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VOLTERRA - VELATHRI (Toscana)

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La città di Volterra, circondata da mura, sorge sulla sommità di una collina posta sullo spartiacque fra le valli dei fiumi Era (a Nord) e Cecina (a Sud). 
Il piano su cui è stata edificata ha una direzione NO-SE ed è posta a m. 541 s.l.m.

Il territorio circostante è delimitato dal massiccio del Montevaso, dai cordoni dei Cornocchi e delle Colline Metallifere, tanto apprezzate in quanto usate sia da etruschi che romani.

Nella zona a NO ha un forte movimento franoso, che ha dato origine al fenomeno delle “Balze”, pareti verticali generate dai crolli che danno luogo alla tipica morfologia a balze, con calanchi sottostanti, uno spettacolo scenografico e in altri tempi allarmante.



LA STORIA

- Nel VII sec. a.c. vi sorse, ad opera degli etruschi, la città di Velathri e nel IV sec. a.c. e si assistette a un notevole sviluppo economico della città, con aumento delle esportazioni, emissione di una propria moneta e ricchi complessi tombali, a cui si aggiunsero la grande cinta muraria con un perimetro di oltre sette km.

- Nel III sec. a.c. ebbe una intensa attività edilizia, creando un quartiere con edifici a destinazione religiosa. In una prima fase, databile agli inizi del III sec. a.c., fu costruito il Tempio chiamato “B”.Infatti, Volterra, divenne una delle dodici lucomonie della nazione etrusca, con un territorio che si estendeva dal fiume Pesa al mar Tirreno e dall'Arno al bacino del fiume Cornia.

- Sempre nel III sec., con la battaglia del lago Vadimone (283 a.c.) Volterra dovette sottomettersi ai Romani verso il 260, entrando a far parte, insieme ad altre città, della confederazione italica.

- Livio ci informa, a proposito degli approvvigionamenti che l'esercito di Scipione ricevette da alcune città etrusche, durante la II guerra punica nel 205 a.c., che Volterra contribuì con legnami per le navi ma soprattutto con frumento, prodotto che evidentemente era alla base della sua economia.

- Nel 90 a.c.. con la Lex Julia de Civitate, Volterra ottenne la cittadinanza romana, fu iscritta alla tribù Sabatina e costituì un florido municipio. Tuttavia lo schieramento della sua popolazione a favore di Gaio Mario durante la guerra civile fu la causa di un lungo assedio da parte delle truppe fedeli a Silla, che, dopo un lungo assedio, conquistarono la città nell’80 a.c. A causa della sconfitta la città perse la cittadinanza romana, come sappiamo dalla requisitoria di Cicerone in difesa degli interessi di un membro della famiglia volterrana dei Cecina.
- Durante l’età augustea la città conobbe invece una fase di intensa attività edilizia pubblica e privata, documentata dai resti di numerosi edifici pubblici e privati costruiti in base a un nuovo piano regolatore basato sull’allineamento di strade e case.

L'ACROPOLI
 Lo spazio antistante i due santuari fu allargato e sistemato intorno al 20 d.c., quando il terreno fu livellato e portato all’altezza della piazza antistante il tempio B.

- Nei primi decenni del I sec. d.c. fu realizzata anche la più grande opera edilizia pubblica di epoca romana della città. Grazie alla munificenza di alcuni membri di una famiglia patrizia di Volterra, i Caecinae, venne costruito un teatro nella valle di Vallebuona, sulle pendici Nord della collina, per cui le nuove costruzioni furono realizzate orientandole in base ad esso, seguendo un nuovo criterio di programmazione edilizia.

Seguì poi la realizzazione di una Porticus Post Scaenam, che inquadrava il teatro in una scenografia architettonica immediatamente visibile per chi giungeva alla città da Nord.
Nel III sec. costruite le terme di S. Felice e quelle di Vallebuona, ma finisce di essere frequentata l’area templare dell’Acropoli; cominciano a essere effettuate sepolture all’interno della città, chiude il teatro di Vallebuona verso la fine del III sec. forse a causa di un terremoto.
LA CISTERNA

AREA ARCHEOLOGICA DELL'ACROPOLI


LA I CISTERNA

Le indagini sul piano dell’Acropoli si sono concentrate soprattutto nella zona occidentale, in cui era conosciuta l’esistenza di alcune strutture antiche già nel Settecento. La sommità della collina di Volterra era priva di sorgenti naturali, Prima di entrare nella zona archeologica vera e propria troviamo sulla nostra destra un rialzo del terreno, che costituisce la copertura di una grande cisterna sotterranea, realizzata in opus caementicium, che doveva rifornire d’acqua l’intera zona dell’Acropoli; è formata dal una grande camera rettangolare divisa in tre navate coperte con una volta a botte da sei pilastri in blocchi di pietra. L’intera costruzione è databile al I sec. d.c. e per la sua capacità, che è di circa 1000 metri cubi, deve essere stata costruita con denaro pubblico.



LA II CISTERNA

Entrando nella zona aperta ai visitatori notiamo sulla sinistra i resti di un’altra cisterna in opera cementizia, che in origine dovette essere parzialmente costruita anche in elevato; è contemporanea alla precedente e costituiva con essa un unico sistema idraulico destinato ad approvvigionare in epoca romana l’intera zona dell’Acropoli.
In epoca romana le due cisterne vennero mantenute in funzione e a esse si affiancarono altre due, costruite poco lontano dalla zona sacra, e destinate alle necessità della popolazione. Queste cisterne cessarono di essere utilizzate contemporaneamente all’area sacra, intorno alla metà del III sec. d.c.

I TEMPLI DELL'ACROPOLI

I TEMPLI  A e B  DELL'ACROPOLI

Sono emersi i resti della decorazione architettonica di un tempio della prima metà del IV sec. a.c., destinato a sostituire quello più antico. La fase edilizia meglio conservata è quella di età ellenistica (III-II sec. a.c.). Si compone di due edifici di culto, denominati convenzionalmente tempio A e tempio B, e di altri edifici di servizio che si trovavano nelle vicinanze.

Il tempio più antico (tempio B), è quello più a Ovest, databile alla II metà del III sec. a.c.; invece il tempio A, di fronte all’ingresso, è della metà del II sec. a.c. Si ignora a chi fossero dedicati.

Il tempio B, conservato solo a livello di fondazione, era un edificio di tipo tuscanico, quindi di tradizione etrusca. Si componeva di due parti uguali: la parte posteriore era una cella chiusa che è quasi del tutto perduta; quella anteriore era costituita da un colonnato di tre file di quattro colonne. Il tempio si ergeva su un podio, di cui non si è conservato nessun blocco del rivestimento, e vi si accedeva tramite una scalinata di cui si conserva solo un gradino. La copertura dell’edificio includeva terrecotte modellate a mano e a stampo che in parte sono conservate al Museo Guarnacci.

Contemporanee sono: una serie di vasche in cocciopesto attualmente coperte dallo stradello basolato che corre fra i due templi, la cisterna inglobata nel podio del tempio A e alcune strutture di servizio, fra cui un’altra cisterna che possiamo vedere sulla sinistra del tempio B se ci poniamo con le spalle alla fronte. La maggior parte di queste strutture fu cancellata con la costruzione del nuovo tempio; furono anche costruiti lo stradello intertemplare e parte del muro di cinta che racchiudeva l’area sacra (temenos).

Il tempio A non è di tipologia etrusca, ma deriva dai templi di tipo greco; l’unico elemento della tradizione italica è l’alto podio su cui fu costruito. L’edificio era orientato NO-SO, la muratura era in opera isodoma a blocchi squadrati parallelepipedi di eguale misura; il settore NO non si è conservato. Era costituito da una cella chiusa, circondata sul retro e ai fianchi da colonne di cui nulla rimane;la parte frontale aveva una scalinata di accesso. Si sono conservati alcuni blocchi del rivestimento del podio in pietra arenaria grigia modanata e alcuni elementi della decorazione architettonica. In questa fu ritrovato un bronzetto votivo del VI sec. a.c.

Contemporaneamente al tempio A fu completato il muro di temenos che recingeva l’intera area sacra e venne costruito presso il margine occidentale del pianoro un edificio con un vano rivestito di un ricco affresco di pannelli di diversi colori: verde, rosso, nero, giallo, bianco, i cui frammenti sono in corso di restauro, e che è attribuibile a maestranze greche.

Questi due templi continuarono ad essere utilizzati anche in epoca romana. Nel corso del I sec. a.c. nell’area sacra furono compiuti alcuni interventi, fra cui la costruzione delle nuove cisterne in opus caementicium e la sistemazione dello spiazzo antistante il tempio B, ma gli edifici non subirono sostanziali modifiche. La zona cessò di essere frequentata nella prima metà del III sec..

PORTA DELL'ARCO

PORTA DELL'ARCO

Ridiscesi dall'acropoli si incontra la Porta all’Arco a Sud e il Portone a Nord. La strada antica si troverebbe circa un m sotto a quella moderna e buona parte del suo tracciato coincide con quello di via Matteotti. Il cardo antico cittadino terminava in corrispondenza della Porta all’Arco, presso cui arrivava la via che collegava Volterra con la valle del Cecina e il mare.

La Porta dell'Arco è il principale monumento architettonico della Volterra etrusca. Questa si apriva nel lato Sud delle mura, con una copertura formata da un arco in conci di pietra decorato da tre teste. La porta è realizzata con materiali e tecniche diversi, segno dei numerosi rimaneggiamenti subiti nel corso dei secoli.

I piedritti, ovvero gli elementi verticali che sorreggono l’arco, sono stati realizzati con grandi blocchi di tufo sovrapposti, e sono le uniche parti della porta che sopravvivono dal tempo degli etruschi (IV secolo a.c., epoca a cui risalgono le mura etrusche), perché l’arco è più tardo, siamo già in epoca romana, forse nel II sec, a.c.. A quest’epoca risalgono, probabilmente, anche le tre teste che ornano l’arco. Dato il deterioramento non sappiamo cosa rappresentino, forse i numi protettori della città, forse al centro Giove e ai lati i Dioscuri, Castore e Polluce, oppure la Triade Capitolina (Giove, Giunone e Minerva).  

Gli stipiti sono in blocchi di pietra arenaria detta Panchino, di notevoli dimensioni, le tre teste e l’arco sono realizzati con altri due tipi di pietra; i conci dell’arco sono di “tufo di Pignano”, una pietra calcarea che si ricava nei pressi di Volterra, mentre le teste sono scolpite nella selagite, una roccia della zona di Montecatini Val di Cecina.

In un’urna del museo Guarnacci del I sec. a.c., raffigurante una scena di assedio, si nota una porta decorata da tre teste (Dia 22) ed è la raffigurazione più antica della Porta all’Arco. Le mura contemporanee alla porta vennero sostituite da quelle comunali nella I metà del XIII secolo; in questo tratto le mura medievali ricalcano il percorso di quelle antiche.

PORTA DIANA

PORTA DIANA o PORTONE

Superato il cimitero moderno troviamo un’altra porta etrusca, chiamata Porta Diana o Portone (Dia 28). 

Questa porta è molto simile, come costruzione, alla Porta all’Arco, che abbiamo visitato all’inizio del percorso; anche le dimensioni in massima parte vi coincidono. 
A differenza però della Porta all’Arco quest’ultima non conserva la copertura.



IL FORO

Più oltre, nei pressi della chiesa di S. Michele, in epoca romana vi era il Foro. Non conosciamo  la sua area, ma si trovava in questa zona visto che la chiesa di S. Michele è ricordata in un documento del 987 come “ecclesia S. Michaeli in foro”. Inoltre la presenza di numerosi resti murari inglobati negli edifici di questa via fa pensare che in zona si trovassero importanti costruzioni romane.

Nella stessa via, nella facciata del n° 22 , è incastonata una lapide marmorea funeraria di epoca romana (C.I.L., 1784)(Dia 6): A. PERSIUS A.F. SEVERUS V. ANN. VIII M. III D. XIX. Traduzione: Aulo Persio figlio di Aulo Severo, visse 8 anni, 3 mesi e 19 giorni.
La lapide funeraria di un giovanissimo membro della gens Persia, un’importante famiglia volterrana il cui più illustre membro fu il poeta satirico Aulo Persio Flacco.

Nella facciata del n° 26 sono invece incastonate alcune urne cinerarie in calcare e alabastro e vasi in terracotta (Dia 7,8,9). L’uso di decorare le facciate dei palazzi con materiali antichi fu tipico dell’architettura Settecentesca in Toscana.

IL TEATRO

AREA ARCHEOLOGICA DI VALLEBUONA

Oltrepassata la Porta Fiorentina, che si trova alla fine della strada, sulla nostra sinistra troviamo l’ingresso per l’area archeologica di Vallebuona, comprendente un teatro e un impianto termale racchiuso da un grande colonnato, edificati in epoche diverse.

A Nord dell’area archeologica, dove oggi è un quartiere moderno, sono stati trovati parecchi resti di abitazioni signorili romane; importanti i due mosaici trovati durante la costruzione del Macelli Pubblici nel 1969 e conservati al Museo Guarnacci (Dia 10). 


COME APPARIVA IL TEATRO


IL TEATRO

Vi sono i resti di una struttura muraria di età ellenistica ma il monumento più imponente è il teatro, databile all’età augustea che venne scavato negli anni ‘50, ma alcuni ritrovamenti occasionali avevano già segnalato la sua presenza (Fig. 5, 6). Fu grazie all’intervento dell’archeologo volterrano Enrico Fiumi che il teatro venne portato alla luce. Egli utilizzò come operai una squadra di malati di mente ricoverati presso l’Ospedale Psichiatrico di Volterra, come ricorda la targa posta all’ingresso dell’edificio a ricordo del loro contributo.
Durante gli scavi è stata trovata buona parte dell’epigrafe dedicatoria del teatro, oggi conservata al Museo Guarnacci (Dia 11), dove si enunciano i due membri della famiglia Cecina, Aulo Cecina Largo e Aulo Cecina Severo, come costruttori a loro spese del teatro (evergetismo).

I due Cecina facevano parte di una delle famiglie volterrane più ricche e influenti i cui membri durante il I sec. a.c. si trasferirono a Roma per partecipare alla vita politica dello stato; infatti ambedue vennero nominati furono consoli, e molti loro consanguinei ebbero importanti cariche a Roma. Durante gli scavi sono infatti stati rinvenuti vari sedili, con ancora incisi i vari nomi dei rappresentanti delle famiglie più influenti della Volterra romana quali i Caecinae, i Persii e i Laelii.

RICOSTRUZIONE
Scendendo dall’ingresso si trova una galleria coperta (cripta) per facilitare l’accesso del pubblico alla cavea, la zona destinata agli spettatori; oggi la galleria è quasi completamente franata, ma nei tratti superstiti si individuano i resti dell’intonaco che in origine ricopriva pareti e soffitto. La cavea si appoggia alla collina e si compone di due ordini di gradinate di nove (media cavea) e dieci (ima cavea) file di sedili separati da uno stretto passaggio semicircolare.

I sedili, solo parzialmente conservati, erano in calcare locale; alcune scalette di accesso ai posti sono disposte a raggiera confluendo verso il basso; nell’ordine superiore sono 11, mentre in quello inferiore sono sei; le scale di accesso sono realizzate in pietra di Montecatini Val di Cecina di colore nero che, con le gradinate bianche. creavano un effetto cromatico decorativo.

Il teatro, di medie dimensioni, conteneva circa 1300-1700 posti, le ultime due file di gradini recavano incisi i nomi di molte famiglie volterrane, insomma dei posti riservati alle persone importanti. Al di sopra della cripta si trova una grande terrazza ornata al centro da tre esedre, che contenevano statue dell’imperatore, a cui era evidentemente dedicato il teatro, e che dovevano servire per il culto imperiale. Delle teste di statua raffiguranti Augusto, Livia e Tiberio (Dia 12,13,14), sono state trovate durante gli scavi e sono evidentemente i resti superstiti delle tre statue che si trovavano nelle esedre.

RICOSTRUZIONE
Grazie all’impulso dato da Augusto che molte opere pubbliche furono realizzate a spese di ricchi mecenati che, insieme al ricordo della loro donazione, che comunque fa loro pubblicità, pubblicizzano anche l’imperatore e alla sua famiglia.
In origine l’ingresso al teatro avveniva da Sud e questa terrazza era la parte del teatro più vicina all’ingresso, che però non si è conservato. Alla terrazza si accedeva tramite scalinate che portavano poi alla galleria sottostante. Ai piedi della cavea vi è un semicerchio del diametro di 17,60 m., l’orchestra, delimitata da un muretto (pulpitum), dietro la quale vi è il proscenio, uno spazio rettangolare coperto da un pavimento ligneo sul quale si muovevano gli attori.

Tra il proscenio ed il pulpitum vi è un canale (aulaeum), che conteneva il sipario che si ripiegava al momento dello spettacolo. Al contrario dei teatri moderni in quelli antichi il sipario durante gli spettacoli era abbassato ed era contenuto in questo canale scavato nel terreno e rivestito di lastre di pietra. Ai lati del proscenio vi sono i paraskenia e sul fondo la scaena, lunga 36,10 m.


(1) La cripta, (2) la cavea, (3) l'orchestra, (4) il tavolato del proscenio (5) il fronte-scena (6) le terme

La scena era costituita da una parete con aperture ed esedre inscritte fra colonne disposte su due piani; la parte sinistra di questa struttura è stata rialzata con un intervento di restauro compiuto dalla Sovrintendenza Archeologica della Toscana alla fine degli anni ‘70 (Dia 15). Questo restauro fa vedere con chiarezza come si sviluppasse l’intera scena; considerando che tutta la struttura era rivestita di marmo e che le nicchie erano ornate da statue, come dimostra una testa di Augusto rinvenuta all’interno del canale dell’aulaeum.

Gli ambienti dietro la scaena dovevano essere magazzini e spogliatoi per gli artisti. Fra le gradinate della cavea e i parasceni vi sono due gallerie chiamate pàrodoi che dalle estremità del semicerchio immettono nell’orchestra; sono due gallerie coperte da una volta a botte in conglomerato cementizio, su cui si conservano delle tracce di intonaco. Mediante due porte le gallerie sono collegate con i vestiboli che fiancheggiano i parasceni. I vestiboli erano frequentati dagli spettatori per poter accedere al portico retrostante la scena.

In epoca più tarda (fine II d.c.) il teatro venne restaurato, ma cessò definitivamente la sua attività verso la fine del III sec. d.c.; secondo i primi scavatori la causa fu un terremoto che fece crollare parte della struttura.

Alle spalle della scaena si trova un porticato (la Porticus Post Scaenam), costruito in più fasi. La sezione più antica e contemporanea al teatro era costituita solo dal fitto colonnato ionico in calcare di Pignano posto dietro la scena (Dia 16); successivamente venne realizzata la perimetrazione dell’area antistante il primitivo porticato. 

In età Claudia (41-54 d.c.) vennero edificati due bracci est ed ovest, con colonne marmoree di stile corinzio, provvisti, al centro, di un’esedra in ciascun braccio. Un terzo braccio, di cui non conosciamo la struttura, si dovrebbe trovare al di sotto della strada moderna che chiude la zona archeologica di Vallebuona. Vi era anche un velarium, un telo sostenuto da corde che copriva l'intera area del teatro, poiché rimangono tracce della struttura che lo sosteneva.

TERME DI VALLEBUONA

LE TERME DI VALLEBUONA

Al centro dell’area racchiusa del porticato venne costruito nella prima metà del IV sec. d.c. un grande impianto termale di cui si è conservata soltanto la parte inferiore ed alcuni pavimenti a mosaico. Probabilmente con l'abbandono del teatro si utilizzarono materiali di reimpiego, infatti per la soglia dell’abside della prima stanza furono utilizzate due spalliere dei sedili dell’orchestra (oggi sostituiti con calchi).

Si entrava dal lato più vicino al teatro e la prima sala era adibita a spogliatoio (apodyterium), da qui si passava in un’ambiente quadrangolare provvisto di due nicchie absidate che costituivano le vasche per l’immersione in acqua fredda (frigidarium). Seguiva una stanza ellittica di passaggio che immetteva nelle stanze destinate ai bagni caldi; tale ambiente era pavimentato con un mosaico che è ancora visibile sul posto (Dia 17, 18).

La stanza aveva due porte ai due lati, per impedire la dispersione del calore dalle stanza calde a quelle fredde. Le stanze successive sono il tepidarium, il calidarium e il laconicum. In questi ambienti i pavimenti sono sopraelevati dal suolo per mezzo di pilastrini in terracotta (suspensurae) dove l’aria calda proveniente dai forni circolava nello spazio vuoto sotto il pavimento e si irradiava nelle pareti fino alla volta.

Le stanze conservano parte della decorazione in marmo delle pareti e alcuni mosaici, i quali permettono di datare l'impianto termale, non anteriore al III sec. d.c. Inoltre furono utilizzati alcune parti della decorazione marmorea del teatro, evidentemente già distrutto.



FONTI  DI  SAN  FELICE

Le fonti di san Felice sono state costruite nel 1319 ma, durante i lavori di restauro compiuti nel 1979, sono venuti alla luce numerosi resti più antichi. Presso la fonte è stato trovato un bronzetto etrusco evidentemente di un luogo di culto dedicato a divinità collegate all’acqua; inoltre da qui doveva partire una delle vie di comunicazione con il territorio.

FONTI DI SAN FELICE
Vicino alla porta nelle mura medievali vi sono pure alcuni blocchi squadrati che facevano parte della cinta muraria etrusca e, inglobata in questa struttura, una porzione di cloaca per il drenaggio delle acque, che attraversava le mura proprio in questo punto. La sorgente venne usata anche in epoca romana, e da qui partiva una conduttura che riforniva una cisterna che serviva da riserva d’acqua per un impianto termale posto più in basso; seguendo il sentiero che parte dalla postierla medievale troviamo prima la cisterna, trasformata oggi in magazzino per attrezzi agricoli, e poi le terme romane di S. Felice.

Presso S. Felice. Infatti proprio nelle immediate vicinanze della fonte medievale, è stata trovata una stipe che conteneva numerosi bronzetti votivi connessi con il culto delle acque; si tratta, in particolare, di raffigurazioni di portatori e portatrici d’acqua (Dia 39). Questa sorgente è stata quindi utilizzata fin dall’antichità, anche se non risulta così evidente e completa come nel caso di S. Felice.



TERME DI SAN FELICE

Le terme di S. Felice sono l’unica grande struttura conosciuta che si trovi al di fuori delle mura della città, forse per accogliere gli stranieri di passaggio e pure per il vicino approvvigionamento dell’acqua. Fra il 1874 e il 1884 il direttore del museo, Annibale Cinci, compì altri scavi nella zona e scoprì altri ambienti che conservavano i mosaici pavimentali, asportati e conservati nel Museo.

Le terme hanno stanze disposte radialmente; sono identificabili le zone destinate ai bagni caldi perché i pavimenti sostenuti dalle suspensurae sono abbastanza conservati. Sul lato nord è anche visibile una delle vasche per i bagni in acqua calda accanto a cui si trova il forno per il riscaldamento (praefurnium). Tutte le stanze erano rivestite di marmo e avevano pavimenti a mosaico; due di questi mosaici furono trasferiti al museo Guarnacci.

Una vasca di forma absidale lunga 3 m. e profonda 1,85 m. fu scoperta nel 1894 e venne quindi smontata e trasferita nel giardino del museo Guarnacci, in cui è tuttora visibile. Non sappiamo con esattezza quando l’edificio fu costruito, una iscrizione frammentaria oggi perduta non è sufficiente per la datazione, ma in base ai mosaici possiamo attribuirne la costruzione a non prima del III sec. d.c.

MURA ETRUSCHE DI VOLTERRA

LE MURA

Nel centro urbano di Volterra si conservano alcuni resti murari di età precedente a quella ellenistica; il pianoro dell’Acropoli fu infatti protetto con un muro in pietra nel V sec. a.c. Questa prima cerchia muraria, del perimetro di circa 1,5 Km serviva a proteggere solo la cima della collina e parte del pianoro sottostante.

Sono tuttora conservati imponenti resti di mura etrusche sia sotto il vecchio ospedale civile (presso Piazza S. Giovanni), che nelle strutture di alcuni edifici moderni in via Matteotti e in via della Porta all’Arco (Fig. 1). Nella prima metà del III sec. a.c. fu invece costruita una grande cerchia muraria che circondava la collina con un perimetro di circa 7 km racchiudendo al suo interno una superficie di 116 ha.
Le mura sono formate da grandi blocchi quadrangolari di arenaria locale rozzamente squadrati e giuntati a secco. Si conservano ancora due porte di epoca etrusca: la Porta all’Arco e la Porta Diana.

Le mura contemporanee alla porta non esistono più poichè furono sostituite da quelle comunali nella prima metà del XIII secolo; in questo tratto le mura medievali ricalcano il percorso di quelle antiche. 

ANFITEATRO RECENTEMENTE SCOPERTO

Un anfiteatro romano aspetta di venire alla luce 
(Fonte)

" Il ritrovamento casuale durante alcuni lavori è avvenuto un mese fa ed è stato presentato oggi ufficialmente: nei pressi dell'attuale cimitero una cinta muraria di forma ellittica che lascerebbe pensare ad una anfiteatro di epoca romana.

Un ulteriore gioiello che è ancora celato, da secoli, sotto terra. Adesso, infatti, andranno finanziati i lavori di scavo, una "scoperta archeologica molto importante che conferma il ruolo di Volterra anche in epoca romana". Dunque si dovrà lavorare per riportare alla luce questa meraviglia, trovando i fondi con la collaborazione di Regione e governo.

L'anfiteatro mancava a Volterra - ha spiegato la dottoressa Elena Sorge funzionario della Soprintendenza - e nella fonti non era proprio citato, dal 1400 in poi se n'era persa memoria e si confondeva con il teatro, ma quando abbiamo trovato 40 metri di mura con quella forma ci siamo dovuti arrendere all'evidenza".

Una scoperta, dunque, che se possibile, sorprende anche gli stessi archeologi: la particolarità è che il ritrovamento dei resti dell'anfiteatro è avvenuto in maniera casuale e di questa struttura si ignorava l'esistenza fino a quel momento. Accanto all'anfiteatro, nella zona, forse potrebbero esserci anche resti di ville risalenti alla stessa epoca e che farebbero pensare ad un insediamento romano importante che va ad aggiungersi al teatro di Vallebona scoperto negli anni 50.

La struttura trovata, dai primi studi e secondo quanto descritto stamani dalla dottoressa Sorge, parrebbe avere analogie con gli anfiteatri di Cagliari e Sutri. La parte ritrovata finora sarebbe quella dei passaggi da dove accedeva il pubblico; ciò significherebbe che sono la parte più alta della struttura e quindi l'anfiteatro sarebbe ancora interrato molti metri sottoterra. "




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