PALAZZO DI CALIGOLA (sinistra) TEMPIO DELLA VITTORIA (destra) |
Vasi:
"L'altro principale accesso del Palatino si dava col mezzo del clivo della Vittoria, nella di cui parte inferiore, vi stava la porta Romana, secondo la spiegazione di questo nome data da Festo. Questo clivo, con le fabbriche che gli stavano nei lati, si trova tracciato nell'interessante frammento dell'antica Pianta di Roma N. XLVII dal quale si deduce l'epoca in cui fu questa eseguita. Ciò che si trova rappresentato in tale lapide bene si adatta alla località posta nel declivo del colle verso l'Esquilino; ed ivi vicino doveva trovarsi il tempio della Vittoria, dal quale prendeva il nome il detto clivo. Questo tempio, se non era quello registrato tra i primi edifizj della regione ottava nei cataloghi dei Regionarj, stato edificato sotto la Velia, dove prima stava la casa di Valerio Publicola, supponendone un altro sul Palatino innalzato sino dai primi tempi di Roma, non poteva però essere situato al di sopra di costruzioni imperiali, come si è giudicato ultimamente nel trovare ivi traccie di un edifizio rotondo."
Non c'è memoria del restauro di questo tempio e la sua esatta collocazione è incerta. Alcuni identificarono il tempio con le fondazioni rinvenute vicino all'arco di Tito. Esso si trovava senza dubbio nel Clivus Victoriae, e i resti di due iscrizioni dedicatorie, reperite a circa 50 m ad ovest dell'attuale chiesa di San Teodoro potrebbe indicarne la posizione.
Il Clivo della Vittoria (Clivus Victoriae) che gira intorno all'angolo nord del Palatino, passando a fianco della Domus Tiberiana e si collega al clivo Palatino di fronte alla Domus Flavia, era la strada principale che dava accesso al colle Palatino per chi proveniva dal Velabro. Secondo la tradizione il nome deriverebbe dal tempio della Vittoria, un tempio più antico della stessa Roma.
Durante gli anni 204‑191, mentre si stava costruendo il tempio della Magna Mater, la pietra sacra di questa Dea venne custodito nel tempio della Vittoria affinchè il popolo potesse intanto venerarla. La Magna Mater Cibele, avrebbe dovuto, secondo i Libri Sibillini, proteggere i Romani dall'avanzata di Annibale. Nei pressi di questo tempio, come narra Livio, Marco Porcio Catone costruì il tempio di Victoria Virgo.
IL MITO
"Stige, figlia di Oceano, generò, unita a Pallante,
Rivalitàà e Vittoria dalle belle caviglie, dentro il palazzo di lui,
e Potere e Forza generò, illustri suoi figli,
lontano dai quali di Zeus non c’è casa né sede,
né c’è via per cui ad essi il dio non comandi,
ma sempre presso Zeus che tuona profondo hanno la loro dimora"
La tradizione voleva fosse stato costruito da Evandro (Dion. Hal., Ant. Rom. 1.32.5), riedificato poi (oppure costruito di sana pianta) da Lucio Postumio Megello (Livy 10.33.9) con i soldi delle multe che aveva comminato durante la sua edilità, e dedicato il 1º agosto 294 a.c., anno in cui fu console (come concorda anche Livio).
Negli anni 204-191 a.c ospitò il betilo della Magna Mater, mentre il tempio della dea era in costruzione Nei pressi di questo tempio, Marco Porcio Catone costruì il tempio di Victoria Virgo.
Secondo la tradizione virgiliana la città di Pallante sul Palatino faceva parte del regno dell’arcade Evandro e di suo figlio Pallante. Sia Livio (Ab Urbe condita) che Ovidio (I Fasti) narrano di una migrazione dalla città greca di Argo, guidata da Evandro.
La città che questi fondò sul Palatino si chiamava Pallante o Pallanteo, in onore del nonno. Ma il personaggio e la sua città rivestono anche un’importanza che probabilmente esula da quella esclusivamente mitologica. Dal nome della città potrebbe infatti essere derivato lo stesso toponimo di Palatino. La coincidenza poi che le feste “Palilie” si celebrassero nella stessa data della fondazione di Roma può far pensare ad un’ipotesi di accordo e di spartizione del territorio tra la gente di Romolo, stanziata sul Germalo, l’altura settentrionale del Palatino, e quella di Evandro, stabilitasi sul Palatino vero e proprio, più a sud, facendo della Velia, l’altura orientale, probabilmente un'area cimiteriale, come i reperti archeologici suggeriscono.
Gli scavi archeologici effettuati dal 1937 nell’area di S. Omobono, all’incrocio tra le attuali via L. Petroselli e Vico Jugario, hanno portato in luce reperti di origine greca, risalenti alla metà dell’VIII secolo a.c., quindi dell’epoca della fondazione di Roma. Forse le origini argive in cui rientra il mito di Ercole e le antiche aedes degli Argei hanno un fondamento storico.
LA STORIA
Il culto di Victoria crebbe verso la fine della Repubblica, e sia Silla che Giulio Cesare istituirono giochi in onore della Dea. Nella curia del Senato romano, a partire dall'anno 29 a.c. in onore della disfatta di Antonio, c'era un altare con la statua d'oro della Vittoria strappata ai Tarantini. La statua ritraeva un donna alata che portava una palma ed una corona di lauro. La Victoria Augusti fu sotto l'impero la costante divinità titolare degli imperatori. Nel 382, l'imperatore cristiano Graziano decise di fare togliere l'altare dal Senato. Questo fatto oppose in aspra polemica il pagano senatore Quinto Aurelio Simmaco al vescovo Ambrogio di Milano. Vinse la chiesa e la Nike d'oro venne fusa.
LA DEA
Il fatto che Porcio Catone avesse intitolato un tempio alla Victoria Virgo, fa presupporre trattarsi di una Dea Vergine, cioè di una Grande Madre Genitrice, che era sempre vergine pur essendo madre, in quanto, come sottolinea l'imperatore Giuliano nell'Inno alla Madre degli Dei, non ha marito.
Doveva essere perciò una Dea molto antica e quindi un santuario molto antico. Ma di quale Dea si tratta?
Per capirlo ci rifacciamo alla Vittoria greca, alla Nike, con ali, alloro, veste corta e un seno scoperto, come le amazzoni. E' chiaro che si tratta di Dea arcaica, prima che i Greci togliessero il voto alle donne e le obbligassero al peplo, insomma all'incirca nel 2500 a.c. Era una Dea combattiva, tanto è vero che Zeus la pone alla guida del suo carro divino.
LA STRUTTURA
Pertanto il suo tempio doveva essere vagamente greco e dell'VIII sec. a.c., quindi antecedente alla fondazione di Roma, con mattoni di argilla essiccata al sole, con travi in legno strutturale come sostegno e con tetto ordito in legno a falde sensibilmente inclinate. All'esterno aveva un peristilio di sostegni lignei, affinché la cella in materiali deperibili fosse protetta dalle sporgenti falde del tetto, ma anche per conferire maggiore solennità sacrale al tempio. Nel VII sec. a.c. greci ed etruschi si inventarono le tegole di terracotta per la copertura e le colonne divennero di tufo o di pietra per sostenere tanto peso.
Il tempio aveva un podio in opus quadratum (c. 33 x 19 m) e si suppone che in origine fosse esastilo, successivamente periptero con una doppia fila di colonne lungo la facciata (Pensabene 1988, 54-57; id., LTUR).
In epoca imperiale era ancora un tempio tetrastilo sia pure con blocchi e colonne di marmo. Le colonne erano ancora in stile dorico come nel tempio più antico, era innalzato su alto podio cui si accedeva con una lunga scalinata, con due bassi muri ai lati su cui venivano posti bracieri di bronzo e al centro un'ara su cui si svolgevano i sacrifici e le cerimonie,
Negli anni 204-191 a.c ospitò il betilo della Magna Mater, mentre il tempio della dea era in costruzione Nei pressi di questo tempio, Marco Porcio Catone costruì il tempio di Victoria Virgo.
I RESTI |
La città che questi fondò sul Palatino si chiamava Pallante o Pallanteo, in onore del nonno. Ma il personaggio e la sua città rivestono anche un’importanza che probabilmente esula da quella esclusivamente mitologica. Dal nome della città potrebbe infatti essere derivato lo stesso toponimo di Palatino. La coincidenza poi che le feste “Palilie” si celebrassero nella stessa data della fondazione di Roma può far pensare ad un’ipotesi di accordo e di spartizione del territorio tra la gente di Romolo, stanziata sul Germalo, l’altura settentrionale del Palatino, e quella di Evandro, stabilitasi sul Palatino vero e proprio, più a sud, facendo della Velia, l’altura orientale, probabilmente un'area cimiteriale, come i reperti archeologici suggeriscono.
Gli scavi archeologici effettuati dal 1937 nell’area di S. Omobono, all’incrocio tra le attuali via L. Petroselli e Vico Jugario, hanno portato in luce reperti di origine greca, risalenti alla metà dell’VIII secolo a.c., quindi dell’epoca della fondazione di Roma. Forse le origini argive in cui rientra il mito di Ercole e le antiche aedes degli Argei hanno un fondamento storico.
LA STORIA
ALTRI RESTI DEL TEMPIO |
LA DEA
NIKE DI EFESO |
Doveva essere perciò una Dea molto antica e quindi un santuario molto antico. Ma di quale Dea si tratta?
Per capirlo ci rifacciamo alla Vittoria greca, alla Nike, con ali, alloro, veste corta e un seno scoperto, come le amazzoni. E' chiaro che si tratta di Dea arcaica, prima che i Greci togliessero il voto alle donne e le obbligassero al peplo, insomma all'incirca nel 2500 a.c. Era una Dea combattiva, tanto è vero che Zeus la pone alla guida del suo carro divino.
LA STRUTTURA
Pertanto il suo tempio doveva essere vagamente greco e dell'VIII sec. a.c., quindi antecedente alla fondazione di Roma, con mattoni di argilla essiccata al sole, con travi in legno strutturale come sostegno e con tetto ordito in legno a falde sensibilmente inclinate. All'esterno aveva un peristilio di sostegni lignei, affinché la cella in materiali deperibili fosse protetta dalle sporgenti falde del tetto, ma anche per conferire maggiore solennità sacrale al tempio. Nel VII sec. a.c. greci ed etruschi si inventarono le tegole di terracotta per la copertura e le colonne divennero di tufo o di pietra per sostenere tanto peso.
Il tempio aveva un podio in opus quadratum (c. 33 x 19 m) e si suppone che in origine fosse esastilo, successivamente periptero con una doppia fila di colonne lungo la facciata (Pensabene 1988, 54-57; id., LTUR).
In epoca imperiale era ancora un tempio tetrastilo sia pure con blocchi e colonne di marmo. Le colonne erano ancora in stile dorico come nel tempio più antico, era innalzato su alto podio cui si accedeva con una lunga scalinata, con due bassi muri ai lati su cui venivano posti bracieri di bronzo e al centro un'ara su cui si svolgevano i sacrifici e le cerimonie,
Di questo tempio non si hanno più notizie fino al 294 a.c. quando venne ricostruito dal console Lucio Postumio Megello, poi restaurato nella tarda Republica o nella prima era augustana (Pensabene 1988, 55), forse per l'incendio del 3 d.c. (Papi). e in seguito da Caligola.
Sostanzialmente fu identificato al Tempio di Victoria per simili locazione, grandezza, e materiale epigrafico pertinente a Victoria (CIL VI 31059, 31060), includendo frammenti di capitelli corinzi ed altri elementi in travertino, che suggeriscono un restauro verso la fine del I sec. a.c.. (Pensabene, LTUR). Il restauro mantenne lo stesso piano ma aumentò le fondazioni della cella per supportare un colonnato interno, e rimpiazzare le sovrastrutture di tufo con un ordine di colonne corinzie. (Pensabene 1988, 55).
Sostanzialmente fu identificato al Tempio di Victoria per simili locazione, grandezza, e materiale epigrafico pertinente a Victoria (CIL VI 31059, 31060), includendo frammenti di capitelli corinzi ed altri elementi in travertino, che suggeriscono un restauro verso la fine del I sec. a.c.. (Pensabene, LTUR). Il restauro mantenne lo stesso piano ma aumentò le fondazioni della cella per supportare un colonnato interno, e rimpiazzare le sovrastrutture di tufo con un ordine di colonne corinzie. (Pensabene 1988, 55).