IL FUNUS
Il termine funus definiva quanto avveniva tra la morte e il compimento delle esequie. Appena morti i corpi si lavavano e li ungevano con balsami per impedire la corruzione. Le unzioni sui morti si leggono in Omero ma con l'olio. Venivano poi profumati anche per allontanare il pessimo odore. Per la conservazione dei cadaveri si usavano: sale, nitro, cedro, bitume, miele, cera, mirra, aromi, gesso, calcina ma ogni zona ne usava alcune. Il lavare era compito delle donne dette funerae. Degli uomini l'ungere detti pollinctores.
"La gens dei becchini si comprendea col nome generico di libitinari tra i quali vespillones ustores etc. I libitinari erano ministri di Venere Libitina nel cui erario alla morte di ciascheduno si ponea una moneta per sapere il numero dei morti" (legge di Servio Tullio).
Una volta lavato ed unto, i parenti o gli eredi ponevano il morto in un luogo eminente o sul terreno nel vestibolo con un custode per guardia. Gli imperatori aveano un fanciullo con un ventaglio per allontanare le mosche. Il cadavere aveva faccia e piedi rivolti all'uscio.
Circa il luogo dei funerali i publici e gl'indictivi passavano in mezzo al foro. Si collocava il cadavere presso i rostri dove si recitava l'orazione funebre ch'ebbe origine probabilmente da Valerio Publicola. In genere veniva recitata dai parenti prossimi al morto ed anche dai figliuoli. Mancando questi il senato assegnava l'incarico a persone scelte e magistrali. Anche le donne celebri in Roma avevano per decreto del senato orazioni funebri.
Il luogo ove si seppellivano i morti anticamente, come informano Platone e Servio, era la propria casa. I decemviri decretarono per legge che ciò si facesse fuori città. Infatti sia Servio Tullo che Numa Pompilio furono sepolti fuori dell'abitato. Continuò sempre l'uso fuori di città rinnovato con legge anche da Antonino Pio, secondo Capitolino. La ragione principale di seppellire fuori di città fu perchè non fosse contaminata.
Lo svolgimento del rituale presentava variazioni rispetto al funerale tradizionale:
Il termine funus definiva quanto avveniva tra la morte e il compimento delle esequie. Appena morti i corpi si lavavano e li ungevano con balsami per impedire la corruzione. Le unzioni sui morti si leggono in Omero ma con l'olio. Venivano poi profumati anche per allontanare il pessimo odore. Per la conservazione dei cadaveri si usavano: sale, nitro, cedro, bitume, miele, cera, mirra, aromi, gesso, calcina ma ogni zona ne usava alcune. Il lavare era compito delle donne dette funerae. Degli uomini l'ungere detti pollinctores.
"La gens dei becchini si comprendea col nome generico di libitinari tra i quali vespillones ustores etc. I libitinari erano ministri di Venere Libitina nel cui erario alla morte di ciascheduno si ponea una moneta per sapere il numero dei morti" (legge di Servio Tullio).
Una volta lavato ed unto, i parenti o gli eredi ponevano il morto in un luogo eminente o sul terreno nel vestibolo con un custode per guardia. Gli imperatori aveano un fanciullo con un ventaglio per allontanare le mosche. Il cadavere aveva faccia e piedi rivolti all'uscio.
Circa il luogo dei funerali i publici e gl'indictivi passavano in mezzo al foro. Si collocava il cadavere presso i rostri dove si recitava l'orazione funebre ch'ebbe origine probabilmente da Valerio Publicola. In genere veniva recitata dai parenti prossimi al morto ed anche dai figliuoli. Mancando questi il senato assegnava l'incarico a persone scelte e magistrali. Anche le donne celebri in Roma avevano per decreto del senato orazioni funebri.
Il luogo ove si seppellivano i morti anticamente, come informano Platone e Servio, era la propria casa. I decemviri decretarono per legge che ciò si facesse fuori città. Infatti sia Servio Tullo che Numa Pompilio furono sepolti fuori dell'abitato. Continuò sempre l'uso fuori di città rinnovato con legge anche da Antonino Pio, secondo Capitolino. La ragione principale di seppellire fuori di città fu perchè non fosse contaminata.
Lo svolgimento del rituale presentava variazioni rispetto al funerale tradizionale:
- funus translaticum, quello tradizionale,
- funus publicum, nel caso di personaggi pubblici,
- funus militare, nel caso di militari,
- funus imperatorium, dell'imperatore o di membri della famiglia imperiale.
Il Funus Publicum: era riservato a personaggi di alto rango meritevoli di onori particolari, quali la lettura di un panegirico, l'intonazione di canti e la partecipazione al corteo di membri della magistratura e di grandi folle di soldati e cittadini comuni. Così avvenne per la morte di Silla secondo il racconto di Appiano (Bell. civ., I, 105-6). In età imperiale a Roma i funerali pubblici furono piuttosto rari, se si eccettuano le esequie degli imperatori, ma nelle città italiche e nelle province era più frequente il conferimento di questo onore a personaggi che si erano distinti in vita per meriti verso la cittadinanza, alla quale in occasione del funerale venivano offerti spettacoli gladiatori o teatrali.
Il Funus Militare: ovvero il funerale dei soldati, era pagato dai commilitoni con un contributo detratto dalla loro paga; per i caduti in battaglia, invece, era prevista la cremazione o la sepoltura collettiva; onori militari, cavalcate o marce intorno alla pira erano riservati ai gradi più alti della gerarchia militare (Liv., V, 17, 5; Tac., Ann., II, 7).
Il Funus Imperiatorum: esempi di esequie imperiali sono fornite dalle fonti letterarie e molte monete coniate nella media età imperiale riproducono le pire a più piani degli imperatori con la legenda "Consecratio". Lo stesso tema in scala monumentale si rappresenta sul rilievo capitolino raffigurante Sabina che ascende dalla pira al cielo e sulla base della Colonna Antonina con l'apoteosi della coppia imperiale Antonino Pio e Faustina Maggiore.
I FUNERALI
Vi erano due tipi di funerali, uno detto indictivum, l'altro tacitum. Alla casa d'un morto si apponevano segni esteriori affinchè un ignaro avventore non si contaminasse: pino o cipresso alberi sacri a Plutone che tagliati più non ripullulano. Ma solo nelle case dei ricchi. Negli anniversari dei morti venivano adoperate fiaccole come nelle nozze, per questo, spiega Ovidio a febbraio erano vietati i matrimoni e gli anniversari parentalia.
Le persone che intervenivano ai funerali erano: siticines, praeficae, ludii, histriones, liberti, orcini, praelatores, lectorum imaginum, etc. All'inizio le esequie si celebravano cantando mestamente. Cantavano i siticini e le prefiche. Quelli erano cosi detti perchè cantavano apud sitos cioè vita functos et sepultos. Aveano una tromba differente da quelle degli altri tibicini e su questa cantavano. Furono detti anche sicinisti (Aulo Gellio).
Funerale indictum - Viene dal verbo indicere cioè chiamare il popolo al funerale e si faceva per mezzo del banditore. È da distinguersi dall'indictivo a spese del senato benchè e l'uno l'altro s'intimasse dal banditore. L'indictivo pubblico, cioè a spese del senato, si faceva ai benemeriti della patria ed ai personaggi d'alto grado, come si fece a Siface re di Numidia, a Vitellio, a Sferone liberto e pedagogo di Augusto, a Pisone Poliarco etc. Questo onore si diede anche alle donne. Così Cornelia, Azzia madre di Cesare così Livia etc.
Vi fu poi l'uso, come narra Polibio, di seppellire a spese pubbliche i personaggi di alto lignaggio: pretori, censori, consolari, trionfali. Tuttavia sotto gli imperatori si confuse spesso il censorio col trionfale. Dal che si deduce che il censorio fosse il funerale più splendido e fu usato per gli imperatori come di Claudio Tacito e di Pertinace Capitolino, Spaziano con voci del suo secolo lo disse di Elio Vero funus imperatorium e di Opilio Macrino funus regium.
Le tibie funebri erano proprie di tutti i funerali, anche poveri. Al suono delle tibie s'intonavano le nenie ma per le leggi decemvirali non potevano essere più di dieci. Le tibie funebri erano più lunghe delle altre ed i siticini non si consideravano nel numero armonico degli altri tibicini. Le nenie cantate dalle prefiche costavano poco e declamavano versi laudatori disordinati e vuoti di senso. Precedevano la pompa funebre istrioni e saltatori detti ludii che buffoneggiavano ed imitavano coi gesti le azioni del morto.
I liberti orcini o charoniani col pileo in capo precedevano il letto del morto. Erano i servi messi in libertà dal defunto padrone. Come letto non c'era solo quello ove era disteso il morto ma tutti gli altri che portavano le immagini. Il morto non poteva averne uno solo per la legge delle Dodici Tavole. Se dunque si parla di più letti riguardavano quelli delle immagini degli antenati di cui abbondavano.
Seicento ne ordinò Augusto nel funeral di Marcello. Properzio non ne volle. Un magistrato portava le proprie insegne fin nella tomba. Le immagini degli antenati erano di cera cioè busti che si conservavano negli atri, gli antenati, insieme ai Penati e ai Lari. Tornati a casa, i parenti mettevano la maschera del defunto nel tabernacolo, vicino a quelle degli antenati. Verso la fine della repubblica, queste maschere di cera o gesso furono sostituite da ritratti in marmo, che riproducevano il defunto.
Nei funerali dei personaggi importanti sfilavano non solo quelle degli antenati ma qualunque di uomo celebre. Non erano ammesse le immagini degli uomini scellerati. Tante erano le immagini altrettanti erano i letti sebbene talvolta si portassero appese a lunghe aste. Tra le immagini potevano esserci anche quelle delle città e nazioni soggiogate dal defunto in qualità di generale. Così nel funerale di Augusto e Virgilio nel funerale di Pallante.
Ai funerali dei magistrati partecipavano in prima fila i littori coi fasci o con le altre insegne del defunto, ma piegate verso terra. I portatori del letto funebre erano per lo più gli eredi più prossimi, Quinto Metello Macedonio fu portato da suoi figli. Talvolta anche dai servi posti in libertà. Talvolta venivano portati a spalla da senatori e patrizi come gli imperatori ed i benemeriti della patria. Talvolta da persone del popolo o stranieri abitanti in Roma come si legge in Plutarco per Paolo Emilio. Se il morto era uomo ignoto od odiato dal popolo veniva portato dai becchini vespillones. Cosi avvenne per Domiziano.
Il funerale tacito - al contrario dell'indictivo, era senza pompa, senza disegnatore, senza giochi nè banditore. Si disse "funus acerbum" di quelli che morivano prima di aver vestita la toga virile. Vicini a morte si solevano abbracciare e baciare finchè spiravano. Altri baci si davano al morto prima di porsi sul rogo. Gli anelli si estraevano dal dito dei morti e ciò perchè non restassero in mano dei becchini e perchè non si bruciassero nel rogo. Uso dei Greci e dei Romani fu chiudere gli occhi ai morti.
Era proprio dei mariti chiuderli alle mogli e delle mogli ai mariti. La legge Menia menzionata da Varrone "che i figli non chiudano gli occhi ai padri" forse è solo un monito da interpretarsi moralmente cioè che non affrettino loro la morte. A nostro avviso invece era letterale, perchè in mancanza di un coniuge sopravveniva il fratello o un congiunto del morto della sua generazione o della generazione precedente. Infatti i fratelli potevano chiudere gli occhi ai fratelli. La ragione principale era per la decenza del cadavere.
Le persone che intervenivano ai funerali erano: siticines, praeficae, ludii, histriones, liberti, orcini, praelatores, lectorum imaginum, etc. All'inizio le esequie si celebravano cantando mestamente. Cantavano i siticini e le prefiche. Quelli erano cosi detti perchè cantavano apud sitos cioè vita functos et sepultos. Aveano una tromba differente da quelle degli altri tibicini e su questa cantavano. Furono detti anche sicinisti (Aulo Gellio).
Funerale indictum - Viene dal verbo indicere cioè chiamare il popolo al funerale e si faceva per mezzo del banditore. È da distinguersi dall'indictivo a spese del senato benchè e l'uno l'altro s'intimasse dal banditore. L'indictivo pubblico, cioè a spese del senato, si faceva ai benemeriti della patria ed ai personaggi d'alto grado, come si fece a Siface re di Numidia, a Vitellio, a Sferone liberto e pedagogo di Augusto, a Pisone Poliarco etc. Questo onore si diede anche alle donne. Così Cornelia, Azzia madre di Cesare così Livia etc.
Vi fu poi l'uso, come narra Polibio, di seppellire a spese pubbliche i personaggi di alto lignaggio: pretori, censori, consolari, trionfali. Tuttavia sotto gli imperatori si confuse spesso il censorio col trionfale. Dal che si deduce che il censorio fosse il funerale più splendido e fu usato per gli imperatori come di Claudio Tacito e di Pertinace Capitolino, Spaziano con voci del suo secolo lo disse di Elio Vero funus imperatorium e di Opilio Macrino funus regium.
Le tibie funebri erano proprie di tutti i funerali, anche poveri. Al suono delle tibie s'intonavano le nenie ma per le leggi decemvirali non potevano essere più di dieci. Le tibie funebri erano più lunghe delle altre ed i siticini non si consideravano nel numero armonico degli altri tibicini. Le nenie cantate dalle prefiche costavano poco e declamavano versi laudatori disordinati e vuoti di senso. Precedevano la pompa funebre istrioni e saltatori detti ludii che buffoneggiavano ed imitavano coi gesti le azioni del morto.
I liberti orcini o charoniani col pileo in capo precedevano il letto del morto. Erano i servi messi in libertà dal defunto padrone. Come letto non c'era solo quello ove era disteso il morto ma tutti gli altri che portavano le immagini. Il morto non poteva averne uno solo per la legge delle Dodici Tavole. Se dunque si parla di più letti riguardavano quelli delle immagini degli antenati di cui abbondavano.
Seicento ne ordinò Augusto nel funeral di Marcello. Properzio non ne volle. Un magistrato portava le proprie insegne fin nella tomba. Le immagini degli antenati erano di cera cioè busti che si conservavano negli atri, gli antenati, insieme ai Penati e ai Lari. Tornati a casa, i parenti mettevano la maschera del defunto nel tabernacolo, vicino a quelle degli antenati. Verso la fine della repubblica, queste maschere di cera o gesso furono sostituite da ritratti in marmo, che riproducevano il defunto.
Nei funerali dei personaggi importanti sfilavano non solo quelle degli antenati ma qualunque di uomo celebre. Non erano ammesse le immagini degli uomini scellerati. Tante erano le immagini altrettanti erano i letti sebbene talvolta si portassero appese a lunghe aste. Tra le immagini potevano esserci anche quelle delle città e nazioni soggiogate dal defunto in qualità di generale. Così nel funerale di Augusto e Virgilio nel funerale di Pallante.
Ai funerali dei magistrati partecipavano in prima fila i littori coi fasci o con le altre insegne del defunto, ma piegate verso terra. I portatori del letto funebre erano per lo più gli eredi più prossimi, Quinto Metello Macedonio fu portato da suoi figli. Talvolta anche dai servi posti in libertà. Talvolta venivano portati a spalla da senatori e patrizi come gli imperatori ed i benemeriti della patria. Talvolta da persone del popolo o stranieri abitanti in Roma come si legge in Plutarco per Paolo Emilio. Se il morto era uomo ignoto od odiato dal popolo veniva portato dai becchini vespillones. Cosi avvenne per Domiziano.
Il funerale tacito - al contrario dell'indictivo, era senza pompa, senza disegnatore, senza giochi nè banditore. Si disse "funus acerbum" di quelli che morivano prima di aver vestita la toga virile. Vicini a morte si solevano abbracciare e baciare finchè spiravano. Altri baci si davano al morto prima di porsi sul rogo. Gli anelli si estraevano dal dito dei morti e ciò perchè non restassero in mano dei becchini e perchè non si bruciassero nel rogo. Uso dei Greci e dei Romani fu chiudere gli occhi ai morti.
Era proprio dei mariti chiuderli alle mogli e delle mogli ai mariti. La legge Menia menzionata da Varrone "che i figli non chiudano gli occhi ai padri" forse è solo un monito da interpretarsi moralmente cioè che non affrettino loro la morte. A nostro avviso invece era letterale, perchè in mancanza di un coniuge sopravveniva il fratello o un congiunto del morto della sua generazione o della generazione precedente. Infatti i fratelli potevano chiudere gli occhi ai fratelli. La ragione principale era per la decenza del cadavere.
LA VESTE E LE CORONE
Tutti i morti s'involgevano nella toga. Il suo colore però dipendeva dalla condizione dei morti. Per lo più era bianco. Così Omero di Patroclo. Quelli che ebbero cariche ne serbavano insegne anche da morti. Eliano distingue gli uomini di valore dai mediocri: a quelli la porpora a questi l'olivo. Le matrone romane si seppellivano con veste distinta quando avessero avuto figli nei magistrati curuli. Le vesti funebri venivano lavorate in vita dalle madri e dalle mogli dei morti. Vedi Penelope e la madre d Eurialo. Quelli che avevano vivendo meritato corone le portavano ai morti. Oltre le corone sul capo ne aveva di fiori anche il feretro ed il tumulo.
Al funerale le donne deponevano gli ornamenti d'oro e d'argento e vestivano anticamente le vesti lugubri di color nero. Uomini e donne in lutto con veste nera venivano detti atrati. Le donne spesso vestivano il ricinio, una veste quadrata. Poi passarono tutti alle vesti bianche. Presso i Greci rimasero invece le vesti nere. Nel lutto non solo si indossavano le vesti apposite ma si laceravano.
LA SEPOLTURA
Al defunto si dedicavano anche fiori, da seppellire col morto o da bruciare col suo corpo. Insomma anche gli antichi romani usavano fiori sia per le donne che per gli uomini da onorare per un'impresa, ma pure per i morti. A volte, nelle inumazioni, affinchè i fiori non appassissero, se ne facevano in terracotta e si ponevano sul catafalco del defunto. Erano fiori semplici, un po' stilizzati, ma inequivocabilmente fiori, sovente rinvenuti nei mausolei e in altre tombe.
Prima della cremazione venivano aperti gli occhi al defunto, si collocava il corpo sulla pira costruita in legno insieme con doni ed oggetti personali, quindi gli astanti gridavano ancora una volta il suo nome e con le torce veniva appiccato il fuoco. Spento il rogo, i resti combusti erano raccolti nelle urne cinerarie, dalle più umili di terracotta a quelle in marmo decorate a rilievo.
La religione verso gli Dei Superi si offuscava dall'aspetto o dal contatto di cosa che appartenesse agli Dei Inferi. Il flamine diale non poteva entrare nel luogo d'un morto nè udire le tibie funebri e se recitava orazioni funebri si copriva il volto al cadavere. La flaminica non poteva avere le scarpe morticine cioè di animali morti di morte naturale. Le statue degli Dei si velavano o trasportavano altrove se ivi era luogo di supplizio. Era impedito di sacrificare essendo dall'esequie contaminato.
Il lutto
Gl'imperatori del basso impero allungarono per le mogli il lutto a mesi dodici. In tempo di lutto pubblico cessavano i tribunali. I consoli sedevano in pubblico in una sedia più bassa. Nei lutti privati ciascuno stava prevalentemente ritirato in casa. In tempo di lutto non era lecito intervenire ai banchetti. Il lutto pubblico si interrompeva e diminuiva per qualche festa pubblica. In privato quando nascevano figliuoli o ritornava a casa qualche parente fatto già prigioniero o fosse conferito qualche onore in famiglia. Ma anche quando si davano spettacoli o giochi. Tra i motivi della cessazione del lutto Festo annovera "cum in casto est" che Scaligero interpreta come le feste di Cerere.
Resta la consacrazione o l'apoteosi. Queste divinazioni erano private quando nella propria casa o i figli divinizzavano i padri o i padri i figli e li adoravano quali numi nel larario domestico. I divinizzati avevano templi, sacerdoti ed altari. Le loro immagini erano venerate e si giurava per il nome loro.
(G.J. Monchablon - 1832)
L'erma del defunto
La trasformazione da erma di Hermes a erma-ritratto deve essere avvenuta dall'assimilazione di Hermes quale psychopompòs, cioè funerario, che andava ad assumere i tratti fisici del defunto.
Questo processo dovette svolgersi nella tarda età ellenistica o nell'epoca romana, come testimoniano le numerosissime erme romane sia in marmo che in bronzo.
In ambito italico era già diffuso il cippo funerario sormontato dalla testa del defunto (negli esemplari più antichi individuabile solo dal nome, con sembianze del tutto generiche), e fu forse questa semplice tradizione mescolata all'elegante forma greca a originare le erme-ritratto. Il defunto veniva così eternato divenendo custode e nume tutelare della casa e della proprietà dei suoi nipoti e pronipoti.
I SEPOLCRI
Seppellire si diceva in latino: Ossa componere. I luoghi dei sepolcri erano privati o pubblici. I privati si compravano dalle famiglie per lo più nei campi e negli orti. Se questi erano fecondi si collocavano i sepolcri nelle loro estremità sul bordo delle strade per tener viva nei viandanti l'idea della morte. Se erano sterili si piantavano anche i sepolcri nel mezzo. Ma per lo più restavano ai margini per non togliere la terra che potesse alimentare i viventi.
Le strade romane in cui si sa che esistevano sepolcri sono Via Appia, Aurelia, Flaminia, Latina, Labicana, Laurentina, Ostiensr, Prenestina, Salaria, Tiburtina, come è dimostrato dagli storici, dai poeti e dagli epitaffi.
- Chi non aveva luogo nei fondi propri per allestirsi il sepolcro lo comprava nei fondi altrui.
- Alcuni o in dono o in testamento assegnavano ad altri il luogo nel sepolcro. Oltre il luogo si donavano talvolta le urne.
- I meno abbienti, in genere artigiani o attori, avevano le corporazioni che garantivano un funerale decoroso.
- Sepolcri pubblici si destinavano ai poveri ed ai plebei detti puticuli o puticulae. Erano non lontani da Roma fuori della porta Esquilina. Ma perchè questa vicinanza recava insalubrità all'aria Augusto donò questo luogo a Mecenate che lo ridusse in orti ameni. Ed è probabile che altri siti suburbani si destinasse la sepoltura dei poveri, detti culinae.
- Fuori di porta Esquilina si dava sepoltura ai malfattori. Questa porta fu detta da Plauto anche Metia, e il luogo si chiamò Sestertium. Fuori di questa porta aveva la sua abitazione il carnefice.
- Agli uomini illustri e benemeriti si assegnava dal pubblico il luogo del sepolcro o nel campo Marzio o nell'Esquilino. Nel detto campo Marzio non si poteva alcuno seppellire senza pubblico decreto del senato.
- Nelle provincie i decurioni per decreto assegnavano il luogo del sepolcro, con la formula in sigla LDDD Locus datus decreto decurionum. Anche l'urna talvolta con pubblico decreto con formula che indicava esser essa stata concessa per decreto dei decurioni.
- Alcuni per altro ebbero il privilegio di essere sepolti in città, come i generali e le vestali. La famiglia Cincia e Claudia ebbe tomba dentro Roma.
I sepolcri si dicevano:
- Monumentum
- Memoria
- Conditiva
- Conditoria
- Requietorum
- Sedes
- Domus
- Domus aeterna (sulle lapidi)
Se vivi non potevano edificare il sepolcro, lo facevano gli eredi. Talvolta questi o i liberti lo erigevano a proprie spese. Anche con testamento si ordinava agli eredi di costruire il sepolcro. E gli eredi con tale condizione talvolta ereditavano perchè dovessero costruire il sepolcro. Ma se il lascito non era sufficiente gli eredi non erano tenuti, però alle volte gli eredi di loro volontà aggiungevano del loro.
Si prescriveva sovente il modo del sepolcro o si lasciava all'arbitrio dell'erede. Oltre il sepolcro lasciavano talora altre cose all'arbitrio degli eredi.
- Alcuni sepolcri erano riservati per sè e per la moglie.
- Altri per sè per la famiglia e per i posteri.
- Altri ancora erano ereditari o di famiglia.
- Altri si dicevano gentilitia ed in essi venivano deposti anche gli eredi ma non i liberti.
I sepolcri di famiglia escludevano i cognati e gli affini non istituiti eredi. Vi potevano essere locati eredi anche stranieri. Però alcuni liberti venivano considerati di famiglia. Spessissimo queste due clausole si uniscono e di rado una senza l'altra si trovano nelle lapidi. Altre volte si leggono nominati personalmente quelli che volevano partecipi dello stesso sepolcro. Oltre i morti si escludevano dai sepolcri anche i vivi.
Quanto alla violazione del corpo si faceva in quattro modi:
- Toccandolo e si aveva riguardo di farlo anche nella rifabbrica del sepolcro.
- Colla mutilazione di qualche membro e questo per impedire i sortilegi poichè si credeva che coi membri dei morti si ammaliassero i vivi.
- Spogliando il cadavere o rubando i tesori con lui sepolti come s'indica anche in sigle sepolcrali.
- Col trasporto dei cadaveri. Quando il corpo doveva qui avere un perpetuo soggiorno era illecito il trasferirlo altrove. Era lecito il trasporto per motivo ragionevole da decidersi dal magistrato o dal pontefice come per timore di rovine o per alluvione di fiumi. Questa autorità di far trasferire i cadaveri si legge anche data ai tribuni della plebe. I cadaveri che non aveano la condizione d'esser lì perpetui, si potevano trasportare. Così quelli che erano morti in terra lontana.
I romani reputavano una sciagura avere un sepolcro non patrio, infatti il trasporto dei morti era immune da gabelle. E Cicerone rinfaccia a Verre di vendere ai parenti i cadaveri per trasferirli alla patria.
C'erano pene severe a chi violava i sepolcri:
- la morte se spogliavano i sepolcri con mano armata
- se senz'armi o coll'esilio o con pene pecuniarie o con condannarsi ai metalli.
- Le pene pecuniarie talvolta erano stabilite dai testatori come in lapidi.
- Altro oltraggio era orinare sui sepolcri.
I cenotafi o sepolcri vuoti, si erigevano ai sepolti altrove a titolo di onore, o a quelli che non poterono mai avere sepoltura credendo che le anime non potessero avere riposo se il corpo non era sepolto. Questo accadeva ai morti in guerra o in mare. Si ornavano di epitaffi. La religione dei sepolcri era stabile nel luogo dove essi erano, quella dei cenotafi si poteva cambiare e sopprimere, invece per renderla stabile si doveva rinnovare ogni anno con qualche sacra cerimonia come nel cenotafio di Druso.
Nella necropoli di Porto, (Isola Sacra), sedili o letti in muratura ai lati, con residui di mense intonacate di rosso, con tracce di bruciato e residui di vasellame ceramico, usati nelle cerimonie. Molti degli arredi, scamna, triclinia, abaci, mensae, ricordati dalle fonti, sono raramente conservati nelle necropoli di Roma, per cui si è pensato anche all’esistenza di arredi mobili.
Il lutto
Gl'imperatori del basso impero allungarono per le mogli il lutto a mesi dodici. In tempo di lutto pubblico cessavano i tribunali. I consoli sedevano in pubblico in una sedia più bassa. Nei lutti privati ciascuno stava prevalentemente ritirato in casa. In tempo di lutto non era lecito intervenire ai banchetti. Il lutto pubblico si interrompeva e diminuiva per qualche festa pubblica. In privato quando nascevano figliuoli o ritornava a casa qualche parente fatto già prigioniero o fosse conferito qualche onore in famiglia. Ma anche quando si davano spettacoli o giochi. Tra i motivi della cessazione del lutto Festo annovera "cum in casto est" che Scaligero interpreta come le feste di Cerere.
Resta la consacrazione o l'apoteosi. Queste divinazioni erano private quando nella propria casa o i figli divinizzavano i padri o i padri i figli e li adoravano quali numi nel larario domestico. I divinizzati avevano templi, sacerdoti ed altari. Le loro immagini erano venerate e si giurava per il nome loro.
(G.J. Monchablon - 1832)
ERME ROMANE |
L'erma del defunto
La trasformazione da erma di Hermes a erma-ritratto deve essere avvenuta dall'assimilazione di Hermes quale psychopompòs, cioè funerario, che andava ad assumere i tratti fisici del defunto.
Questo processo dovette svolgersi nella tarda età ellenistica o nell'epoca romana, come testimoniano le numerosissime erme romane sia in marmo che in bronzo.
In ambito italico era già diffuso il cippo funerario sormontato dalla testa del defunto (negli esemplari più antichi individuabile solo dal nome, con sembianze del tutto generiche), e fu forse questa semplice tradizione mescolata all'elegante forma greca a originare le erme-ritratto. Il defunto veniva così eternato divenendo custode e nume tutelare della casa e della proprietà dei suoi nipoti e pronipoti.
I SEPOLCRI
Seppellire si diceva in latino: Ossa componere. I luoghi dei sepolcri erano privati o pubblici. I privati si compravano dalle famiglie per lo più nei campi e negli orti. Se questi erano fecondi si collocavano i sepolcri nelle loro estremità sul bordo delle strade per tener viva nei viandanti l'idea della morte. Se erano sterili si piantavano anche i sepolcri nel mezzo. Ma per lo più restavano ai margini per non togliere la terra che potesse alimentare i viventi.
Le strade romane in cui si sa che esistevano sepolcri sono Via Appia, Aurelia, Flaminia, Latina, Labicana, Laurentina, Ostiensr, Prenestina, Salaria, Tiburtina, come è dimostrato dagli storici, dai poeti e dagli epitaffi.
- Chi non aveva luogo nei fondi propri per allestirsi il sepolcro lo comprava nei fondi altrui.
- Alcuni o in dono o in testamento assegnavano ad altri il luogo nel sepolcro. Oltre il luogo si donavano talvolta le urne.
- I meno abbienti, in genere artigiani o attori, avevano le corporazioni che garantivano un funerale decoroso.
- Sepolcri pubblici si destinavano ai poveri ed ai plebei detti puticuli o puticulae. Erano non lontani da Roma fuori della porta Esquilina. Ma perchè questa vicinanza recava insalubrità all'aria Augusto donò questo luogo a Mecenate che lo ridusse in orti ameni. Ed è probabile che altri siti suburbani si destinasse la sepoltura dei poveri, detti culinae.
- Fuori di porta Esquilina si dava sepoltura ai malfattori. Questa porta fu detta da Plauto anche Metia, e il luogo si chiamò Sestertium. Fuori di questa porta aveva la sua abitazione il carnefice.
- Agli uomini illustri e benemeriti si assegnava dal pubblico il luogo del sepolcro o nel campo Marzio o nell'Esquilino. Nel detto campo Marzio non si poteva alcuno seppellire senza pubblico decreto del senato.
- Nelle provincie i decurioni per decreto assegnavano il luogo del sepolcro, con la formula in sigla LDDD Locus datus decreto decurionum. Anche l'urna talvolta con pubblico decreto con formula che indicava esser essa stata concessa per decreto dei decurioni.
- Alcuni per altro ebbero il privilegio di essere sepolti in città, come i generali e le vestali. La famiglia Cincia e Claudia ebbe tomba dentro Roma.
I sepolcri si dicevano:
- Monumentum
- Memoria
- Conditiva
- Conditoria
- Requietorum
- Sedes
- Domus
- Domus aeterna (sulle lapidi)
Se vivi non potevano edificare il sepolcro, lo facevano gli eredi. Talvolta questi o i liberti lo erigevano a proprie spese. Anche con testamento si ordinava agli eredi di costruire il sepolcro. E gli eredi con tale condizione talvolta ereditavano perchè dovessero costruire il sepolcro. Ma se il lascito non era sufficiente gli eredi non erano tenuti, però alle volte gli eredi di loro volontà aggiungevano del loro.
Si prescriveva sovente il modo del sepolcro o si lasciava all'arbitrio dell'erede. Oltre il sepolcro lasciavano talora altre cose all'arbitrio degli eredi.
- Alcuni sepolcri erano riservati per sè e per la moglie.
- Altri per sè per la famiglia e per i posteri.
- Altri ancora erano ereditari o di famiglia.
- Altri si dicevano gentilitia ed in essi venivano deposti anche gli eredi ma non i liberti.
I sepolcri di famiglia escludevano i cognati e gli affini non istituiti eredi. Vi potevano essere locati eredi anche stranieri. Però alcuni liberti venivano considerati di famiglia. Spessissimo queste due clausole si uniscono e di rado una senza l'altra si trovano nelle lapidi. Altre volte si leggono nominati personalmente quelli che volevano partecipi dello stesso sepolcro. Oltre i morti si escludevano dai sepolcri anche i vivi.
Nei sepolcri comuni divisi in varie parti era lecito ammettere persone diverse. Si notano nelle lapidi il luogo assegnato o a questo o a quello. Talora avevano comuni le aree del sepolcro non già il sepolcro. Che se alcuno non aveva sepolcro proprio ne chiedevano il diritto al padrone. Nei sepolcri comuni si comprendono i poliandrii cioè quelli di pellegrini o morti in guerra. Gli antichi sepolcri erano altrettante cavernette o fosse. Gli artefatti con eleganza erano sotterranei edifizi lavorati a volta selciati nel pavimento e chiusi con mura. Vi si discendeva mediante gradini e le cellette avevano le loro porte. Tutto è provato dagli scrittori e dalle lapidi. I sepolcri aveano i loro custodi.
Le cellette si dicevano loculi o capuli. Dove stava il corpo intero si disse arca ma queste arche, dette anche solii da Plinio, erano mobili. I romani permettevano che ognuno facesse a suo talento il sepolcro a seconda del genio e del denaro. Vi si aggiungevano statue e colonne. Le statue erano sacre agli Dei Inferi. I sepolcri che non le avevano furono detti pagae da Isidoro.
Talvolta sopra il sepolcro si ergevano altri edifizi detti domunculae. I sepolcri erano cinti da muretti di selce, di sasso o di marmo. Il mausoleo di Augusto era di ferro. La materia degli stessi sepolcri era varia. Dei ricchi in marmo. Mediante statue e ornanti i sepolcri alludevano alle imprese del morto. Il Fabricio le ravvisa nell'antichità di Roma. Ogni sepolcro aveva la sua inscrizione detta anche "titulus," in versi o in prosa. Alcuni la colorivano col minio. Per lo più si incideva l'intitolazione agli Dei Mani e poi il nome del morto.
Si scriveva sulle tombe un piccolo elogio, talvolta il tempo del matrimonio. Le lodi d'un buon matrimonio si esprimevano con le formule: sine querela, sine controversia, sine macula etc. Si scriveva spesso la causa della morte. I sepolcri erano sempre detti sepulcra sancta et sacra ma non divenivano tali se non entrava in essi il cadavere.
LE VIOLAZIONI
Se si trovava un morto insepolto si attirava sciagura chi non vi gettava sopra della terra almeno per tre volte.
Si violava la religione dei sepolcri, prima del sepolcro poi dei sepolti:
- Con il portar via dal sepolcro sassi marmi colonne statue ovvero romperle.
- Coll'abitazione cioè quando si convertiva in altro uso il luogo del sepolcro. Si eccettuano quelli che si nascondevano ad abitare nei sepolcri per timore. Come pure le meretrici che spesso ivi albergavano.
- Coll'intrusione illegittima cioè quando contro la volontà del testatore si introduceva uno straniero nel sepolcro.
- Coll'alienazione vendendolo o modificandolo. Questa condizione si trova anche espressa nella lapide.
Le cellette si dicevano loculi o capuli. Dove stava il corpo intero si disse arca ma queste arche, dette anche solii da Plinio, erano mobili. I romani permettevano che ognuno facesse a suo talento il sepolcro a seconda del genio e del denaro. Vi si aggiungevano statue e colonne. Le statue erano sacre agli Dei Inferi. I sepolcri che non le avevano furono detti pagae da Isidoro.
Talvolta sopra il sepolcro si ergevano altri edifizi detti domunculae. I sepolcri erano cinti da muretti di selce, di sasso o di marmo. Il mausoleo di Augusto era di ferro. La materia degli stessi sepolcri era varia. Dei ricchi in marmo. Mediante statue e ornanti i sepolcri alludevano alle imprese del morto. Il Fabricio le ravvisa nell'antichità di Roma. Ogni sepolcro aveva la sua inscrizione detta anche "titulus," in versi o in prosa. Alcuni la colorivano col minio. Per lo più si incideva l'intitolazione agli Dei Mani e poi il nome del morto.
Si scriveva sulle tombe un piccolo elogio, talvolta il tempo del matrimonio. Le lodi d'un buon matrimonio si esprimevano con le formule: sine querela, sine controversia, sine macula etc. Si scriveva spesso la causa della morte. I sepolcri erano sempre detti sepulcra sancta et sacra ma non divenivano tali se non entrava in essi il cadavere.
LE VIOLAZIONI
Se si trovava un morto insepolto si attirava sciagura chi non vi gettava sopra della terra almeno per tre volte.
Si violava la religione dei sepolcri, prima del sepolcro poi dei sepolti:
- Con il portar via dal sepolcro sassi marmi colonne statue ovvero romperle.
- Coll'abitazione cioè quando si convertiva in altro uso il luogo del sepolcro. Si eccettuano quelli che si nascondevano ad abitare nei sepolcri per timore. Come pure le meretrici che spesso ivi albergavano.
- Coll'intrusione illegittima cioè quando contro la volontà del testatore si introduceva uno straniero nel sepolcro.
- Coll'alienazione vendendolo o modificandolo. Questa condizione si trova anche espressa nella lapide.
Quanto alla violazione del corpo si faceva in quattro modi:
- Toccandolo e si aveva riguardo di farlo anche nella rifabbrica del sepolcro.
- Colla mutilazione di qualche membro e questo per impedire i sortilegi poichè si credeva che coi membri dei morti si ammaliassero i vivi.
- Spogliando il cadavere o rubando i tesori con lui sepolti come s'indica anche in sigle sepolcrali.
- Col trasporto dei cadaveri. Quando il corpo doveva qui avere un perpetuo soggiorno era illecito il trasferirlo altrove. Era lecito il trasporto per motivo ragionevole da decidersi dal magistrato o dal pontefice come per timore di rovine o per alluvione di fiumi. Questa autorità di far trasferire i cadaveri si legge anche data ai tribuni della plebe. I cadaveri che non aveano la condizione d'esser lì perpetui, si potevano trasportare. Così quelli che erano morti in terra lontana.
I romani reputavano una sciagura avere un sepolcro non patrio, infatti il trasporto dei morti era immune da gabelle. E Cicerone rinfaccia a Verre di vendere ai parenti i cadaveri per trasferirli alla patria.
C'erano pene severe a chi violava i sepolcri:
- la morte se spogliavano i sepolcri con mano armata
- se senz'armi o coll'esilio o con pene pecuniarie o con condannarsi ai metalli.
- Le pene pecuniarie talvolta erano stabilite dai testatori come in lapidi.
- Altro oltraggio era orinare sui sepolcri.
I cenotafi o sepolcri vuoti, si erigevano ai sepolti altrove a titolo di onore, o a quelli che non poterono mai avere sepoltura credendo che le anime non potessero avere riposo se il corpo non era sepolto. Questo accadeva ai morti in guerra o in mare. Si ornavano di epitaffi. La religione dei sepolcri era stabile nel luogo dove essi erano, quella dei cenotafi si poteva cambiare e sopprimere, invece per renderla stabile si doveva rinnovare ogni anno con qualche sacra cerimonia come nel cenotafio di Druso.
LE COMMEMORAZIONI DEI DEFUNTI
Si rendeva quindi necessario, una volta terminato il funerale, purificare la famiglia del defunto dalla contaminazione della morte. La suffitio, alla quale erano sottoposti i parenti al ritorno dal funerale, era solo la prima di una serie di cerimonie di purificazione che aveva luogo nella casa del defunto (feriae denicales), soprattutto nel II sec. d.c..
Infatti nei sepolcreti è attestata la presenza di letti triclinari in muratura posti sia all’esterno che all’interno dei monumenti funerari, usati per il banchetto.
I tre riti più importanti compiuti presso la tomba erano: il seppellimento, il sacrificio di un maiale ed il banchetto funerario. Il sacrificio del maiale era dovuto alla terra, quindi Ctonio, dedicato alle potestà infere, che dovevano prendersi cura del morto, mentre il banchetto che seguiva, “silicernium”, serviva piuttosto a purificare la famiglia contaminata dalla morte.
Così la famiglia riallacciava i legami con il resto della società e si chiudevano i nove giorni delle “feriae denicales”, i giorni del lutto e terminava con un secondo banchetto, la coena novendialis, Cerimonie funebri con banchetti presso la tomba seguivano per il dies natalis del defunto.
Nel rito funerario l'omaggio vegetale associa il defunto alla rinascita della natura e all'eterna primavera della vita ultraterrena; a questa simbologia riportano gli encarpi (tralci d'edera o altro appesi tra le colonne) che ornano così frequentemente le tombe e i loro arredi.
In tre modi si onoravano i morti:
I - "Inferiis epulis ludisinferiae" cioè sacrifici agli Dei Inferi. Si aspergevano sulle tombe vino latte sangue e balsamo. Tutto è provato dagli scrittori e dalle lapidi. I sepolcri si ornavano di corone e di fiori singolarmente di rose o gigli come in Virgilio al sepolcro di Marcello. I Romani sempre per lutto indossavano certe berrette o mitre di lana dette "teniae".
II - Le "epulae" erano private e pubbliche. Le prime erano dette silicernia e si suddividono in quelle dei vivi e dei morti. Le cene dei morti consistevano in offerte che loro facevano i vivi sul sepolcro. Credevano che le anime si cibassero ed era grave delitto il toccarne alcuna il che era proprio dei bustirapi (depredatori di tombe e di roghi). Durante i banchetti ai defunti era riservata una parte del cibo e delle bevande che venivano introdotti nei fori praticati nella sepoltura e dovevano raggiungere le ossa o le ceneri; questo rituale, descritto anche da Virgilio (Aen., V, 76- 77), era molto diffuso e trova numerose attestazioni in tutto il mondo romano.
Tra il I e il II sec. d.c. molte tombe furono attrezzate con tubuli per le profusiones, rinvenute numerose nelle necropoli di Albintimilium, Ostia, Isola Sacra e Pompei. Nelle sepolture individuali il condotto era costituito da un tubo di terracotta, ottenuto dall'unione di due coppi o semplicemente da un'anfora spezzata; in caso di sepolture collettive, invece, nelle tombe a camera, il condotto per le libagioni era ricavato nel pavimento per raggiungere simbolicamente tutti i defunti. Si lasciavano dal testatore talora legati perchè ogni anno i parenti del morto cenassero cospargendo il sepolcro di fiori.
III - Le cene pubbliche ai morti erano quando dai ricchi per celebrare la memoria di un loro defunto facevano mangiare lautamente il popolo. A questo si univano anche le viscerazioni cioè la distribuzione di carni d'animali. Così R. Massimo per suo padre Fausto figlio di Silla allo stesso e Caio Giulio Cesare per sua figlia come ricorda Livio. Nelle cene dei morti si parlava molto delle loro virtù. I cibi ferali erano: fave, appio, lattuga, pane, uova, lenticchia, sale, focaccia, carni. Si trova menzione in Tertulliano di un vaso panciuto per bere detto obba che corrisponde al simpulum. Le vesti dei convitati alle cene funebri erano di color bianco, proibito il nero.
I - "Inferiis epulis ludisinferiae" cioè sacrifici agli Dei Inferi. Si aspergevano sulle tombe vino latte sangue e balsamo. Tutto è provato dagli scrittori e dalle lapidi. I sepolcri si ornavano di corone e di fiori singolarmente di rose o gigli come in Virgilio al sepolcro di Marcello. I Romani sempre per lutto indossavano certe berrette o mitre di lana dette "teniae".
II - Le "epulae" erano private e pubbliche. Le prime erano dette silicernia e si suddividono in quelle dei vivi e dei morti. Le cene dei morti consistevano in offerte che loro facevano i vivi sul sepolcro. Credevano che le anime si cibassero ed era grave delitto il toccarne alcuna il che era proprio dei bustirapi (depredatori di tombe e di roghi). Durante i banchetti ai defunti era riservata una parte del cibo e delle bevande che venivano introdotti nei fori praticati nella sepoltura e dovevano raggiungere le ossa o le ceneri; questo rituale, descritto anche da Virgilio (Aen., V, 76- 77), era molto diffuso e trova numerose attestazioni in tutto il mondo romano.
Tra il I e il II sec. d.c. molte tombe furono attrezzate con tubuli per le profusiones, rinvenute numerose nelle necropoli di Albintimilium, Ostia, Isola Sacra e Pompei. Nelle sepolture individuali il condotto era costituito da un tubo di terracotta, ottenuto dall'unione di due coppi o semplicemente da un'anfora spezzata; in caso di sepolture collettive, invece, nelle tombe a camera, il condotto per le libagioni era ricavato nel pavimento per raggiungere simbolicamente tutti i defunti. Si lasciavano dal testatore talora legati perchè ogni anno i parenti del morto cenassero cospargendo il sepolcro di fiori.
III - Le cene pubbliche ai morti erano quando dai ricchi per celebrare la memoria di un loro defunto facevano mangiare lautamente il popolo. A questo si univano anche le viscerazioni cioè la distribuzione di carni d'animali. Così R. Massimo per suo padre Fausto figlio di Silla allo stesso e Caio Giulio Cesare per sua figlia come ricorda Livio. Nelle cene dei morti si parlava molto delle loro virtù. I cibi ferali erano: fave, appio, lattuga, pane, uova, lenticchia, sale, focaccia, carni. Si trova menzione in Tertulliano di un vaso panciuto per bere detto obba che corrisponde al simpulum. Le vesti dei convitati alle cene funebri erano di color bianco, proibito il nero.
Ludi o giochi ai sepolcri
Consistevano negli spettacoli dei gladiatori ovvero rappresentazioni teatrali. Questo veniva concesso nei funerali pubblici e il popolo li pretendeva come fosse un debito. Anche nei privati per testamento potevano essere richiesti i ludi presso i sepolcri. Venivano concessi anche nei funerali delle donne, tanto è vero che Cesare, che fu il primo a darne l'esempio, li fece in onore di sua figlia. Se il testatore lasciava per legato i giochi questi si eseguivano a foggia pubblica col disegnatore.
Al morto si conservava vuota nel teatro la sua sedia.
Consistevano negli spettacoli dei gladiatori ovvero rappresentazioni teatrali. Questo veniva concesso nei funerali pubblici e il popolo li pretendeva come fosse un debito. Anche nei privati per testamento potevano essere richiesti i ludi presso i sepolcri. Venivano concessi anche nei funerali delle donne, tanto è vero che Cesare, che fu il primo a darne l'esempio, li fece in onore di sua figlia. Se il testatore lasciava per legato i giochi questi si eseguivano a foggia pubblica col disegnatore.
Al morto si conservava vuota nel teatro la sua sedia.