IL TESORO DI CANOSCIO - FIG. 1 |
IL TESORO DI CANOSCIO E LE ARGENTERIE ITALICHE DEL VI SECOLO
Di Marco Aimone
"In un atto di donazione scritto all’inizio del VII secolo, il vescovo Desiderio di Auxerre († 621) elencava una lunga serie di oggetti da mensa in argento, suddividendoli fra la sua cattedrale e la chiesa di S. Germano: si trattava di vassoi, piatti, ciotole, brocche e cucchiai, per ognuno dei quali veniva specificato il peso, a volta ragguardevole, e spesso il soggetto dei motivi figurati incisi.
La ricorrenza su queste stoviglie di temi mitologici, forse esibiti con orgoglio sulla tavola di un prelato discendente da una nobile famiglia gallo-romana, dimostra la forza perdurante, nel regno merovingio, della cultura tradizionale greco-romana, una vitale eredità del mondo classico che, in quel caso, si esprimeva attraverso un supporto prediletto nel mondo tardoantico e protobizantino, quello delle argenterie.
Se questo metallo prezioso era stato elevato a simbolo del lusso domestico già nella Roma tardo repubblicana e alto imperiale, a partire dal IV secolo d.c. il suo uso era stato introdotto in due nuovi settori della vita pubblica, quello dei donativi ufficiali (largitiones) e quello delle suppellettili d’altare utilizzate nella liturgia cristiana (vasa sacra), un segno ulteriore della sua affermazione nella vita sociale e culturale del tempo".
La ricorrenza su queste stoviglie di temi mitologici, forse esibiti con orgoglio sulla tavola di un prelato discendente da una nobile famiglia gallo-romana, dimostra la forza perdurante, nel regno merovingio, della cultura tradizionale greco-romana, una vitale eredità del mondo classico che, in quel caso, si esprimeva attraverso un supporto prediletto nel mondo tardoantico e protobizantino, quello delle argenterie.
Se questo metallo prezioso era stato elevato a simbolo del lusso domestico già nella Roma tardo repubblicana e alto imperiale, a partire dal IV secolo d.c. il suo uso era stato introdotto in due nuovi settori della vita pubblica, quello dei donativi ufficiali (largitiones) e quello delle suppellettili d’altare utilizzate nella liturgia cristiana (vasa sacra), un segno ulteriore della sua affermazione nella vita sociale e culturale del tempo".
Dal IV al VII l’Italia ha fornito vari tesori di argenterie, sia di uso domestico, che liturgico-cristiano e, in due soli casi, ufficiale (i missoria per il consolato di Aspar, datato al 434, e del sovrano vandalo Gelimero, re dal 530 al 534).
Tuttavia, per l’Italia sono mancati fino ad ora studi generali, già condotti per altre regioni dell’antico Impero romano, che offrano un quadro interpretativo di questi peculiari materiali archeologici, in merito alle tipologie, alle datazioni, alle iconografie, ai centri di produzione, alla diffusione geografica e cronologica dei ritrovamenti; il riesame di uno dei più importanti complessi di argenterie riferibili ai secoli VI-VII, quello di Canoscio (Pg), ha offerto l’occasione per una più ampia riflessione sugli argenti rinvenuti nella penisola e riferibili al medesimo orizzonte cronologico".
LA STORIA DEL TESORO
Il "Tesoro di Canoscio" designa un gruppo di argenterie scoperto, come di solito casualmente, il 12 luglio del 1935 a Canoscio, frazione di Città di Castello, in Umbria dal mezzadro Giovanni Tofanelli, che avendo informato altri del ritrovamento, procurò il sequestro della maggior parte dei manufatti, dopo soli quattro giorni, da parte dei Carabinieri Reali.
Inoltre i carabinieri ispezionando la buca nel campo, recuperarono vari frammenti d’argento, probabilmente appartenenti al grande piatto che copriva gli oggetti, gravemente danneggiato al momento della scoperta.
Ma le cose non finirono qui, perchè ne seguì un complicato processo per stabilire a chi spettasse la proprietà, finchè nel 1940 il giudice l’assegnò allo Stato italiano e nel 1949 le argenterie furono definitivamente affidate in custodia alla diocesi di Città di Castello, per essere esposte nel locale Museo del Duomo, loro attuale sede (sala 1).
Viene da chiedersi come mai un tesoro italiano venga affidato a un museo straniero (Vaticano), che fa pagare 6 euro per visitarlo, dopo che lo stato stesso ha pagato i lavori per ampliare e praticamente fare da capo il museo.
Il "Tesoro di Canoscio" designa un gruppo di argenterie scoperto, come di solito casualmente, il 12 luglio del 1935 a Canoscio, frazione di Città di Castello, in Umbria dal mezzadro Giovanni Tofanelli, che avendo informato altri del ritrovamento, procurò il sequestro della maggior parte dei manufatti, dopo soli quattro giorni, da parte dei Carabinieri Reali.
Inoltre i carabinieri ispezionando la buca nel campo, recuperarono vari frammenti d’argento, probabilmente appartenenti al grande piatto che copriva gli oggetti, gravemente danneggiato al momento della scoperta.
Ma le cose non finirono qui, perchè ne seguì un complicato processo per stabilire a chi spettasse la proprietà, finchè nel 1940 il giudice l’assegnò allo Stato italiano e nel 1949 le argenterie furono definitivamente affidate in custodia alla diocesi di Città di Castello, per essere esposte nel locale Museo del Duomo, loro attuale sede (sala 1).
Viene da chiedersi come mai un tesoro italiano venga affidato a un museo straniero (Vaticano), che fa pagare 6 euro per visitarlo, dopo che lo stato stesso ha pagato i lavori per ampliare e praticamente fare da capo il museo.
Comunque tre manufatti erano sfuggiti ai Carabinieri: un cucchiaio, rimasto presso il santuario di Canoscio (sempre al Vaticano) e riunito alle altre argenterie solamente nel 1984 (cioè ancora al Vaticano); un secondo cucchiaio e un piatto iscritto con i nomi Aelianus et Felicitas, acquistati sul mercato antiquario e dal 1992 conservati presso il Bode Museum di Berlino. Ora vorremmo sapere chi li ha venduti al mercato antiquario, non certo gli scopritori perchè gli oggetti sarebbero già stati sequestrati.
L’alta qualità dei pezzi e le raffinate decorazioni a niello, a doratura o a paste vitree colorate, possono ricollegarsi al gusto prezioso ma piuttosto carico di Teodorico, che negli oggetti preziosi vedeva un forte elemento di prestigio per il proprio regno.
Il tesoro, che pesa quasi 16 kg, comprende 27 oggetti, quasi tutti integri, di cui 25 a Città di Castello e 2 a Berlino (quelli indebitamente venduti), oltre alla base di un piccolo piatto frammentario e a 34 minuscoli frammenti di pareti e orli, conservati a Città di Castello e assegnabili in massima parte al grande piatto danneggiato.
L’alta qualità dei pezzi e le raffinate decorazioni a niello, a doratura o a paste vitree colorate, possono ricollegarsi al gusto prezioso ma piuttosto carico di Teodorico, che negli oggetti preziosi vedeva un forte elemento di prestigio per il proprio regno.
Il tesoro, che pesa quasi 16 kg, comprende 27 oggetti, quasi tutti integri, di cui 25 a Città di Castello e 2 a Berlino (quelli indebitamente venduti), oltre alla base di un piccolo piatto frammentario e a 34 minuscoli frammenti di pareti e orli, conservati a Città di Castello e assegnabili in massima parte al grande piatto danneggiato.
LA COMPOSIZIONE
- Due grandi piatti circolari (metà VI - inizio VII sec.) misurano rispettivamente 62 e 43,5 cm di diametro, ornati al centro da un tondo con iconografie simili: una croce gemmata fra agnelli, la manus Dei e una colomba in alto, i quattro fiumi del Paradiso sotto la croce.
LE COCHLEARIA - FIG. 6 |
- Un catino di 29 cm, (metà VI - inizio VII sec.), anch’esso ornato da una croce iscritta in una corona d’alloro. Sul suo uso si presume fosse offerto agli ospiti del banchetto colmo di acqua e petali di fiori per detergere le mani tra una portata e l'altra.
- Due piatti di 16 cm ciascuno, con bordo rialzato e sagomato, che recano incisi e niellati sicuramente i nomi di due sposi, Aelianus et Felicitas (fine V inizi VI sec.), probabilmente un dono nuziale offerto a due sposi secondo l’uso dello scambio fra aristocratici di piccole argenterie, cui fa cenno Quinto Aurelio Simmaco in una sua lettera.
- Quattro coppe (fine V inizi VI sec.), tre dal profilo svasato e una di forma globulare con le superfici esterne solcate da costolature radiali: le tre più grandi erano chiuse da coperchi con manico, di cui solo due conservati. Sicuramente non servivano per bere ma per contenere condimenti e salse, non a caso avevano coperchi, e di cui i romani facevano ampio uso soprattutto nei banchetti.
- Dieci cucchiai del tipo a cochlear, (metà VI - inizio VII sec.) con piattello ellittico e manico sottile, suddiviso in quattro sottotipi caratterizzati da differenze formali secondarie: quello più riccamente decorato, del tipo Antiochia, è ornato sul piattello da un pesce reso con vivace gusto naturalistico. Si suppone che i differenti cochlearia fossero posate individuali che attraverso attraverso differenze formali e di peso, sottolineassero una certa gerarchia del simposio data da personaggi più o meno importanti.
- Un cucchiaio con profondo scodellino semisferico, del tipo a ligula con manico tornito e balaustrino terminale. I cucchiai dal grande piattello emisferico stranamente non hanno riscontri al di fuori della penisola, e possono essere datati entro la prima metà del VI sec.
- Un colino (fine V secolo - inizio VII sec.) con piattello ellittico e manico ad anello terminante a collo di gru, probabilmente usato dagli inservienti coppieri per filtrare il vino nei bicchieri degli ospiti.
- Un altro colino (sempre fine V secolo - inizio VII sec.)con profondo piattello semisferico, fori che compongono un disegno floreale e manico lavorato a tortiglione, anche questo probabilmente usato dagli inservienti coppieri per filtrare il vino nei bicchieri degli ospiti.
COLINO - FIG. 8 |
ARREDI SACRI O PROFANI
Dato il gran numero di motivi cristiani presenti sugli oggetti, e la ricchezza del metallo, fece presupporre al loro primo editore, mons. Enrico Giovagnoli, che si trattasse di suppellettili per la liturgia eucaristica.
Con una certa fantasia propose per ciascun pezzo un nome latino e un uso nella celebrazione della messa, mentre sulle iscrizioni, ipotizzò un’origine africana legata ad un culto di martiri locali. L'interpretazione dovette piacere parecchio, perchè condizionò senza eccezioni, l’interpretazione dei tesori scoperti successivamente in Italia, quelli di Canicattini Bagni (1938), di S. Michele Maggiore di Pavia (1962) e di Classe (2005), considerati dai rispettivi editori tesori liturgici o comunque appartenuti a chiese, quasi che, nell’Italia di VI e VII secolo, non esistessero le argenterie domestiche.
LE QUATTRO COPPE - FIG. 4 |
Viene peraltro da rimarcare che dal tesoro umbro sono assenti sia calici che patene, presenti invece nei tesori effettivamente liturgici, come quello di Galognano, l’unico di questo genere finora scoperto in Italia. Al contrario, i tre grandi piatti hanno il profilo caratteristico dei missoria da mensa, con fondo concavo (lances) e con fondo piano (missoria plana), che servivano per imbandire sulle mense tipi diversi di carne e di pesce, (come riportato del De re coquinaria) attestati poi da numerosi esemplari nei tesori di Kaiseraugst, Cesena, Mildenhall e Sevso (metà-fine del IV sec.).
L’occultamento del tesoro deve essere avvenuto nel corso del VII secolo, forse in seguito alle guerre che, per più decenni, coinvolsero Bizantini e Longobardi, in lotta per il possesso dei centri fortificati lungo il famoso percorso a corridoio che collegava Roma a Ravenna attraverso gli Appennini Tutto ciò fa supporre una sopravvivenza fino alla fine del VI secolo della tradizione del simposio romano, dove la produzione di pregiate stoviglie domestiche continuò almeno fino alla metà del VII secolo.