LA FACCIATA |
La chiesa sorge intorno all’anno Mille, col nome di Sant’Andrea “infra hortos in Pincis”, nel Liber Censuum di Cencio Camerario del 1192.
Il nome venne poi volgarizzato in “delle Fratte” o “degli arbusti”, come viene menzionata in molti documenti storici, fin dal XII secolo a descrivere un luogo rustico con macchia e rare abitazioni, comunque di tipo rurale.
La zona poggia su costruzioni romane visto che poco più ad ovest sorgeva il Forum Suarum, il grande mercato suino di Roma dove lavoravano molte persone che abitavano in zone adiacenti. Infatti nel chiostro c'è qualche residuo di resti romani.
Sul finire del XII secolo però la zona si presentava selvaggia e solitaria, vi era un modesto oratorio denominato Sant’Andrea infra hortos, che era stato concesso alle monache agostiniane, quindi dalla nazione scozzese e poi dalla Confraternita del Ss. Sacramento, che fu sede nazionale degli scozzesi fino al 1585, quando venne concessa da Sisto V ai Frati Minimi di San Francesco di Paola.
Le precarie condizioni del tempio, però, costrinsero i religiosi ad una totale ricostruzione dell’edificio. I lavori, sovvenzionati dal marchese Ottavio del Bufalo, che abitava poco distante nel palazzo di famiglia, procedettero dilazionati per mancanza di fondi e durarono oltre un secolo.
L'INTERNO |
I marchesi del Bufalo cercarono di bonificare tutta la zona, creando anche le fognature per le acque di scarico che, iniziando da “piazza Grimana” (attuale piazza Barberini), dove si convogliavano le acque putride del palazzo fino al collettore sottostante il Corso, tanto che l’attuale via del Bufalo fu denominata anche “via della Chiavica del Bufalo“.
Ciò aveva permesso alle suore di allestire un "putridarium" che, come si dirà più avanti, prevedrà lo scolo diretto dei cadaveri nella chiavica fino a riversarsi nel "biondo" Tevere, con molta fede ma con scarso senso dell'igiene.
La basilica è anche chiamata santuario della Madonna del Miracolo, perché al suo interno l'avvocato francese di origine ebrea Alphonse Marie Ratisbonne (1814 - 1884), avrebbe avuto un'apparizione mariana il 20 gennaio 1842, miracolo poi riconosciuto dalla Chiesa cattolica, che provocò la conversione dell'ebreo al cattolicesimo, e la conversione degli ebrei era cosa non da poco per il Papa.
La Vergine è infatti raffigurata all'interno della chiesa così come apparve al miracolato Ratisbonne, in piedi, da sola senza il Bambino, vestita in lungo con una fascia, un velo ed una corona tempestata di diamanti, come si addice ad una regina anche se umile ancella. I raggi della grazia lampeggiano dalla punta delle dita mentre si trova sulle nuvole a piedi nudi. L’altare con il quadro è decorato con alabastro e marmo bianco venato di nero e presenta quattro colonne corinzie in marmo verde antico
La chiesa venne ceduta dal papa Sisto V ai Minimi di San Francesco di Paola, perché ne assumessero l’ufficiatura e il governo, fu subito deliberata e intrapresa la totale ricostruzione dell’edificio ormai fatiscente. I lavori, iniziati nel 1604 su disegno di Gaspare Guerra, proseguirono ad opera del Borromini, tra il 1653 e il 1655 e completati successivamente da Mattia De Rossi.
Nonostante tutto la facciata era ancora incompleta al momento della consegna e fu terminata soltanto nel 1826 su progetto di Pasquale Belli, utilizzando un lascito del cardinale Ercole Consalvi. Comunque la chiesa venne edificata in stile barocco su progetto di Francesco Borromini, tra il 1653 e il 1658 mentre la facciata è del 1862 e fu finanziata da Ercole Consalvi, plenipotenziario di papa Pio VII al congresso di Vienna (1826).
I lavori furono affidati all'architetto Pasquale Belli (lo stesso che ricostituì S. Paolo fuori le mura dopo il suo incendio), il quale disegnò la facciata a due ordini sovrapposti, ma con molta sobrietà ed essenzialità.
Inoltre durante i lavori del XVII secolo, Francesco Borromini, il grande architetto della Roma barocca, costruì il campanile a due ordini, con i capitelli del secondo costituiti da erme di Giano Bifronte e la cupola rinforzata da contrafforti diagonali che ricordano la croce di Sant'Andrea, il santo titolare della chiesa.
La basilica oggi presenta una facciata in mattoni a due ordini spartita da lesene e coronata da timpano. Sull’ordine inferiore si apre un portale sormontato da un frontone curvo e dallo stemma dei marchesi del Bufalo (testa di bufalo con anello nelle narici e tra le corna la scritta ORDO), mentre sull’ordine superiore si apre un finestrone.
Tra i due ordini appare la seguente scritta: “TEMPLI FACIES QUAM HERCULES CONSALVI S.E.R. CARD AERE SUO PERFICI ET ORNARI TESTAMENTO IUSSIT ABSOLUTA EST ANNO MDCCCXXVI”, ovvero “La facciata della chiesa, che Ercole Consalvi, Cardinale di Santa Romana Chiesa, a sue spese per testamento aveva disposto che fosse completata e decorata, fu ultimata nell’anno 1826”.
CUPOLA E CAMPANILE
Ambedue opere del Borromini, antesignano del curvilineo stile settecentesco, realizzato a suon di concavo e di convesso, che fece di S. Andrea delle Fratte uno dei suoi capolavori. Il campanile fu portato quasi a termine, ma della cupola fu costruito solo il tamburo, essendo venuto tragicamente a mancare il grande Borromini.
Anche se incompleta, l’opera del Borromini rimane, tuttavia, secondo il Piacentini, ”audace opera, con la sua decorazione architettonica rimasta a mattoni a vista, originalissima nella incessante ondulazione delle superfici e delle cornici, così romana nel taglio largo delle masse e nel bruno colore della terracotta antica”.
Il campanile è un gioiello di architettura borrominiana di rara fattura, con quattro parti tra loro sovrapposte. Si sviluppa infatti sopra un’alta base quadrata, chiusa agli angoli da colonne con capitelli corinzi e sormontata da un‘ampia architrave, poggiando la cella campanaria dalla struttura simile ad tempietto rotondo che ricorda simili antiche costruzioni di Roma e Tivoli.
Le otto colone che compongono il campanile sono unite con muratura, a due a due, lasciando i vani per il moto delle campane. Nelle volute dei capitelli sono inserite teste, di perfetta esecuzione, che sostengono il fastigio.
SOPRA LA SANT'ANNA MORENTE DI SANT'ANDREA DELLE FRATTE SOTTO L'ESTASI DI BEATA LUDOVICA ALBERTONI |
L'INTERNO
Al suo interno l'edificio ha la pianta a croce latina, coperta da volta a botte e con transetto e profonda abside, con un'unica navata dove si aprono tre cappelle per lato. Le pareti, riccamente decorate, ospitano diverse opere di artisti del XVII e XVIII secolo, tra cui il pittore Francesco Cozza, lo scultore Francesco Queirolo, lo scultore Giovanni Battista Maini, il pittore Giuseppe Bottani, l'architetto Paolo Posi, e lo scultore Pietro Bracci.
Entrando dalla porta principale, sul lato sinistro della grande navata, si incontra un altare particolarmente illuminato, sul quale si dice apparve la Vergine Maria. Ma uno degli elementi di spicco dell'arredo della chiesa sono le due monumentali statue con Angeli con i simboli della Passione, opera di Gian Lorenzo Bernini.
La cappella del transetto di sinistra è la Cappella di S. Anna, ideata dai due maggiori artisti che hanno operato a Roma nel Settecento e agli inizi dell’Ottocento, ovvero Luigi Vanvitelli e Giuseppe Valadier. Sull’altare si trova “S.Anna, S.Gioacchino e la Vergine Maria bambina” di Giuseppe Bottani, mentre sotto l’altare, per non smentire il tono cupo della chiesa, vi è la statua di “S.Anna morente”.
L'opera, magistralmente rappresentata con toni tragici di cui non v'è traccia in alcuna tradizione cristiana riguardante sant'Anna, è di Giovan Battista Maini del 1752, bene eseguita ma di cui si ignora il motivo, senonché richiama molto da vicino quella di Gian Lorenzo Bernini che si trova nella chiesa di S. Francesco a Ripa, ovvero “L’Estasi di Beata Ludovica Albertoni“, l'ultima opera scultorea del Bernini, realizzata circa 80 anni prima.
GLI ANGELI
Queste facevano parte dei dieci angeli che il Bernini disegnò per il ponte, ma solo queste due furono eseguite da lui, mentre l’esecuzione delle altre fu affidata ai suoi allievi. Parve non opportuno al Pontefice che questi capolavori rimanessero esposti alle ingiurie del tempo e volle lasciarli nello studio dell’artista a disposizione del nipote Cardinal Jacopo Rospigliosi.
Passarono, poi, di proprietà degli eredi fino al 1731, anno in cui vennero offerti con pia liberalità dal signor Prospero Bernini, nipote del Cavaliere, alla chiesa di S. Andrea delle Fratte, evidentemente in cambio di qualche privilegio.
IL PUTRIDARIUM |
IL PUTRIDARIUM
Poi di sotto dell'altare maggiore e dell'area presbiterale, si trova la cripta; all'interno di essa, vi è l'unico esempio di putridarium della città di Roma. Questo ambiente, anche detto "colatoio dei morti", è un ambiente funerario "provvisorio", in genere sotterraneo, una cripta sotto il pavimento della chiesa, in cui i cadaveri dei frati o delle monache defunti venivano collocati lungo le pareti, seduti su appositi sedili-colatoio in muratura.
Una volta terminato il processo di putrefazione dei corpi, le ossa rimanenti venivano raccolte, lavate e trasferite per la sepoltura definitiva dell’ossario. In alcuni casi sono presenti delle mensole su cui venivano esposti i crani dei defunti. Nel putridarium di S.Andrea sono presenti circa una quindicina di sedili disposti lungo i tre lati più lunghi.
Nel 1594 i Minimi acquistarono da Costanza Lupis un terreno per la costruzione dell’ala del convento dopo la sagrestia e nel 1604 veniva iniziato, su disegno di Gaspare Guerra, il chiostro, al quale si può accedere dalla chiesa oppure dal portone del convento adiacente alla facciata.
Le lunette sotto i portici vennero decorate con una serie di affreschi che raffigurano la “Vita di S. Francesco da Paola“, realizzati, nel corso del XVII secolo, da più artisti ed in tempi diversi. Dopo il 1870 anche questo convento venne confiscato dallo Stato Italiano e venne utilizzato come scuola elementare e come caserma; per un periodo ospitò anche alcuni uffici della Questura. Dopo la Conciliazione tra Stato e Chiesa una parte ritornò ai Minimi, l’altra invece è ancora occupata da uffici del Ministero della Difesa.
Nel putridarium si poteva osservare il continuo modificarsi dell'aspetto esteriore del cadavere, che cedendo progressivamente le carni in disfacimento, materia contaminata e contaminante, si avvicinava sempre più alla completa liberazione, lasciando scorgere le ossa, simbolo di purezza, in quanto priva, o quasi, di elemento acqueo che potesse produrre movimento di liquidi.
Con detto macabro procedimento si intendeva rappresentare visivamente i vari stadi di dolorosa "purificazione" affrontati dall'anima del defunto nel suo viaggio verso l'eternità, accompagnata dalle costanti preghiere di confratelli o consorelle.
IL CHIOSTRO |
Il cortile interno, dove si estende un ordinato e verdeggiante giardino, è circondato da quattro lati di portici, con colonne doriche però non di marmo ma di travertino, infatti coi segni del tempo, che sorreggono le arcate a tutto sesto: queste ultime sono nove nei lati lunghi e sette nei corti.
BIBLIO
- V. Zanchietti, "Il tiburio di Sant'Andrea delle Fratte: propositi e condizionamenti nel testo borrominiano," - Annali di archittetura - 1997 -
- Salvagnini, Francesco Alberto - La Basilica di S. Andrea delle Fratte: santuario della Madonna del Miracolo - Roma - 1967 -
- Mariano Armellini - Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX - Roma -1891 -
- Christian Hülsen - Le chiese di Roma nel Medio Evo - Firenze - Sant'Andrea delle Fratte - 1927
- Pasquale Testini - Archeologia Cristiana - Bari - Edipuglia - 1980 -