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IL PARTO NELL'ANTICA ROMA

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SULLA FECONDAZIONE

Secondo Aristotele l'embrione era il risultato dell'azione dello sperma, o meglio della sua parte dinamica e incorporea, sul sangue mestruale femminile. Lo sperma rappresentava il principio del movimento e della vita: esso infondeva l'anima nella materia inerte del sangue, alla quale era riservato unicamente il compito di nutrire l'embrione.

Per l'atomismo greco invece, che risaliva a Democrito e a Ippocrate, il fluido seminale proveniva da tutte le parti del corpo dei due genitori e solamente in seguito era convogliato nei testicoli per dare luogo alla formazione simultanea dell'embrione. 

Per Galeno invece, l'embrione si formava attraverso la fusione del seme maschile e di quello femminile, che erano prodotti dai rispettivi testicoli. Si pensava infatti che le ovaie delle femmine fossero dei 'testicoli' che secernevano un liquido simile allo sperma. E fu Galeno che insegnò la medicina ai romani.




SULLA GESTAZIONE

I romani ritenevano possibile la gestazione di sette mesi, mai otto, più frequentemente nove e anche 10 mesi. Sull'impossibilità della nascita all'ottavo mese dissentiva Varrone, e aveva ragione, anche effettivamente la nascita all'ottavo mese è molto più rara di quella al settimo mese, forse è questa la causa di questa falsa credenza. Naturalmente il computo era presunto e non dimostrabile.

L'imperatore Adriano aveva giudicato un processo contro una donna che aveva partorito all'undicesimo mese, essendo il marito morto all'inizio della sua gestazione. Si sospettava che la donna fosse rimasta incinta dopo la morte del marito, ma Adriano, consultati gli antichi filosofi e sentito il parere dei medici, aveva stabilito che il parto all'undicesimo mese era possibile.



I PERICOLI DEL PARTO

Partorire in età romana era molto pericoloso: il dieci per cento delle donne moriva di parto, spesso per lacerazioni e lesioni irreparabili in un utero troppo infantile per l'estrema giovinezza delle spose, o per emorragia o altre cause.

Ma mentre in Grecia le ragazze andavano spose solo dopo la pubertà, le romane venivano maritate anche impubere, poichè le norme giuridiche fissavano a dodici anni l’età minima per le nozze.

Plutarco spiegò che i Romani le sposavano a quell’età e ancora più giovani per averle vergini nell'anima e nel corpo.

Se il consorte era molto più grande, e spesso lo era, trattavasi di pedofilia legalizzata.

Sorano fece notare che le giovanissime spose romane deflorate precedentemente al primo ciclo mestruale erano in pericolo di vita e con rischio di aborto (sig!).

Ma la diversa "usanza" romana impose al medico di rivedere i suggerimenti.

Per anticipare la pubertà consigliò alle ragazze un esercizio fisico più moderato ed un regime alimentare leggero.

Naturalmente non è vero che le ragazze atletiche sviluppino dopo, si sa che l'età delle mestruazioni dipende anzitutto da un filo ereditario, e poi da un filo di localizzazione, ad esempio nei paesi più caldi in genere inizia prima ecc.

Di certo chi deflorava una dodicenne era un pervertito, tanto che in alcuni casi il matrimonio non si consumava prima di una certa età, prova ne sia che Augusto ripudiò la giovanissima moglie rimandandola ai genitori con un documento che la assicurava assolutamente vergine.

Per questo in età imperiale la donna cercò di limitare le nascite, specie nelle classi più elevate, soprattutto se era riuscita a portare a termine le tre gravidanze dovute. La storia era andata così. Alle donne non andava l'idea di morire di parto per cui evitavano in ogni modo l'avvenimento.



LA CONTRACCEZIONE

Le donne romane usavano pozioni contraccettive ed abortive, con ruta, elleboro e artemisia. Oppure ricorrevano ai rimedi medici come i pessari, cioè tamponi di lana imbevuti di aceto e collocati negli organi genitali.

Ma dovevano farlo spesso di nascosto, perchè anche la decisione sull'aborto spettava al futuro padre che poteva ripudiarle se non era d'accordo. La maggior parte dei medici rifiutava di assistere aborti, che potevano derivare da adulterio, e in tal caso diverrebbero complici, subendo le stesse pene degli amanti, per cui si ricorreva alle levatrici o a donne esperte.

SEDIA PAPALINA CONSERVATA
IN VATICANO

Se la donna moriva nella pratica abortiva, per un intervento chirurgico fallito, il medico veniva accusato di omicidio. Comunque l'aborto non era punito per sè, ma solo se procurava la morte della donna.

Il calo delle nascite fu così vistoso che l'imperatore Augusto per migliorare la situazione fece due leggi importanti, probabilmente su suggerimento di Livia.

La prima fu che concesse il divorzio alle donne, che prima potevano solo essere ripudiate, rimediando così magari ad un'unione con un uomo troppo vecchio oppure sgradito.

Con la seconda concedette alle donne che avessero compiuto tre gravidanze, andate o meno a buon fine, di poter scegliere se restare sotto l'autorità maritale o liberarsene. Poiché l'autorità paterna sulla donna cessava nel momento in cui ella si sposava, rinunciando all'autorità del marito tornava libera.

Fu una vera rivoluzione e parecchie donne fecero figli solo per questo, poi il cattolicesimo, non molto favorevole al sesso femminile, tolse questa libertà. Infatti la norma successiva prevedeva che la donna domandasse al capofamiglia (l'uomo) l'autorizzazione per comparire in giudizio e per il compimento di atti di disposizione patrimoniale quindi donare, ipotecare o alienare beni immobili, contrarre mutui ecc., diritto che la donna poté riacquistare solo duemila anni dopo, perchè in Italia la ottenne solo nel 1975.


IL PARTO

La puerpera alle prime contrazioni si lavava le mani e si copriva il capo. Invocava Giunone Lucina, o la Dea Carmenta (come Antevorta che presiedeva all'inizio e alla nascita, perchè Postvorta riguardava la fine cioè la morte), o altra Dea, intanto veniva spogliata e sistemata sulla sedia da parto dall'ostetrica.

Perchè i Romani avevano apposite sedie da parto, forate sotto per far colare i liquidi (non per far uscire il bambino come si è supposto) e le maniglie per attaccarsi nella spinta. La sedia papalina fu per lungo tempo la “sedia gestatoria”, cioè d’un sedile da parto per gentildonne, a Roma infatti si usava il "parto seduto".




Venne usata per permettere ai preti di sincerarsi che il papa fosse maschio e non un travestito come la papessa Giovanna (vera o meno che ne fosse la storia), ma in realtà era l'immagine di un antico trono sacerdotale femminile che col foro esaltava la qualità fertile della donna, unica responsabile ed autrice di vita.

D'altronde, in Grecia e oltre, si credette a lungo che il maschio fosse l'unico detentore del seme procreatore e che la donna fosse solo la terra che nutriva la pianta il cui seme unico era posto dal maschio.

A Roma come più o meno ovunque la levatrice era donna:

- Appena seduta sulla sedia gestatoria le schiave portavano ampolle di olio di oliva, cataplasmi, spugne, coperte di lana grezza, e versavano acqua calda nelle catinelle.

- Una schiava abbracciava da dietro lo schienale la partoriente, mentre l'ostetrica sedeva su un basso sgabello sotto di lei, ungendola d'olio d'oliva per rendere più elastica la pelle e facilitare il passaggio.

- Le schiave ponevano sul ventre mani riscaldate e panni bagnati di olio caldo sui genitali.

- Lungo ognuno dei fianchi si poggiava una vescica piena di olio caldo. Queste pratiche, per evitare dolori ma anche le antiestetiche smagliature, non ci sono neppure nelle cliniche moderne.

- Per sedare il dolore si usavano cataplasmi caldi.

- Le spugne asciugavano il sangue delle ferite e l'acqua calda per la pulizia dei genitali.

- Le coperte venivano usate per coprire le gambe della donna, le bende e il cuscino per fasciare e deporvi il neonato.

Plinio avverte che nascere con i piedi in avanti è contro natura e generalmente quanti nascono così sono chiamati "Agrippa" (partorito con difficoltà). I medici romani consideravano grave una presentazione podalica, meno pericolosa, ma anch'essa difficile, la presentazione di spalla.


Un parto cesareo era raro e veniva praticato con un gancio acuminato che estraeva il feto privilegiando la vita della donna su quella del nascituro. La chiesa cattolica poi non fu d'accordo perchè il piccolo avrebbe dovuto salvarsi prima della madre.

Oggi la morale cattolica dice che non ci possono essere privilegi nè per la madre nè per il piccolo, quando però una donna sacrificò la sua vita per far nascere il bambino la beatificò immediatamente.

Ma c'erano neonati che venivano felicemente alla luce anche col parto cesareo, sembra che la dinastia di Cesare provenisse da un capostipite nato col cesareo, vero o meno che fosse, dimostra che i nati col cesareo potevano campare. Evidentemente esistevano altri sistemi per estrarre il neonato.

- La partoriente stringeva le maniglie della sedia da parto e iniziava a spingere.

- Secondo le prescrizioni mediche, l'ostetrica non doveva tenere a lungo lo sguardo sui genitali della donna, ad evitare che per pudore la partoriente si contraesse. Ma questo lo scrissero i medici maschi, perchè le levatrici hanno sempre guardato attentamente, fin dall'età della pietra, e ci mancherebbe altro.

- Tratto fuori il bimbo gli si tagliava il cordone ombelicale, poi veniva controllato e infine lavato.
Quindi si invocavano i vari Dei per la salute del neonato.


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