggio Sentius a ricordo dei duecento anni di quanto avvenuto nella terra delle sue genti.

Francesco Parvini Rosati, professore di numismatica greca e romana all'Università "La Sapienza" di Roma scrive su Archeo:

"Le ultime emissioni sono costituite da dracme e didracme che presentano al dritto un' effigie bifronte laureata giovanile e al rovescio Giove con lo scettro in atto di lanciare il fulmine, in quadriga al galoppo guidata dalla Vittoria. Sotto la quadriga, in una tavoletta, v'è la legenda Roma.
Gli eventi storici ricordati dai due gruppi di emissione sono probabilmente, la grande vittoria riportata dai Romani a Sentinum nel 295 a.c. cui si riferisce la figurazione di Giove che lancia il fulmine su una quadriga guidata dalla Vittoria e la pace tra Roma e i Sanniti nel 290, ricordata dalla scena del "giuramento".

(tratto da Federico Uncini)



LE CONSEGUENZE

Roma dette una terribile lezione agli avversari si che la coalizione sconfitta non venne mai più ripristinata. Dopo Sentino, le città etrusche e quelle umbre stipularono patti federativi, mentre con Celti e Sanniti perdurò lo stato di guerra.

Roma era ormai superiore militarmente alle altre potenze della penisola, anche se pur vincendo, non conquistò dei territori, ma proseguì la sua politica di egemonia sul resto della penisola.

I Piceni, alleati dei Romani vennero liberati della presenza nel nord delle Marche dei Galli Senoni. Successivamente, però, quando videro che i Romani cominciarono a fondare colonie nel loro territorio, cominciarono anch'essi a temere per la propria indipendenza. Quanto ai Galli Senoni, i romani si impossessarono dopo pochi decenni, di metà del loro territorio.


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