Cotogni:
"Fra li altri tempii che esistevano in Narni, dalla superstizione dei gentili applicati alle false deità, eravi quello del luco e fonte di Feronia in oggi con nome alterato detto quel sito Ferogna. Ivi probabilmente, come in altri luoghi, eravi il tempio e la statua della dea Ferocia…. essendovi anche presentemente un marmo in quel fonte in cui è scolpita una grande fiamma, forse l'insegna di quella antica vanità... La verità si è che quella fonte avendo transito per miniere stimate è di un'acqua molto salubre e grandemente tenuta in pregio si quanto alla sua rara limpidezza, che la prerogativa che ha di facile digestione".
- il 13 novembre - Le Feroniae, in onore della Dea Feronia, la Signora delle belve, protettrice delle sorgenti e dei boschi. Il santuario più importante, il Lucus Capenatis o Feroniae, era nella valle del Tevere, vicino Capena.
- 15 novembre - Le Feroniae -
- in cui Feronia era festeggiata soprattutto come Dea della fertilità, protettrice dei boschi e delle messi, celebrata dai malati e dagli schiavi liberati, onorata anche dai Sabini, nel cui territorio si trovava il Lucus Feroniae.
Era venerata soprattutto nelle località di:
- Sorano, (frazione di Capena), ove sorge il Lucus Feroniae,
- Trebula Mutuesca (Monteleone Sabino),
- Terracina,
- Preneste (Palestrina),
- L'Etruria tutta
- area sacra di largo di Torre Argentina (tempio C) a Roma.
- in cui Feronia era festeggiata soprattutto come Dea della fertilità, protettrice dei boschi e delle messi, celebrata dai malati e dagli schiavi liberati, onorata anche dai Sabini, nel cui territorio si trovava il Lucus Feroniae.
Era venerata soprattutto nelle località di:
- Sorano, (frazione di Capena), ove sorge il Lucus Feroniae,
- Trebula Mutuesca (Monteleone Sabino),
- Terracina,
- Preneste (Palestrina),
- L'Etruria tutta
- area sacra di largo di Torre Argentina (tempio C) a Roma.
FERONIA ITALICA e ROMANA
Era una Dea di origine italica (dal lat. fera ferae, le fiere), protettrice della natura, degli animali selvaggi, dei boschi e delle messi, dei malati e degli schiavi liberati. Il santuario principale si trovava a Soratte, presso Capena, dove si estendeva un fitto bosco (lucus) sacro a Feronia, con nei pressi una sorgente di acqua curativa e miracolosa.
FERONIA ETRUSCA - DEA CAPRA |
A Roma Feronia era Dea della fertilità, ma anche protettrice dei liberti e di tutto ciò che da sottoterra esce alla luce del sole. Erano quindi sotto la sua protezione le acque sorgive, la fertilità del suolo, quella umana e quella animale. Ma aveva anche qualità terapeutiche come evidenziato dai numerosi ex-voto anatomici.
Servio la definisce "Libertorum Dea" e cita il rito manumissorio praticato nel suo santuario di Terracina, dove era un sedile lapideo su cui si leggeva che gli schiavi meritevoli che vi si fossero seduti si sarebbero alzati liberi. Un'epigrafe su un’ara, rinvenuta "sub Soracte", poi trasferita a Nepi. cita l’offerta a Feronia di cinque are, da parte di un schiavo pubblico di Claudio.
Su di un'ara con statuetta bronzea della Dea, nella parte nord del Lucus Feroniae venne rinvenuta una delle tante epigrafi a lei dedicate: «Nel bosco sacro. Salvia Plaria liberta di Titus diede in dono a Feronia per grazia ricevuta»
Livio riporta che nel 217 a.c., quando Roma era in pericolo, nel corso della guerra punica, dopo la consultazione dei libri sibillini, si ordinò che le matrone portassero offerte a Iuno Regina e a Feronia, mentre le liberte solo a Feronia.
A Roma il culto di Feronia si sovrappose nel Campo Marzio, a quello di Iuno Caprotina (altra divinità ctonia), venerata anch’essa dalle ancillae (schiave). Pertanto Feronia era particolarmente adorata sia dagli schiavi che dai liberti, ma solo questi ultimi potevano fare offerte nel culto pubblico.
I suoi collegi sacerdotali
- le "Mulieres Feronenses", associazione di donne fedeli a Feronia al di fuori del culto ufficiale e che erano presenti anche a Roma;
- gli "Iuvenes Lugo Feronense", associazione giovanile di carattere ginnico-militare;
- i "Seviri Augustales", collegio addetto al culto particolare di Augusto.
LE FESTE NEL LUCUS FERONIAE
Le festività in onore della Dea attiravano una grande moltitudine di persone, non solo fedeli, ma anche mercanti, contadini e artigiani, che vi si recavano per affari.
Presso il santuario si svolgeva, infatti, un importantissimo mercato, che secondo Livio e Dionigi di Alicarnasso, era frequentato da Sabini, Latini e da quanti abitavano nei dintorni, già all’epoca di Tullo Ostilio, nei primi decenni del VII sec. a.c., quando il rapimento di alcuni mercanti romani al Lucus Feroniae, fu motivo di guerra.
Alle richieste di liberazione dei Romani, i Sabini li accusarono a loro volta, di aver trattenuto alcuni di loro nell’Asylum (tra il Capitolium e l’Arx), offrendogli asilo sacro:
«Dopo questa guerra, un’altra fu provocata contro i Romani da parte dei Sabini; l’inizio e l’occasione furono questi: vi è un santuario venerato in comune dai Sabini e dai Latini, sommamente sacro fra quelli della dea chiamata Feronia, nome che in greco taluni chiamano Anthophoros, altri Philostefanos, altri ancora Persefone. (il che ne conferma la natura infera) A questo santuario dunque convenivano dalle città circonvicine, in occasione delle feste che erano state annunciate, molti per offrire preghiere e sacrifici alla dea, molti invece erano commercianti venuti per fare affari durante la festività e così pure artigiani e contadini; lì si teneva infatti la fiera più splendida di quante si tenevano negli altri luoghi d’Italia. Accadde dunque che alcuni Sabini aggredirono, sequestrarono e spogliarono dei loro beni un gruppo di Romani, di condizione non oscura, che si erano recati a questa festività. E benché fosse stata inviata un’ambasceria al riguardo, i Sabini non avevano voluto rendere giustizia, ma trattenevano le persone ed i beni dei sequestrati mentre a loro volta accusavano i Romani per aver accolto i Sabini fuggitivi offrendo loro asilo sacro, su questi fatti ho dato conto nel libro precedente ». E fu guerra.
FERONIA INFERA
FERONIA ROMANA |
Alle richieste di liberazione dei Romani, i Sabini li accusarono a loro volta, di aver trattenuto alcuni di loro nell’Asylum (tra il Capitolium e l’Arx), offrendogli asilo sacro:
«Dopo questa guerra, un’altra fu provocata contro i Romani da parte dei Sabini; l’inizio e l’occasione furono questi: vi è un santuario venerato in comune dai Sabini e dai Latini, sommamente sacro fra quelli della dea chiamata Feronia, nome che in greco taluni chiamano Anthophoros, altri Philostefanos, altri ancora Persefone. (il che ne conferma la natura infera) A questo santuario dunque convenivano dalle città circonvicine, in occasione delle feste che erano state annunciate, molti per offrire preghiere e sacrifici alla dea, molti invece erano commercianti venuti per fare affari durante la festività e così pure artigiani e contadini; lì si teneva infatti la fiera più splendida di quante si tenevano negli altri luoghi d’Italia. Accadde dunque che alcuni Sabini aggredirono, sequestrarono e spogliarono dei loro beni un gruppo di Romani, di condizione non oscura, che si erano recati a questa festività. E benché fosse stata inviata un’ambasceria al riguardo, i Sabini non avevano voluto rendere giustizia, ma trattenevano le persone ed i beni dei sequestrati mentre a loro volta accusavano i Romani per aver accolto i Sabini fuggitivi offrendo loro asilo sacro, su questi fatti ho dato conto nel libro precedente ». E fu guerra.
FERONIA INFERA
Nel Lucus Feroniae il basamento del tempio era “affiancato da tre pozzi sacrificali allineati”, che risultano orientati come l’altare, e che rimandano ad un aspetto ctonio del culto, come documentato in altri santuari legati a divinità infere. Nel 211 a.c. il santuario venne saccheggiato da Annibale e nel 210 quattro statue della Dea sudarono sangue.
Questo per dire che Feronia aveva anche culti ctonii, il che spiega l'associazione delle "Mulieres Feronenses" che sicuramente facevano riti privati ed esclusivi, come dire "culti misterici". Lo stato non li approvava ma non li disapprovava, perché le donne sposate, le Mulieres, non mettevano disordine e non disdicevano il pubblico decoro, riunendosi in privato e per fatti loro.
A chi pensa che solo in India si passasse sui carboni ardenti citiamo questo passo:
«Ai piedi del monte Soratte c’è una città chiamata Feronia, omonima di una divinità locale molto venerata dai popoli circostanti, il cui santuario è in quel luogo e vi si celebra una singolare cerimonia: infatti quelli che sono guidati da questa dea, a piedi nudi camminano su una grande superficie di carbone e cenere senza sentire dolore, e una moltitudine di uomini si raccoglie qui insieme sia per la festività che si celebra ogni anno, sia per il suddetto spettacolo.».
(Tito Livio)
Questo per dire che Feronia aveva anche culti ctonii, il che spiega l'associazione delle "Mulieres Feronenses" che sicuramente facevano riti privati ed esclusivi, come dire "culti misterici". Lo stato non li approvava ma non li disapprovava, perché le donne sposate, le Mulieres, non mettevano disordine e non disdicevano il pubblico decoro, riunendosi in privato e per fatti loro.
TESTA DI FERONIA |
«Ai piedi del monte Soratte c’è una città chiamata Feronia, omonima di una divinità locale molto venerata dai popoli circostanti, il cui santuario è in quel luogo e vi si celebra una singolare cerimonia: infatti quelli che sono guidati da questa dea, a piedi nudi camminano su una grande superficie di carbone e cenere senza sentire dolore, e una moltitudine di uomini si raccoglie qui insieme sia per la festività che si celebra ogni anno, sia per il suddetto spettacolo.».
(Tito Livio)
Plinio il Vecchio, riporta invece la cerimonia annua si svolgeva presso il monte, il Soratte, in onore del Dio Apollo, durante la quale gli Hirpi camminavano indenni sui carboni ardenti.
Il rito era eseguito da poche famiglie che, per questo, sono esentate, per senatoconsulto, dalla leva e da ogni altro obbligo militare: “Possa tu sempre calpestare con piede incolume la brace di Apollo e, vincitore del vapore ardente, riportare presso gli altari le offerte rituali a Febo placato!"
Il Soratte era sacro agli Dei Mani, e alcuni pastori, mentre sul monte sacrificavano a Dis pater, si videro sottratte le viscere dal fuoco da un branco di lupi.
L’inseguimento degli animali sacri si concluse presso una grotta, la quale emetteva un’esalazione pestifera, che uccideva chi vi si avvicinasse. Di lì si originò una pestilenza, e il responso fu che il male si sarebbe placato se fossero stati imitati i lupi, vivendo di rapina.
Ora i lupi non vivono di rapina ma cacciano, e l'imitazione del lupo era ben altro. Così i rapinatori vennero detti Hirpi Sorani, da hirpus, (in sabino lupo), e Soranus è il nome col quale viene chiamato Dis pater, praticamente Dite.
L’espressione “responsum est”, usata da Servio in merito alla pestilenza, sembra ricollegarsi ad un oracolo. Per Plinio infatti le cavità del Soratte sono manifestazioni della divinità attraverso fenomeni naturali e venefici che tuttavia, come a Delfi, consentono il vaticinio. Ma Strabone sostiene che la cerimonia degli Hirpi Sorani non si svolgerebbe al Soratte, ma in occasione delle feste in onore di Feronia, presso il santuario di Lucus Feroniae.
Ora sappiamo che gli oracoli di Apollo furono sempre sottratti alle Dee locali e Feronia, nella sua qualità infera doveva possedere i suoi oracoli, perché il presupposto arcaico è che nelle grotte parlano la Dea Terra e i Mani.
In base alle FERONIA INFERA occorre pertanto distinguere a Roma e non solo, tra le festività pubbliche e quelle private.
FESTE PUBBLICHE
Nelle Feste Feroniae di Roma si svolgevano mercati, fiere, spettacoli di teatro, danze e acrobati per le vie della città, tra cui mangiatori di fuoco e camminatori sul fuoco. I suoi sacerdoti e le sue sacerdotesse indossavano pelli di animali (si suppone di lupi) e immolavano vittime sugli altari, distribuendo poi carni e vini annacquati alla popolazione, il tutto a spese dello stato.
Ora che Feronia avesse a che fare coi lupi è ovvio in qualità di Potnia Teron, la Signora delle belve, ma la lupa in particolare era legata all'antica Dea, che in travestite spoglie di lupa allattò i fatidici gemelli. La Dea Lupa, in tempi assai remoti, aveva a che fare con la fertilità e pertanto con la sessualità, e siccome al tempo il sesso era visto come donazione della Dea, si esercitava liberamente.
Così le sacerdotesse della Dea Lupa si prostituivano con chi volevano a patto che facesse un'offerta al tempio della Dea. Queste erano appunto dette Lupe, perché indossavano pelli di lupo e richiamavano gli avventori col verso del lupo, cioè ululando. I tiasi sacri della ierodulia stavano nei trivi (da cui anche l'appellativo di Venere Trivia, e il termine "triviale" dato dai cattolici a tale usanza). prova ne sia che i lupi che divorarono le interiora dei sacrifici vengono chiamati "lupi sacri".
Con l'abolizione della prostituzione sacra seguì la sua cancellazione, per cui i miti vennero stravolti e ai Lupercali le donne venivano frustate dai sacerdoti per il loro passato di sesso libero, e anche qui il mito è stravolto in modo rozzo con i lupi che rubano il sacrificio e gli uomini che secondo il responso devono razziare le terre ad altri uomini.
Le donne lupe erano pertanto mefitiche come le grotte in cui oracolavano, ree di aver provocato la peste, e Apollo era il Dio che rimetteva le cose a posto guarendo dalla pestilenza. Quando i miti vengono cambiati diventano ridicoli e con poco senso.
FESTE PRIVATE
Di tutto ciò restava che i romani piantavano i semi di grano (o il miglio o il farro) dentro una tela di lino che veniva innaffiata al buio e che avrebbe germogliato in primavera per offrirlo alla Dea nelle case, un rito arcaico riesumato poi in sede cattolica in talune località.
Ma restavano soprattutto le "Mulieres Feronenses", cioè le donne sposate che esercitavano il culto più antico in modo privato, sacrificando alla Dea Feronia vittime incruente, soprattutto erbe e rami del bosco con libagioni di vino, ciascuna con il capo cinto di mirto e rosmarino come di addiceva al culto degli inferi.
Essendo un culto privato e soprattutto di derivazione misterica non ne sappiamo di più, se non che fosse una libera associazione che si occupava volontariamente e a proprie spese sia di partecipare al culto pubblico, sia di organizzare ed eseguire il culto privato, ristretto a una cerchia di donne adulte e sposate e assolutamente proibito agli uomini.
Il rito era eseguito da poche famiglie che, per questo, sono esentate, per senatoconsulto, dalla leva e da ogni altro obbligo militare: “Possa tu sempre calpestare con piede incolume la brace di Apollo e, vincitore del vapore ardente, riportare presso gli altari le offerte rituali a Febo placato!"
Il Soratte era sacro agli Dei Mani, e alcuni pastori, mentre sul monte sacrificavano a Dis pater, si videro sottratte le viscere dal fuoco da un branco di lupi.
L’inseguimento degli animali sacri si concluse presso una grotta, la quale emetteva un’esalazione pestifera, che uccideva chi vi si avvicinasse. Di lì si originò una pestilenza, e il responso fu che il male si sarebbe placato se fossero stati imitati i lupi, vivendo di rapina.
Ora i lupi non vivono di rapina ma cacciano, e l'imitazione del lupo era ben altro. Così i rapinatori vennero detti Hirpi Sorani, da hirpus, (in sabino lupo), e Soranus è il nome col quale viene chiamato Dis pater, praticamente Dite.
L’espressione “responsum est”, usata da Servio in merito alla pestilenza, sembra ricollegarsi ad un oracolo. Per Plinio infatti le cavità del Soratte sono manifestazioni della divinità attraverso fenomeni naturali e venefici che tuttavia, come a Delfi, consentono il vaticinio. Ma Strabone sostiene che la cerimonia degli Hirpi Sorani non si svolgerebbe al Soratte, ma in occasione delle feste in onore di Feronia, presso il santuario di Lucus Feroniae.
Ora sappiamo che gli oracoli di Apollo furono sempre sottratti alle Dee locali e Feronia, nella sua qualità infera doveva possedere i suoi oracoli, perché il presupposto arcaico è che nelle grotte parlano la Dea Terra e i Mani.
In base alle FERONIA INFERA occorre pertanto distinguere a Roma e non solo, tra le festività pubbliche e quelle private.
LUCUS FERONIAE |
FESTE PUBBLICHE
Nelle Feste Feroniae di Roma si svolgevano mercati, fiere, spettacoli di teatro, danze e acrobati per le vie della città, tra cui mangiatori di fuoco e camminatori sul fuoco. I suoi sacerdoti e le sue sacerdotesse indossavano pelli di animali (si suppone di lupi) e immolavano vittime sugli altari, distribuendo poi carni e vini annacquati alla popolazione, il tutto a spese dello stato.
Ora che Feronia avesse a che fare coi lupi è ovvio in qualità di Potnia Teron, la Signora delle belve, ma la lupa in particolare era legata all'antica Dea, che in travestite spoglie di lupa allattò i fatidici gemelli. La Dea Lupa, in tempi assai remoti, aveva a che fare con la fertilità e pertanto con la sessualità, e siccome al tempo il sesso era visto come donazione della Dea, si esercitava liberamente.
Così le sacerdotesse della Dea Lupa si prostituivano con chi volevano a patto che facesse un'offerta al tempio della Dea. Queste erano appunto dette Lupe, perché indossavano pelli di lupo e richiamavano gli avventori col verso del lupo, cioè ululando. I tiasi sacri della ierodulia stavano nei trivi (da cui anche l'appellativo di Venere Trivia, e il termine "triviale" dato dai cattolici a tale usanza). prova ne sia che i lupi che divorarono le interiora dei sacrifici vengono chiamati "lupi sacri".
Con l'abolizione della prostituzione sacra seguì la sua cancellazione, per cui i miti vennero stravolti e ai Lupercali le donne venivano frustate dai sacerdoti per il loro passato di sesso libero, e anche qui il mito è stravolto in modo rozzo con i lupi che rubano il sacrificio e gli uomini che secondo il responso devono razziare le terre ad altri uomini.
Le donne lupe erano pertanto mefitiche come le grotte in cui oracolavano, ree di aver provocato la peste, e Apollo era il Dio che rimetteva le cose a posto guarendo dalla pestilenza. Quando i miti vengono cambiati diventano ridicoli e con poco senso.
FESTE PRIVATE
Di tutto ciò restava che i romani piantavano i semi di grano (o il miglio o il farro) dentro una tela di lino che veniva innaffiata al buio e che avrebbe germogliato in primavera per offrirlo alla Dea nelle case, un rito arcaico riesumato poi in sede cattolica in talune località.
Ma restavano soprattutto le "Mulieres Feronenses", cioè le donne sposate che esercitavano il culto più antico in modo privato, sacrificando alla Dea Feronia vittime incruente, soprattutto erbe e rami del bosco con libagioni di vino, ciascuna con il capo cinto di mirto e rosmarino come di addiceva al culto degli inferi.
Essendo un culto privato e soprattutto di derivazione misterica non ne sappiamo di più, se non che fosse una libera associazione che si occupava volontariamente e a proprie spese sia di partecipare al culto pubblico, sia di organizzare ed eseguire il culto privato, ristretto a una cerchia di donne adulte e sposate e assolutamente proibito agli uomini.