La provocatio ad populum è un istituto del diritto pubblico romano, introdotto dalla Lex Valeria de provocatione del 509 a.c. (rogata dal console Publio Valerio Publicola) e applicato in particolare nel periodo repubblicano. Il condannato rimetteva così la sentenza ai comizi, nella loro veste di tribunale supremo.
Gli studiosi sono incerti o contrastanti su una provocatio ad populum o istituti simili in età regia, quando il re aveva pieni poteri giurisdizionali, ma in cui è possibile che per i reati più gravi si riunisse l'assemblea dei patrizi.
L'opinione prevalente degli scrittori in età repubblicana, dunque le fonti primarie, sosteneva esistesse tale istituto anche in età regia: Cicerone, un autore molto accorto e documentato, infatti scrive: "I libri dei pontefici dicono che la provocatio c'era anche sotto i re, e lo dicono anche gli scritti degli auguri"« provocationem autem etiam a regibus fuisse declarant pontificii libri, significant nostri etiam augurales».
L'istituto della provocatio introdusse un diritto del condannato a morte a richiedere che la pena irrogatagli fosse riconsiderata da un'assemblea cittadina solo dopo l'approvazione della Lex Valeria, mentre per il periodo precedente la tradizione riferisce soltanto di una facoltà del rex nei casi in cui, a sua discrezione, sembrasse più opportuno rimettere la decisione a una assemblea cittadina.
L'ASSASSINIO DI ORAZIO |
L'ORAZIO SORORICIDA
Controverso è il passo di Tito Livio sull'Orazio superstite dal duello contro i Curiazi, uccisore della sorella:
"Orazio procedeva portando davanti a sè le triplici spoglie dei Curiazi. La giovane sorella, che era stata fidanzata di uno dei Curiazi, va incontro a lui davanti alla porta Capena,e riconosciuto sopra le amate spalle il mantello dello sposo, che lei stessa aveva fatto, scioglie i capelli e invoca flebilmente il nome del fidanzato ucciso. Il pianto della sorella durante la sua vittoria e in una così grande gioia pubblica turba l'animo dell'arrogante giovane.
E così sguainata la spada, schernendo nello stesso tempo con le parole, trafigge la fanciulla: "Raggiungi quindi il fidanzato, incurante dei fratelli uccisi e di quello vivo, incurante della patria. La stessa sorte tocchi a ogni donna romana, chiunque piangerà un nemico".
Subito fu mandato a chiamare per il sommo giudizio capitale davanti al re Tullio Ostilio, che, incerto su cosa fare, disse:
"Nomino i duumviri che giudicheranno Orazio secondo la legge".
Allora i giudici, esaminata la causa, secondo la severissima legge di alto tradimento, giudicarono Orazio colpevole e lo condannarono a morte."(Tito Livio)
Viene da chiedersi cosa c'entrasse l'alto tradimento, reato che riguarda la patria, con l'assassinio della sorella. Comunque qui il re si rimette ai duumviri, ma per sua decisione.
Invece Floro lo fa assolvere, per intercessione del padre e del popolo:
« Incerto e glorioso fu lo scontro e mirabile il suo esito finale. Poiché da una parte tre erano stati feriti, dall'altra due uccisi, l'Orazio che era rimasto vivo, aggiunse al valore l'inganno, e per separare i nemici finse la fuga e li vinse, battendoli separatamente, nell'ordine in cui lo raggiungevano. Così si ebbe una vittoria per mano di uno solo, cosa assai rara, il quale però si macchiò di un assassinio contro il proprio sangue. Aveva visto la sorella piangere sulle spoglie del fidanzato nemico. Vendicò questo amore di una vergine con la spada. Le leggi romane lo accusarono per il delitto, ma il valore [della sua vittoria] lo sottrassero alla pena, e il delitto fu inferiore alla gloria. »
(Annio Floro - Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum)
Invece Floro lo fa assolvere, per intercessione del padre e del popolo:
« Incerto e glorioso fu lo scontro e mirabile il suo esito finale. Poiché da una parte tre erano stati feriti, dall'altra due uccisi, l'Orazio che era rimasto vivo, aggiunse al valore l'inganno, e per separare i nemici finse la fuga e li vinse, battendoli separatamente, nell'ordine in cui lo raggiungevano. Così si ebbe una vittoria per mano di uno solo, cosa assai rara, il quale però si macchiò di un assassinio contro il proprio sangue. Aveva visto la sorella piangere sulle spoglie del fidanzato nemico. Vendicò questo amore di una vergine con la spada. Le leggi romane lo accusarono per il delitto, ma il valore [della sua vittoria] lo sottrassero alla pena, e il delitto fu inferiore alla gloria. »
(Annio Floro - Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum)
Nè in Livio nè in Floro il re accorda la grazia, il che confermerebbe Cicerone, e cioè che la grazia spettasse al popolo.
VALERIO PUBLICOLA |
PUBLIO VALERIO PUBLICOLA
La tradizione sottolinea che uno dei primi provvedimenti dello Stato repubblicano è quello di aver stabilito la provocatio ad populum, legata al nome di Publio Valerio Publicola, eletto nel 509 a.c., al primo rinnovo delle cariche consolari.
Si dice che quando Lucrezia convocò il padre dall'accampamento, dopo che Sesto Tarquinio ebbe commesso l'atto ignominioso, Publio Valerio accompagnò Lucrezio da sua figlia ed era a fianco di Lucrezia quando questa rivelò l'oltraggio di Sesto e si trafisse il cuore. Valerio, assieme a tutti gli altri presenti, giurò vendetta per quella morte e immediatamente la compirono scacciando i Tarquini dalla città.
Giunio Bruto e Lucio Tarquinio Collatino furono eletti per primi come consoli nel 509 a.c., ma poiché il nome Tarquinio rendeva Collatino oggetto di sospetti, fu obbligato a dimettersi ed a lasciare la città: Valerio fu eletto al suo posto. Poco tempo dopo le città di Veio e di Tarquinia marciarono con loro contro Roma. I romani vinsero e Valerio poté rientrare a Roma e celebrare il primo trionfo di un condottiero romano.
Valerio fu ora lasciato senza collega; e quando cominciò nello stesso tempo a costruire una casa sulla parte superiore della collina Velia, che si affacciava sul foro, il popolo temette volesse diventare re. Conosciuti i sospetti Valerio demolì la costruzione in una sola notte così che il giorno dopo il popolo, imbarazzato del proprio comportamento, gli assegnò un pezzo di terra ai piedi della Velia, con il privilegio di avere la porta della casa aperta nella via.
Quando Valerio comparve davanti al popolo, ordinò ai littori di abbassare i fasci davanti al popolo, come riconoscimento che il loro potere era superiore al suo. Promulgò quindi una legge che chiunque avesse tentato di farsi re sarebbe stato consacrato agli Dei e chiunque voleva avrebbe potuto ucciderlo.
"Dichiarò un'altra legge che ogni cittadino che fosse stato condannato da un magistrato alla pena capitale avrebbe avuto il diritto di appellarsi al popolo" (provocatio ad populum); ora poiché i patrizi avevano avuto questo diritto sotto i re, è probabile che la legge di Valerio abbia conferito lo stesso privilegio ai plebei. Da ultimo permise la nomina di due questori da parte del popolo.
I COMIZI
Il popolo romano, per guidare la politica dello Stato, soleva raccogliersi in varie assemblee dette:
- Comitia Curiata,
- Comitia Centuriata
- Comitia tributi
- Concilia plebis
La tradizione sottolinea che uno dei primi provvedimenti dello Stato repubblicano è quello di aver stabilito la provocatio ad populum, legata al nome di Publio Valerio Publicola, eletto nel 509 a.c., al primo rinnovo delle cariche consolari.
Si dice che quando Lucrezia convocò il padre dall'accampamento, dopo che Sesto Tarquinio ebbe commesso l'atto ignominioso, Publio Valerio accompagnò Lucrezio da sua figlia ed era a fianco di Lucrezia quando questa rivelò l'oltraggio di Sesto e si trafisse il cuore. Valerio, assieme a tutti gli altri presenti, giurò vendetta per quella morte e immediatamente la compirono scacciando i Tarquini dalla città.
Giunio Bruto e Lucio Tarquinio Collatino furono eletti per primi come consoli nel 509 a.c., ma poiché il nome Tarquinio rendeva Collatino oggetto di sospetti, fu obbligato a dimettersi ed a lasciare la città: Valerio fu eletto al suo posto. Poco tempo dopo le città di Veio e di Tarquinia marciarono con loro contro Roma. I romani vinsero e Valerio poté rientrare a Roma e celebrare il primo trionfo di un condottiero romano.
Valerio fu ora lasciato senza collega; e quando cominciò nello stesso tempo a costruire una casa sulla parte superiore della collina Velia, che si affacciava sul foro, il popolo temette volesse diventare re. Conosciuti i sospetti Valerio demolì la costruzione in una sola notte così che il giorno dopo il popolo, imbarazzato del proprio comportamento, gli assegnò un pezzo di terra ai piedi della Velia, con il privilegio di avere la porta della casa aperta nella via.
Quando Valerio comparve davanti al popolo, ordinò ai littori di abbassare i fasci davanti al popolo, come riconoscimento che il loro potere era superiore al suo. Promulgò quindi una legge che chiunque avesse tentato di farsi re sarebbe stato consacrato agli Dei e chiunque voleva avrebbe potuto ucciderlo.
"Dichiarò un'altra legge che ogni cittadino che fosse stato condannato da un magistrato alla pena capitale avrebbe avuto il diritto di appellarsi al popolo" (provocatio ad populum); ora poiché i patrizi avevano avuto questo diritto sotto i re, è probabile che la legge di Valerio abbia conferito lo stesso privilegio ai plebei. Da ultimo permise la nomina di due questori da parte del popolo.
I COMIZI
Il popolo romano, per guidare la politica dello Stato, soleva raccogliersi in varie assemblee dette:
- Comitia Curiata,
- Comitia Centuriata
- Comitia tributi
- Concilia plebis
I Comizi Curiati
I comizi curiati erano la più antica assemblea romana, secondo alcuni solo patrizia, per altri anche plebea ma con poteri minori. I Romani usavano una forma di democrazia diretta, per cui i cittadini-elettori votavano le decisioni in assemblea. Ogni assemblea era presieduta da un magistrato che decretava su questioni sia procedurali che legali. Decidevano sulla "provocatio ad populum".
L'unico modo per controllare il potere del magistrato era quello di porre il veto da parte di altri magistrati:, vale a dire o i tribuni della plebe o dei magistrati di rango superiore. In una prima fase il popolo si esprimesse 'attraverso' i comizi curiati, poi in seguito alla legge delle XII tavole la "provocatio ad populum" si svolse 'davanti' ai comizi centuriati.
I Comizi Centuriati
Era l'unica basata su un criterio censitario timocratico (in base al possedimento dei beni), e gerontocratico (gli anziani tra i 46 e i 60 anni, avevano maggiore dignità politica rispetto agli iuvenes, i giovani tra i 18 e i 45 anni). Tramite i comizi ceturiati il popolo nominava censori, consoli e pretori, inoltre interveniva nella legislazione (spesso in comunione col senato) e nella dichiarazione di guerre.
I Comizi Centuriati
Era l'unica basata su un criterio censitario timocratico (in base al possedimento dei beni), e gerontocratico (gli anziani tra i 46 e i 60 anni, avevano maggiore dignità politica rispetto agli iuvenes, i giovani tra i 18 e i 45 anni). Tramite i comizi ceturiati il popolo nominava censori, consoli e pretori, inoltre interveniva nella legislazione (spesso in comunione col senato) e nella dichiarazione di guerre.
Ma funzionavano come tribunale nelle condanne alla pena capitale, nel giudizio del reato di alto tradimento e, almeno nel periodo repubblicano, fino alla fine del II sec. a.c., poteva sottrarre l'imputato, condannato a morte dal magistrato, che lo richiedesse sottoponendolo al giudizio popolare. Appellandosi al popolo, l'imputato insinuava il sospetto che fosse in atto, ai suoi danni, una persecuzione motivata da ragioni politiche.
Decidevano pertanto sulla "provocatio ad populum".
I Comizi Tributi
Accoglievano sia patrizi che plebei, ed eleggevano i questori, gli edili curuli, le cariche ausiliarie e, da un certo periodo, anche il pontefice massimo ed altre cariche sacerdotali. In epoca tardo repubblicana, condussero gran parte dei processi. Non decidevano sulla "provocatio ad populum".
I Concilii della Plebe
I Concilii della Plebe
Si formarono in seguito alla secessione della plebe sul Monte Sacro nel 494 a.c. per rivendicare il diritto della plebe di partecipare alla vita politica. Vennero così creati i tribuni della plebe e gli edili. Le delibere della plebe raccolta nell'assemblea convocata dal tribuno della plebe prenderanno il nome di plebiscita (plebisciti). Da queste assemblee, naturalmente, saranno esclusi i patrizi. Non decidevano sulla "provocatio ad populum".
In età repubblicana il diritto alla provocatio fu poi sottoposto a diverse restrizioni da parte del senato e dei magistrati, gelosi delle loro prerogative giurisdizionali, ma purtuttavia rimase. In età imperiale, tale istituto scomparve, sostituito dall'appello all'imperatore.
Questa interpretazione è confutata da altri studiosi, in quanto sarebbe erroneo qualificare la provocatio come «appello al popolo», poiché l'appello presuppone il precedente giudizio di un magistrato, giudizio che qui manca: in quella fase del diritto romano, il popolo è infatti già titolare di una sua giurisdizione, la funzione di iudicatio, che convive insieme con la coercitio del re.
In questa interpretazione, quindi, la provocatio ha sì la funzione di "tamponare" gli eventuali eccessi di imperium, prima del re e poi dei magistrati, ma il ruolo dell'assemblea non è quello di appello, ma di vero e proprio giudizio, in quanto l'atto del magistrato è un atto di amministrazione, non un atto di giurisdizione.
I LITTORI
In una prima fase la provocatio fu applicabile solo per condannati a morte della classe patrizia, venne poi esteso anche ai plebei. Come segno esterno della provocatio ad populum i littori che precedevano i magistrati (consoli e dittatori), quando erano nella città di Roma, portavano i fasci littori privi di scure, a indicare che il magistrato era privo del potere di erogare pene capitali. Fuori Roma, come accadeva nelle campagne militari, il potere era in genere pieno, e i littori portavano i fasci con le scuri.
LA CONGIURA DI CATILINA
Cicerone, durante la congiura di Catilina, mise a morte nel carcere Tullianum cittadini romani complici di Catilina senza concedere la provocatio. Publio Clodio Pulcro, suo avversario politico, fece allora votare una legge che stabiliva la pena dell'esilio a chi avesse deliberato una condanna a morte senza concedere la provocatio.
La Lex Clodia de capite civis Romani (Legge Clodia sulla condanna a morte di un cittadino romano) fu una legge fatta approvare tramite gli scita plebis (plebiscito) cioè deliberazione della sola plebe riunita nei concilia plebis, da Publio Clodio Pulcro, avversario politico di Cicerone, che stabiliva la pena dell'esilio per chi avesse deliberato una condanna a morte senza concedere la provocatio ad populum, cioè la facoltà per ciascun cittadino romano di ricorrere in appello al popolo per evitare la condanna.
Nel 58 a.c. Clodio propose la legge clodia, per garantire i "diritti fondamentali" del cittadino, limitando il potere del senato e degli ottimati nel corso dei processi: e proponeva di concedere ai condannati la facoltà di appello al popolo, la provocatio ad populum, con valore retroattivo a tutti coloro che avevano ratificato l'uccisione di un cittadino romano senza concedergli tale diritto. Il provvedimento era diretto contro Cicerone, che nel 63 a.c. aveva permesso la condanna dei Catilinari senza appello al popolo.
La proposta accolta dalle fasce più basse della popolazione e dai sostenitori di Catilina, nonchè da Gaio Giulio Cesare, che in occasione del processo ai Catilinari si era battuto perché si scegliesse il confino come condanna di Catilina, e pure per allontanare Cicerone dalla scena politica, e dei triumviri, che avrebbero così visto diminuire il potere del senato
Visto il generale consenso alla proposta di Clodio, alla vigilia della sua approvazione Cicerone lasciò Roma, sostenendo di essere stato invitato a farlo da Pompeo e dagli ottimati, che speravano così di evitare disordini.
In età repubblicana il diritto alla provocatio fu poi sottoposto a diverse restrizioni da parte del senato e dei magistrati, gelosi delle loro prerogative giurisdizionali, ma purtuttavia rimase. In età imperiale, tale istituto scomparve, sostituito dall'appello all'imperatore.
Questa interpretazione è confutata da altri studiosi, in quanto sarebbe erroneo qualificare la provocatio come «appello al popolo», poiché l'appello presuppone il precedente giudizio di un magistrato, giudizio che qui manca: in quella fase del diritto romano, il popolo è infatti già titolare di una sua giurisdizione, la funzione di iudicatio, che convive insieme con la coercitio del re.
In questa interpretazione, quindi, la provocatio ha sì la funzione di "tamponare" gli eventuali eccessi di imperium, prima del re e poi dei magistrati, ma il ruolo dell'assemblea non è quello di appello, ma di vero e proprio giudizio, in quanto l'atto del magistrato è un atto di amministrazione, non un atto di giurisdizione.
I LITTORI
In una prima fase la provocatio fu applicabile solo per condannati a morte della classe patrizia, venne poi esteso anche ai plebei. Come segno esterno della provocatio ad populum i littori che precedevano i magistrati (consoli e dittatori), quando erano nella città di Roma, portavano i fasci littori privi di scure, a indicare che il magistrato era privo del potere di erogare pene capitali. Fuori Roma, come accadeva nelle campagne militari, il potere era in genere pieno, e i littori portavano i fasci con le scuri.
SCOPERTA DEL CORPO DI CATILINA |
LA CONGIURA DI CATILINA
Cicerone, durante la congiura di Catilina, mise a morte nel carcere Tullianum cittadini romani complici di Catilina senza concedere la provocatio. Publio Clodio Pulcro, suo avversario politico, fece allora votare una legge che stabiliva la pena dell'esilio a chi avesse deliberato una condanna a morte senza concedere la provocatio.
La Lex Clodia de capite civis Romani (Legge Clodia sulla condanna a morte di un cittadino romano) fu una legge fatta approvare tramite gli scita plebis (plebiscito) cioè deliberazione della sola plebe riunita nei concilia plebis, da Publio Clodio Pulcro, avversario politico di Cicerone, che stabiliva la pena dell'esilio per chi avesse deliberato una condanna a morte senza concedere la provocatio ad populum, cioè la facoltà per ciascun cittadino romano di ricorrere in appello al popolo per evitare la condanna.
Nel 58 a.c. Clodio propose la legge clodia, per garantire i "diritti fondamentali" del cittadino, limitando il potere del senato e degli ottimati nel corso dei processi: e proponeva di concedere ai condannati la facoltà di appello al popolo, la provocatio ad populum, con valore retroattivo a tutti coloro che avevano ratificato l'uccisione di un cittadino romano senza concedergli tale diritto. Il provvedimento era diretto contro Cicerone, che nel 63 a.c. aveva permesso la condanna dei Catilinari senza appello al popolo.
La proposta accolta dalle fasce più basse della popolazione e dai sostenitori di Catilina, nonchè da Gaio Giulio Cesare, che in occasione del processo ai Catilinari si era battuto perché si scegliesse il confino come condanna di Catilina, e pure per allontanare Cicerone dalla scena politica, e dei triumviri, che avrebbero così visto diminuire il potere del senato
Visto il generale consenso alla proposta di Clodio, alla vigilia della sua approvazione Cicerone lasciò Roma, sostenendo di essere stato invitato a farlo da Pompeo e dagli ottimati, che speravano così di evitare disordini.
LA PROVOCATIO IN ETA' IMPERIALE
In età imperiale la provocatio è ancora attestata, ma ormai il populus è sostituito dall'imperator. Ma una nuova figura si impone: il cittadino romano pronunciando le parole "Caesarem appello" si sottraeva alla giurisdizione del magistrato provinciale e la causa era trasferita a Roma. San Paolo si sottrasse per due anni alla condanna grazie a questo appello e venne condotto a Roma. Augusto amò trasferirsi i diversi poteri, e i suoi successori lo imitarono.
Il Giurista Paolo in "Sententiarum Receptarum libri quinque" scrive:
« Iulia de vi publica damnatur qui… civem Romanum antea ad populum provocationem nunc imperatorem appellantem necaverit necarive iusserit.»
(Lex Iulia De Vi Publica, sia condannato colui che uccide o ordina di uccidere un cittadino romano che si sia appellato, davanti al popolo o davanti all'imperatore.
Cronologia delle leggi sulla provocatio ad populum:
- 509 a.c. Lex Valeria
- I magistrati non potevano sottoporre a fustigazione o condannare a morte il cittadino romano che avesse esercitato la provocatio ad populum
- 454 Lex Aternia erpeia
- 452 Lex Menenia Sestia
- Il limite delle multe per i cittadini romani, oltrepassato il quale era possibile invocare la provocatio era fissato in 3.020 assi, pari al valore di 30 buoi più due pecore.
- La stessa provocatio ad populum veniva esercitata, in certi casi, dai sacerdoti sottoposti al pontefice massimo, i quali fossero stati da questo multati.
- 450 Leges XII Tab.
- La condanna a morte del cittadino doveva essere pronunciata dai Comizi centuriati.
- 449 Lex Valeria Horatia
- Non potevano essere istituite nuove magistrature che fossero esenti dal rispetto della provocatio
- 300 Lex Valeria
- ascritta al console M. Valerio Corvo, la quale dichiarava come "meritevole di riprovazione" l'atto del magistrato che avesse fatto fustigare e uccidere un cittadino in mancanza di provocatio.
- 199 a.c. Lex Porcia I, detta Lex Porcia de capite civium.
- Estende il diritto di provocatio oltre i 1000 passi da Roma, quindi in favore dei cittadini romani residenti nelle province e dei soldati nei confronti del loro comandante.
- 195 a.c. Lex Porcia II, detta Lex Porcia de tergo civium.
- Estese la facoltà di provocatio ad populum contro la fustigazione.
- 184 a.c. Lex Porcia III.
- Prevedeva una sanzione molto severa (forse la pena capitale) per il magistrato che non avesse concesso la provocatio.
Come si legge, la Provocatio ad Populum non solo poteva salvare dalla pena di morte, ma pure dalla fustigazione e dalle multe. Se perfino i pontefici potevano appellarsi al popolo perchè il sommo pontefice li aveva multati, visto il grande ascendente che la più alta carica religiosa aveva sul popolo e perfino sul senato, si comprende quanto fosse vasto in epoca romana il potere del popolo.