Iunio Annio Basso, ovvero Iunius Annius Bassus fu un importante politico romano della gens Annia, un'antica famiglia plebea romana, di cui la prima persona nota, menzionata da Tito Livio, fu il pretore latino Lucio Annio di Setia, una colonia romana nel 340 a.c.
Quel che sappiamo di Iunio Basso è che nonostante le origini plebee fece carriera e servì come Prefetto Pretoriano a Roma dal 318 al 331, e che rivestì pure la carica di console, ispirando parecchie leggi del Codex Theodosianus.
Inoltre suo figlio Junius Bassus fu Prefetto dell'Urbe, e il suo sarcofago è il più antico tra quelli ritrovati con scene cristiane.
La Basilica di Junius Bassus (basilica Iunii Bassi) era una basilica civile sul colle Esquilino a Roma.
HYLAS RAPITO DALLE NINFE |
Il suo sito oggi è occupato dal Seminario Pontificio di Studi Orientali, in via Napoleone III, piuttosto conosciuto per gli spendidi lavori in opus sectile, una speciale tecnica usata nei pavimenti ma soprattutto sulle pareti per cui venivano composte delle scene ritagliando marmi di diverso colore e disegno onde comporre una scena come fosse una pittura.
La basilica fu costruita da Giunio Basso nel 331 durante il suo consolato. Verso la II metà del V sec.
sotto Papa Simplicio ( 468-483), essa venne trasformata nella Chiesa di Sant'Andrea Catabarbara.
I suoi resti vennero riscoperti e purtroppo demoliti nel 1930, e questi scavi produssero anche il ritrovamento di una domus augustana contenente mosaici del III sec., uno con soggetti dionisiaci e uno con i nomi dei proprietari della casa (Arippii ed Ulpii Vibii). Questo mosaici si trovano ora nel Seminario.
L'architettura dell'edificio era piuttosto semplice, con un'aula rettangolare absidata, preceduta da un atrio con un unico ingresso e nicchie interne. Sulle pareti correva una triplice finestratura (non sul lato dell'abside).
I due pannelli costituiscono, insieme ai due ora ai Musei Capitolini, quanto rimane della ricchissima decorazione parietale della “Basilica di Giunio Basso”, un’aula di rappresentanza dell’edificio fatto
erigere sul colle Esquilino da Giunio Basso, console del 331 d.c.
L’aula era completamente rivestita di pannelli in opus sectile, raffinata tecnica artistica caratterizzata dall’uso di materiali pregiati di svariate forme e dimensioni.
Un pannello raffigura un episodio celebre della saga degli Argonauti, il rapimento del giovane Hylas da parte delle ninfe.
L’altro riproduce invece una cerimonia circensis: al centro del circo campeggia il patrono dei giochi, forse lo stesso Giunio Basso; alle sue spalle, vestiti con tuniche di colore diverso, sono gli aurighi rappresentanti delle quattro fazioni: la rossa (russata), l’azzurra (veneta), la verde (prasina) e la bianca (albata).
Il tema figurativo verte sui miti e i temi cari alla figurativa pagana, in opposizione alla nuova iconografia cristiana, dominante si, ma sempre più scadente.
In queste copie è ben riprodotta la decorazione: la parte bassa era occupata da un zoccolatura che il Sangallo riempì di fantasie del tutto sue, forse perché così rovinata da non potersi distinguere; seguiva la zona a specchiature separate da pilastri, in corrispondenza dei piedritti delle finestre. In ciascuna delle specchiature, divise verticalmente in tre sezioni, si potevano vedere motivi a pelta (scudo).
Sotto le finestre, più in alto, correva un fregio continuo di archetti pensili su mensole. Tra le finestre e sopra di esse, entro riquadri bordati da fasce con tripodi delfici, si trovavano poi altre due serie di pannelli figurati.
Queste grandi scene erano contornate in basso da finti drappi, coi bordi ricamati e con scenette mitologiche, e in alto da lotte tra animali e centauri e immagini del processus consularis.
Di questi pannelli oggi ne restano solo quattro frammenti, divisi tra il Museo dei Conservatori (due) e Palazzo Massimo alle Terme (due), queste ultime già nella raccolta privata di palazzo Del Drago.
Più in alto, infine, il Sangallo disegnava scene di corteggio ufficiale e mitologico e pannelli con gorgoneia, molto probabilmente frutto della sua interpolazione.
Delle lastre superstiti, la più grande è quella a palazzo Massimo alle Terme, con un "drappo" inferiore ornato da scene egittizzanti, un "vela Alexandrina" citato anche da Plinio, e una scena principale del mito di Ila e le ninfe (il giovane amato da Ercole che recatosi a una fonte viene sedotto e rapito dalle ninfe).
La seconda lastra di Palazzo Massimo, priva del velum, è quella del processus consularis di Giunio Basso, che è raffigurato su un cocchio, seguito da aurighi delle quattro fazioni circensi.
I due pannelli di palazzo Drago raffigurano simmetricamente due tigri che sbranano buoi.
Più in alto, infine, il Sangallo disegnava scene di corteggio ufficiale e mitologico e pannelli con gorgoneia, molto probabilmente frutto della sua interpolazione.
Delle lastre superstiti, la più grande è quella a palazzo Massimo alle Terme, con un "drappo" inferiore ornato da scene egittizzanti, un "vela Alexandrina" citato anche da Plinio, e una scena principale del mito di Ila e le ninfe (il giovane amato da Ercole che recatosi a una fonte viene sedotto e rapito dalle ninfe).
La seconda lastra di Palazzo Massimo, priva del velum, è quella del processus consularis di Giunio Basso, che è raffigurato su un cocchio, seguito da aurighi delle quattro fazioni circensi.
I due pannelli di palazzo Drago raffigurano simmetricamente due tigri che sbranano buoi.
I marmi preziosi accostati nelle figure generano una policromia vivacissima, con la capacità talvolta di riprodurre anche il chiaroscuro disponendo in maniera studiata le screziature della pietra.
I motivi egittizzanti del drappo forse adombrano l'utilizzo di maestranze specializzate alessandrine, visto anche l'uso di pietre durissime come porfido e serpentino nelle tarsie, che erano a appannaggio praticamente esclusivo degli artigiani orientali.
Confronti con decorazioni simili si possono fare con la decorazione di una schola di Cenchreae in Grecia e soprattutto con un edificio di Ostia, forse pure una schola, più tardo (fine del IV secolo) ma con molto elementi decorativi in comune quali i motivi a pelta, le specchiature con tondi e i leoni che assalgono gazzelle.
Si può quindi presumere che questo tipo di decorazione derivasse da fonti comuni, forse arazzi o da imitazioni di strutture reali.
La scena del cocchio invece è da mettere in relazione coi contorniati (tipo particolare di medaglioni in uso nel IV secolo), dove si trova un'analoga composizione dei cavalli, del carro e perfino delle ruote in prospettiva.
La frontalità della raffigurazione è tipica del periodo (si vedano i rilievi dell'arco di Costantino), ma qui è ulteriormente esaltata dallo sfondo neutro color verde, dove le figure sembrano muoversi al di fuori di qualsiasi convenzione prospettica.
Controversa è l'interpretazione del monumento.
L'uso funerario sembra da escludersi, mentre è possibile un confronto con aule di ricevimenti ufficiali di quest'epoca successivamente trasformate in chiese, come Santa Susanna (del 320 circa) e Santa Balbina (del 330 circa), o altri edifici non coevi, come la basilica di Costantino a Treviri (inizio del IV sec.) e l'accostamento basilica/corridoio "della Grande caccia" nella villa di Piazza Armerina.
Anche la tecnica edilizia, a mattoni molto regolari, è assimilabile alle opere approntate da Massenzio o da Costantino I nel suo primo periodo di governo.
Il soggetto delle decorazioni, carichi dei simboli legati alla filosofia neoplatonica molto in auge tra l'aristocrazia romana del Basso Impero, potrebbe ricondursi all'esaltazione della vita pubblica del console.
SARCOFAGO DI IUNIO BASSO, FIGLIO DELL'AUTORE DELLA BASILICA |